Discussione:Questione meridionale/archivio3

Ultimo commento: 15 anni fa di Doctor Dodge

Nota: La cronologia di queste discussioni si trova nella pagina Discussione:Questione meridionale--DD (msg) 18:20, 2 mag 2009 (CEST)Rispondi


Inferiorità genetica nelle popolazioni del sud Italia? modifica

Ma è da pazzi! Credo che questa pagina venga controllata da qualcuno, visto che io non ne ho il tempo per ovvi motivi (scuola ecc..), e nel caso venga nuovamente vandalizzata chiedo la sua protezione dalle modifiche. --Dave Black · [TALK] 15:11, 9 gen 2007 (CET)Rispondi

Per Dave Black modifica

Dave Black ha cancellato: "Oggigiorno tesi come l’inferiorità genetica delle popolazioni del sud Italia, una volta abbastanza consensuali, non sono più accettate accademicamente.", e poi ha scritto: "Inferiorità genetica nelle popolazioni del sud Italia? Ma è da pazzi!" SENZA PAROLE

io non ho cancellato un bel niente e poi firmati... in ogni caso ho solo espresso un'opinione, forse troppo affrettate a qualcosa che ritenevo fortemente ingiusta. Chiarito l'equivoco, pace. XD --Dave Black · [TALK] 07:17, 11 gen 2007 (CET)Rispondi

La questione meridionale modifica

Tra i problemi che hanno impedito lo sviluppo del Mezzogiorno bisognerebbe sottolineare l'incompetenza e la corruzione che vi era tra i politici della neonata Italia. Infatti, al momento dell'unità d'Italia, è vero che c'era già un divario importante tra nord e sud Italia, tuttavia, se consideriamo che, la differanza di sviluppo economico-industriale tra nord Italia ed il resto dell'Europa( vedi Francia, Inghilterra, etc. ) era molto ma molto più ampio rispetto all divario che c'era tra il nord Italia e il sud Italia, allora, si intuisce che qualcuno (tra questi sono inclusi anche i nostri eroi del risorgimento) non ha fatto il suo dovere... come rappresentante dell'interesse dell'Italia unita. Altrimenti, non si spiegherebbe come il nord Italia nel giro di qualche decennio sia riuscito a colmare il divario cn il resto dell'Europa (occidentale) e il sud non sia riuscito a ridurre un distacco che era molto meno marcato rispetto a quello, appunto, tra nord Italia e il resto dell'europa occidentale.

PS se avrò tempo scrivero io stesso un articolo ( documentato con numeri affidabili) su questo aspetto del problema.

Il dibattito storiografico modifica

Attualmente è in corso un ampio dibattito, peraltro basato su elementi largamente conosciuti, ma in passato considerati marginali o del tutto trascurati.

In larga misura ciò era dovuto a una lettura che privilegiava la valorizzazione della Monarchia sabauda, criterio protrattosi alquanto oltre la nascita della Repubblica. Infatti, conservo un vivido ricordo del Risorgimento come appreso alle Elementari (1948-52) con tutte le parti in commedia ben definite, con i "buoni" da un lato e i "cattivi" dall'altro.

Una rilettura approfondita incontra ancor oggi notevoli ostacoli e le polemiche furiose scoppiate su alcune voci chiave anche in questa sede dimostrano che sussiste un forte coinvolgimento che rende quantomeno difficoltosi i tentativi di mantenere il confronto sui binari di un corretto confronto.

Le volute "sante menzogne" iniziali, le politiche successive, gli avvenimenti esterni contribuiscono a rendere la c.d. questione meridionale una sorta di inestricabile nodo gordiano. Non c'è quindi ragione di complicare ulteriormente le cose trasformando questa pagina in una serie di accuse e controaccuse che non portano a niente.

Quanto vado a esporre di seguito è solo un tentativo di mettere in ordine cose note e meno note, comunque inoppugnabili. Non può essere altro,solo un tentativo.

Vorrei intanto osservare che, per esempio,nel paragrafo precedente si pone in luce un aspetto interessante anche se è da ridimensionare, come si potrà vedere più avanti, il divario Nord-Sud all'unità. E cioè, che rispetto a Paesi come Gran Bretagna e Francia c'era un divario ben più ampio di quello esistente (forse, dico io) fra le due aree italiane. Eppure questo divario è stato colmato (anzi, la Lombardia è fra le aree di punta europee). Nulla toglie, sia chiaro, alla giustezza della considerazione il fatto che, in realtà, il divario interno era decisamente minimo, anzi, aggiunge molto.

Ma partiamo da quella che fu l'analisi più valida, condotta a circa 50 anni dall'unità. Già F.S.Nitti, pose in evidenza dati incontestabili :

  • La forte capitalizzazione determinata nel quarantennio 1820-60 dalla politica economico- finanziaria dei Borbone, in particolare da Ferdinando II;
  • All’Unità il Mezzogiorno portò minori debiti e la maggior ricchezza pubblica come i seguenti dati evidenziano:
    • Debito pubblico derivato dai vari Stati:
      • Sardegna..................................... 61.615.255,05........... (per abitante: 13,93)
      • Lombardia..................................... 7.531.185,53........... ( 2,68)
      • Modena........................................... 794.534,42........... ( 1,32)
      • Parma............................................. 616.453,95........... ( 1,21)
      • Romagne, Umbria............................. 121.500,00........... ( 0,08)
      • Toscana ........................................8.093.284,00........... ( 4,43)
      • Totale CentroNord.......................78.772.212,95 (*)
      • Napoli.......................................... 26.003.633,50................ ( Due Sicilie x ab. 3,58)
      • Sicilia ........................................... 6.800.000,00
      • Totale Sud................................. 32.803.633,50


(*) con l’acquisizione di Veneto e residuo Stato Pontificio il dato aumenterà di 22 mln. Di conseguenza, lo Stato più popoloso (oltre il 42%), graverà con ¼ scarso (24,6%) sul Debito Pubblico dell’Italia unita al 1870.

  • In termini di moneta metallica circolante al 1861, su complessive Lit. 668.926.490,14 l’apporto delle Due Sicilie fu pari a 443.281.655,23 (il 65,7% del totale). E' ovvio che considerazioni su cartamoneta e moneta elettronica non possono essere avanzate, restiamo nel contesto dell'epoca.
  • I beni demaniali e della manomorta ecclesiastica superavano largamente quelli degli altri Stati preunitari messi insieme. Questo è un dato neutro, non implica, necessariamente, conseguenze negative o positive di per sè.

Secondo la lettura nittiana dei dati suddetti (dati ufficiali, dell’Amministrazione Finanziaria) il Mezzogiorno era un paese povero ma, avendo accumulato molti risparmi e avendo grandi beni collettivi, “possedeva, tranne l’educazione pubblica, tutti gli elementi per la trasformazione”

Apprezzabile davvero il colpo d’ala di Nitti che – grazie a un piccolo inciso – può elegantemente dribblare lo scoglio, all’epoca spinosissimo e tabù, del “ma allora, come mai, avendo avuto la fortuna di un Governo moderno, democratico e liberale che si è sostituito al precedente assolutista e arcaico, il Sud non è decollato ?”.

E’ un dato di fatto che l’alienazione dei beni demaniali e della manomorta comportò 2 rilevanti conseguenze:

  • Drenaggio di risorse finanziarie dal sud al nord
  • Rovina dei contadini poveri meridionali.

Per quanto concerne il primo punto, quei beni furono acquistati in prevalenza quasi assoluta dai borghesi del Sud che, data la rapida crisi delle iniziative industriali meridionali , impiegarono le proprie risorse nell’acquisto dei terreni . Chiaro che, se questo si fosse verificato in uno Stato autonomo del Sud , le risorse così acquisite dalla mano pubblica avrebbero trovato impiego in quei territori.

Ma, affluendo per contro a uno Stato più vasto, trovarono sbocchi diversi. Pertanto, la rovina dei contadini poveri non trovò alcuna compensazione in uno sviluppo industriale commerciale del Paese.

Va precisato che la rovina del contadino povero nasce dalla scomparsa di quelle terre demaniali e della manomorta che venivano date in coltivazione a condizioni mitissime,condizioni ovviamente negate dai nuovi proprietari, ben decisi, come ovvio, a far fruttare il proprio investimento.

Se a questo si aggiunge l'effetto delle draconiane misure antibrigantaggio che, date alcune peculiarità dell'agricoltura meridionale, resero di fatto impossibile lo svolgimento delle normali attività colturali per diversi anni, ci sarebbe da meravigliarsi se non ci fosse stata rovina totale di interi territori.

Ieri, come oggi, il tutto fu demonizzato come "latifondo" ma la realtà era ben più complessa: il latifondo infatti era rappresentato da terreni che non si prestavano ad altro che a culture estensive e/o pascolo. Il fatto che un terreno fosse della Manomorta o del Demanio non comportava che fosse un latifondo, non si deve confondere la titolarità della proprietà con la qualità del terreno.

A questo drenaggio di risorse si aggiungono le conseguenze della politica perseguita nei primi 35 anni del nuovo Stato: Innnanzitutto, le spese militari nei primi 40 anni di vita del nuovo Regno assorbirono risorse dal 30 al 40% delle entrate. Una percentuale analoga era al servizio del debito. In pratica, un 70-80%, secondo le annate, era rigidamente vincolato a spese militari e interessi sul debito.

Dato che le commesse militari furono concentrate esclusivamente al Nord (nonostante nel settore navale il Sud potesse vantare un’ indiscussa supremazia, come del resto nella produzione di macchine a vapore e materiale ferroviario) e all’Estero, sotto tale riguardo al Sud non venne alcun beneficio.

Anzi, fu la definitiva rovina di strutture come Pietrarsa che pure era servita di modello per l'Ansaldo (che all'Unità era a malapena la metà) e per l'arsenale zarista di Kronstadt o la fine della siderurgia calabrese della Mongiana.

Certo, indiscutibilmente, costava molto meno acquistare all'Estero ma, di solito, dovendo sviluppare un'industria la si protegge con una politica di alti dazi (cosa che poi fu fatta nel 1887 quando si trattò di favorire la nascente - allora - industrializzazione del Triangolo al Nord). Ma la spiegazione di questa politica è molto più banale e, tutto sommato, alquanto miope: si ritenne, infatti, opportuno, porre in zone e affidare a persone sicuramente fidate imprese di rilevanza strategica per il Paese.

Per giunta, nella ripartizione delle risorse residue, al netto delle spese militari cioè, il 42% del Paese beneficiò di un 5% abbondante per istruzione, giustizia, sicurezza e lavori pubblici, mentre, agli stessi titoli, il 58% del Paese (il Centronord) potette "godere" del 15%. Certamente, anche al Centronord non si scialò ma, nella miseria ebbe in dato assoluto il triplo del sud e, in rapporto alla popolazione comunque il doppio.

Questi dati furono pubblicati da Giustino Fortunato nel 1904, epoca certamente non sospetta, e sono quelli ufficiali dell'Amministrazione Finanziaria del Regno. Ancor oggi disponibili per chiunque voglia accostarsi a questi studi.

Come, del resto, sono disponibili i dati del censimento effettuato nel 1861, dati di estremo interesse, anche perchè di fonte insospettabile. Si tratta, infatti, di una sorta di "inventario" del bottino del meraviglioso biennio 1859-61:

L'attività manifatturiera (comprendente artigianato, protoindustria e industria) è espressa in numero di addetti. Quanto alla composizione, nel Sud l'incidenza dell'artigianato e protoindustria è inferiore rispetto al nord, mentre le uniche grandi unità di produzione industriale erano ubicate al Sud. (Cfr. Aldo Servidio, L'imbroglio nazionale, Guida Ed. 2002)

Nelle manifatturiere erano occupati in totale 3.072.245 addetti di cui 1.350.904 nel Sud continentale, pari al 43,97% degli addetti. Poichè la popolazione meridionale rappresentava il 42% del globale è evidente che il maggior tasso di occupazione nel settore era al Sud. (Servidio, op.cit.)

In dettaglio, la Lombardia nel 1861 aveva il 60% delle manifatture del nord e occupava 459.044 addetti. La Campania, a Sud, occupava 410.159 persone e rappresentava il 30% delle manifatture del Sud. Il che, incidentalmente, smentisce la teoria di una metropoli, Napoli, gigantesca rispetto a uno Stato a suo servizio e consumo. (Servidio op.cit.)

Del resto, i trattati di commercio stipulati fra le Due Sicilie e i principali Stati europei e d'oltreoceano (USA in primis), una flotta militare che la poneva fra le prime potenze di II rango in Europa (la cui esistenza sarebbe stata un insostenibile lusso senza traffici marittimi e flotta mercantile da proteggere) con il relativo indotto, realizzazioni come il ponte sospeso sul Garigliano che è indice di capacità progettuali di prim'ordine (si trattò del primo esempio del genere in Europa continentale, essendo britannico il primato e britanniche le ironie sul rapido crollo del manufatto, fatto saltare in aria dai tedeschi nel 1943...), senza dilungarsi, sono tutti indizi di una situazione di un non disprezzabile incamminarsi sulla via della modernità.

E' curioso, ma il processo di conoscenza odierno deve rifarsi a tecniche che rammentano più un'indagine poliziesca che uno studio storico ed economico, un pò come stabilire che "il defunto era un contadino" basandosi sulle callosità delle mani...e a questo riguardo, offro alla riflessione una curiosità: è ben nota la Casa Rothschild, nell'Ottocento di sicuro la principale impresa bancaria in Europa, bene, da Francoforte, origine delle fortune della famiglia, furono via via aperte succursali sulle piazze principali del continente, Parigi, Vienna, Londra e... Napoli. Ora, se c'è una cosa che possiamo escludere, è che i Rothschild mancassero di discernimento....

Capisco che a taluni risulti ostico accettare che sia stato e sia possibile nascondere le verità, specialmente la storia del passato, ma questo è accaduto e con tale successo che, perfino i napoletani (miei compaesani) hanno azzerato completamente la memoria storica.

Un caso recentissimo: si è tenuta a Napoli, in Palazzo reale una mostra di carte geografiche, topografiche, matrici originali, materiale appartenuto al Real Officio Topografico napoletano, Istituzione che aveva raggiunto un elevato prestigio in Europa per la qualità e bellezza della produzione cartografica. Solo a Milano era presente un'Istituzione di livello comparabile, in Italia.

La mostra ha avuto distratto rilievo sul Mattino sotto il titolo "Tornano dopo 250 anni le Carte e le matrici dell'Atlante....". Nel corpo dell'articolo era possibile apprendere che Firenze le aveva concesse temporaneamente dopo il restauro effettuato a Genova.

Peccato non si rilevasse che l'Istituto Geografico Militare di Firenze nasce essenzialmente con il materiale del già detto Real Officio Topografico. Saranno pure "lai" meridionali, ma la pervicacia con cui si evidenziano solo i lati negativi e la distrazione per quanto di buono e positivo è stato e vien fatto, è abbastanza scoraggiante.

Tecnicamente,l'annessione fu – senza che questo implichi valutazioni etiche – un’operazione coloniale: del resto, eravamo in piena epoca di acquisizione di colonie in diverse aree del globo.

Il Regno di Sardegna, ove avesse avuto le forze militari adeguate, avrebbe sicuramente indirizzato i propri sforzi verso l’Africa (cosa che farà non appena le annessioni ne avranno rafforzato l’autostima) ma, in quel tempo e nelle condizioni specifiche, l’unico sbocco praticabile risultava il Mezzogiorno d’Italia.

Un'interessante parallelo è possibile raffrontando quel che veniva scritto sulle ricchezze del Sud negli anni antecedenti l'annessione e quanto si andò scrivendo negli anni che precedettero la conquista della Libia. Le analogie sono impressionanti.

Vorrei precisare che utilizzando l'espressione "operazione coloniale" voglio evidenziare un aspetto che non viene sufficientemente considerato: dal 1861 ad oggi, l'economia meridionale - nel bene e nel male - è eterodiretta e questo sia a livello generale che particolare, esattamente come avveniva nei territori coloniali. In sè e per sè, la cosa potrebbe anche essere positiva, salvo il non trascurabile inconveniente della deresponsabilizzazione e mortificazione dello spirito imprenditoriale.

Per dirla più semplicemente, data da allora la situazione meridionale di vagone a rimorchio (vagone, peraltro, ricco di braccia a buon mercato per le avventure militari dell'ambiziosissima dinastia insediatasi al vertice del nuovo Stato e, più tardi, per l'industrializzazione).

