Utente:Mαρκος/Storia di Bivona

Età antica modifica

Epoca greca modifica

L'errata interpretazione di alcuni testi classici (su tutti, la Geografia di Strabone e le opere di Diodoro Siculo e di Duride di Samo) fu all'origine della nascita di più ipotesi infondate circa l'origine di Bivona[1].

Il ratto di Proserpina modifica

 
Il Ratto di Proserpina, di Luca Giordano

Bivona potrebbe essere stato il luogo in cui avvenne il ratto di Proserpina da parte di Plutone; tale era la supposizione degli storici che analizzarono il seguente passo del VI libro dell'opera di Strabone, accompagnato da una traduzione latina del Seicento[1]:

(GRC)

«Μετὰ τὴν Κωσεντίαν Ἰππώνιον Λοκρῶν κτίσμα, Βρεττίους δὲ κατέχοντας ἀφείλοντο Ῥωμαῖοι καὶ μετωνόμασαν Οὐιβῶναν Οὐαλεντίαν. Διὰ δὲ τὸ εὑλείμωνα εἶναι τὰ περικείμενα χωρία καί ἁνθηρὰ τὴν Κόρην ἐκ Σικελίας πεπιστεύκασιν ἀφικνεῖσθαι δεῦρο ἀνθολογήσουσαν»

(LA)

«Post Cosentiam Hipponium est Locrorum aedificium, quod Brutiis obtinentibus, eripuere Romani, et mutato deinde vocabulo, Vibonam Valentiam appellavere: ad haec vero loca Proserpinam e Sicilia adventasse, legendos ad flores credidire veteres, quoniam florentissimae regionis amoenissima prata esse constat»

Pertanto, vari autori fraintesero il passo del geografo greco e credettero che Proserpina venne rapita nel territorio di Bivona, luogo amato dalla dea: il primo fu Claudio Aretio, che nel 1537, descrivendo Bivona, affermò[1]:

(LA)

«...oppidum est fontibus compluribus, arboribusque ornatum, quod Proserpinam petiisse fama refert...»

(IT)

«Città ornata di molte fonti, e di alberi, famosa per la dimora di Proserpina»

 
Il gruppo scultoreo del Ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini

Nel 1542, Matteo Silvaggio, nella sua opera, ripeté lo stesso concetto[1]:

(LA)

«...Bisbona quae fontibus arboribusque circumornata propter nemoris amenitatem fingunt poetae illuc Prosperpinam fuisse delatam...»

(IT)

«Bivona, tutta ornata di fonti e di alberi: per la bellezza dei suoi boschi, i poeti immaginano che da qui Proserpina venne portata via»

Infine il milanese Natale Conti (1520-1580), autore delle Mythologiae, scrisse[1]:

(LA)

«...Scriptum reliquit Strabo [...] Valentiam quae Ipponium olim dicebatur, civitatem esse Siciliae in loco amoenissimo, ubi fiorentissima prata esse consueverunt, quo in loco cum flores legeret Proserpina, a Plutone fuit rapta...»

(IT)

«Scrisse Strabone che Valentia, un tempo detta Ipponio, è una città sita in un luogo assai piacevole della Sicilia, dove solitamente i prati sono ricchi di fiori: qui avvenne che Proserpina, intenta a raccogliere alcuni fiori, venne rapita da Plutone»

In realtà, come si evince dai suoi stessi scritti, Strabone si riferiva a Vibo Valentia[1], comune italiano capoluogo di provincia in Calabria. Eppure non mancò chi identificò il luogo della cattura della dea con una località siciliana: è il caso del poeta romano Claudio Claudiano (370-404), autore del De raptu Proserpinae, che affermò che Plutone rapì Proserpina nei pressi del lago di Pergusa, vicino Enna. Il mito, tra i più celebri della tradizione pagana siciliana, nell'antichità accrebbe il culto della dea in Sicilia. Oggi a Proserpina è intestato l'ateneo della città di Enna (Università Kore di Enna[2]). Anticamente a Bivona (frazione marina di Vibo Valentia) esisteva un tempio in onore della dea: nel paese calabro, il mito di Proserpina si fonde con una leggenda locale[3].

