Wikipedia:Vaglio/Estetica trascendentale

Voce completamente riscritta con l'ausilio di una discreta bibliografia, per lo più centrata sul tema specifico della voce. --pequodø 18:48, 14 feb 2024 (CET)[rispondi]

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Suggerimenti modifica

  • Voce d'argomento molto difficile, scritta ovviamente benissimo ma che a mio parere sconta già l'essere un approfondimento in una materia che per molti di noi è ostica. Del resto immagino che la diserzione del vaglio te l'aspettassi. Mi faccio vivo perché la filosofia è fondamentale, oggi particolarmente. Sono ancora più interessato perché purtroppo non me l'hanno insegnata bene a scuola.
Se posso azzardare un suggerimento, beninteso che posso dire un completo sproposito, io sarei per spiegarci già in sezione 0 a costo di estenderla. La voce non è abbastanza lunga da giustificarlo ma è abbastanza complessa da giustificarlo.
Mi spiego in concreto: al primo paragrafo ci arrivo, al terzo no. Da buona tabula rasa ricollego facilmente la sensibilità all'intuizione, ma non capisco l'intuizione. Allora la intuisco :-) e vado avanti. Mi incarto un po' nel momento in cui leggo di condizioni a priori dell'Anschauung e subito dopo di forme pure della Sinnlichkeit, non vedo la connessione ma mettendo le etichette in tedesco riesco a distinguere i termini e almeno proseguo. Però sull'essere lo spazio e il tempo forme dell'intuizione continuo a intuire :-) Poi entra in campo l'opposizione tra forme e concetti e vado in palla, e quando arrivano pure oggetti e relazioni sono k.o. (ma serve riferire le differenze con Newton e Leibniz qui? forse protagonista della sezione 0 dovrebbe essere solo Kant).
Ecco, io arrischierei un altro piano: tagliare alcuni dettagli (etimologia in nota, edizioni in biblio, suddivisione altrove) e qualche vezzo wikipediano (perché non «L'Estetica trascendentale è la prima parte della Critica della ragion pura di Kant»?), magari sfruttare qualche comodo sottinteso (es.: In questa parte dell'opera), eccetera, e dare più respiro al cuore della trattazione in modo che si possano cogliere linearmente i termini.
Mi rendo conto della difficoltà di un'operazione del genere visto che dovrebbe avvenire entro una sintesi, evitare di replicare il contenuto di altre voci, di estendere abnormemente questa o dilungarla (impossibile definire i termini volta per volta, si perderebbe un tempo enorme solo lì), eccetera.
Però la sfida è questa, e purtroppo qua è tutta tua :-) prendere un manovale, metterlo a leggere questa voce e invogliarlo a leggere la principale. Lo dico con un'iperbole, sia chiaro. Forse non deve arrivarci chi ha la seconda elementare ma chi ha un diploma di ragioniere sì. Per giunta, per farlo bisogna pensarla tutta prima di scriverla tutta, difficilmente l'operazione tollererà rimaneggiamenti :-)
Credo che a priori e a posteriori vadano in tondo --actor𝄡musicus 𝆓 espr. 09:32, 12 apr 2024 (CEST)[rispondi]
[@ Actormusicus] Cerco di seguire l'ordine del tuo commento.
  1. Voce ancillare. Sono partito ampliando la voce Critica della ragion pura, dando in quella sede innanzitutto informazioni di contesto (l'ambiente culturale, i riferimenti polemici, la storia della composizione e i suoi problemi ecc.). Dopodiché l'Estetica trascendentale è, dopo le varie prefazioni e introduzioni, la prima parte dell'opera. Ho quindi provveduto ad ampliare questa sottovoce, per poi proseguire con le sezioni successive (la Logica trascendentale e, inizialmente, una sottosezione di questa, l'Analitica trascendentale, per poi fermarmi in mezzo al guado, per sopravvenuti mal di testa).
  2. Incipit. Sono d'accordo, è opportuno semplificare il discorso in incipit. Il problema è che il processo del mio operato si è fermato a un certo punto. In un mondo ideale, avrei avuto anche il tempo di dare un'ulteriore passata e provvedere alla semplificazione opportunamente invocata. Che non poteva essere il primo passaggio, per una ragione tutto sommato simpatica: per scrivere la voce bisogna studiare e rimanere aderenti alle fonti. Solo dopo aver provveduto a fissare i paletti di ciò che è lecito dire, ci si può lanciare ad offrire sintesi e "semplificazioni". Scrivere una voce di wp su un argomento è forse il modo migliore di studiarlo: questa è la nota "simpatica". Scriverne per capirne, constatando al contempo (sconsolatamente) quanto la materia sia di fatto oscura anche per i critici più autorevoli. Si pone il problema di un approccio da enciclopedia in rapporto ad un approccio da saggio: l'enciclopedia dovrebbe poter dire "è così", arbitrariamente (perché ogni sintesi è intrinsecamente sbagliata), ma io non ho osato e ho finito per concentrarmi sulle problematizzazioni. Ci vuole però innanzitutto una approssimazione iniziale da problematizzare poi. Le supersintesi che ho trovato nelle fonti autorevoli sono imho oscure assai più del testo kantiano, che ho cercato di citare con generosità.