In proposito, è rimarchevole il parallelismo esistente fra l'aspetto militare dell'unificazione e quello, in senso ampio, amministrativo: come le truppe sarde, varcato il Tronto, adottarono immediate misure draconiane verso qualsiasi forma di resistenza (pur in presenza di uno Stato ancora giuridicamente esistente....) così, da un giorno all'altro la macchina amministrativo-burocratica fu fermata da interventi esterni.

Un esempio eclatante: nel 1860 era in fase di avvio la realizzazione della linea ferroviaria per Brindisi e Pescara, nonchè la Reggio Calabria-Roma, opere decise da Ferdinando II. Erano state realizzate già alcune infrastrutture (ponti, viadotti), i lavori erano stati assegnati alla Società Talabot (francese)con regolare bando internazionale e, aspetto più importante, esisteva la disponibilità effettiva dei fondi a copertura delle prime tranche dei lavori, secondo il costume borbonico, magari un pò gretto, di spendere quel che si aveva.

Al suo arrivo, Garibaldi troverà il tempo di occuparsi della questione: l'incarico verrà affidato al banchiere toscano Augusto Adami (finanziatore dell'impresa dei Mille) e al di lui cognato, parimenti banchiere, Adriano Lemmi. Giova ricordare che quest'ultimo beneficiò della commendatizia di Giuseppe Mazzini in questi termini: "dove altri farebbe suo pro d'ogni frutto d'impresa, egli mira a fondare la Cassa del partito e non la sua" (in termini meno aulici suonerebbe: "non intasca i proventi per sè ma per il partito", criterio che in seguito conoscerà fasti notevolissimi).

Si tratterà, comunque, solo di una pia intenzione, non se ne farà più niente perchè nel frattempo i fondi sono polverizzati dalla disinvolta gestione garibaldina (in un'ottica generale, fra Sicilia e Napoli verranno bruciati mezzi finanziari di poco inferiori a quello che sarà il deficit di bilancio dello Stato novello).

In ogni caso, l'episodio ha un valore simbolico notevole testimoniando un passaggio di poteri che supera anche quegli obblighi di natura contrattuale e quei principi di tutela delle proprietà che per il Governo Sardo, ispirato al più completo liberismo,avrebbero dovuto essere intoccabili.

Si può obiettare che si trattò di iniziativa di Garibaldi nelle autoattribuzioni dittatoriali ma, senza entrar nel merito delle effettive parti in commedia, nulla fece la successiva autorità per ripristinare il buon diritto.

Anzi, i successivi sviluppi consentono di attribuire alla questione la palma di primo grande scandalo nazionale.

Un ulteriore, non trascurabile aspetto che connota la questione meridionale è il problema della malavita per le evidenti collusioni con il potere politico che rendono arduo estirparla definitivamente come nei voti di tutte le persone normali e perbene.

Sia ben chiaro, non si scaricano colpe e non si sottovaluta il problema ma vorrei che si riflettesse su questo: in Sicilia e a Napoli, mafiosi e camorristi scoprirono, con loro sommo giubilo, le "magnifiche sorti e progressive" di una malavita non più tenuta ai margini ma addirittura chiamata a compiti patriottici (Sicilia) e di pubblica sicurezza (Napoli e contorni).

Non posso fare a meno di chiedermi quale sia stato l'effetto deprimente su tanti impiegati e fedeli servitori dello Stato (borbonico), ritrovatisi sul lastrico dalla sera alla mattina per quella sola colpa, nel vedere in ruoli di responsabilità gente ospite delle patrie galere sino al giorno prima. E, aspetto peggiore, una totale caduta di fiducia nelle Istituzioni.

O, ancor peggio, cosa avranno pensato dello Stato i familiari dei contadini abruzzesi fucilati come ribelli per aver osato contrastare la marcia delle Truppe del Re di Sardegna, o i tanti qualificati "briganti" unicamente perchè trovati in possesso di viveri per più giorni (criterio più che bastevole a una fucilazione sul posto del malcapitato)?

Avranno concorso, episodi del genere, al formarsi di un forte sentimento antistatale, non, attenzione antiunitario, il meridionale non è, geneticamente, antiunitario, abituato com'è a un Stato da 8 secoli...? Specie in aree interne, dove è forte il senso della comunità e la diffidenza verso chi arriva da fuori è, di norma, sana precauzione.

E, per piacere, un secolo e mezzo scarso, nella storia di un popolo, rappresenta un attimo. Davvero. --Emmeauerre 19:49, 15 feb 2007 (CET)Rispondi

Il dibattito storiografico modifica

Tornato dopo un po' di tempo su Wiki per una visita - temo - breve. Allora. Emmeauerre ha il merito di aver introdotto qualche cifra (che suppongo corretta) in questa pagina di discussione, che rischiava di ridursi a un muro contro muro. Mi permetto di inserire qualche considerazione sulle conclusioni che ne deriva.

  • Parlare di debito pubblico in termini assoluti non ha molto senso (se gli Stati Uniti hanno il debito pubblico più alto al mondo, non vuol dire che la situazione della finanza pubblica statunitense sia la peggiore al mondo). Per questo viene rapportato ad altri fattori, come il prodotto interno lordo o - come nei dati riportati sopra - la popolazione. Quello del debito per abitante è un indice di forte impatto (urca, devo pagare la mia quota di debito pubblico, ammontante ad X Euro, se non lo faccio arriva l'ufficiale giudiziario a pignorarmi i mobili), ma non considera la ricchezza prodotta dal paese e il reddito pro capite (che è anch'esso un ricavato statistico). In altre parole, per dimostrare quello che si vuole dimostrare, sarebbe stato meglio inserire anche dati relativi al prodotto interno lordo delle regioni. Necessario menzionare un fatto: le cifre sul debito per abitante che leggo non sostengono molto la tesi avanzata. A parte il dato riferito al Regno di Sardegna, che notoriamente si era indebitato molto (ottenendo in cambio notevoli progressi), tutti quelli delle regioni centrosettentrionali (a parte - di poco - quello della Toscana) sono inferiori al 3,58 del Regno delle Due Sicilie. In termini assoluti, qualsiasi senso abbia, il debito siciliano era di poco inferiore a quello della Lombardia.
  • Si dice poi: al sud (42% della popolazione) veniva impiegato il 44 % della manodopera industriale. A parte che un 2% scarso non mi sembra legittimare conclusioni definitive, è chiaro che in queste cifre sono inclusi anche artigiani come fabbri, bottai ecc. Bisognerebbe vedere quanti di questi lavoratori erano impegnati in attività che oggi si definirebbero "industriali". Se, come affermano le fonti citate, l'incidenza della manodopera propriamente industriale era superiore al sud (ma non è vero che le uniche grandi unità di produzione industriale erano ubicate al Sud: anche al nord esistevano grandi complessi), le stesse fonti si dimenticano di ricordare che molte attività manifatturiere meridionali si reggevano su un dazio particolarmente elevato e si trovarono fuori mercato dopo l'unificazione, in quanto i concorrenti di altre regioni producevano a prezzi più convenienti. Il celeberrimo impianto di Pietrarsa era - a quanto mi risulta - una fabbrica di proprietà statale. Non saprei in base a quali parametri l'Ansaldo sarebbe stata "la sua metà".

Mi fermo qui, anche se i rilievi da fare non mancherebbero... --Duroy 13:17, 18 feb 2007 (CET)Rispondi


Al tempo dell'unità, il liberismo vigeva soltanto nello Stato sardo e in Toscana. Le industrie sabaude, a partire dall'Ansando, vennero sovvenzionate sottobanco dal sistema bancario, infatti il liberale e liberista Francesco Ferrara, il maggiore economista italiano del tempo, definì questa pratica come "protezionismo dall'interno". Alla faccia del liberismo! È vero che il principio su cui era basata l’economia borbonica era quello di uno sviluppo guidato e sostenuto dallo Stato che salvaguardasse gli interessi dei ceti popolari e l’autosufficienza del Mezzogiorno in tutti i settori, ma è altrettanto vero che ci si deve pur chiedere dove finissero i prodotti delle fabbriche meridionali che erano ai vertici delle industrie italiane e che avevano una produzione di manufatti chiaramente superiore alla capacità di assorbimento del mercato interno, come pure a cosa servisse la poderosa flotta mercantile del Sud, che era la quarta del mondo come tonnellaggio. I dazi facevano parte di una politica economica statale che permetteva di vendere i generi di prima necessità ad un prezzo bassissimo, oggi si direbbe “politico”, soddisfacendo in questo modo le esigenze alimentari della popolazione; questo, però, non soddisfaceva gli interessi dei proprietari terrieri che divennero, anche per questi motivi, i più acerrimi nemici della Monarchia meridionale e interessati fautori dell’unità d’Italia. L'Ansaldo aveva 480 operai contro i 1.050 di Pietrarsa. Inoltre, accanto a Pietrarsa sorgevano la Zino ed Henry (poi Macry ed Henry) e la Guppy entrambe con 600 addetti. L'efficienza e concorrenzialità di Pietrarsa e della Guppy è comprovata dal fatto che prima dell’unità esportassero in Toscana, affrontando maggiori costi di trasporto rispetto alla più vicina Ansaldo di Genova. Nel 1846 furono vendute al Regno di Sardegna alcune locomotive, allora privo di fabbriche industriali.--Alfovel >> Contattami qui! 20:37, 26 mar 2007 (CEST)Rispondi


Per la precisione, i dati sugli addetti nelle imprese "industriali" sono quelli del censimento effettuato dai Piemontesi nel 1861. Devo ritenere che abbiano seguito criteri omogenei nei vari territori. Il celeberrimo impianto di Pietrarsa, ben ti risulta, era statale, e allora ? Non era, come forse oggi, automatico sinonimo di inefficienza e spreco. Le navi e i treni napoletani erano mossi da macchine costruite a Pietrarsa i cui piani e sistemi furono forniti, "gratis et amore dei" al cugino savoiardo da Ferdinando. Servirono di base per l'Ansaldo. Nel frattempo, il Regno di Sardegna acquistava le locomotive a Napoli. Il liberismo piemontese è la prova provata che non avevano strutture industriali da proteggere rispetto alla concorrenza francese e inglese. Non a caso, quando il Regno unitario vorrà sviluppare un'industria pesante decente, metterà in piedi il normale recinto protezionistico necessario alla crescita iniziale. Il protezionismo napoletano non aveva finalità diverse. Concordo che un 2% scarso non legittimi conclusioni definitive, e chi le ha tratte? Il discorso varrebbe anche se il 42% fosse stato al Sud e il 44% al Nord, il punto è che fra le due aree non esisteva il divario che si vuol far credere. Tu dici, e hai ragione, che si dovrebbe parlare di Pil ma sai altrettanto bene che non sono dati elaborabili in maniera attendibile per l'Italia di allora. Comunque, torno su un'affermazione che mi è già capitata di fare: oggi, ricostruire certi aspetti all'epoca lasciati in ombra o deformati, comporta il ricorso a metodologie da "indagine criminale" nel senso che occorre rendere esplicito ciò che, sulla base di dati di fatto sicuri, deve necessariamente sussistere. Una moneta ha "per forza" due facce, è insito nell'essenza dell'oggetto, a un'ombra deve corrispondere un "quid" che interrompe il raggio luminoso, non so se rendo l'idea. E, per quanto riguarda il Sud, troppi tasselli continuano ad esser fuori posto. Circa lo stato delle Finanze c'è anche un aspetto diciamo così,di merito: nel senso che, se il Regno di Sardegna dell'epoca fosse stato un'azienza privata sarebbe stata considerata decotta e con sospetti fortissimi di bancarotta. Mi spiego: Giacomo Savarese, economista napoletano (eh, questa è la fonte, in genere preferisco utilizzare fonti che non lascino sospetti di partigianeria), nel 1862 pubblicò un opuscolo, "Le Finanze napoletane e Piemontesi dal 1848 al 1860" per replicare con dati puntuali alle accuse piemontesi sullo stato finanziario del Regno. Il raffronto viene condotto con estremo rigore, sulla base, ovviamente, di dati ufficiali. Ma, mentre il quadro era preciso e certificato fino al 1860 per le Due Sicilie, per il Regno di Sardegna, nel 1862, i resoconti ufficiali erano fermi al 1853. Per il 1854 esisteva una bozza approvata nel 1858, mentre per gli anni successivi non esistevano nè conti amministrativi nè bilanci definitivi. Il nostro non si scoraggiò e, da buon conoscitore dei meccanismi (era stato Ministro delle Finanze nel 1848), si spulciò tutte le fonti autorizzative di spesa nel periodo per ricavare i disavanzi annuali (indicativi per difetto, in assenza di dati ufficiali comprensivi di minori introiti fiscali e eventuali maggiori oneri straordinari diversamente autorizzati). Mò, qui non interessa tanto il fatto che il Savarese sia pervenuto (come accadde)a dimostrare che il Regno non era quel disastro che interessatamente si voleva rappresentare, quanto l'aspetto davvero singolare (per non dire altro) di gestione amministrativa dello Stato sardo. --Emmeauerre 22:29, 26 mar 2007 (CEST)Rispondi


Credo che occorra considerare un'azienda per la sua efficienza e non per la sua proprietà e poi che senso avrebbe. L'efficienza di un'azienda, indipendentemente pubblica o privata, dipende sempre da chi la gestisce e soprattutto il mercato in cui opera. D'altronde un'impresa pubblica che agisce in un mercato in concorrenza deve attenersi alle regole di quel mercato stesso. Oggi la politica è soprattutto partitica e clientelare e questo aspetto influisce considerevolmente sulle aziende pubbliche, le quali sono costrette a subire il sostenimento di costi più alti.--Alfovel >> Contattami qui! 15:32, 27 mar 2007 (CEST)Rispondi

Nessun dubbio sul fatto che un'azienda debba essere giudicata per la sua efficienza (e ci mancherebbe altro). Comunque, se le aziende pubbliche devono sostenere costi più alti per motivi clientelari, hanno anche possibilità ben maggiori nel reperimento dei capitali. Nel caso che ci interessa, parliamo di un'azienda che operava su un mercato piuttosto protetto ed anche piuttosto ridotto. Nel 1859, infatti, la rete ferroviaria del Regno delle Due Sicilie (99 km) era, diciamo così, sensibilmente inferiore a quella del Regno di Sardegna (850 km), che aveva un'estensione territoriale più ridotta. Il Regno di Sardegna (o Piemonte, come si preferisce chiamarlo) non aveva sicuramente la struttura industriale per fare fronte alla quantità di commesse: non è strano che sia ricorso a massicce importazioni. Poiché la capacità produttiva delle industrie meridionali era chiaramente superiore alla capacità di assorbimento del mercato interno (in effetti, sembra anche a me che una struttura con più di mille addetti abbia una capacità produttiva superiore a quella necessaria per le esigenze di cento chilometri di strada ferrata), non è strano neppure che queste stesse industrie abbiano venduto loro prodotti a chi li richiedeva.
Partire più tardi, poi, non sempre è un demerito. C'è chi parte prima e si ferma lì, chi parte dopo e vince le gare, fino a quando un altro concorrente lo sopravanza. Inutile citare il caso dell'industria dell'auto giapponese.
A me risultava che Ansaldo fosse un napoletano, privo di cuginanze regie e non originario della Savoia. Per la cronaca, l'aggettivo relativo a Casa Savoia è "Sabaudo" e non "Savoiardo".
Certo che il PIL dell'Italia di allora è difficilmente ricostruibile oggi. Parliamo però di uno strumento di misura, non della grandezza misurata o misurabile. In altre parole, se la contabilità nazionale era quella che era, nondimeno esisteva una ricchezza prodotta. A questa ricchezza sarebbe opportuno rapportarsi.
Torno a ribadire: non ho mai messo in dubbio che il Regno di Sardegna fosse molto indebitato e avesse bilanci pubblici disordinati (non così, però, gli altri stati del centro Nord). Il fatto è che quei soldi spesi dallo stato vennero - sicuramente - in parte sprecati, ma contribuirono anche ad avviare un forte progresso economico. Potremmo considerarli, in questo senso, un investimento a lungo termine.
Buona Pasqua a tutti, e alla prossima --Duroy 13:07, 7 apr 2007 (CEST)Rispondi