Hipponium, il Corno d'Amaltea modifica

 
Ritratto del messinese Francesco Maurolico

L'erronea identità di Bivona con l'Hipponium citato da Strabone trasse in inganno anche Francesco Maurolico, che affermò[4]:

(LA)

«...Hippon, seu Vibon e corrupto nomine Bivona, oppidum Vallis Mazariae amenissimum fluvio et hortis, a Gelone adornatum...»

(IT)

«Hippon (o Vibo, che deriva dal nome alterato Bivona), è una città del Vallo di Mazara assai piacevole per le acque ed i giardini, abbellita da Gelone»

Nella sua opera, il Maurolico riportò una frase tratta da una traduzione latina dell'opera Deipnosophistai di Ateneo di Naucrati, a sua volta ripresa dalla Storia di Agatocle di Duride di Samo[4]:

(LA)

«...Ad Hipponium oppidum ostendi nemus perquam amoenum, pulchrum, aquis irriguum, in quo Gelon aedificatum a se locum Amalteae cornu vocavit...»

(IT)

«Nei pressi di Ipponio, feci vedere quel bosco straordinariamente bello, magnifico, bagnato da corsi d'acqua, in cui Gelone fece edificare il suo luogo di delizie, che chiamò Corno d'Amaltea»

Nelle opere dei due scrittori greci si fa riferimento al Corno d'Amaltea, luogo di delizie fatto edificare da Gelone, tiranno di Siracusa: gli storici Agostino Inveges (1651) e Vincenzo Auria (1668) criticarono questa ipotesi[4]; il primo affermò che Bivona è troppo distante da Siracusa, pertanto difficilmente fu scelta dal tiranno come luogo di piacere; il secondo sostenne che l'espressione «Hippon seu Vibon» (che il Maurolico aveva tratto da un brano di Pomponio Mela[5]) era da riferire alla Vibo Valentia calabra.

Gelone probabile fondatore modifica

 
Gelone di Siracusa, probabile fondatore di Bivona (Hipponium)

Nonostante le argomentazioni contrarie di studiosi come l'Inveges e l'Auria, numerosi storici e cultori identificarono la città di Hipponium (o Ipponio) con Bivona[6]: nel 1749 l'abate catanese Vito Maria Amico Statella, nel 1838 Pietro Calcara, nel 1842 la francese Villepreux Power Jeannette, nel 1861 Gaetano Picone e nel 1909 lo storico bivonese Giovan Battista Sedita. Quest'ultimo, nella sua opera Cenno storico-politico-etnografico di Bivona, a proposito della fondazione di Bivona scrisse[7]:

«Per altro la preesistenza di Bivona viene confermata ancora da Ortelio e da Maurolico. Lo Hipponium poi fu convertito in Ippon e poi in Vibon, indi in Bibbona, ed ultimamente in Bisbona, oggi Bivona. Secondo Ortelio, Maurolico ed altri l'odierno Bivona sorse col nome di Hipponium ad opera di Gelone, tiranno di Siracusa, quando, reduce questi da Imera, vittorioso contro i Cartaginesi (476 a.C.), nel portarsi con l'esercito a Siracusa, fece sosta sui monti, tuttora chiamati Ipponici, siti al di qua da Prizzi; e, che in trofeo della vittoria riportata, signore allora di tutto il versante meridionale della Sicilia, concesse da quel monte sino al mare ai suoi più valorosi, i quali ebbero a costruire, verso il centro, delle case sparse e che, in ricordo di esso monte, chiamarono poi Hipponium il villaggio»

