Monte Zingla

montagna italiana

Il Monte Zingla, detto comunemente Singla, Zingola[1] o Montrì, è una montagna imponente delle Prealpi Bresciane e Gardesane alta 1.497 m.l.m. Situato nella "Foresta Regionale Gardesana Occidentale" di fronte al monte Spino, tra la Valle Sabbia e il lago di Garda, separa il territorio comunale di Vobarno con quello di Gargnano e sovrasta la Valle di Vesta e la Valle della Degagna.

Monte Zingla
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione  Lombardia
Provincia  Brescia
Altezza1 497 m s.l.m.
CatenaAlpi
Coordinate45°42′13.03″N 10°32′18.38″E / 45.70362°N 10.53844°E45.70362; 10.53844
Altri nomi e significatiSingla, Montrì, Zingola
Data prima ascensione1906
Autore/i prima ascensioneFrancesco Coppellotti e Paolino Tonelli
Mappa di localizzazione
Mappa di localizzazione: Italia
Monte Zingla
Monte Zingla
Mappa di localizzazione: Alpi
Monte Zingla
Dati SOIUSA
Grande ParteAlpi Orientali
Grande SettoreAlpi Sud-orientali
SezionePrealpi Bresciane e Gardesane
SottosezionePrealpi Gardesane
SupergruppoPrealpi Gardesane Sud-occidentali
GruppoPizzocolo-Zingla-monte Manos
SottogruppoManos-Zingla
CodiceII/C-30.II-B.5.a

Geografia fisica modifica

Fa parte del gruppo del Tombea-Manos ed è raggiungibile sia dall'abitato di Vobarno oppure dal Cavallino della Fobbia di Capovalle. Geologicamente la montagna poggia su un substrato di Dolomia, con isole a formazione calcarea. Scrive Fausto Camerini: "La montagna, ben visibile dalle colline della Valtenesi, è punto di confine del Parco Alto Garda Bresciano. Si tratta di due cime: la SE 1496 m, la più alta, e la NW 1491 m, unite da una cresta erbosa (piccola madonnina all'interno d'una nicchia) intervallata da alcune roccette. Dalla cima W la dorsale scende a NW formando Cima Moltrino 1393 m per poi deviare ad W dove sorge il Cornone 1179 m. Dalla cima più elevata una bancata di rocce scende a S mentre la cresta continua a SW formando le elevazioni di Punta Basacul 1277 m, Dosso di Mezzo 1162 m e Cima Zolver 996 m. Italianizzato in Monte Zingola nella carta topografica della Provincia di Brescia del 1826, il nome identifica, nel dialetto locale, un evidente e complesso monte roccioso. Poco appariscente da N, è invece particolarmente suggestivo il suo fianco W che scende verso V. Degagna come fosse una gigantesca scala con migliaia di gradini rocciosi affioranti dai ripidi pendii erbosi. Il panorama che s'ammira dalla cima è vastissimo e abbraccia oltre ai vicini Monti del Garda e i Laghi di Garda e Valvestino, il massiccio dell'Adamello e della Presanella, il Monte Rosa, la pianura e gli Appennini. Sicuramente salita nell'antichità da cacciatori. 1ª asc. nota: Francesco "Nino" Coppellotti e Paolino Tonelli dal Prato della Noce e discesa a Eno, il 14 gennaio 1906 (RM 1906,125 e Acb)"[2]. Dal punto di vista della vegetazione la montagna è ammantata da una densissima formazione forestale che da molti decenni è stata lasciata al suo libero sviluppo, composta dalle specie più tipiche della fascia prealpina. Lungo i versanti esposti a nord, a bassa quota, e negli impluvi, prevalgono l’Acero campestre e l’Acero montano, il Frassino maggiore ed il Tiglio; man mano che ci si avvicina al crinale prevalgono invece le specie tipiche della faggeta, con Faggio, Pino silvestre e Carpino nero. Al contrario, il versante esposto a sud, più soleggiato ed arido, è rappresentato per la gran parte da boschi di Carpino nero, Orniello, Roverella, spesso in formazioni miste con Pino silvestre. Floristicamente la zona è caratterizzata dalla presenza di diverse rarità ed endemismi quali: il Giglio dorato (Hemerocallis lilio-asphodelus), la Scabiosa vestina, l’Athamantha vestina e l’Euphrasia vestinensis. Anche la fauna che popola la Valle di Vesta è ricca e differenziata. Tra la fauna maggiore si annoverano specie quali il Cervo, il Capriolo, ed il Camoscio; sono, inoltre, presenti il Gallo cedrone ed il Gallo forcello, il Francolino di monte ed il Gufo reale, nonché una coppia di Aquila reale nidificante; tra la fauna invertebrata, invece, è interessante la presenza di un piccolo coleottero troglobio, Boldoria vestae, endemico delle Val vestino e Valle Sabbia.