L'azienda pubblica aveva forse un vantaggio rispetto a quella privata piemontese, che il debito era sì per ambedue pubblico ma allo stesso tempo per la prima lo era anche il profitto. Certamente fu singolare l'ingente indebitamento piemontese e non è giustificabile (costi-benefici) rispetto agli altri Stati italiani: infatti con l'unità d'italia il debito prodotto precedentemente dal Regno di Sardegna gravò sulle casse dello Stato (non bastò addirittura l'aumento dei contribuenti), dovettero ricorrere ad una onerosa tassazione che colpì i ceti meno abbienti. La massiccia emigrazione italiana comincia giustappunto alla fine dell'800. --Alfovel >> Contattami qui! 13:33, 14 apr 2007 (CEST)Rispondi

I debiti delle aziende private sono debiti privati, ergo il debito dell'azienda "piemontese" non era pubblico.
Continuando a parlare dell'ingente debito pubblico del Regno di Sardegna (solo di esso, non dei rimanenti stati centro settentrionali, che - come si è detto - avevano una situazione debitoria migliore, sia del regno sabaudo che di quello borbonico), è difficile, al giorno d'oggi, confrontarne il rapporto "costi - benefici" (ossia, potevano far meno debiti, realizzando le stesse cose?) con quello delle altre entità statuali preunitarie. A Torino non solo si investiva massicciamente in infrastrutture, ma si dovevano affrontare anche tutta una serie di costi connessi alla posizione geografica e ai programmi di politica estera (leggi: alte spese militari) che gli altri stati non avevano. Sicuramente, dopo l'Unità, i benefici degli investimenti infrastrutturali rimasero in loco, mentre il debito fu a carico di tutta la nazione. Ma questo è ovvio e non è un demerito dei governi piemontesi, che potevano investire solo sul loro territorio: se anche altri stati avessero investito di più, magari indebitandosi maggiormente, sarebbero forse giunti all'unificazione con una struttura economica più solida, che avrebbe consentito di affrontare meglio i conseguenti aggravamenti tributari. --Duroy 16:44, 14 apr 2007 (CEST)Rispondi


Il governo piemontese a quel tempo sovvenzionava le aziende private come accade tutt'ora. Altro che i debiti sono privati: si socializzano i debiti e si privatizzano i profitti. Il Piemonte era sull'orlo della bancarotta sia a causa della bilancia commerciale, da anni in passivo (importi più di quello che esporti), e sia per la costosissima politica estera, e l'unica possibilità di evitare il tracollo finanziario era la conquista di nuovi territori. L'ultima parte del discorso è un'analisi stupenda: in sintesi più ti indebiti, più hai una struttura economica solida, e conseguentemente hai una maggiore capacità di ridurre il debito. Per la proprietà transitiva più di indebiti e più lo riduci con facilità. Punto.--Alfovel >> Contattami qui! 18:04, 15 apr 2007 (CEST)Rispondi

Tornato su Wiki per un altro po'. Non mi sono collegato dal 15 aprile e quindi rispondo con colpevole ritardo. Rileggendo gli interventi precedenti, mi rendo conto ancora una volta di quanto questi argomenti siano tutt'ora attuali, soprattutto perché incidono su temi (il ruolo dello stato, la finanza pubblica, ecc.) oggi più che mai al centro del dibattito. Poiché dubito fortemente che i lettori di questa discussione vogliano essere edotti sulle mie brillanti idee di politica economica, mi limiterò a rispondere a quanto si dice appena sopra. Andiamo con (dis)ordine.
Se un'azienda è privata, il suo debito è "privato". Se la "mano pubblica" interviene con sovvenzioni, il ritorno per lo stato non è tanto costituito dalla restituzione dei finanziamenti (che può anche non esserci), ma, se va bene, dall'aumento del reddito nazionale a lungo termine. Sicuramente in un sistema economico sano e "ben ingranato" i capitali girano velocemente e le iniziative economiche possono essere adeguatamente finanziate. Non bisogna dimenticare, però, che all'epoca i capitali privati, oltre che più ridotti, erano anche molto più "fermi" rispetto ad oggi. Il risparmio finiva sotto il proverbiale mattone, non era affidato nemmeno alle banche, figurarsi l'investimento azionario. Molti degli esborsi pubblici di quel tempo vennero poi utilizzati per gettare le basi di quelle "reti infrastrutturali" (ferrovie, canali) che ancora oggi sono considerate di pertinenza pubblica, e che vengono gestite da aziende pubbliche, senza l'ombra di profitti. E sì, non è detto che un'attività renda. L'azienda pubblica non fallisce, i privati allora fallivano, anche se erano imprese importanti, non c'era la "Prodi".
Accolgo con compiacimento la qualifica di "stupenda" assegnata alla mia "analisi", evidentemente senza alcun sottofondo d'ironia. Non esagerate, arrossisco. Mi riferivo soltanto al fatto che il Piemonte sarà sì stato indebitato, ma, forse anche grazie a quei debiti, aveva una struttura economica attiva. Altre zone d'Italia erano forse meno indebitate, ma erano caratterizzate anche da un'economia più arretrata, ed erano afflitte da una notevole carenza infrastrutturale. Io non avrei dubbi su quale delle due situazioni economiche potesse definirsi più sana.
Non voglio entrare nelle altre considerazioni, da cui si deduce che tutto il movimento risorgimentale fu in realtà prodotto dai calcoli finanziari di un gruppo di ragionieri un po' pirati. Alla prossima, non so quando --Duroy 21:10, 13 mag 2007 (CEST)Rispondi

Cifre modifica

Ciao Emmeauerre, grazie del contributo. E' molto interessante, soprattutto per le cifre, che mancavano nell'articolo. Cerchero' di inserirle nell'articolo, anche se potro' fare un lavoro decente solo in aprile o maggio, adesso sono occupato. La sola cosa che mi lascia perplesso è quando dici che i "beni furono acquistati in prevalenza quasi assoluta dai borghesi del Sud". Mi sembra un po' difficile. Come tu stesso dici dopo, gli imprenditori e banchieri del nord non si sono fatti aspettare per gettarsi sul mucchio, tra l'altro avevano sicuramente più mezzi che la borghesia del sud. Non ho cifre precise, ma so anche per certo che gli investitori francesi e inglesi hanno invaso il sud, prendendo il controllo di settori come i vigneti, le mine, e molte proprietà che utilizzavano come seconde case (già allora).

Galarth

Da rivedere tutta? modifica

Ho letto la voce a sprazzi, lo ammetto. Ho reinserito la parte sulla prima guerra mondiale che era stata sostituita da un testo con gravi lacune, ma credo che la voce andrebbe rivista per la sua intierezza. Mi pare che tutto sia presentato come una sorta di complotto mondiale contro il sud italia, peraltro senza alcuna responsabilita' non dico delle popolazioni, ma almeno dei notabili locali. Ho gia' visto che e' stata segnalata come NPOV, secondo me andrebbe bloccata per lavorarci con piu' calma... Hal8999 07:22, 8 mar 2007 (CET)Rispondi

  • complotto mondiale, in effetti, potrebbe essere un titolo più appropriato per il testo della voce, come è adesso. Che ne dici di questa perla: "[con Tangentopoli] la Massoneria perse molta della sua influenza sulle vicende del paese"? E di quest'altra: "La svolta arrivò solo verso l’anno 1000 ... il sud invece divenne prima un possedimento spagnolo" nel 1'000?!?!?

--Musso 23:31, 6 apr 2007 (CEST)Rispondi

Ho modificato in gran parte questa pagina nella sua parte iniziale e conto di modificre anche il resto. Mi chiamo Carlo Coppola sono registrato ma al momento non riesco ad accedere a Wikipedia per un problema al mio browser. Il mio indirizzo mail è comunque carlocoppola2004@libero.it. Sono un cultore della Storia del Meridione, ho già pubblicato sull'argomento 4 volumi, dispongo di tutto il materiale archivistico, della bibliografia, della copia dei documenti dell'epoca, insomma di tutto ciò che può essere di supporto alle tesi in articolo. Ovviamente posso mettere il tutto a disposizione della comunità di Wikipedia a semplice richiesta. Apprezzo moltissimo la possibilità data a tutti di intervenire e modificare a proprio piacimento le voci dell'enciclopedia, ma per un lavoro storiograficamente valido bisogna che le tesi espresse siano supportate da documenti e da tutto ciò che ne consolida la vediridità. Scrivere quello che si pensa sia vero e scrivere sforzandosi di rispettare la realtà storica sono cose ben diverse.


"Siamo intorno al 1000, il contadino europeo a stento riusce a produrre il minimo necessario per sopravvivere. Il rapporto percentuale tra il numero dei contadini impegnati nella produzione agricola e la classe di persone in grado di sopravvivere senza lavorare è abbondantemente al di sotto dell’un per cento. L’antropologia ci insegna che la cultura e la tecnologia nascono e progrediscono solo dove si producono dei surplus alimentari sufficienti a liberare una parte della popolazione dalle imcombenze produttive. In questo periodo solo in Sicilia e in alcuni altri luoghi del Sud ciò avviene. Palermo diventa, forse con l’esclusione di Pechino, la città più grande e progredita del mondo" nel 1000 Palermo è la città più grande e progredita del mondo? ma stiamo scherzando nel 1000 an Costantinopoli regna Basilio II, siamo in piena epoca d'oro.

Da rivedere? Forse sì! modifica

Ogni volta che accedo a wiki con il mio nome utente trovo novità su questa voce o sulla sua pagina di discussione, o su entrambe. L'argomento è caldo, evidentemente. La nuova introduzione, comunque, contiene passaggi del tipo: Il Regno delle Due Sicilie rappresentava nel 1860 lo Stato più popoloso (assai probabile) più industrialmente avanzato (basta mettersi d'accordo sul significato dell'espressione, ma qualcuno ne dubita) e sicuramente più ricco d'Italia (conclusione un po' discutibile). Il suddetto Regno aveva già una sua propria identità statuaria ormai consolidata in più di 8 secoli d'unità (preferirei statuale, a meno di considerare lo stato in questione una scultura). In compenso, nel paragrafo successivo, dopo aver cantato le lodi delle città di Sicuracusa (penso sia Siracusa, ma non ci giurerei) e Alessandria d’Egitto (!?) s'individuano i primi sfruttatori di cotanto bengodi: i barbari latini, che iniziano a pompare danè dal meridione alla Padania, facendo nascere paesi e città. Poi nel medioevo la Chiesa impone la divisione dell'Italia in due tronconi, destinando quello meridionale ad impedire la nascita di un'unità nazionale italiana, con la sua enorme potenza. Il resto è conseguente. Proprio vero: Scrivere quello che si pensa sia vero e scrivere sforzandosi di rispettare la realtà storica sono cose ben diverse. --Duroy 12:43, 17 giu 2007 (CEST)Rispondi

Parti spostate 1 modifica

Di seguito trasferisco un lungo paragrafo concernente vari momenti della storia meridionale, che a mio modesto avviso, oltre a contenere giudizi - diciamo così - espressi in forma non del tutto enciclopedica, si allontana troppo dall'argomento della voce. --Duroy 16:55, 17 giu 2007 (CEST)Rispondi