Ma già in precedenza (1624) lo storico Giovanni Bonanno e Colonna, che era in perfetta armonia con il Maurolico (anche lui pensava che Hipponium era da identificare con Bivona per la somiglianza del nome d'Ipponio con Bivona, l'amenità dei giardini e l'abbondanza d'acqua, la quale in Bivona è notabile[4]), ritenne che l'antica città d'Hipponium era la città citata da alcuni autori greci che descrissero gli eventi della prima guerra punica: l'Ippana citata da Polibio e la Sittana citata da Diodoro Siculo. L'Inveges, in base al brano polibiano, ritenne giusto collocare Ippana (o Hippana) nei pressi dell'attuale Mistretta (ME)[4]. L'abate benedettino Amico preferì distinguere Hipponium da Hippana-Sittana: collocò la prima nei pressi di Siracusa, la seconda nei pressi di Bivona (chiamandola Targia) o in un posto non definito della Sicilia Occidentale (chiamandola Ippana)[6]. Nel 1836, tuttavia, monsignor Giuseppe Crispi riuscì a dimostrare che le rovine di Ippana si trovano sulla Montagna dei Cavalli, nei pressi di Prizzi[6].

Epoca punica modifica

Alcune monete puniche sono state rinvenute in contrada San Matteo[8], a nord del centro abitato di Bivona, nel territorio attraversato dalla strada provinciale Bivona-Palazzo Adriano, corrispondente al sito che, secondo Cesare Sermenghi[9], sarebbe stato la sede dell'antica città di Macella. Le monete raffigurano un volto femminile e nell'esergo le figure di un cavallo e di una palma. Le monete sono ascrivibili al III secolo a.C., nel periodo delle guerre tra Roma e Cartagine.

Alcuni eruditi siciliani posero vicino a Bivona il luogo della battaglia del Cremisio, in cui 70.000 cartaginesi furono sconfitti da 6.000 siracusani comandati dal corinzio Timoleonte.

Epoca romana modifica

Fondo di orcetto aretino

Tra i vari reperti archeologici rinvenuti in alcune contrade a sud del paese (Ponte, Chirullo, Margi), compare anche il fondo di un orcetto con peduccio a rocchetto[10]: il diametro è di 4 cm e reca impresse al centro alcune lettere (T·R·C), riferibili ad un certo Tigrano Rasinio (Tigranus Rasinius C·F·A)[10], aretino vissuto intorno alla prima metà del I secolo. L'eponimo presente nel rettangolo biansato al centro del fondo pone al nominativo il nome di un operaio (schiavo o liberto), e al genitivo quello del produttore.

Moneta di Marco Vipsanio Agrippa

Insieme al fondo aretino e ad altri reperti, fu rinvenuta anche una moneta[11], pesante 10 grammi, che riporta nel dritto l'effige di Marco Vipsanio Agrippa (63 a.C.-12 a.C.) e nel rovescio la figura del dio Nettuno con a fianco (a destra e a sinistra) la sigla S.C., cioè Senatus Consultu, "per decreto senatoriale". La moneta risale all'epoca di Augusto; nel reperto nummario appare la scritta:

(LA)

«M·AGRIPPA·L·F·COS·III»

(IT)

«MARCO AGRIPPA, FIGLIO DI LUCIO, CONSOLE PER LA TERZA VOLTA»

Marco Vipsanio Agrippa fu genero di Augusto perché ne sposò la figlia Giulia; nonostante le umili origini, venne insignito del titolo di pretore, governatore della Gallia e proconsole: essendo «ministro della guerra» di Augusto, si era effigiato nelle coniazioni d'oro e d'argento.

Altri reperti archeologici
  • Ceramica madreperlacea nera
  • Anfora vinaria romana
  • Cocci di ceramica

Platanella modifica

(LA)

«[...] prope ruinas Platanelli ac Muzari [...]»

(IT)

«[Bivona], nei pressi delle rovine di Platanello e di Muzaro [...]»