Origine del nome modifica

Il toponimo deriverebbe, secondo alcuni, dal latino "cingulum" che significa cintura o cingolo e identificherebbe così una striscia di terra che contorna una rupe o una cengia o ancora un ripiano erboso fra i dirupi. Dello stesso significato sono il monte Cingla a Valvestino, il monte Cingolo Rosso, Cima Cingla in Val di Ledro alta 1655 m. e La Cingla nel comune di Caderzone Terme nel Parco dell'Adamello-Brenta sempre nel Trentino sud occidentale. Secondo Donato Fossati il monte è chiamato pure Montrì, da "mons trinum", monte a tre punte o vette, come è di fatto[3].

Natura modifica

La pratica delle carbonaie modifica

Sui pendii orientali del monte, di pertinenza del comune di Gargnano, sono presenti numerose e antiche aie carbonili simbolo di una professione ormai scomparsa da decenni. Quella della carbonaia, pojat in dialetto locale, era una tecnica molto usata in passato in gran parte del territorio alpino, subalpino e appenninico, per trasformare la legna, preferibilmente di faggio, ma anche di abete, carpino, larice, frassino, castagno, cerro, pino e pino mugo, in carbone vegetale. I gargnanesi e i valvestinesi erano considerati degli esperti carbonai, carbonèr così venivano chiamati, come risulta anche dagli scritti di Cesare Battisti[4][5]. I primi documenti relativi a questa professione risalgono al XVII secolo, quando uomini di Val Vestino richiedevano alle autorità della Serenissima i permessi sanitari per potersi recare a Firenze e a Venezia. Essi esercitarono il loro lavoro non solo in Italia ma anche nei territori dell'ex impero austro-ungarico, in special modo in Bosnia Erzegovina, e negli Stati Uniti d'America di fine Ottocento a Syracuse-Solvay[6]. Nonostante questa tecnica abbia subito piccoli cambiamenti nel corso dei secoli, la carbonaia ha sempre mantenuto una forma di montagnola conica, formata da un camino centrale e altri cunicoli di sfogo laterali, usati con lo scopo di regolare il tiraggio dell'aria. Il procedimento di produzione del carbone sfrutta una combustione imperfetta del legno, che avviene in condizioni di scarsa ossigenazione per 13 o 14 giorni[7]. Queste piccole aie, dette localmente ajal, jal o gial, erano disseminate nei boschi a distanze abbastanza regolari e collegate da fitte reti di sentieri. Dovevano trovarsi lontane da correnti d'aria ed essere costituite da un terreno sabbioso e permeabile. Molto spesso, visto il terreno scosceso dei boschi, erano sostenute da muri a secco in pietra e nei pressi il carbonaio vi costruiva una capanna di legno per riparo a sé e alla famiglia. In queste piazzole si ritrovano ancor oggi dei piccoli pezzi di legna ancora carbonizzata. Esse venivano ripulite accuratamente durante la preparazione del legname[8]. A cottura ultimata si iniziava la fase della scarbonizzazione che richiedeva 1-2 giorni di lavoro. Per prima cosa si doveva raffreddare il carbone con numerose palate di terra. Si procedeva quindi all'estrazione spegnendo con l'acqua eventuali braci rimaste accese. La qualità del carbone ottenuto variava a seconda della bravura ed esperienza del carbonaio, ma anche dal legname usato. Il carbone di ottima qualità doveva "cantare bene", cioè fare un bel rumore. Infine il carbone, quando era ben raffreddato, veniva insaccato e trasportato dai mulattieri verso la Riviera del Garda per essere venduto ai committenti. Di questo carbone si faceva uso sia domestico che industriale e la pratica cadde in disuso in Valle poco dopo la seconda guerra mondiale soppiantato dall'uso dell'energia elettrica, del gasolio e suoi derivati[9].