  3. Purtroppo la prima Critica è un testo veramente complesso, non perché l'insieme del discorso generale sia sfuggente (il senso di fondo del discorso di Kant è chiaro) o perché il dettato punto per punto sia cervellotico... è invece ostico quanto sta nel mezzo, cioè proprio l'opera, afflitta da problemi di composizione determinati dalla fretta di pubblicare, dopo un decennio abbondante di rinvii, e dalla ricerca di una forma di scrittura sistematica a scapito di una scrittura "brillante", che certamente avrebbe aiutato il lettore ma anche lo stesso Kant. In sintesi: se leggi un paragrafo dell'Estetica è lingua comune ed è abbordabile, ma il patchwork è enigmatico, tanto che per tenere saldo quel "senso di fondo" tutto sommato chiaro a tutti talvolta è meglio non far troppo caso all'opera. Quanto scritto in Analitica trascendentale#Difficoltà interpretative può dare un'idea del problema dell'intera prima Critica.
  4. al terzo paragrafo: anche qui, hai ragione. Bisogna semplificare il discorso e forse la formula magica è allungare il brodo con qualche passaggio in più. Un percorso più graduale. Probabilmente per scrivere queste voci ci vuole una conoscenza e un dominio della materia assai maggiori dei miei, consistenti anche nella capacità di riferirsi con scioltezza alla storia della filosofia precedente. A questo proposito, i riferimenti a Leibniz e Newton sono essenziali, perché sono i riferimenti polemici fondamentali di Kant. Con un incipit più piano, questi riferimenti valorizzerebbero il testo invece di renderlo più oscuro.
  5. Ripensarla tutta: fortunatamente no. Mi spiego. Funzionerebbe già tutto meglio con due operazioni: a) arricchire l'incipit e renderlo a prova di ragioniere, come suggerisci; b) inserire un paragrafo anche immediatamente dopo l'incipit che funga da grande pentolone di chiarimento generale (il mio timido tentativo è stato di farlo attraverso una illustrazione della terminologia, ma certamente è una strategia con molti limiti). Il resto della voce segue il testo originale, quindi può rimanere com'è, per linee generali, però opportunamente introdotto dai contenuti precedenti (incipit e spiegone).
  6. Sul tondo non so, mi pare che in genere vanno in corsivo, al di là del fatto che i due termini si siano ormai decisamente ambientati nel contesto dell'italiano. Vedi ad esempio la corrispondente voce del Dizionario di filosofia Treccani, che per inciso potrebbe essere la fonte giusta per fare le due operazioni a) e b) di cui sopra. Mi sa che non l'avevo neppure vista nello scrivere la voce...
--pequodø 15:56, 13 apr 2024 (CEST)[rispondi]
Mille grazie! Concordo pienamente con il punto 2, il nostro è un processo di apprendimento e divulgazione dove la seconda segue necessariamente il primo, pur con tutti gli aggiustamenti che esso comporta in corso d'opera. Dissento di conseguenza dal punto 4 nella parte in cui assume che serva una maggior conoscenza e dominio della materia: ottima invece, a smentita!, :-) l'idea di appoggiarsi al dizionario di filosofia che anche se fonte terziaria per noi è un mezzo d'apprendimento fondamentale. Per me lo è stato in molte voci assai meno difficili. Piena fiducia e spero d'essere stato d'aiuto nella mia piccola ignoranza (cit.).