Gli splendori della Magna Grecia

Gli splendori economici e culturali della Magna Grecia di cui il meridione d’Italia è stato fulcro, sono stati trattati con ampiezza da moltissimi autori. La grandezza di Siracusa, di Sybari, di Taranto e la favolosa cultura che in esse si sviluppò è oggetto di studio da sempre. La civiltà Ellenistica, che ha dato origine a quella Romana e poi a quella Europea, ebbe i suoi due poli principali in Sicuracusa e Alessandria d’Egitto e si sviluppò pienamente nelle lande calabresi, siciliane e pugliesi. Basti pensare che intorno al 450 a.C. Filolao da Taranto ipotizza in un trattato un sistema solare di tipo eliocentrico, anticipando di 2000 anni Galileo, per comprendere di che spessore fosse il sapere che vi si produceva e che sempre nell’arco di territorio tra la Sicilia e S. Maria di Leuca vivono e operano personaggi del calibro di Archimede o di Pitagora, fondatori delle scienze fisiche e matematiche di cui Copernico o Newton sono stati solo epigoni. Le arti e le scienze in tutti i settori conoscono uno dei momenti magici della storia, la pittura la scultura, la poesia e il teatro, la musica e la retorica, la filosofia e il pensiero politico raggiungono vette altissime. La Magna Grecia muore per mano romana. Le splendide città del Sud vengono asservite alla barbarie latina, cento anni di guerre sanguinosissime sanciscono la fine di una grande civiltà che fino a quel momento aveva rappresentato il faro del sapere del mondo e che vide le proprie città distrutte e le proprie genti schiavizzate. Comincia qui la prima colonizzazione meridionale, i romani creano i “latifundia”, risucchiando le risorse dal ricco sud per romanizzare la valle padana. Nascono Milano, Piacenza, Verona, Mantova quali città di una cortina difensiva destinata a contenere le aggressioni barbariche d’oltralpe. La dominazione romana durerà a lungo tenendo innaturalmente insieme i due tronconi d’Italia già così diversi tra loro per circa quattro secoli. Ferum victorem Graecia capta cepit recitano i classici latini, i commentatori moderni pongono l’accento sul fatto che la sapienza greca (cioè meridionale) si impose a Roma nonostante la sconfitta militare, molto meno sulla parte iniziale della frase, ferum victorem significa vincitore feroce il che la dice lunga sui i modi e i termini della conquista romana. Dopo i secoli bui delle invasioni barbariche (IV – X sec A.C.) alle quali solo i bizantini del meridione fecero argine , la colonizzazione araba della Sicilia riportò sui territori italiani regrediti per effetto di tali invasioni ormai all’età del ferro, gli elementi tecnologici, culturali e i principi dello scambio mercantile elaborati nell’età classica. A partire dal Sud, l’Italia e poi l’intero continente riacquistò quelle competenze perdute nei secoli dopo la caduta dell’Impero Romano e ricominciò il suo faticoso ma brillante rinascimento . L’Europa feudale è ancora immobilizzata da quei popoli di origine germanica responsabili della regressione culturale dell’occidente di millenni. La Chiesa Romana, al fine di conservare la propria indipendenza e potere temporale, impone, in questo periodo, la divisione della Penisola in due aree politiche: un’area frantumata in signorie regionali e municipi al nord di Roma e un regno unitario invece al Sud, destinato a impedire l’emergere di una potenza nazionale italiana. Siamo intorno al 1000, il contadino europeo a stento riusce a produrre il minimo necessario per sopravvivere. Il rapporto percentuale tra il numero dei contadini impegnati nella produzione agricola e la classe di persone in grado di sopravvivere senza lavorare è abbondantemente al di sotto dell’un per cento. L’antropologia ci insegna che la cultura e la tecnologia nascono e progrediscono solo dove si producono dei surplus alimentari sufficienti a liberare una parte della popolazione dalle imcombenze produttive. In questo periodo solo in Sicilia e in alcuni altri luoghi del Sud ciò avviene. Palermo diventa, forse con l’esclusione di Pechino, la città più grande e progredita del mondo e mantiene questo standard per centinaia di anni. All’ombra della grande capitale siciliana molte città meridionali conoscono momenti di notevole sviluppo: la splendida e potente Amalfi, Napoli, Bari che rappresenta la porta d’Oriente, Mola e Rossano in Calabria. La centralità del Sud nell'esportazione di manufatti che venivano richiesti da re, imperatori, baroni e vescovi barbarici, è largamente attestata, basta leggere qualche pagina del fiorentino Giovanni Boccaccio o fare un giro turistico per il Baresano e il Salento, per fortuna risparmiati dai terremoti che, altrove, hanno distrutto quasi tutto per rendersene conto. Nei periodo successivo, stabilizzatasi l’immigrazione barbarica, i paesi occidentali procedettero faticosamente sulla strada dello sviluppo transitando dalla servitù della gleba (fattispecie mai esistita peraltro al sud), e dal tributo signorile allo scambio monetario, alla libertà di vendere le eccedenze agricole e il proprio lavoro, alla proprietà piena ed esclusiva dei beni mobili, compreso il danaro, e dei beni immobili. Il Sud italiano è la fonte della conoscenza attraverso la quale detto sviluppo ha luogo. Le produzioni intellettuali provenienti dal mondo ellenistico e romano qui non sono mai scomparse, si sono anzi arricchite di nuovi elementi importati dagli arabi, che a loro volta le avevano mutuate dalla cultura cinese e indiana. Un compendio di tali culture viene concretizzato sotto Federico II, il “Puer Apuliae stupor mundi”, il ragazzo di Puglia stupore del mondo, Re del Meridione che attraverso diritti dinastici acquista anche il titolo di Imperatore e che con le sue “Constitutiones” getta le basi del diritto positivo moderno e imprime un’ulteriore accelerazione allo Stato meridionale in termini di cultura e sviluppo. I secoli successivi registrano uno stallo a causa delle controversie secolari che contrapporranno Papato e Impero. Morto Manfredi, figlio di Federico, sul campo di battaglia, il Regno delle Due Sicilie diviene merce di scambio pregiata nelle contese dinastiche che avveleneranno l’Europa per secoli. Ciò non impedirà alle grandi città del regno come Napoli, Palermo, Messina, Catania, Reggio, Bari e Lecce di vivere splendide stagioni artistiche e culturali. Il barocco leccese ad esempio, mirabile esempio di arte autoctona, nasce e si sviluppa fra il XVI e il XVII sec., lasciando vestigia che incantano ancora oggi. I re e vicere che si avvicenderanno dal XIII al XVII secolo assorbiranno la cultura locale e si meridionalizzeranno fino all’identità. Non c’è dubbio comunque che la fortissima pressione fiscale operata da angioini ed aragonesi prima e dagli spagnoli poi impoveriranno non poco la nazione. L’anno del signore 1734 rappresenta la data del riscatto del Sud. Una nuova dinastia rivendica l’indipendenza del regno da qualsiasi influenza straniera e dal Papato. Carlo III di Borbone Farnese, figlio di Filippo V di Spagna e della principessa Elisabetta Farnese, vera artefice del nuvo assetto politico italiano, dichiara libero lo Stato duosiciliano e con la Prammatica Sanzione del 1759 ne stabilisce la definitiva separazione dalla Spagna, rintuzza le pretese austriache battendoli sul campo di battaglia due volte, prima a Bitonto e poi a Velletri e costruisce le basi di uno stato moderno di stampo illuminista. Il suo primo ministro, il toscano Bernardo Tanucci ne progetta le fondamenta giuridiche ed economiche, l’impulso allo sviluppo della società civile, ai commerci e alle arti è possente. Il Regno delle Due Sicilie diventa in pochi decenni protagonista sulla piazza europea. Negli anni immediatamente precedenti la rivoluzione francese esso è già ridiventato, e di gran lunga, lo Stato più moderno, più organizzato, più ricco e popoloso d’Italia. Nel primo quindicennio del XIX sec. l’Europa è spazzata dai venti napoleonici, e il Regno non fa eccezione. Un solo evento è veramente degno di nota, esso differenzia i meridionali da qualsiasi altro popolo europeo e lo accomuna alla Vandea francese: l’Epopea Sanfedista. Un movimento popolare, cattolico e legittimista che riesce a scacciare la prima ondata di invasori francesi dal suolo nazionale. Il popolo del Sud è libero e indipendente e tale vuole restare. Essi francesi saranno poi portatori di repressione militare e di pesantissime tasse e tributi molto più che di Fraternitè, Libertè ed Egalitè come stupidamente qualche autore neo-giacobino afferma. I due decenni successivi al congresso di Vienna registreranno un momento di transizione che si risolverà con l’avvento al regno di Ferdinando II di Borbone. L’impulso che dà allo sviluppo della nazione è impressionante: la marina mercantile duociliana diventa in meno di vent’anni la terza d’Europa per quantità e qualità, gli impianti agricoli intensivi si moltiplicano favoriti da un apposito centro studi statale creato all’uopo, nascono al Sud le prime industrie italiane, sono industrie tessili, setifici, cartiere, concerie, industrie metalmeccaniche e siderurgiche che producono locomotive e macchine a vapore e semilavorati del ferro, tabacchifici e cantieri navali fra i migliori del mondo. Napoli è una metropoli, terza per abitanti in Europa dopo Londra e Parigi, sede del teatro più famoso del mondo, il San Carlo , la sua strada principale -via Toledo- è descritta dai visitatori del tempo come la strada più bella del mondo, le residenze reali sono stupende, la reggia di Caserta è seconda forse solo a Versailles per magnificienza. Il re Borbone gode di un prestigio notevolissimo sulle piazze internazionali, la finanza pubblica è solidissima. Spesso nell'immaginario dell'italiano si immagina la ottocentesca Milano piena di fabbriche, Genova ingolfata di navi e una Torino che sfornava vagoni e locomotive a migliaia sotto le direttive del grande Cavour. Il tutto è assolutamente falso. Soltanto Milano mostrava una modesta ripresa economica dopo il disastroso periodo napoleonico e solo per merito della produzione della seta e non per altro, mentre Genova scontava un profondo declino. Anche peggio stava la gloriosa e serenissima Venezia, il cui porto sopravviveva solo grazie al fatto di essere la base della flotta austriaca. Firenze aveva da tempo dimenticato gli splendori rinascimentali e Torino era rimasta la città torpida e provinciale che era sempre stata, con un piede al di là delle Alpi e la testa rivolta a Parigi. In ogni caso nessuna delle altre città italiane aveva niente di paragonabile alla grandezza e agli splendori culturali e commerciali di una capitale mondiale come Napoli. Quando a scuola ci si riferisce ad alcune invenzioni che creano nella mente dello studente l’idea della modernità come le prime navi a vapore o le locomotive, nelle classi scolastiche italiane si omette di dire che, per fare un esempio, quando il Piemonte prese la decisione di dotarsi di ferrovie, fu l’industria napoletana a fornirgliele , segno evidente dell’enorme differenza di condizione di sviluppo industriale fra i due regni. Il Regno delle Due Sicilie aveva decisamente intrapreso la strada dell’industrializzazione, sebbene secondo un proprio ed originale modello, ed era nel decennio 1850-60 lo stato più sviluppato d’Italia e avrebbe potuto probabilmente competere con la Francia e l’Inghilterra nel medio periodo. In ogni caso se qualcosa di moderno e innovativo in questo periodo in Italia c’era, sia in campo economico che tecnologico e culturale, questo qualcosa stava sicuramente di casa a Napoli non certo a Torino nè a Milano. Il problema grosso per il regno meridionale era dato dall’intolleranza di Francia e soprattutto Inghilterra all’esistenza di uno Stato forte e autonomo al centro del Mediterraneo che rifiutava perentoriamente ogni forma di invadenza e perseguiva pervicacemente una forma di sviluppo autonomo e assolutamente diverso da quella che i dettami liberal-massonici imponevano. Dal punto di vista strategico bisogna poi tener conto che sono gli anni dell’apertura del canale di Suez, le navi provenienti dalle colonie inglesi orientali sarebbero tornate a solcare il Mediterraneo e a fare scalo nei porti meridionali, e un Re con la personalità di Ferdinando II, preparato, intelligente, orgoglioso e poco propenso a concessioni a titolo gratuito, era troppo ingombrante per l’arroganza inglese abituata a rapinare e non a trattare e per le smanie di grandezza di Napoleone III. I Borbone di Napoli cercarono di portare il paese alla modernità commerciale e industriale e di difenderlo dall'InghiIterra e dalla Francia, che sventolando bandiere liberali e ugualitarie sgraffignavano sottobanco tutto quello che arriva loro a portata di mano. Daltronde toglierli di mezzo non era affatto semplice. Ferdinando II di Borbone apparteneva ad una delle casate più prestigiose d’Europa, imparentato con i Borbone di Spagna, e con l’imperatore d’Austria, godeva dell’amicizia e dell’ammirazione dello Zar Alessandro di Russia. Educato in un collegio militare si intendeva di strategia e tattica e quasi trent’anni di regno passati indenne (unico sovrano in Europa) attraverso i moti del ’30 e del ’48 ne testimoniano l’abilità, l’intelligenza e lo spessore politico. Era uno che badava al sodo, poco attratto dalla classe borghese -pennaruli e pagliette li chiamava-, aveva puntato sullo sviluppo del regno attraverso la creazione di una potente marineria commerciale, il che non senza una logica: un paese circondato per tre lati dal mare e con una dorsale montuosa che divideva nettamente litorale adriatico e tirrenico rendendo difficili e costosissime le costruzioni ferroviarie rendeva preferibile un più intenso sviluppo delle comunicazioni e del commercio via mare piuttosto che per via terrestre. Infatti le ferrovie che saranno costruite poi sotto i Savoia, a parte le incredibili e vergognose speculazioni di cui furono oggetto e l’assurdità della direttrice unica nord-sud, funzionale solo all’ invio di truppe, avranno un bilancio disastroso per più di 40 anni. Ferdinando che pure aveva costruito la Napoli-Portici, il primo troncone ferroviario d’Italia e aveva progettato una rete ferroviaria adeguata al regno e che aveva in casa le fabbriche per costruire locomotive e binari (Pietrarsa e Mongiana), preferì saggiamente rimandare il completamento della rete ferroviaria piuttosto che forzare la mano con una imposizione fiscale pesante. La dinastia Borbone aveva nella classe contadina il proprio target sociale di sostegno, il filo diretto che lega il popolo e i regnanti di Napoli è testimoniato da numerosissime circostanze, dai contadini di Santa Fede fino al Brigantaggio legittimista post-unitario. Mai il Re Borbone avrebbe appesantito il bilancio statale con un investimento enorme ritenuto prematuro e che sarebbe ricaduto, fiscalmente, sulle spalle della povera gente. D’altronde l’enorme sviluppo del commercio via mare, molto più economico di quello via terra, era più che sufficiente ai bisogni dello Stato. Ben diversamente agiranno i Savoia che si indebiteranno fino al collo (o meglio indebiteranno gli italiani del tempo e le generazioni future) con i Rothschild e con le case d’affari parigine pur di portare a termine una pessima rete che al periodo era un puro costo. Ferdinando era un abile amministratore, parco nei costumi e risparmiatore fino all’avarizia. Riteneva, pur nel suo essere Re, di avere due giudici supremi: Dio e il popolo, per il quale sentiva una responsabilità quasi paterna, basta leggere quello che ha lasciato di scritto e quello che riportano i suoi biografi per rendersene conto . Gli storici risorgimentali hanno definito questo modo di governare “paternalismo borbonico”, caricando il termine di un significato negativo inspiegabile. Vittorio Emanuele II, presunto padre della patria e macellaio sabaudo , di paterno non aveva niente: farà fucilare, impiccherà, deporterà e farà fuggire all’estero tanti di quei meridionali nei primi dieci anni di unità, da far diminuire la popolazione dell’ex regno delle Due Sicilie di circa 700.000 persone. I suoi successori ne faranno emigrare altri 5 milioni, circa metà della popolazione. Il grande errore strategico di Ferdinando fu probabilmente il voler restare neutrale ad ogni costo rifiutando persino il tradizionale legame con l’Austria. La politica ferdinandea si rivelò efficace all’interno dei propri confini ma isolò il Regno sul piano internazionale. Il non voler nemici in Europa si tradusse nella pratica con il non aver amici e quando il suo regno fu attaccato dal Piemonte, nessuno mosse un dito per aiutare suo figlio che si affidò alla divina provvidenza che nel periodo, purtroppo, era latitante. Il Piemonte invece aveva una struttura economica vetusta, lo sviluppo industriale era di là da venire, ma Cavour intratteneva solidissime amicizie europee conquistate sulla pelle dei propri sudditi mandati a morire in Crimea senza nessuna ragione. Ferdinando, invece, negò persino l’approdo nei porti meridionali alle navi da guerra francesi ed inglesi dirette verso la Crimea, proclamando la neutralità delle Due Sicilie e ritenendo di non dover inviare truppe in un conflitto (effettivamente turco-russo, Francia e Inghilterra intervenirono in aiuto della soccombente Turchia per impedire alla Russia di avere uno sbocco sul Mediterraneo) dove ambedue i contendenti erano considerati amici e partners commerciali. L’intervento piemontese, assolutamente fuori da ogni logica politica, fu concesso solo su insistenza (e imposizione) della diplomazia francese e inglese che ripagarono poi abbondantemente il regno savoiardo in occasione della spedizione dei mille. In ogni caso ciò che era economicamente il Meridione d’Italia all’atto dell’unità è facilmente desumibile non da analisi partigiane ma propriamente dai dati che ci riporta l’annuario statistico dei milanesi Correnti e Maestri, stilato un paio d’anni prima del 1860 e successivamente riveduto e corretto e adottato dallo stato unitario negli anni seguenti come ufficiale. Riporto di seguito a titolo esemplifictivo due tabelle riguardanti produzione agricola ed allevamento.


Tab. 1 Produzioni agricole italiane al 1860


Prodotti Due Sicilie. Migliaia di ettolitri Pro-capite Ettolitri Itala restante. Migliaia di ettolitri Pro-capite Ettolitri Grano 18.060 1,97 17.760 1,10 in % su Italia 50,4 49,6 Granturco 2.802 0,3 14.098 0,9 in % su Italia 16,6 83,4 Orzo e avena 6.254 0,7 1.543 0,1 in % su Italia 80,2 19,8 Castagne 1.929 0,2 3.466 0,2 in % su Italia 35,8 64,2 Patate 5.068 0,6 4.490 0,3 in % su Italia 53,0 47,0 Legumi secchi 1.704 0,2 2.404 0,2 in % su Italia 41,5 58,5 Olio 937 0,1 628 0,04 in % su Italia 59,9 40,1 Vino 4.052 0,4 19.951 1,3 in % su Italia 16,9 83,1 Agrumi 4.467 0,5 0 0 Popolazione italiana 25.017. 000 9.179.000 15.838.000 in % su Italia 36,7 63,3


Tab. 2 Dotazione di capi di bestiame


Bovini Numero dei capi Equini Numero dei capi Pecore Numero dei capi Capre Numero dei capi Maiali Numero dei capi

Due Sicilie 400.000

  • 770.000

4.531.753 1.300.514 2.020.545

Italia restante 3.308.635 421.626 4.274.761 1.233.825 1.886.731

Totale Italia 3.708.635 1.191.626 8.806.514 2.233.825 3.886.731

Numero di persone per ogni capo di bestiame

Due Sicilie 23 12 2 9 4 ½


Italia restante

5 37 ½ 4 13 8 ½


 Dati forniti dall’Annuario Statistico Italiano 1864 di Correnti e Maestri e riportati in:   

1. Svimez , Cento anni di vita nazionale attraverso la statistica delle regioni, Roma 1961, pag. 18 2. Istat, Annuario Statistico Italiano 1938, pag. 438