Bibliografia modifica

  • Fausto Camerini, Prealpi bresciane, 2004.
  • D. Fossati, Benacum. Storia di Toscolano, Ateneo di Salò, 1941, rist.2001.
  • Amato Amati, Dizionario corografico dell'Italia, volume 3, 1875.
  • Vito Zeni, La Valle di Vestino. Appunti di storia locale, Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia, luglio 1993.
  • Ottone Brentari, Guida del Trentino, pubblicato da Premiato stabil. tipogr. Sante Pozzato, 1902.
  • John Ball, Alpine Guide, 1866.
  • Paolo Guerrini, Memorie storiche della diocesi di Brescia, pubblicato da Edizioni del Moretto, 1986.
  • Giovanni Feo, Prima degli etruschi: i miti della grande dea e dei giganti alle origini della civiltà in Italia, 2001.
  • Lionello Alberti e Sergio Rizzardi, Terre di Confine, Brescia, 2010, pp. 111 e 112.
  • Claudio Fossati, Peregrinazioni estive -Valle di Vestino-, in "La Sentinella Bresciana", Brescia 1894.
  • Donato Fossati, Storie e leggende, vol. I, Salò, 1944.
  • Andrea De Rossi, L'astrologo di Gaino, in "Periodico delle Parrocchie dell'Unità pastorale di Maderno, Monte Maderno, Toscolano", gennaio 2010.
  • C. Battisti, I carbonari di Val Vestino, «Il Popolo», aprile 1913.
  • Storia della lingua italiana, Volume 2, 1993.
  • G. Zeni, En Merica. L'emigrazione della gente di Magasa e Val Vestino in America, Cooperativa Il Chiese, Storo, 2005.
  • Studi trentini di scienze storiche, Sezione prima, volume 59, 1980.
  • A. Lazzarini, F. Vendramini, La montagna veneta in età contemporanea. Storia e ambiente. Uomini e risorse, 1991.
  • F. Fusco, Vacanze sui laghi italiani, 2014, pagina 169.

Note modifica

  1. ^ Amato Amati, Dizionario corografico dell'Italia, volume 3, 1875, pag. 418.
  2. ^ Fausto Camerini, Prealpi bresciane, 2004, pag. 336.
  3. ^ D. Fossati, Benacum. Storia di Toscolano, Ateneo di Salò, 1941, rist.2001, pag. 183.
  4. ^ C. Battisti, I carbonari di Val Vestino, «Il Popolo», aprile 1913.
  5. ^ Storia della lingua italiana, Volume 2, 1993.
  6. ^ G. Zeni, En Merica. L'emigrazione della gente di Magasa e Val Vestino in America, Cooperativa Il Chiese, Storo, 2005.
  7. ^ Studi trentini di scienze storiche, Sezione prima, volume 59, 1980.
  8. ^ A. Lazzarini, F. Vendramini, La montagna veneta in età contemporanea. Storia e ambiente. Uomini e risorse, 1991.
  9. ^ F. Fusco, Vacanze sui laghi italiani, 2014, pagina 169.