 
Panoramica del territorio di Bivona

Attingendo notizie dalla prima opera storiografica sulla Sicilia di Tommaso Fazello, lo storico del XVII secolo Rocco Pirri (dalla cui opera, in seguito, avrebbe attinto notizie Francesco Maria Emanuele e Gaetani, marchese di Villabianca) affermò che Bivona si trovasse presso le rovine delle città di Platanello (o Platanella) e Muzaro (o Muzzare)[12]; anche Giovan Battista Sedita, nel 1909, dichiarò[13]:

«Ciò che poi maggiormente ci assicura che Bivona sia di data antichissima è lo asserto concorde degli storici più antichi, confermanti come Hipponium (Bivona, nda) si sia ingrandita di territorio e di abitanti a danno delle due antichissime città "Platanelli e Muzzare". [...] Diverse saranno state le circostanze che valsero allora allo incremento della popolazione e del territorio di Bivona, e non ultima, la rovina delle due antichissime città vicine "Platanelli e Muzzare", ai cui danni si ampliò Bivona»

Infine, a confermare la vicinanza di Bivona con le rovine delle due antiche città fu Cesare Sermenghi, che arrivò alle sue conclusioni attraverso il consueto metodo di indagine glottologica di alcuni toponimi e di indagine storica di alcuni reperti archeologici[14]. Egli esaminò le ceramiche e i reperti nummari rinvenuti in alcune contrade bivonesi (Ponte, Chirullo e Margi), i resti di alcune mura (che avrebbero potuto costituire un piccolo villaggio) e le affinità toponomastiche con alcune località del circondario: sulla base di tali documenti storici, il Sermenghi fu convinto dell'esistenza di un piccolo centro, Platanella (che egli chiama di Bivona, per distinguerla da altri centri omonimi della zona), la cui storia sarebbe durata appena tre-quattrocento anni, fino a quando il piccolo villaggio sarebbe stato assorbito dalla fiorente città di Bivona[15]. La datazione di Platanella sarebbe quindi compresa tra l'ultimo secolo della repubblica romana (I secolo a.C.) e il periodo bizantino; le dimensioni del villaggio, probabilmente, erano di 350 m × 330 m[16]. Se sull'esistenza dell'insediamento non persistono dubbi, appare invece poco veritiera l'identificazione di questo sito archeologico con la città di Platanella, che secondo il bivonese Antonino Marrone è da identificare con le rovine della città di Platani, nell'omonima valle, sul monte anticamente chiamato Platanella[12], identificabile con il Monte Sara, nel territorio di Ribera (in provincia di Agrigento), a qualche chilometro da Bivona.

Le guerre puniche modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre puniche.

La prima guerra punica, combattuta tra Roma e Cartagine tra il 264 a.C. ed il 241 a.C., coinvolse gran parte della Sicilia occidentale. Gli eventi del lungo conflitto sono stati descritti da alcuni autori greci, come Polibio e Diodoro Siculo, e poi ripresi nelle opere storiografiche di alcuni autori latini.

In base alla descrizione dei luoghi dei vari autori, sono state avanzate alcune ipotesi sull'identificazione di Bivona con la città d'Ippana. Nonostante la scoperta di Mons. Crispi nel XIX secolo, il poeta e saggista Cesare Sermenghi, di origini bivonesi, ritenne che Bivona derivi toponomasticamente da Ippana[6].

Egli pensò che in seguito alla distruzione della loro città nel 258 a.C., durante la prima guerra punica, gli abitanti di Ippana abbiano abbandonato la zona migrando verso la valle del Magazzolo, dove è situata attualmente Bivona. E infatti, secondo il Sermenghi, furono proprio gli ex abitanti di Ippana a fondare il nuovo centro abitato, da cui discende il nome di Bivona. Secondo questa ipotesi, l'origine di Bivona è da collocarsi nel III secolo a.C., durante il periodo della guerra tra romani e cartaginesi[6].

Ma l'ipotesi del Sermenghi appare poco veritiera, dato che in alcuni documenti risalenti al XII secolo si fa menzione di un monte e di un vallone che portano il nome "Ippana": la permanenza immutata del toponimo dimostra la quasi impossibilità di una sua trasformazione in "Bivona"[17].