Una breve scorsa è sufficiente a dedurre che essendo la popolazione meridionale poco più di un terzo del totale italiano, produce più del 50% del grano, l’80% dell’orzo e dell’avena, il 53% delle patate, il 41% dei legumi, prodotti che rappresentano la base dell’alimentazione popolare. Un discorso a parte è necessario poi per l’olio che il meridione produce nella percentuale del 60% e per gli agrumi la cui produzione è da attribuirsi interamente al Sud. Essi rappresentavano all’epoca ed insieme ai semilavorati di seta (prodotta al sud) e alla seta greggia (prodotta in Lombardia), le voci più importanti nelle esportazioni italiane. La domanda estera di olio lampante necessario ad alimentare le lampade di tutta Europa e altrettanto necessario come lubrificante ai cotonifici inglesi è altissima, l’olio meridionale viene quotato in borsa a Londra. Esso insieme allo zolfo che la Sicilia estrae dal proprio sottosuolo nella misura del 90% dell’intera produzione mondiale ed elemento essenziale per la produzione dell’acciaio, rappresentava il vero oro del Sud prima e dell’Italia unita poi. Per circa un secolo essi saranno gli unici beni che l’Italia sarà in grado di esportare all’estero e pagheranno insieme alle rimesse in valuta pregiata degli emigrati (sempre meridionali) le 3 o 4 fasi di industrializzazione della Padania. Continuando nell’analisi delle tabelle è evidente che fatto salvo l’allevamento di bovini, il quale è leggermente sottodimensionato rispetto alla popolazione e che per ragioni climatiche e la relativa assenza del prato al sud è possibile solo nelle zone pedemontane, tutti i tipi bestiame sono presenti in quantità superiore rispetto al nord, sia in valore assoluto che in percentuale rispetto alla popolazione. In campo industriale e manifattturiero, come già anticipato, è proprio al Sud che in Italia ha inizio un processo di ammodernamento. Lo Stato Borbone possiede le risorse economiche provenienti dai surplus agricoli esportabili per avviare l’industrializzazione e lo fa con un modello di tipo statalizzato e protezionistico. Una serie di accorti provvedimenti legislativi attirano nel sud italiano un buon numero di investitori stranieri, prevalentemente svizzeri e tedeschi, che sorretti e protetti dallo Stato danno vita a un tessuto industriale notevole. Ferdinando adotta il modello economico grazie a cui era nata l’industria francese, il cosiddetto “dirigismo colbertiano”. Nasce Pietrarsa, primo e più grande stabilimento metalmeccanico italiano, nascono Mongiana e poi Ferdinandea, centri siderurgici imponenti. Nascono soprattutto una miriade di industrie di medio e piccolo cabotaggio che producono di tutto, dalla carta ai guanti, dai semilavorati di cotone alle sellerie. Imponente è la cantieristica navale, non a caso erano meridionali i primi ed unici bastimenti italiani che approdavano nel periodo nei porti nordamericani e australiani, come meridionale fu il primo piroscafo italiano e la prima nave costruita interamente in ferro. Il Casertano, non a caso chiamato all’epoca “Terra di Lavoro”, diventa una delle zone più densamente industrializzate d’Europa. Certo questa industria non è in grado di competere con quella inglese o francese, la produzione copre fra si e no il fabbisogno interno, ma le commesse estere, limitate alle carrozze ferroviarie, alla cantieristica navale e ai guanti, produzioni nelle quali Napoli vanta primati nel mondo, prendono la via del Sud e non certo del Nord d’Italia. Ferdinando II protegge con uno schermo doganale feroce la neonata industria duosiciliana, sa bene che la concorrenza europea annienterebbe in poco tempo le manifatture interne in un regime di mercato liberistico e attende la maturità e la competitività del sistema interno prima di aprire le porte a merci estere. Un altro paese del mondo, più o meno nello stesso periodo, intraprese la stessa strada e adottò l’identico modello politico ed economico: il Giappone. Ragioni geografiche hanno voluto che il Regno di Napoli e quello del Sol Levante avessero sorti diverse. In Europa l’industria inglese, alla perenne ricerca di nuove risorse e sbocchi commerciali e sostenuta da un potente apparato politico e militare mai avrebbe consentito l’affermarsi di un modello economico diverso da quello liberal-massonico, tantomeno l’affermarsi di uno Stato autorevole posizionato strategicamente al centro del Mediterraneo. Il Giappone fu salvato dal suo isolamento e dalle tendenze ultranazionalistiche della sua classe dirigente e rappresenta oggi uno dei colossi dell’economia mondiale. La classe dirigente meridionale rimbambita dai canti delle sirene di Cavour e soci, perdette se stessa e il popolo dando in pasto il Sud ai famelici inglesi e francesi e ai loro compari tosco-padani ricevendone in cambio qualche elemosina. Una tacita congiura tra pseudo-patrioti meridionali, scaltri politicanti e incalliti diplomatici, stronca l'intelligente opera di modernizzazione dei Borbone e il Sud precipita nelle grinfie della politica europea, impostata sulla crescita attraverso la colonizzazione diventando un territorio di pascolo aperto alle usure toscopadane.

In ogni caso sotto la gestione ferdinandea neanche all’onnipotente Inghilterra riuscì di penetrare con successo nel Regno di Napoli, e ciò nonostante una decennale e intensa campagna di denigrazione guidata dall’inglese e massone Gladstone e un certosino lavoro di corruzzione e logorìo all’interno dello stesso Stato Borbone. I vari tentatividi fare il colpo grosso furono tutti repressi con vigore . L’occasione buona si presentò con la morte di Ferdinando II, ad appena 49 anni, a causa di una malattia inspiegabile. Gli succedette il figlio Francesco, intelligente e di buon carattere ma giovanissimo e assolutamente impreparato a raccogliere l’onerosa eredità del padre e soprattutto a controbattere le bramosie straniere. Un attacco diretto al Regno è impossibile, con quale scusa aggredire uno Stato pacifico che si proclama neutrale e gode di buone amicizie internazionali? La strada da seguire doveva essere un’altra. Da tempo il Piemonte aveva intrapreso scelleratamente una politica espansionistica che l’aveva portato al dissesto finanziario. La politica cavourriana, peraltro, improntata ad un liberismo zoppo (sarà definito in seguito, contraddittoriamente, “protezionismo dall’interno”) si era già rivelata fallimentare nel Regno Savoia ancora prima di essere applicata pedissequamente anche al regno duosiciliano, a unità conseguita, con il risultato di strangolarne il fragile tessuto industriale. L’unica possibilità che rimaneva al Benso già Conte di Cavour era di mettere in conto ad altri gli enormi debiti contratti. L’Inghilterra e la Francia (con motivazioni diverse ma con gli stessi identici appetiti) puntarono sul piccolo regno subalpino affamato di conquiste per mettere le mani sull’Italia del sud e liquidare la dinastia Borbone. Si scelse un guerrigliero professionista qual’era Giuseppe Garibaldi che aveva le caratteristiche necessarie (personaggio controverso ma dotato di un certo fascino, forse non adatto ad una guerra in campo aperto ma esperto di combattimenti in piccola scala avendo praticato la guerra corsara in Brasile, facilmente sacrificabile in caso di fallimento, legato a filo doppio alle logge massoniche inglesi), e un manipolo di disperati, gli si preparò il terreno attraverso una capillare opera di corruzzione, gli si diede una possente forza di supporto (10-20 mila soldati piemontesi tutti dichiarati congedati o disertori che sbarcarono subito dopo i mille), si scelse la Sicilia per lo sbarco perché da sempre animata da sentimenti indipendentistici e antiborbonici e si tentò il colpo. L’operazione fù coronata da un successo al di là di ogni più rosea aspettativa. Rivendicazioni borghesi, la promessa ai contadini che gli usi civici si sarebbero trasformati in proprietà piena (promessa mai, ovviamente, mantenuta), classi dirigenti siciliane insofferenti al dirigismo borbone, l’appoggio poderoso della flotta inglese del mediterraneo, la corruzione di buona parte delle gerarchie militari dell’esercito e della marina duosiciliana furono i decisivi elementi che contribuirono al successo dei garibaldini. Un’analisi storica accurata evidenzia l’inconsistenza della forza militare di Garibaldi che venne ripetutamente e sonoramente battuto in varie occasioni dalle truppe borboniche che però venivamente immediatamente richiamate dai comandanti di grado superiore. Clamorosa fù la conquista di Palermo ottenuta da qualche migliaio di garibaldini con 16.000 soldati duosiciliani chiusi nelle fortezze con l’ordine di non intervenire mentre il generale Landi, comandante in capo delle forze borboniche in Sicilia, firmava su una nave -guardacaso inglese- e sotto gli auspici delle diplomazia britannica un incredibile e inspiegabile armistizio, abbandonando poi la Sicilia con un esercito intatto e forte di 24.000 uomini ben armati e ben addestrati senza aver combattuto nemmeno una sola vera battaglia e condannando a morte il Regno. Effettivamente molti dei sostenitori meridionali dei Savoia si accorgeranno presto del colossale errore, ma il danno era già fatto e non si potè porvi più rimedio. Le posizioni acquisite dai garibaldini furono rilevate direttamente dai luogotenenti piemontesi che si affrettarono a scendere al sud con un corpo d’armata imponente. A poco valse il parziale successo delle truppe borboniche nella battaglia del Volturno, e la strenua resistenza delle piazzeforti di Gaeta, Messina e Civitella del Tronto. Le ultime speranze meridionali si spensero sulle mura di una Gaeta assediata e martoriata dai bombardamenti piemontesi. Il popolo del sud ancora una volta, come nel 1799 e nel 1815, insorse a difesa della dinastia e di se stesso e pagò con qualche decina di migliaia di morti il tentativo di rimanere libero e indipendente . La ribellione fu repressa nel sangue da 120.000 soldati piemontesi che rimasero al sud per i dieci anni che rappresenteranno una delle pagine più buie della storia del Sud, imponendo un regime di terrore e la condizione di colonia che permane ancora oggi. Le pretese francesi di imporre un proprio candidato sul trono di Napoli si spensero presto, in compenso le case d’affari parigine fecero affari d’oro con i titoli di stato italiani. Gli inglesi si tennero ben strette le preziose concessioni sulle miniere di zolfo siciliane, ottennero i vantaggi strategici sperati impiantandosi a tutto campo nel mediterraneo e rimanendoci fino a dopo la seconda guerra mondiale. Il problema maggiore per il Sud, al di là di come siano andate le cose, non fù la conquista, furono gli anni successivi a creare i problemi che ancora oggi il meridione paga. Una koinè veramente italiana si sarebbe forse potuta creare, l’Italia, benchè nata nel sangue e nell’inganno avrebbe forse potuto diventare un vero Stato Nazionale e lentamente prendere sulla scena europea il ruolo che le spettava e che era già stato del Regno delle Due Sicilie. Non si volle fare. Il progetto cavourriano era un altro, il ministro pensava ad un grande Piemonte non ad una grande Italia, e i suoi successori perseguirono pervicacemente il piano del Grande Tessitore portando l’Italia alla rovina.

I primi quarant’anni d’unità saranno infatti disastrosi sotto ogni punto di vista per il novello popolo italiano, sia del nord che del sud, chi si avvantaggerà dello stato nazionale saranno solamente quello che la storiografia ci nomina come la “consorteria” tosco padana, che tradotto vuol dire alcune elìte di intrallazzatori e speculatori legati alla Banca Nazionale degli Stati Sardi.

Incredibile modifica

Ritengo che Wikipedia sia uno strumento importante per la comunita di internet. Ma come si fa a scrivere una voce in questo modo? Avevo modificato la voce questione meridionale chiedendo fra l'altro la collaborazione di tutti, ho visto che la voce è stata rimodificata sconvolgendone la ratio e da una persona che a dir poco è un dilettante senza nessuna conoscenza storica che ha scritto quattro scemenze senza capo ne coda. Che delusione!!!! Se è questo lo spirito di Wikipedia.......

Bravi........ modifica

Ma che bravi questi wikipediani........ che abbaino dello spirito è certo. Che si divertano su internet anche. Che siano in grado di produrre delle analisi storiche degne di questo nome un pò meno........... la verità sulla questione meridionale sarebbe questa di wikipedia (fra l'altro con pagina protetta ad evitarne la modifica)? Ma non fatemi ridere. Fottetevi. (con tre t)

Bravissimi? modifica

Mi sento un po' tirato in ballo (temo di essere io la persona che a dir poco è un dilettante senza nessuna conoscenza storica che ha scritto quattro scemenze senza capo ne coda). Non nego di essere un dilettante, non è un insulto. Avrò pure scritto quattro scemenze, ma gradirei sapere dove e in che senso. La verità sulla questione meridionale (ammesso ci sia) non è compito nostro fornirla, ci limitiamo a scrivere quanto crediamo di sapere. L'invito con tre "t" si commenta da solo. --Duroy 20:21, 29 giu 2007 (CEST)Rispondi

Mi scuso modifica

Mi scuso per il fott...evi. Ho scritto il messaggio in un momento di rabbia per aver visto sconvolta fin nelle fondamenta una pagina che avevo scritto con passione. La verita' sulla questione meridionale e' scritta a chiare lettere nella vicenda sociale italiana. Uno studio degli atti parlamentari dell'epoca post unitaria in merito, l'analisi degli scritti di autori come Nitti, e lo stesso Crispi o di Benedetto Croce in larghi scorci del suo "Storia di Napoli" potrebbe essere chiarificatrice per chi scrive su questa voce tanto controversa. Che il Risorgimento sia stato un atto di aggressione violento e ingiustificato ai danni del neutrale Regno delle Due Sicilie e' un fatto che benche' per lungo tempo coperto dai fumi della leggenda risorgimentale e' ormai acclarato in tutti gli ambienti accademici. Anche per cio' che riguarda l'analisi socio economica del regno ante unita' non si puo' fare a meno di dare un'occhiata alle relazioni annuali dei soprintendenti del regno nel periodo o, se proprio non si ha tempo, almeno all'annuario statistico di Correnti e Maestri, l'analisi del quale evidenzia senza il minimo dubbio una situazione ben lontana da quella descritta da molti manuali di storia chiaramente inattendibili. Persino lo schieratissimo"Storia d'Italia" riedito da Repubblica qualche tempo fa non ha potuto fare a meno di aggiungere alla versione classica le notizie circa il Regno di Napoli ormai portate alla luce da moltissimi e prestigiosi autori, soprattutto stranieri. Io stesso ho dedicato all'argomento almeno 4 libri ed essendo laureato in Economia presso l'Universita' di Perugia e in Storia e Filosofia presso l'Universita' di Bari ritenevo di aver titolo a scrivere sull'argomento in maniera seria (o perlomeno che io reputo seria) cioe' con fior di documenti e fonti attendibilissime. Se poi un redattore di wikipedia che ha il potere di impedire l'accesso ad una pagina ma che si definisce un dilettante puo'decidere autonomamente cosa e' vero e cosa no beh... scusatemi wikipedia e'veramente poco seria. Scusate ancora per l'incomodo. In ogni caso non riesco a registrarmi perche' il mio computer ha i popup disabilitati e non posso abilitarli per gravi motivi professionali, quindi metto a disposizione il mio indirizzo per chi volesse discutere con me seriamente sull'argomento evitando imbarazzanti ragazzate. Dott. Carlo Coppola, dirigente presso l'Istituto Commercio Estero di Almaty (Kazakhstan) tel. 007.9059575627 carlocoppola@inbox.ru. Saluti

