L'argine

film del 1938 diretto da Corrado D'Errico

L'argine è un film del 1938 diretto da Corrado D'Errico.

L'argine
Luisa Ferida e Gino Cervi in una foto di scena del film
Paese di produzioneItalia
Anno1938
Durata85 min
Dati tecniciB/N
Generedrammatico
RegiaCorrado D'Errico
SoggettoRino Alessi
SceneggiaturaEttore Maria Margadonna, Giacinto Solito
Casa di produzioneScalera Film / Consorzio Adriatico
Distribuzione in italianoScalera Film
FotografiaVáclav Vích
MontaggioGiacinto Solito
MusicheFrancesco Balilla Pratella, dirette da Ugo Giacomozzi
ScenografiaSalvo D'Angelo, Carlo Enrico Rava
Interpreti e personaggi
Doppiatori originali

Zvanì è un umile traghettatore che vive nella campagna ravennate. Una notte dà ospitalità a una bella sconosciuta rimasta bloccata per un incidente d'auto e se ne innamora. Sicuro di poterla rintracciare, lascia la sua terra, la sua famiglia e la fidanzata e va a Roma. Grazie ad un suo compaesano che ha fatto fortuna in America e gestisce il Cigno Nero, un lussuoso ristorante, trova lavoro come fisarmonicista, ma la fidanzata, con la complicità del titolare del locale, riesce a convincere Zvanì a lasciar perdere la sconosciuta, per la quale era solo un capriccio, a tornare a casa e a farsi sposare.[1]

Produzione

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Poche scene furono girate in esterni (circa 15 minuti), fra Sant'Alberto e la pineta intorno a San Vitale. Il resto della pellicola fu girato negli studi cinematografici della Titanus alla Farnesina. Oltre al commento musicale, il maestro Balilla Pratella creò appositamente dei canti dialettali per la parte "romagnola". Le canzoni della parte "romana" invece furono composte da Amedeo Escobar e eseguite dal Trio Lescano.[2]

Accoglienza

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La pellicola, nelle intenzioni del regista e della produzione, doveva essere un melodramma strappalacrime, un film popolare e regionale, sull'esempio dei film girati a Napoli. Il tentativo fu fallimentare, giacché nella storia vengono usati i più vieti luoghi comuni per caratterizzare un romagnolo: cacciatore incallito con stivali, casacca di velluto e doppietta, accanito bevitore di sangiovese, donnaiolo impenitente, sempre pronto a cantare in coro canti popolari o a suonare il liscio alla fisarmonica. Ancor più improbabile risulta l'ambientazione romana nella seconda parte del film, con il Cigno Nero, ristorante di lusso esageratamente sfarzoso negli arredi in stile hollywoodiano. Non c'è traccia di recensione positiva nella stampa dell'epoca; il film infatti incassò meno di quanto speso per realizzarlo.[3]

  1. ^ Pino Farinotti, Dizionario di tutti i film, Garzanti, Milano, 2002, p. 135. ISBN 9788811505037
  2. ^ Francesco Savio, Ma l'amore no, Sonzogno, Milano, 1975, pp. 26-27
  3. ^ Gianfranco Casadio, Il cinema a Ravenna, Longo Editore, 1992, pp. 67-69

Bibliografia

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  • La città del cinema, AA.VV. Napoleone editore Roma 1979

Collegamenti esterni

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