Dicevo del tondo perché il corsivo me l'hanno corretto in una voce: io non ero tanto d'accordo - perché il tondo in questo caso non rende chiaro che non è italiano e rischia di alterare la pronuncia corretta - ma da un po' di tempo preferisco regolarmi solo con l'esistenza di attestazioni. Fermo restando che anche nella scelta tra corsivo e tondo secondo me abbiamo linee guida lacunose, incapaci di adattarsi ai casi particolari e che anzi rischiano di costringerli in una scelta rigida e poco curata --actor𝄡musicus 𝆓 espr. 20:07, 13 apr 2024 (CEST)[rispondi]
Purtroppo, esaminando il Dizionario Treccani non ho visto granché di utile, anzi mi ha scoraggiato l'associazione della parola trascendentale all'espressione a priori, quest'ultima certamente pertinente, ma l'associazione non coglie il fatto che trascendentale rinvia innanzitutto a ciò che è condizione della conoscenza. È infatti trascendentale, nelle parole di Kant, "[...] ogni conoscenza che si occupa non di oggetti, ma del nostro modo di conoscenza degli oggetti, in quanto questa deve essere possibile a priori". A priori significa 'indipendente da ogni esperienza sensibile', ma non si può certo dire che ogni conoscenza a priori sia di per sé trascendentale. Il Dizionario invece sostiene che "Tale indagine [l'Estetica] è detta poi «trascendentale» perché volta a isolare tutto ciò che la sensibilità contiene a priori". Mah, non mi sembra che colga il punto e poi tutto il resto, che è alquanto breve, non aiuta molto a "sciogliere" ciò che ho già (più o meno oscuramente) scritto in voce. Anzi, il riferimento allo schematismo non può che lasciare perplesso il paradigmatico ragioniere in cerca di chiarimenti... --pequodø 20:58, 13 apr 2024 (CEST)[rispondi]
[@ pequod76] fammi capire bene e perdona in partenza la consueta ignoranza:
  • spazio e tempo sono le forme dell'intuizione: che rapporto con le condizioni dell'intuizione menzionate subito prima? stessa cosa?
  • interna ed esterna: ci ho sbattuto il muso con Hegel, ma che cosa intende Kant?
  • che cosa intende invece Leibniz trattando spazio e tempo come concetti?
Mi rendo conto che potrebbero essere domande da dieci milioni, ma non sono domande che richiedono risposta qui, volevo evidenziare in concreto la mia personale difficoltà di seguire il discorso, non potendo semplificarlo io. Non so se posso essere utile in una prova del cretino :-) visto che non posso esserlo modificando la voce, cosa che già a un esperto richiede la massima lucidità --actor𝄡musicus 𝆓 espr. 17:31, 25 apr 2024 (CEST)[rispondi]
[@ Actormusicus] La "prova del cretino" è un'ottima cosa e io stesso mi sono offerto in altri casi nella nobile veste. :D
Provo a rispondere andando a braccio, con un po' di supporto dalla voce:
  • Forma e condizione. Sì, quando Kant dice che lo spazio è la forma del senso esterno intende dire che esso è una sorta di intuizione fondamentale, senza la quale non ha senso parlare di intuizioni specifiche. Parlare di "forma" è un espediente per cercare di rendere un punto per lui centrale: egli ritiene lo spazio una intuizione, non un concetto, ricordando che per intuizione dobbiamo intendere una sorta di sinonimo di "oggetto della percezione" (o, meglio, in termini più kantiani, di "rappresentazione delle apparenze", apparenze che noi NON possiamo NON organizzare spazialmente). Per Kant noi intuiamo con i cinque sensi (la parola "intuizione" non va quindi intesa nel senso comune di "sesto senso", per così dire). Lo spazio è dunque un'intuizione, non però nel senso che agli umani capiti di tanto in tanto di percepire lo spazio in quanto tale (esso è, infatti, come recita la voce "omogeneo, ubiquo, singolare e illimitato"). Piuttosto, esso è la forma (condizione) di tutte le percezioni parziali di singoli spazi, che sono tali solo per limitazione dello spazio "generale". Quando intuiamo uno spazio particolare (per esempio quello occupato dal nostro gatto), lo facciamo in virtù dello spazio ubiquo e singolare. Poiché questo è condizione per le intuizioni particolari, Kant parla di "forma". Lo spazio come intuizione generale degli oggetti esterni è insopprimibile e per questo va filosoficamente ritratto come "forma".