In quegli anni venne costruita anche la prima strada romana di Sicilia[18], realizzata utilizzando piste già tracciate dai primi abitanti dell'Isola: molti tratti della strada romana, che collegò le città di Palermo ed Agrigento, corrispondono all'attuale Strada statale 118[18], la "Corleonese-Agrigentina", che attraversa Bivona ed il suo territorio per parecchi chilometri. Anche la seconda guerra punica vide la Sicilia tra i principali protagonisti. Tra il 214 a.C. ed il 209 a.C. nell'Isola furono combattute diverse battaglie nella zona compresa tra Palermo, Agrigento, Enna e Siracusa, quest'ultima assediata nel 212 a.C. dalle truppe romane di Marco Claudio Marcello.

Nel 211 a.C., quando Marcello abbandonò la Sicilia, si rivoltò in favore dei cartaginesi la città di Macella, che, secondo il Sermenghi, si trovava nella zona attualmente sovrastante la città di Bivona. Già protagonista durante la prima guerra punica (espugnata a fatica dai romani nel 260 a.C., venne immortalata nella colonna rostrata di Caio Duilio: «Macellam moenitam pugnando coepit»; secondo Diodoro Siculo, i romani l'avevano assediata una prima volta senza successo; secondo Dione Cassio, nel 103 a.C. lo schiavo ribelle Atenione, protagonista della seconda guerra servile, la fortificò nuovamente), Macella potrebbe essere stata coinvolta anche in alcune battaglie combattute durante la seconda guerra punica, così come l'attuale territorio di Bivona, che potrebbe essere stato campo di battaglia di alcuni combattimenti, sia data l'ubicazione tra due grandi città come Palermo ed Agrigento, sia poiché, secondo Sermenghi, qui potrebbero esseri stanziati gli antichi abitanti di Ippana, fondando una nuova città (Bivona)[19].

Le guerre servili modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre servili.
 
Soldati romani in combattimento (II secolo a.C.)

Le guerre servili furono tre guerre combattute tra la Repubblica Romana e schiavi ribelli tra la seconda metà del II secolo a.C. e la prima metà del I secolo a.C., in un arco di tempo di circa 65 anni. La prima (136 a.C.-132 a.C.) e la seconda (104 a.C.-99 a.C.) vennero combattute in Sicilia; la terza (73 a.C.-71 a.C.) coinvolse diverse parti della penisola italica.

Ritenendo che Adranon (o Adrano) fosse stato il luogo corrispondente all'attuale bosco di Rifesi (a pochi chilometri da Burgio, nel territorio di Palazzo Adriano), Cesare Sermenghi credette che il bosco fosse stato il luogo di convegno degli schiavi durante la seconda guerra servile, combattuta tra il 104 a.C. ed il 99 a.C. in Sicilia.

Egli infatti affermò[20]:

«Celebre divenne a tal proposito, Refesium o Refesius (Rifesi, attuale zona boschiva nei pressi di Palazzo Adriano), ove convennero i reggimenti dei servi insorti nella seconda guerra servile contro i Romani»

ed inoltre precisò[21]:

«La zona sicana ove erano comprese Triocala (Caltabellotta), Scirtea, Kassar (Castronovo di Sicilia), Inico, Adrano (Rifesi di Palazzo Adriano) venne interessata dalla seconda guerra servile»

Tuttavia, qualche anno dopo la pubblicazione del Sermenghi, si raggiunse la certezza dell'identificazione di Adranon con il sito archeologico di Monte Adranone, presso Segesta. Ciononostante, in seguito ad alcuni ritrovamenti archeologici (cocci di ceramica, utensili e scheletri umani in fosse comuni) segnalati durante gli scavi per la costruzione della strada Bivona-Palazzo Adriano, il Sermenghi ipotizzò che questa zona sicana fosse da identificare con la zona del Pizzo San Matteo, a qualche chilometro dal centro abitato di Bivona, in direzione nord ovest. Il territorio bivonese, quindi, potrebbe essere stato campo di battaglia durante la strage degli schiavi siciliani in rivolta contro Roma. Ecco cosa scrisse nel 1981 Cesare Sermenghi[22]:

«[...] (tutte queste testimonianze) fanno ancora supporre come valida l'ipotesi sopra formulata e cioè che «Pizzo San Matteo» [...] sia stato il campo di una violenta battaglia ove poi i caduti, orrendamente mutilati dalla violenza sadica della truppa (romana), sono stati inumati qua e là in un carnaio comune, senza alcun rito, alla rinfusa, due-tre alla volta negli anfratti del monte.