Per Duroy modifica

Ho riletto con attenzione l'intera voce (le avevo dato uno sguardo sommario in precedenza) e ammetto che forse il termine 4 scemenze è stato esagerato, reputo tuttavia che vi siano alcuni errori di fondo nell'impostazione della voce che ne riducono, e di molto, la validità storica. Ne elencherò di seguito alcuni: Al momento dell'Unità, i dirigenti del nuovo stato - quasi tutti liberali d'origine settentrionale - ritennero che i problemi delle regioni meridionali, quali la scarsa produttività del latifondo, la carenza di infrastrutture, il distacco tra le città e le campagne, l'assenza di categorie imprenditoriali moderne, derivassero unicamente dal "malgoverno Borbonico" e che sarebbero stati superati con la crescita economica conseguente all'unificazione del mercato nazionale, la lotta al brigantaggio, l'imposizione dell'obbligo scolastico. Cosi' esordisce la voce, dando l'idea che al momento dell'unità il Regno delle Due Sicilie avesse già un handicap iniziale rispetto al nord, cosa assolutamente non vera. Errore 1. La struttura del latifondo meridionale ante unità era ben diversa da quella del nord o del resto d'Europa. La presenza nell'ordinamento giuridico napoletano di istituti quali l' "enfiteusi ad meliorandum" o i diritti connessi agli usi civici delle terre non infeudate ed ancora la forte presenza della chiesa quale proprietaria di vaste porzioni del territorio dava luogo ad una effettiva frammentazione della proprietà che consentiva una redistribuzione della ricchezza se non ottimale sicuramente migliore di quella di altri paesi italiani od europei. Il fatto è attestato anche da economisti filosabaudi come Carlo De Cesare ed è facilmente desumibile da fonti originali quali ad esempio il Catasto Onciario da cui si deduce che circa il 78% della ricchezza prodotta era redistribuita su più dei due terzi della popolazione già dal 1760, sotto Carlo I Borbone (fatto straordinario se si pensa che oggi nel 2007 il 65% della ricchezza nazionale è concentrata in 4 regioni). Che poi il latifondo meridionale fosse poco produttivo è tutto da dimostrare, visto che i dati dell'annuario statistico italiano (Correnti e Maestri anno 1860) ci dicono che il meridione agricolo produceva ben più del nord sia in termini assoluti che in proporzione alla popolazione. Le esportazioni agricole meridionali, insieme a quelle lombarde di seta greggia e di zolfo siciliano, costituiranno l'unica voce positiva della bilancia dei pagamenti italiana per più di cento anni. Errore 2. La carenza delle infrastrutture è un falso storico bell'e buono. Cosa si intende per infrastrtture? Strade, ferrovie e porti? Il tessuto stradario meridionale (peraltro non dissimile da quello nordico, il numero di chilometri per abitante è praticamente identica) resterà invariato dopo l'unità per più di 60 anni, fino al periodo fascista. Vero è che la particolare conformazione del territorio meridionale, spezzato longitudinalmente in due tronconi dalla dorsale appenninica, rendeva difficile la costruzione di vie di comunicazione terrestri, ma il fatto era ampiamente compensato dallo sviluppo del trasporto via mare. La marina mercantile duosiciliana era la terza d'Europa, dopo Inghilterra e Francia e prima di Spagna od Olanda, per numero di navi e tonnellaggio complessivo. I porti erano, in era borbonica, il vero motore economico dello stato ed intorno ad essi esisteva anche una borghesia attiva legata a circa 1700 compagnie di navigazione (un numero enorme). L'introduzione della tariffa doganale piemontese e l'avvento dele ferrovie sabaude, strutturate secondo la direttrice nord-sud e non secondo la direttrice est-ovest come sarebbe stato necessario, nonchè la concessione ad aziende liguri e toscane del monopolio delle esportazioni agricole, fece terra bruciata dell'intero settore, spina dorsale dell'economia napoletana. Errore 3. L'obbligo scolastico rimase sulla carta. L'istruzione pubblica in era borbonica era affidata ai comuni e alla chiesa. Il tasso di analfabetismo nel 1860 era identico fra nord e sud. La feroce politica anticlericale di Cavour e dei suoi successori sconvolsero la precedente organizzazione sociale facendo aumentare sensibilmente il numero degli analfabeti. Errore 4. Pensare all'Italia industriale pre unitaria nei termini di un nord industrializzato ed un sud agricolo è assolutamente falso. Nel 1859 l'Italia accusava un ritardo notevole nello sviluppo industriale rispetto al resto d'Europa, Genova e il suo porto era stata soppiantata da Marsiglia, Venezia scontava un profondo declino, Torino era la città assonnata e provinciale che era sempre stata e Firenze aveva dimenticato da tempo gli splendori rinascimentali. Solo Milano dava segni di una modesta ripresa economica dopo gli anni disastrosi del periodo napoleonico e post napoleonico, ripresa dovuta principalmente alle esportazioni di seta greggia e non certo ad un inesistente sviluppo industriale. L'unica, e ripeto l'unica, zona d'Italia con un certo sviluppo industriale era la zona del casertano nel meridione e in parte la Calabria. Le industrie napoletane sono cartiere, cotonifici, industrie per la lavorazione della pelle (i guanti e gli interni per carrozze ferroviarie napoletani sono richiestissimi sulle piazze europee), gli enormi cantieri navali di Pietrarsa e le fonderie di Mongiana e Ferdianadea. Certo si tratta di un sviluppo industriale ancora embrionale e sostenuto dallo Stato che adotta feroci misure protezionistiche per difendere le neonate produzioni interne dallo strapotere di Inghilterra e Francia, ma che testimonia un'attenzione al settore ed un'intelligenza politica da parte del governo Borbone che i governi sabaudi non avranno mai. Ferdinando II fece aprire le fabbriche, Cavour e i suoi le fece chiudere. Morta l'industria napoletana a seguito dei criminali interventi del governo sabaudo, la prima esile industria italiana (padana) nascerà tra mille difficoltà e comunque con i soldi dello Stato, almeno 50 anni dopo, sotto Giolitti. Errore 4. (errore parziale) La descrizione del fenomeno del cosiddetto brigantaggio è perlomeno approssimativa. Se come giustamente riportato, il governo sabaudo avrà bisogno di stanziare 120.000 soldati al sud (nemmeno La Grande Armata di Napoleone nella campagna di Russia era cosi numerosa) evidentemente il fenomeno aveva proporzioni ben più grandi di quelle riportate dai vecchi manuali di storia. Moltissimi autori hanno ricostruito analiticamente le vicende del brigantaggio sia in chiave globale sia nelle manifestazioni locali del fenomeno. Il quadro che ne esce è di una conquista violenta da parte dell'esercito sabaudo e di una resistenza altrettanto violenta da parte delle popolazioni civili. In ogni caso i cosiddetti briganti conteranno fra le proprie file non meno di 35-40.000 volontari. Certo l'estrazione sociale dei ribelli e le motivazioni che li spingono sono articolate e complesse, ma non si può negare l'anima popolare del fenomeno. Le popolazioni meridionali di essere "liberate" dai piemontesi proprio non ne volevano sapere e ne avevano ben donde...... Saluti

Comincio dicendo: sono contento, ho trovato un utente che è grafomane quasi quanto me. Forse è utile precisare che non sono stato io ad aver bloccato la voce. Non ne ho neppure il potere, non essendo amministratore. Il blocco è stato giudicato necessario - ritengo - perché un altro utente aveva iniziato a ripristinare una versione "vandalizzata" della voce, senza dare spiegazioni ed accusando l'universo mondo di appartenere alla STASI (si era anche registrato come "Stasi"). Di conseguenza, la voce è stata bloccata a tutti, me compreso.
Quanto ho scritto è lungi dall'essere perfetto, sono il primo a dirlo. Di più: è, in molte parti, poco più di un abbozzo. Non può certo essere considerata una versione con qualche pretesa di definitività (quanto alla Verità, poi...). Un qualche accenno in più alle manifatture meridionali non guasterebbe, ne convengo. Il problema è vedere se e, eventualmente, in che misura questo cambi il giudizio complessivo.
Qualche considerazione sui rilievi riportati sopra.
Errore 1. Può ben darsi che il latifondo meridionale fosse diverso da quello di altre zone d'Italia e d'Europa. Secondo me i metodi di organizzare la proprietà e la produzione agricola variavano abbastanza anche tra le diverse regioni del sud, che è tutt'altro che omogeneo, anche solo dal punto di vista orografico. Ma questo non c'entra molto. Questione a mio avviso più rilevante è un'altra: notato che per descrivere l'agricoltura meridionale si utilizzano termini come "latifondo", "enfiteusi", "usi civici delle terre non infeudate", "frammentazione della proprietà", "proprietà ecclesiastica" eccetera? Tutti concetti legati ad un'agricoltura, se non arcaica, in ritardo di almeno due secoli rispetto ad altre zone d'Europa. In molte regioni del centro nord si era da tempo affermata la grande azienda agricola, che produceva per il mercato ed aveva le risorse necessarie per investire. Come erano indirizzate al mercato le produzioni agricole meridionali (agrumi, certi vini, ecc.) che, guarda caso, non furono danneggiate dall'unificazione. Il fatto che nel 1760 circa il 78% della ricchezza prodotta fosse redistribuita su più dei due terzi della popolazione è sicuramente suggestivo, ma aggiunge poco. A parte che dal 1760 al 1860 passa un secolo (in cui molte cose possono cambiare) e a parte il fatto che il '700 borbonico a Napoli è esaltato, come esempio di dispotismo illuminato, dalla stessa storiografia a cui si attribuisce un instancabile pregiudizio filosabaudo, bisogna vedere l'ammontare della ricchezza prodotta e, di conseguenza, distribuita. Se essa fosse stata scarsa, ci sarebbero stati ben pochi motivi per stare allegri.
Errore 2: Il fatto che il sistema stradario meridionale rimase "invariato" fino al fascismo non vuole dire che fosse adeguato. Lo sviluppo della marina mercantile era caratterizzato dagli stessi problemi delle altre marinerie italiane: armatori troppo piccoli (1700 compagnie: in buona parte avevano una una sola, piccola barca). A tacer del fatto che non tutto il meridione è sul mare e assicurare per nave i trasporti sulla Sila potrebbe essere complicato, la borghesia attiva legata ai commerci fu uno dei settori della società meridionale che meno si opposero all'unificazione. Sarà un caso che proprio nelle zone dell'interno, isolate e spesso legate ad un'agricoltura di sussistenza, si manifestarono maggiormente i "fenomeni legittimisti"?
Errore 3: L'istruzione rimase legata ai comuni anche dopo l'unità. Fu un problema, perché molti comuni del sud, e anche del nord, non avevano le risorse necessarie. I tassi di analfabetismo che ho io sono diversi, e parlano di un certo divario tra nord e sud. Il pistolotto su Cavour e la sua feroce politica anticlericale (evidentemente, il conte continuava a condizionare la politica italiana anche da morto) è solo ideologico: non esistono casi al mondo in cui l'analfabetismo, nel giro di pochi anni, sia passato da livelli accettabili a vette Himalayane. Se non altro, perché chi ha imparato sul serio a leggere e a scrivere non disimpara dalla sera alla mattina, solo per fare un dispetto al governo.
Errore 4: Non ho mai scritto che nel 1859 il nord era industrializzato e il sud no. Anche il nord era arretrato nei confronti di Inghilterra, Francia, Belgio e compagnia cantando. Solo che al nord si erano avviati i meccanismi per un'industrializzazione di tipo moderno. Il governo borbonico proseguiva in un sostegno ad uno sviluppo industriale - molto limitato - con politiche di tipo settecentesco, inadeguate ai tempi. Con l'apertura del mercato nazionale e l'unificazione delle tariffe le poche industrie aperte chiusero. Non fu certo Cavour (già morto) il fattore determinante, bensì il mercato nazionale.
Errore n. 4: La Grande armata alla campagna di Russia era composta da quasi 700.000 uomini. Cifra abbastanza superiore a 120.000. Capisco che col tempo sia sia stratificata una sorta di epopea rusticana riguardo al brigantaggio, ma sarebbe meglio non esagerarne la valenza "resistenziale". Tanto più che molti briganti avevano accompagnato Garibaldi: improbabile che fossero legittimisti spinti.
Saludos. --Duroy 21:22, 5 lug 2007 (CEST)Rispondi

Finalmente....... modifica

Finalmente, caro Duroy, riesco a parlare con qualcuno....... Ammetto sinceramente di conoscere poco i meccanismi di Wikipedia, quello che ho scritto (di buono, di cattivo) era in buona fede, non intendevo commettere atti vandalici. Il fatto di avere poi grossissimi problemi di collegamenti internet (vivo in Kazakhstan ma al momento sono distaccato a Novosibirsk, in Siberia) ha fatto il resto. Certo per un relativamente vecchio studioso (ho 46 anni) confrontarsi con queste nuove forme di divulgazione storiografica importa qualche problema di confronto e adattamento, me ne rendo conto. Non per questo abbandono la partita. Accolgo con piacere gli appunti e, se consentito, ribatto (la taccia di grafomane non la ritengo un'offesa, tutt'altro, la scrittura è un grande strumento di cui, forse, ormai pochi si servono in maniera adeguata). Errore 1 (MEGLIO CHIAMARLO PUNTO DI DISCUSSIONE 1). L'esistenza nel diritto napoletano delle fattispecie descritte va ben oltre il concetto di presunta modernità o meno. Moderno e socialmente utile sono due termini distinti cui va dato il giusto peso. Certo, l'organizzazione agraria meridionale era legata ad istituti consuetudinari radicati, ma che avevano dato prova di efficienza nella loro funzione di meccanismi per la ridistribuzione della ricchezza. Ovviamente il tutto parametrato al concetto (o alla qualità) di vita dell'epoca. Quindi va stabilito se tutto quello che è nuovo (o moderno) è meglio di quello che è ritenuto vecchio, e nel caso specifico ho seri dubbi. Il concetto di proprietà piena ed assolutà (sulle scorte del diritto romano) fu reintrodotto nel Meridione italiano dopo la rivoluzione francese. Antecedentemente esistevano e persistettero fino al 1860 delle forme di proprietà (o possesso) promiscue, dove i tipici diritti reali della dottrina giuridica moderna erano scomposti in varie sottospecie (ad esempio il proprietario del fondo, di regola il feudatario o la chiesa, potevano disporre del fondo e quindi venderlo, ma non potevano scacciarne gli affittuari o gli enfiteuti, erano costretti quindi a vendere dei fondi gravati da notevoli forme di servitù), questo consentiva anche delle forme di coltivazione della terra programmatate su basi temporali molto lunghe, si devono a questi meccanismi gli immensi impianti olivicoli, dove l'olivo è un tipo di albero che richiede alcuni anni prima di diventare economico. Dopo l'unità e sparite questa forma di diritto agrario, le coltivazioni si spinsero verso le colture stagionali dando come effetto immediato l'inaridimento di molte terre. Se vogliamo fare un esempio pratico la forma di diritto agrario moderna più vicina a qulla napoletana dell'800 è quella d'impostazione sovietica anche se la cosa può sembrare assurda. Da studioso sia della storia economica del meridione sia del diritto russo e della sua storia potrei evidenziarne molte peculiarità comuni. La quantità di ricchezza prodotta poi è facilmente desumibile dallo stesso Catasto Onciario (uno strumento di misurazione economica, prodotto originalmente nel sud italiano, che dal punto di vista della validità sperimentale, a mio modesto parere, è superiore alle misurazioni economiche moderne [leggesi PIL] per ragioni che ti illustrerò in seguito). Non stiamo ovviamente parlando di ordini di grandezza parametrabili a standard moderni, stiamo parlando di sopravvivenza. Chi riusciva in Italia a fare una dote alla figlia in procinto di sposarsi, nell'800, era già una persona di un discreto livello economico. Chiarito questo, ritengo che il problema di fondo sia il modello di sviluppo che una società si prefigge di avere. Il Sud Borbone aveva un suo, ed originale, modello di sviluppo, non liberale, piuttosto dirigista, forse colbertiano, se dovessi fare un raffronto direi che il modello più assimilabile possa essere il Giappone degli stessi anni (o di quelli di poco successivi). Aveva comunque le risorse economiche per intraprendere autonomamente la strada dello sviluppo industriale con il modello che altrettanto autonomamente avesse scelto. Fu costretto allo stato di colonia (o comunque nella migliore delle ipotesi ad un modello non proprio) dalla politica cavouriana portata avanti dai suoi successori con la stessa pervicacia e con meno intelligenza, il chè aggravò il problema. Forse (e dal punto di vista storico i forse non sono rilevanti) con Cavour vivo le cose sarebbero andate diversamente, quello che era stato pensato come un modello teorico sarebbe stato adattato alle esigenze locali e non attuato come verità rivelata. Lo stesso Cavour non aveva programmato di poter avere a disposizione l'intera Italia, il suo progetto si fermava all'Italia Padana, l'unità fù un'eventualità recondita che per una serie di coincidenze fortunate si verificò e non altro. Il Piemonte non aveva l'organizzazione giudica ed economica necessaria all'amministrazione di uno Stato Nazionale di proporzioni europee. Si limitò a fare un Piemonte più grande apportando danni alle regioni acquisite di proporzioni apocalittiche. Non solo al Sud. Il Veneto e l'Emilia si riprenderanno dalla botta piemontese dopo molti decenni. In ogni caso, e ritornando al tema, che la quantità di ricchezza prodotta fosse perlomeno sufficiente alla sopravvivenza della popolazione è testimoniata, oltre che dal precitato catasto onciario, anche dall'assenza statistica di emigrazione (il vero termometro del benessere di un popolo), che arriverà da uno zero statistico a livelli biblici in pochi anni. Punto di discussione 2: Il sistema di sviluppo voluto dai Borboni (giusto o sbagliato che fosse) prevedeva la scelta del trasporto mercantile via mare piuttosto che terrestre per una serie di ragioni orografiche, economiche e di convenienza fiscale. L'Italia del sud è spezzata in due dall'appennino, fare delle strade che arrivassero ai 1500 e passa metri di alcuni passi non era proprio facilissimo. Si scelse (sensatamente a mio parere) di aggirare l'ostacolo via mare. Il meridione dispone di circa 1500 chilometri di litorali, per la stragrande parte già sede di porti attivi da 3000 anni, i meridionali sono un popolo di mare non di terra, le zone pedemontane sono scarsamente popolate. Che gli armatori fossero SOLO piccoli è tutto da dimostrare, il volume degli scambi prodotti (rilevabili dalle relazioni degli indendenti provinciali che a mio parere si fermano agli scambi ufficiali non tenendo conto delle miriade di scambi commerciali effettuati su ogni spiaggetta dove fosse possibile far attraccare un barcone ed effettuati "in nero", diremmo oggi) sono enormemente superiori a qualsiasi attività di tipo industriale sia del sud che del nord italiano del periodo. La somma complessiva del tonnellaggio duosiciliano è, come già detto, il terzo d'Europa e il quarto al mondo. Il volume di ricchezza prodotta non ha paragoni nel panorama economico italiano del tempo, nemmeno la produzione della seta greggia o dell'olio le si avvicina in maniera significativa. Hai rilevato, giustamente, che la classe borghese legata a questo mondo fu quella che fece meno resistenze all'occpazione piemontese. E' vero, sono pronipote di un armatore di Gallipoli (provincia di Lecce), proprietario non di una sola nave ma di 21 barche di medio cabotaggio (1200 tonnellate complessive) e di 1 veliero transoceanico. La tariffa doganale piemontese in primo tempo consenti' a questa gente di guadagnare di più. Non si resero conto in tempo che nel medio periodo strangolava i produttori. A patire le conseguenze delle scelte economiche dei governi Savoia furono nell'ordine: l'industria (appena nata e protetta dallo Stato si ritrovò a competere con i giganti inglesi e francesi perdendo la partita immediatamente), in seconda battuta gli esportatori meridionali, stroncati da diversi fattori quali la riduzione del credito bancario, la monopolizzazione delle esportazioni a favore di gruppi liguro-toscani legati alla Banca Nazionale degli Stati Sardi e all'asfissia economica del mondo contadino dovuto all'abolizione degli usi civici, alla requisizione delle terre demaniali e alla confisca dei beni della chiesa. Il mio bisavolo vendette gran parte delle proprie imbarcazioni ad una compagnia genovese nel 1981 e uno dei suoi 3 figli (mio nonno) per sopravvivere emigrò in america nel 1906, tornò in Italia per morirvi dopo qualche mese nel 1933. Stessa sorte per la stragrande maggioranza degli armatori gallipolini (81 nel 1856, 2 nel 1899). Caro Duroy quando parlo di Sud parlo con cognizione di causa...... In ogni caso i fenomeni leggitimisti (come tu li definisci) non sono poi tali. I fenomeni di rivolta sono legati a tutta una serie di fattori dove il leggittimismo è una componente importante ma non strutturale. Francesco II viene assurto a simbolo di uno stato di cose che viene sconvolto fin nelle fondamenta. Il modello di vita meridionale (buono o cattivo che fosse, questo è ovviamente dal punto di vista filosofico, opinabile) viene soppresso per niente in cambio. Non c'è alternativa al popolo meridionale, "brigante o emigrante" recita il detto popolare dando una verità non facilmente deducibile dai meandri della storiografia ma che forse da un'idea più veritiera della situazione complessiva. ''''Punto di discussione 3''''. L'istruzione pubblica era legata in perido borbone alla chiesa, giusto o sbagliato che fosse, data la certa impostazione filo-papista, di questo problema si occupavano in gran parte i preti. Non so quali dati tu abbia, se hai delle indicazioni da darmi dove poter attingere nuove informazioni dimmi pure, a dire il vero io ho informazioni molto dettagliate sul sud e tutto sommato vaghe sul nord. Scrivendo su quello di cui ho certezza, posso dire che nel meridione ed in periodo borbone, non era difficile acquisire un minimo di alfabetizzazione, il sapere era affare della chiesa, che lo dispensava (nelle forme che riteneva opportune certamente) gratuitamente, la storia di alcuni grandi letterati meridionali come Giovambattista Vico, figlio di un contadino-ciabattino, lo testimoniano dando esempio della facilità con cui si poteva attingere al sapere. Non era una pratica comune in quanto le famiglie ritenevano l'alfabetizzazione un "optional" rispetto al più proficuo lavoro dei campi o delle botteghe artigiane, ma questo per libera scelta e non certo per imposizione governativa. Mio suocero (scusami se imperterrito continuo con gli esempi personali), ha 72 anni e non sa leggere e scrivere come moltissimi suoi compatrioti (meridionali) del periodo, non mi risulta che le politiche per l'alfabetizzazione dello stato italiano abbiano prodotto nel sud grandi cambiamenti in 75 anni. Punto di discussione 4. Dove si sarebbero avviati questi processi di industrializzazione al nord è proprio da vedere! In Piemonte? Dove le prime locomotive delle famose ferrovie furono acquistate dagli stabilimenti napoletani (in sequenza dal 1851 al 1856 poi si preferi' acquistarle dall'inghilterra)? Nella genovese Ansaldo ancora nel 1860 molto più piccola della concorrente Pietrarsa? O da una Breda nata dalle spoglie delle calabresi Mongiana e Ferdinandea? Ma aldilà della polemica meridionalista. Dimmi caro Duroy dove sarebbero stati avviati questi processi di sviluppo industriale nel Nord Italia. All'atto dell'unità potrei dire senza tema di smentita che Genova scontava un declino irreversibile dovuto alla concorrenza marsigliese, che Venezia era ormai diventato un porto secondorio secondo le rotte internazionali, appena mitigato dal fatto di essere sede della flotta asburgica nel mediterraneo, che Firenze aveva dimenticato da tempo gli splendori rinascimentali e che Torino era la citta assonnata e provinciale che era sempre stata. Solo Milano dava segni di una certa ripresa economica e questo come già detto dovuto solo all'esportazione di seta greggia e non certo ad un inesistente sviluppo industriale. Se qualche novità in Italia c'era questa stava di casa a Napoli. L'unica zona industrializzata italiana (nel senso moderno del termine) era la cosiddetta "terra di lavoro", l'odierna provincia di Caserta e in parte la Calabria per la presenza di due grandi stabilimenti metallurgici e di tutto l'indotto ad essi collegato. Certo stiamo parlando di tessuto industriale embrionale, uno sviluppo industriale moderno è di là da venire, ma è il primo (e praticamente unico) esempio italiano. Per avere un industria italiana (padana) dopo la morte cruenta delle industrie napoletane, si dovrà aspettare una quarantina d'anni, dove sotto Giolitti e con il potente apporto delle rimesse valutarie degli emigranti (in gran parte meridionali) nascerà la prima esile ossatura del sistema industriale nazionale. Punto di discussione 5. La battuta sull'armata napoleonica era giusto una.... battuta.... non conosco effettivamente la consistenza della grand armee nella campagnia di Russia, evidentemente non si è inteso il senso della frase. Saluti--Terronevero 20:43, 9 lug 2007 (CEST)--Terronevero 20:43, 9 lug 2007 (CEST)Rispondi