  • Lo spazio è un'intuizione. Cito dalla voce: Lo spazio come intuizione pura si ritrova nell'animo per astrazione, una volta che si sottraggano alla rappresentazione i pensieri dell'intelletto (concernenti "sostanza, forza, divisibilità, ecc.") e quanto è percepito come intuizione sensibile ("impenetrabilità, durezza, colore, ecc."). Ciò che rimane è "estensione e figura". Una volta cioè che per astrazione il filosofo abbia rimosso dall'intuizione tutto ciò che è sensibile non resta che estensione e figura. Sembra impossibile non intendere la definizione kantiana di spazio come "concetto". E in effetti per lui tutti gli specifici concetti di spazio (quelli verbalizzabili, quindi - mi azzardo a dire - anche il suo) sono comunque derivati da un'intuizione che solo il singolo soggetto in proprio può "sentire" alla maniera che Kant intende. Si potrebbe dire che la sua è una sorta di evocazione poetica (perché qualunque discorso è già attività intellettuale e l'intelletto opera tramite concetti). E qui l'intuitività dello spazio ha più a che fare con "l'intuizione" come sesto senso, se vogliamo. Cito ancora dalla voce: Come osserva Shabel, "Il ragionamento muove dalla singolarità dello spazio rappresentato alla intuitività della sua rappresentazione". Così, mentre il mio concetto di gatto si sostanzia di diversi gatti, l'intuizione di un singolo gatto o l'intuizione pura dello spazio è singola. La singolarità dello spazio (repraesentatio singularis) fa sì che esso possa rappresentarsi solo come intuizione. D'altra parte, Kant non esclude che dello spazio, originariamente un'intuizione, la mente possa maturare anche concetti, cioè rappresentazioni generali dello spazio, che però derivano dalla sua intuizione particolare (in tal senso egli dice che l'intuizione dello spazio "sta a fondamento di tutti i concetti di esso").
  • Senso esterno e senso interno. Con il senso esterno, secondo Kant, l'uomo intuisce le cose al suo esterno. Scrive Kant: spazi differenti non sono successivi, bensì simultanei. Al nostro esterno tutto ciò che riusciamo a concepire come differente è in rapporto di simultaneità (immagina due piastrelle distinte in un pavimento). Per quanto invece riguarda le rappresentazioni che possiamo farci del nostro stesso io (per mezzo del senso interno), esse sono ordinate solo cronologicamente: ad uno stato di felicità (che va inteso come 'mi rappresento a me stesso come felice') segue uno stato di tristezza. Scrive ancora Kant (reciprocamente): [il tempo] ha una sola dimensione: tempi differenti non sono simultanei, ma successivi. Così come lo spazio è la forma insopprimibile delle intuizioni di ciò che sta al nostro esterno, altrettanto il tempo è la forma insopprimibile delle intuizioni di ciò che sta al nostro interno. Il concetto di mutamento e quello di movimento esistono in virtù del senso interno; Actor triste e Actor felice non sono due determinazioni contraddittorie dello stesso soggetto, perché sono poste nella linea del tempo. Altrettanto, che un oggetto sia qui e lì non è contraddittorio se pensiamo al movimento nel tempo.
  • Leibniz (e Newton). Qui devo semplificare perché sono un po' cotto. Per Leibniz lo spazio è un concetto desunto dalle relazioni spaziali. Anzi, lo spazio è esso stesso una relazione tra oggetti in sé non spaziali (le monadi). Semplificando, spazio e tempo esistono perché esistono gli oggetti in relazione reciproca. Per Newton, invece, lo spazio è una sostanza, indipendente dall'esistenza degli oggetti. Per Kant, invece, Noi non conosciamo null'altro se non il nostro modo di percepire gli oggetti. In altre parole, noi non sappiamo alcunché delle cose in sé stesse. La nostra conoscenza ha senso solo entro i confini delle nostre intuizioni sensibili, concettualizzate attraverso l'attività intellettuale. Possiamo al più per astrazione concepire il noumeno come la cosa in sé di un qualunque oggetto delle nostre intuizioni. Gli oggetti hanno invece senso per noi solo come fenomeni: di essi ci facciamo null'altro che rappresentazioni (e ciò vale anche per lo stesso io). L'idealismo trascendentale di Kant consiste proprio in questo: le caratterizzazioni di spazio e tempo ci interessano solo in quanto ci parlano del modo in cui conosciamo (ci rappresentiamo) le cose. Spazio e tempo dunque non sono né contenitori virtualmente vuoti e indipendenti dagli oggetti (Newton) né determinazioni relazionali tra oggetti (Leibniz). Banalizzando: spazio e tempo esistono solo in quanto esiste l'osservatore e possiamo intenderli come principi organizzativi della conoscenza di rappresentazioni (cioè apparenze). Va comunque detto che la polemica kantiana verso Leibniz e Newton ci dice più di lui che di loro. Io non sono abbastanza esperto di questi due geni assoluti, per cui quest'ultimo punto prendilo con le molle. Peraltro, il tentativo di dimostrare che lo spazio non è un concetto (qui) è abbastanza complessa e devo rinviarti alla voce stessa (terza e quarta argomentazione).
--pequodø 19:33, 25 apr 2024 (CEST)[rispondi]