Pare di sentirle le voci, le urla delle donne e di quanti si ritenevano affrancati da Roma dopo la vittoria effimera di una rivolta; i richiami disperati dei fanciulli in cerca di scampo, mentre in loro difesa un reggimento di schiavi ancora in ceppi [...] impugnava sulla montagna, in consonanza incoscia con gli elementi, la pietra, il ferro, il legno, per coprire la fuga dei deboli, dei feriti, finiti poi come agnelli nel medesimo scannatoio lungo la strada per «Castiddruzzu» (contrada di Bivona, nda). È l'epilogo della seconda guerra servile, la leggenda più buia che mai abbia scritto la disperazione»

Infine, si sa che nel 104 a.C., durante la seconda guerra servile, l’esercito romano guidato dal propretore Licinio Nerva, che si trovava nella zona centro-occidentale della Sicilia, oltrepassò un fiume denominato Alba: un omonimo fiume scorre attraverso Bivona, ma verosimilmente Diodoro Siculo, autore della Bibliotheca historica, si riferiva a qualche altro fiume che scorre ad ovest di Heraclea Minoa.

Siti archeologici modifica

  Aree archeologiche File:Bivona-Stemma.png
  Insediamenti preistorici Serra di Cuti
Pietre Cadute
Monte Castelluccio
Serra di Caraha
  Insediamenti greci Monte Mezzo Canale
Pietre Cadute
Monte Castelluccio
Contrada il Ponte
  Insediamenti romani Monte delle Rose
Monte Mezzo Canale
Monte il Casino
Monte Chirullo
Vallone Salito
Contrada Madonna dell'Olio
Maidda
Ferraria
Pietre Cadute
Contrada Millaga
Monte Castelluccio
Contrada il Ponte
Insediamenti medievali Pizzo San Matteo
Vallone Lordo
Contrada Margi
Maidda
Ferraria
Monte Castelluccio
Insediamenti di età incerta Contrada Madonna dell'Olio
Montata Baida
Contrada Millaga

Età medievale modifica

Βιβώνα: periodo bizantino? modifica

Darptein Taibah: periodo islamico? modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Darptein Taibah.

Note modifica

  1. ^ a b c d e f Marrone, 1987, 33.
  2. ^ Università Kore di Enna, su unikore.it. URL consultato il 27 agosto 2011.
  3. ^ Storia di Vibo Valentia (PDF), su sbvibonese.vv.it. URL consultato il 27 agosto 2011. (PDF)
  4. ^ a b c d e Marrone, 1987, 34.
  5. ^ Francesco Maurolico aveva tratto l'espressione da un libro di Pomponio Mela, geografo e scrittore latino del I secolo, in cui si afferma: «In Brutio sunt... Hippo nunc Vibon».
  6. ^ a b c d e Marrone, 1987, 35.
  7. ^ Sedita, 18-19.
  8. ^ Sermenghi, 15.
  9. ^ Sermenghi, 13.
  10. ^ a b Sermenghi, 39.
  11. ^ Sermenghi, 46.
  12. ^ a b Marrone, 1987, 43-44.
  13. ^ Sedita, 19-21.
  14. ^ Sermenghi, 38-48.
  15. ^ Sermenghi, 46.
  16. ^ Sermenghi, 39.
  17. ^ Marrone, 1987, 36.
  18. ^ a b Oliveri
  19. ^ Sermenghi, 19-23.
  20. ^ Sermenghi, 21. Frase ripresa da M. Airoldi, autore de La Sicilia abitata dai Romani.
  21. ^ Sermenghi, 21. Frase ripresa da E. Manni, autore di Sicilia Romana.
  22. ^ Sermenghi, 19.