Urgente modifica

Ho notato, con piacere, che la pagina è stata sbloccata. Intendo fare qualche modifica, ma prima di porre mano all'argomento vorrei poterlo sottoporre all'attenzione di tutti. E' assolutamente da modificare, a mio parere, la sezione dedicata alla situazione preunitaria in quanto sicuramente non rispondente al vero. Ho in vari commenti già affermato che la data di nascita dell'industria italiana è il 1900, non prima. Il Piemonte sabaudo non produceva nemmeno le spille da balia e altrettanto dicasi per la stragrande maggioranza delle regioni nordiche. La lombardia sola avveva avviato dei processi di tipo industriale legati alla produzione di seta greggia e a qualche cotonina meccanizzata. Non esisteva altro. Nomi che vengono spesso fatti quali l'Ansaldo o la Brera, sono abbozzi di industrie sostenuti sottobanco da poderose iniezioni di denaro pubblico che diventeranno industrie vere e proprie molti anni dopo l'unità. Lo sviluppo industriale meridionale era invece stato avviato in maniera più decisa. Il fatto è attestato da moltissimi commentatori dell'epoca e dalle stesse relazioni dei fiduciari del governo unitario nei primi anni dell'unità. Il protezionismo di cui spesso è accusato Ferdinando II Borbone, è l'unico modo per far nascere un'industria in presenza di concorrenza di nazioni che hanno già avviato da tempo il proprio processo di trasformazione economica, come all'epoca Francia ed Inghilterra. Il fatto era vero 150 anni fa come lo è oggi. Non esiste e non è esistito mai uno sviluppo industriale senza uno svezzamento di tipo protezionistico in nessun tempo e in nessuna nazione al mondo. Per capirlo basta guardare l'atteggiamento di alcune nazioni moderne come la Russia o i paesi centroasiatici che essendo in ritardo rispetto all'occidente in campo industriale adottano delle politiche doganali feroci. Un paio di scarpe italiane a Mosca costa dieci volte quanto un paio di scarpe di produzione locale. Il liberismo commerciale funziona quando i giocatori hanno le stesse armi e cioè lo stesso tasso di sviluppo, in mancanza di questo requisito è un puro veleno per il giocatore meno attrezzato. La prova provata del tutto è che 30 anni dopo l'unità lo Stato Italiano dovette rivedere la propria politica daziaria per proteggere l'industria nascente scatenando fra l'altro guerre commerciali (aperte e sottobanco) che si sono protratte fino alla seconda guerra mondiale. Il tentativo di industrializzazione meridionale nel periodo borbonico fu portato avanti secondo le tipiche caratteristiche economiche del regno: investimenti statali aperti, strumento daziario a garantire sia la produzione industriale che la calmierazione dei prezzi dei beni di prima necessità, fisco a bassissima pressione. Un modello di sviluppo lento ma sicuro. Il regno investiva in industrie i surplus provenienti dalle esportazioni agricole e dai dazi commerciali che garantivano un flusso di denaro costante e una solidità della finanza pubblica a prova di bomba testimoniata dalle quotazioni dei titoli di stato napoletani sulle piazze internazionali (quotati nel 1859 intorno al 103% del valore nominale mentre i titoli Piemontesi scesero in alcune circostanze fino al 50% del valore nominale e oltre). Se la comunità mi aiuta posso mettere online copia di tutta la documentazione in mio possesso (trattasi di documenti originali dell'epoca, di articoli di giornale italiani ed europei di relazioni dei sovrintendenti provinciali, di copie di atti privati e pubblici, della traduzione giurata di alcuni documenti bancari stranieri riguardanti il mercato dei titoli italiani e molto altro). La tesi filorisorgimentalista, benchè propalata per un secolo e mezzo e instillata nelle menti di tutti, meridionali compresi, è priva di fondamento storico. Comprendo che in una enciclopedia, sebbene virtuale come Wikipedia, sia difficile proporre tesi giudicate dalla maggioranza partigiane ma questo non importa la non validità delle stesse tesi supportate come sono da fatti e documenti inoppugnabili dal punto di vista storico. Inoltre mi permetto di rispondere a chi mi ha accusato di pensare alla storia come vorrei che fosse e non per come è in realtà. Ho speso circa 25 anni della mia vita in ricerche storiche. Si badi bene, storia e storiografia sono due cose diverse. Se io dico che Garibadi parti' da Quarto per la Sicilia con un piccolo esercito di mille uomini faccio storia, se dico che lo fece per liberare l'Italia del sud dal giogo Borbone faccio storiografia, propongo, cioè, una interpretazione personale di un fatto. Io mi sforzo di rimanere nell'ambito della storia documentabile, checchò ne si dica. Probabilmente trattasi di una storia che non rientra nei parametri mentali di molti, ma non per questo è meno storia. Vi prego di rispondermi a breve. Saluti

--Terronevero 20:40, 9 lug 2007 (CEST)== Ancora un appunto ==Rispondi

A chi ha contestato l'affermazione su Palermo citando Bisanzio e Basilio II, rispondo che è vero che nel 1025 l'Impero Bizantino conosce uno dei suoi momenti di massima espansione ma che nel periodo appena successivo si contrae sia dal punto di vista territoriale che dal punto di vista dell'influenza politica. Bisanzio è stata una grande capitale per secoli, ma agli albori del nuovo millenio sta già crollando sotto il peso delle guerre fratricide, delle pressioni arabe da est e da sud e quelle slave da nord (nonostante le vittoriose guerre contro i bulgari). Le crociate indicano senza ombra di dubbio la debolezza di un impero che è costretto a far passare sui propri domini eserciti di ogni nazionalità. Volente o nolente. La Palermo arabo-normanna conta più di 300.000 abitanti, diventa la culla della cultura neoeuropea, nei decenni seuccessivi darà vita a fenomeni culturali di spessore mondiale in tutti i campi del sapere. Se si hanno dubbi in proposito è facile rispolverare i libri del liceo e rileggere qualche pagina del Pretarca che nel '300 scrive della Palermo del '100. Nel periodo Londra è un villaggio di pirati e Parigi è ancora agli albori, la stessa Roma non conta più di 20-30.000 abitanti. Ma dove vi informate di storia? Sui cartoni in TV?--Terronevero 20:40, 9 lug 2007 (CEST)Rispondi

Ulteriore appunto modifica

In questa pagina di discussione ho visto affermare che sarebbe necessario, per poter valutare la veridicità di alcune informazioni circa la presunta ricchezza del meridione ante unità, il PIL (prodotto interno lordo) dell'epoca. Non ho mai sentito una simile scempiaggine, scusatemi se il termine è crudo. Fare una simile affermazione vuol dire non sapere nemmeno in che cosa consista il cosiddetto PIL e come viene costruito. Senza voler fare una lezione di economia in questa sede cosi' poco opportuna, mi limiterò a dire che questo sistema di misura viene comunemente usato da non più di una ventina d'anni (antecedentemente si usava il PNL, cioè prodotto nazionale lordo, che aveva modalità di calcolo del tutto diverse), che molti economisti (e scuole di pensiero economico) ne contestano violentemente la validità scientifica, che una nazione con un PIL elevato non sempre è una nazione dove la qualità della vita è elevata, per fare qualche esempio più spicciolo se mia moglie tampona una macchina al semaforo il PIL aumenta, se una scossa di terremoto fa crollare mezza Italia il PIL aumenta di tanto, questo per restare all'oggi. Per quello che riguarda un secolo e mezzo fa questo sistema di misurazione non serve assolutamente a niente per tutta una serie di motivi tecnici (non ultimo il fatto che oggi il danaro produce ricchezza di per se stesso, cioè è carta che produce altra carta, le transazioni economiche riguardardanti il mero denaro sono circa l'85% del totale di tutte le transazioni economiche su scala italiana e mondiale, che c'entra il Regno di Napoli e quello di Piemonte o di Sardegna che dir si voglia?). Fatemi il santo piacere di parlare di quello che sapete di certo, (ribaltandovi un commento fatto nei miei confronti e poi basta litigare) e non di sparare incredibili schiocchezze. Per ritornare al dunque l'unico sistema di misurazione della ricchezza di uno Stato o del benessere di un popolo nel periodo in questione è di valutarne i fattori di produzione secondo i seguenti parametri: 1. La produzione agricola, differenziando poi (per quello che è possibile con le informazioni a disposizione) la quantità di produzione diretta al consumo interno e quella diretta all'esportazione. 2. I surplus commerciali, cioè la differenza tra le merci acquistate e quelle vendute. Per quel che riguarda il Sud fanno fede, spesso, i registi portuali, dove la stragrande parte degli scambi commerciali avveniva via mare. 3. Gli introiti fiscali dello Stato e il suo disavanzo (o avanzo) di bilancio. Ho già letto nella discussione il riferimento a paesi pesantemente indebitati che hanno tassi di sviluppo altissimi come gli Stati Uniti, ma questo riferimento è del tutto inopportuno riferito all'Italia del periodo (ed anche agli Stati Uniti del periodo). Il meccanismo di indebitamento bancario odierno poggia sulla possibilità di emettere denaro cartaceo o virtuale (cioè a costo zero), all'epoca la circolazione monetaria internazionale era legata all'oro ed all'argento coniati, le banconote erano ai margini della circolazione monetaria. Un raffronto tra le moderne tecniche economiche e le consuetudini dell'epoca è impossibile. Nel 1860 uno Stato indebitato (leggesi Piemonte) era solo uno Stato indebitato. E basta. 4. I meccanismi di ripartizione della ricchezza prodotta, criterio valido 150 anni fa come oggi. Se diciamo che oggi l'Italia è la sesta potenza economica del mondo (forse la settima, ma insomma siamo li....) diciamo, lira più o lira meno, la verità. Se diciamo che la ricchezza prodotta in Italia oggi sia equamente ripartita diciamo una scemenza. Il 65% della ricchezza è concentrata in solo 5 regioni su 21, il 25% nella sola Lombardia. Vuol dire che il reddito medio annuo di un lombardo è enormemente superiore a quello di un calabrese. Il termine stesso "Questione Meridonale" rappresenta la sintesi di questa situazione. Come che sia la sperequazione è enorme ed evidente e per di più presente nella stessa Lombardia. Il metalmeccanico monoreddito dell'interland milanese probabilmente vive peggio di molti calabresi che possono contare su meccanismi locali di ripartizione della ricchezza che alleviano in qualche modo il suo stato di indigente. Ulteriore dimostrazione che il totale della ricchezza prodotta dice poco tutto sommato. In ogni caso la ricchezza (o la meno povertà) al sud era indubbiamente superiore al nord, sia in valore assoluto che per la qualità della redistribuzione. Ho già prodotto le tabelle di produzione relative al periodo (tratte dall'annuario staitistico di Correnti e Maestri edizione del 1859-61, corretta e adottata dallo Stato Italiano come ufficiale nel 1862) dove si evince la superiorità produttiva del sud rispetto al nord sia nel settore agricolo che nel settore dell'allevamento. Per quello che riguarda la produzione industiale i dati sono molto confusi e difficili da analizzare, ma se valutiamo con ponderazione il fatto che la produzione industriale italiana (complessiva) del periodo, salvo qualche rarissima eccezione e di marca meridionale, non è nemmeno lontanamente sufficiente a coprire la domanda interna, ci rendiamo conto che i numeri relativi all'industria sono poco rilevanti per valutare la qualità della vita del nord o del sud italiano. L'industria rappresentava un investimento necessario ma pesante (che i Borbone affrontarono con prudenza e Cavour con un approccio a dir poco disinvolto). Stiamo parlando di un mondo contadino signori miei, dove il possesso di un maiale rappresentava già un certo grado di benessere, dove portare la pagnotta a casa tutti giorni rappresentava un successo professionale sia per il contadino della Bassa Padana che per quello del Tavoliere delle Puglie. Diciamo che, volendo proprio andare nello spicciolo, per il contadino pugliese la cosa presentava con ogni probabilità qualche difficoltà in meno. Tutto qui.

Rientrato su wiki dopo qualche giorno. Lo ammetto: ho trovato qualcuno che senza dubbio mi supera in tema di lunghezza delle risposte. Ho perso la corona (come Francesc... ehm, meglio di no).
Forse risponderò, se e quando ne avrò il tempo, alle considerazioni dell'amico Terronevero. Le ho lette solo in maniera affrettata, è vero, ma non mi sembra si esca dallo schema "è bianco - no, è nero". Citare quattro impianti industriali realizzati dai Borboni, ad esempio, non vuole dire dimostrare che il sud era avviato ad un'industrializzazione di tipo giapponese.
Questa volta sono stato stringato, come si vede...--Duroy 20:09, 13 lug 2007 (CEST)Rispondi

Nuova sezione modifica

Ancora all'amico Duroy modifica

Anch'io torno su wikipedia dopo diverso tempo. Rispondo all'amico Duroy chiedendo di leggere attentamente il messaggio precedente. Non si tratta affatto di bianco e nero e le "quattro fabriche" rappresentavano un po' piu'che un'inezia. Stiamo parlando, e lo ribadisco ancora una volta, di sistemi industriali allo stato embrionale, fare paragoni con l'industria in senso moderno non ha assolutamente senso. Il paragone con il Giappone e' tutt'altro che inappropriato, e mi riferivo ad un modello politico economico piu'che ad altro, inoltre lo sviluppo industriale giapponese e' da riferirsi ad un periodo piu' tardo. Chi scrive ha una laurea in economia ed un'altra in storia e filosofia e fa parte del corpo diplomatico dello Stato e ha una notevolissima conoscenza dei paesi asiatici (vivo in Asia da quasi 10 anni, parlo e scrivo in russo e kazhako e ho una discreta conoscenza del cinese e del giapponese). Le discussioni accademiche che si stanno avviando in questi ultimi tempi stanno finalmente facendo luce e portando all'attenzione di tutti il problema storico legato al meridione d'Italia. La verita' sta venendo a galla piano piano. Credo e spero che anche questa discussione non avra' motivo d'essere in breve tempo. Circa la mia prolissita' cosa vuoi che ti dica? Faccio lo scrittore oltre che il diplomatico, ho almeno una ventina di pubblicazioni alle spalle (qualcuna ritenuta di un certo pregio dalla critica), le mani vanno da sole e probabilmente qualcosa da dire l'ho. Saluti


Per quel che ho capito di mr. Duroy, le sue intenzioni non sono 'tanto limpide'. Già visto nelle voci tipo Attentati dell'11 settembre. Lui ha un debole evidente per la storia scritta dai vincitori, e sopratutto dai padroni. Non c'é realmente modo di ragionare con un tipo del genere, anche se gli sciorini dozzine di dati e studi approfonditi. Già il semplice fatto che la marina dell'Italia unitaria venne costruita praticamente a Castellammare di Stabia, e che il primo altoforno di Terni AFAIK veniva da Napoli dà un'idea di come sia ridicolo affermare che il sud Italia era un paese povero, arretrato e ansioso di liberarsi dai Borboni (a meno di non confondere i moti rivoluzionari siciliani con tutto il meridione..). Duroy agisce così e continuerà a farlo: parlare con lui, a mio avviso, non serve a molto vista la sua manifesta malafede. Se fa delle affermazioni iper-tendenziose nell'articolo si roll-backano. Ahi voglia a spiegargli le cose, tanto non sente da quell'orecchio lì. --Stefanomencarelli 23:41, 23 set 2007 (CEST)Rispondi

Visto che sono anch'io assente spesso, non ho avuto occasione di rispondere a quanto è stato scritto sopra. Mi rallegro per la carriera diplomatica ed accademica del primo dei miei contraddittori (si vede che il "sistema" non lo penalizza più di tanto per le sue idee "fuori dal coro"). Concordo anch'io che si parla di sistemi industriali allo stato embrionale, ma rimango della mia idea: nel meridione esistevano esperienze industriali anche importanti (sapevo che Pietrarsa fosse uno stabilimento per la costruzione di materiale ferroviario, non un cantiere navale, ma questa è un'altra storia), ma ciò non significa automaticamente che il meridione fosse avviato verso un'economia di tipo moderno. Soprattutto, questo non significa che fosse molto più ricco rispetto al nord, dove pure esistevano altre "esperienze industriali".
Quanto a Mencarelli, lascio cadere le accuse che lancia nei miei confronti (servo dei padroni, fazioso e via continuando). Mi limito ad osservare con piacere che il suo intervento smentisce - in parte -quanto ripetutamente affermato. Siete pronti? Via. I malvagi padroni unitari vogliono affamare il sud, a vantaggio di quegli sporchi capitalisti di piemontesi, emiliani, veneti e toscani. Dove costruiscono la flotta unitaria? A Castellammare di Stabia (che, notoriamente, si trova tra Recco e Camogli), assumendo mestranze locali. Vogliono costruire un'industria sideurgica a Terni, per fare le navi da guerra? E dove vanno a prendere il primo altoforno? A Napoli, dove avevano in precedenza fatto tabula rasa di ogni "esperienza industriale", a vantaggio esclusivo delle seterie comasche. --Duroy 10:09, 30 ott 2007 (CET)Rispondi

inaudito! modifica

premetto che forse verrò bersagliato di insulti. Fatelo pure, ormai ci ho fatto l'abitudine. Però nel frattempo vorrei sapere su quali elementi si basa l'affermazione (che io ho cancellato, ma che qualcuno ha prontamente reinserito) che si legge alla sezione Razzismo. Cito:

«Si diffuse il termine dispregiativo “terroni” per designarli, e fu creato il partito politico Lega Nord - Lega Lombarda allo scopo di combatterli ed espellerli.»

La prima parte dell'affermazione è purtroppo vera e non sto qui a discutere sul fatto che dove vivo io ci siano stati (e talvolta ci sono tuttora) episodi di razzismo nei confronti dei meridionali. Però da qui a dire che la Lega Nord sia nata appositamente per combattere ed espellere i meridionali emigrati al nord mi sembra un grave episodio di ignoranza perché non corrisponde al vero (ed è palese violazione del NPOV previsto dalle regole di wikipedia, ma questo è un dettaglio). Ho tentato di eliminare questo riferimento ma le mie modifiche sono state prontamente annullate. Mi aspetto risposte, spero che contengano meno insulti possibile.--Grasso83 14:04, 14 set 2007 (CEST)Rispondi

Quoto quanto scritto da Grasso83. Penso che non ci sia neppure tanto da discutere: quell'affermazione sulla LN è semplicemente falsa: espellere i meridionali dal nord (una proposta hitleriana) non ha mai fatto parte del programma politico della LN, che tra l'altro viene qui confusa con la Lega Lombarda che ne è solo una componente. --Checco 19:02, 14 set 2007 (CEST)Rispondi

Ho provveduto modifica

Ho provveduto a modificare e correggere l'intera voce. Ho risparmiato l'impianto del redattore limitandomi a correggere in maniera sistematica solo la parte introduttiva. Ho provveduto inoltre a cancellare il capitolo Razzismo dalla voce. Era assolutamente indecente. Terronevero

Sono d'accordo sull'eliminazione del paragrafo sul razzismo. Il resto dell'impostazione mi va abbastanza bene. Ho eliminato parti in cui si afferma che una tesi è "al di là di ogni ragionevole dubbio" migliore di quella contraria. Ho anche tolto affermazioni estemporanee e informazioni sbagliate (lo Statuto albertino era stato redatto prima dell'Unità, e in italiano). Con più tempo, controllerò meglio anche il resto. A presto --Duroy 10:44, 30 ott 2007 (CET)Rispondi

Temo che una tesi contraria ormai non ci sia piu'. Nessuno, e dico nessuno, in ambito accademico sostiene la tesi risorgimentalista cosi come proposta nell'ultimo secolo e mezzo (e sostenuta dall'amico Duroy). Il dibattito e' accesso, e' vero, ma su questioni piuttosto tecniche che di contenuti. Che l'unita' italiana sia stata un'annessione forzata e violenta, che il brigantaggio sia stata in realta' una guerra civile cruentissima e che il meridione fosse partito ben prima del nord sulla via dello sviluppo industriale sono fatto oramai acclarati ed incontestabili. Che poi dette tesi debbano essere metabolizzate anche nei libri scolastici dei primi cicli (scuola elementare e media per intenderci) questo e' altra cosa. Ma gia' in ambiente universitario, qualsiasi specialista dell'argomento non si permetterebbe mai di contestare queste notizie. Gli autori che le riportano sono tanti e tali e in molti casi cosi'al di sopra delle parti (vedi scuola inglese) che questa discussione su wikipedia non ci dovrebbe nemmeno essere. Le notizie che attingi su internet molto spesso sono copiate pedissequamente da altri siti inesatti e poco informati. Una ricerca storica si fonda su ben altri e solidi argomenti e ricerche che non la mera rete, utile ma non non sufficiente. Lo Statuto Albertino fu redatto in francese, adottato dall'Italia unita e tradotto in italiano solo nel 1866. A proposito dell'intervento precedente dove si parla di Pietrarsa l'amico Duroy dovrebbe sapere che le stesse caldaie che attrezzavano le locomotive napoletane ne attrezzavano anche i piroscafi, e che se si facesse un giretto dalle parti di Napoli a visitare il museo di Pietrarsa potrebbe magari schiarirsi le idee a proposito del tutto e liberarsi dai fumi che gli annebbiano il cervello. Piuttosto che controllare studia Duroy, studia. Ringrazio per i complimenti per la carriera. Posso dire che di fastidi ne ho avuti veramente tanto per le mie idee "fuori dal coro". Per mia fortuna il coro non c'e' quasi piu' ringraziando il cielo, c'e' solo qualche voce isolata (e stonata) quale la tua. Ciao

Mai messo in dubbio che il brigantaggio si possa considerare una guerra civile. Che nel meridione si siano impiantate industrie nemmeno. Sul fatto che il meridione fosse "molto più avanti" avrei qualche dubbio in più. Nel Regno di Sardegna il francese era la lingua della Corte, può darsi che lo Statuto sia stato redatto prima in francese e poi tradotto in italiano. Anche Cavour scriveva in francese. Che cambia? --Duroy 15:49, 3 nov 2007 (CET)Rispondi
Ho capito l'allusione sui dati presi da internet. Sono quelli dei plebisciti! A parte il fatto che il sito in questione non mi pare abbia una grande simpatia per Savoia e connessi, se qualcuno ha dati migliori, è liberissimo di inserirli. --Duroy 16:01, 3 nov 2007 (CET)Rispondi

Anche fra i meridionalisti esistono gli idioti cosa credi? Molte volte nella foga di voler portare avanti le proprie tesi si dicono delle grandi scemenze, senza alcun criterio storico e attingendo appunto a fonti di quarta o quinta mano e ampiamente rimaneggiate. I dati di affluenza alle urne ufficiali furono falsificati in maniera vergognosa. La verita' sui fatti e' invece esposta in maniera chiarissima dai commentatori e dai giornali dell'epoca e persino negli atti del parlamento inglese (consultabili via internet) sono presenti citazioni al proposito. Non riesco a capire perche' continui a cancellare la frase "le tesi meridionaliste...... al di la' di ogni ragionevole dubbio". Quale accidenti di malattia mentale di impedisce di informarti accuratamente su quali esse siano (potresti leggere qualcuno dei libri in bibliografia ad esempio) ed evitare di sconvolgere il testo eliminando parti, a mio parere, importanti. Quell'"aldila' di ogni ragionevole dubbio" dovrebbe convincere i dubbiosi almeno ad informarsi. Perche' continui a fare modifiche utilizzando come fonti materiale che uno storico appena decente non si degnerebbe nemmeno di leggere e non ti fai una bella (e scientifica) ricerca se proprio hai voglia di scrivere su questo argomento? Capisco che magari scrivere su wikipedia e' per te occasione di svago, ma ricorda che per uno studioso la faccenda e' un pochettino piu' seria. Per un patriota (nel senso meridionalistico del termine) alcune affermazioni sono cosi' offensive quanto non ti immagini nemmeno. Se hai voglia, se non sei solo un buffone mitomane ed hai una seria voglia di una scientifica ricerca sull'argomento posso anche aiutarti dandoti tutte le indicazioni necessarie per trovare le fonti dove attingere (intendo fonti in senso storico cioe' documenti originali, testimonianze dei contemporanei e non siti internet). Puoi mandare un messaggio vuoto a carlocoppola@codest.kz ti rispondero' dandoti tutte le indicazioni necessarie. Ma per favore smettila di scrivere e di "correggere" quasi tu fossi giudice su questo argomento cosi' importante per milioni di persone che ancora subiscono le conseguenze di quello che fu l'unita' italiana e che tu conosci cosi' poco e male. Grazie

  • Attenzione. Espressioni come "Quale accidenti di malattia mentale di impedisce di informarti accuratamente" o "Se hai voglia, se non sei solo un buffone mitomane ed hai una seria voglia di una scientifica ricerca" - a prescindere dall'oggetto del contendere e dalla fondatezza misurabile o meno delle tesi in discussione - non sono accettabili, in quanto qui si commenta il contenuto della voce e non gli autori. Spero di essere stato chiaro e di non doverci tornare su. Per il resto, buon lavoro. --Piero Montesacro 14:52, 8 nov 2007 (CET)Rispondi

enzo da napoli modifica

vorrei dire ad emmauerre e a terrone vero (lo sono anchio e orgogliso di esserlo ) grazie. Grazie poichè pensavo che le cose scritte sui libri di storia quando avevo 13 anni corrispondessero a verità. avete risvegliato una coscienza grazie ancora

Mi rallegro per il ridestarsi della coscienza di Enzo da Napoli. Ognuno è naturalmente libero di raffigurarsi la Storia come meglio crede, elaborare regni di Saturno infranti dai piani malvagi di potenze oscure. Mi rendo anche conto che certe analisi storiche, per cui tutta la ragione era da una parte sola, "fanno presa" molto più di posizioni più articolate, in quanto sono immediatamente spendibili nella polemica politica o regionalistica. --Duroy 12:21, 28 nov 2007 (CET)Rispondi

Non pensare che una persona segue un altra solo per spirito regionale.La gente si informa studia e poi tira le proprie conclusioni buffone

Infatti. Il problema è cosa studia e come lo studia. --Duroy 16:55, 2 dic 2007 (CET) -Gia, e di come te lo impongono.Rispondi

Enzo, la prossima volta che vuoi indirizzarmi un altro dei tuoi commenti, fallo nella mia pagina di discussione. Quando hai cliccato sul mio nome in rosso, ti appare un Modifica di Utente:Duroy. Lì non scrivere niente. Clicca su "discussione" in alto, si apre la mia pagina di discussioni, quindi clicchi sul + a lato di "modifica", inserisci un titolo (possibilmente non costituito da insulti) e inserisci il testo (idem) nel campo bianco sottostante. Hola --Duroy 19:42, 4 dic 2007 (CET)Rispondi

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