Osteria
L'osteria è un esercizio pubblico nel quale si serve prevalentemente vino e, in alcuni casi, cibi e spuntini.
Origini
modificaIl termine "osteria" viene dall'antico francese oste, ostesse (secoli XII e XIII), che a sua volta deriva dal latino hospite(m).[1] Una delle prime attestazioni del termine hostaria si trova nei capitolari della magistratura dei Signori della Notte, che, come suggerito dal nome, vegliava sulla tranquillità notturna della Venezia del XIII secolo. L'etimologia della denominazione attuale richiama la funzione del luogo che è appunto quella dell'ospitalità.
Locali simili alle osterie esistevano già nell'antica Roma chiamati enopolium, mentre nei thermopolia si servivano anche cibi e bevande caldi, mantenuti a temperatura in grandi vasi di terracotta incassati nel bancone: esempi ben conservati sono visibili presso gli scavi dell'antica Pompei.
Le osterie sorsero, come punti di ristoro, nei luoghi di passaggio o in quelli di commercio che nella fattispecie sono strade, incroci, piazze e mercati. Ben presto divennero anche luoghi d'incontro e di ritrovo, di relazioni sociali. Gli edifici, spesso poveri e dimessi, assumevano importanza in base al luogo dove sorgevano e alla vita che vi si alimentava. Il vino era l'elemento immancabile intorno al quale tutti gli altri facoltativi giravano: il cibo, le camere da letto, la prostituzione.
Già nel Trecento a Bologna si contavano ben 150 osterie[2]. A partire dal XV secolo, le osterie divennero sempre più numerose, punto di ritrovo di cittadini e intellettuali, fino a ricoprire un ruolo di aggregazione e dibattito molto importante nel tessuto sociale cittadino. Ancora oggi sono molti in città i locali improntati sull'antico concetto di osteria[3].
Implicazioni sociologiche
modificaL'osteria, fino alla metà del Novecento, era un tipico luogo di ritrovo serale popolare delle persone di sesso maschile; luogo di incontro e di socializzazione ha costituito per lungo tempo, uno dei pochi momenti di incontro e di scambio d'idee, in aggiunta alla chiesa e alla piazza.
Dal dopoguerra ad oggi la frequentazione di questi locali è venuta sempre meno; dal primo decennio del 2000 però si è visto un rifiorire di questi locali che stanno recuperando la loro funzione di luogo di recupero della tradizione ristorativa locale.
Il gestore dell'osteria si chiama oste o, se donna, ostessa; tipicamente, quando si mangia, i piatti vengono presentati a voce o sono riportati su una lavagna.
Le più antiche osterie
modificaOsteria Al Brindisi
modificaA Ferrara, a lato del Duomo, v'è quella che è documentata (fin dal 1435) come la più antica osteria del Rinascimento e, forse, del mondo.
Già nel '400 esisteva l'Hostaria del Chiucchiolino e, uscendo o evitando la porta della chiesa, ci si infilava nel viottolo adiacente (ora via degli Adelardi 11) per assaggiare del buon vino a bordo di una barca; l'osteria si trovava - infatti - in una piccola insenatura formata dall'acqua piovana.
Si racconta che molti ospiti illustri abbiano frequentato questo locale. Tra loro: lo scultore Benvenuto Cellini, i poeti Ludovico Ariosto e Torquato Tasso, l'astronomo Niccolò Copernico che visse e studiò proprio sopra l'osteria.
Nel 1973 il Cardinale Stefan Wyszyński, Primate della Polonia, e Karol Wojtyła, che lo accompagnava, furono a Ferrara in occasione del V centenario della nascita dell'astronomo e, per visitare l'abitazione dell'illustre connazionale, dovettero attraversare l'interno dell'osteria "Al brindisi", come ora si chiama l'osteria ritenuta la più antica del mondo (tuttora in attività).
Osteria del Sole
modificaA Bologna si hanno notizie certe fin dal 1465[4] circa l'attività dell'Osteria del Sole, situata in un vicolo del centro a due passi da piazza Maggiore, rimasta ancora intatta come allora[5]. Nel 1712, nel Giuoco nuovo di tutte le osterie che sono in Bologna illustrato da Giuseppe Maria Mitelli, appare il logo dell'osteria così come lo vediamo ancora adesso[6][7][8].
Nell'osteria si vende solo vino, ma si possono portare vivande e mangiarle al suo interno[9][10]. Un piccolo cortile interno, in cui trovano posto alcuni tavolini, è dedicato all'assiduo cliente Fabio Testoni degli Skiantos e intitolato proprio "piazza Fabio DandyBestia Testoni".
Osteria Del cappello o Al cappello rosso
modificaL'osteria "Del cappello", anche nota come l'osteria "Al Cappello Rosso" è una delle più antiche di Bologna. Svolge ancora oggi la sua funzione di albergo ed esercizio pubblico in cui si servono cibo e bevande. È situata in Via de Fusari nei pressi di Piazza Maggiore. Dagli archivi storici bolognesi si è potuti risalire a una “hosteria del cappello” attestata fin dal 1375. Tale osteria potrebbe aver cambiato ubicazione diverse volte sino al 1700. I locali infatti non erano di proprietà dell'oste per cui spesso il simbolo di una osteria rimaneva invariato al cambiare della sua posizione. L'ubicazione attuale viene fatta risalire al 1652, quando l'oste Domenico Simoncini pone definitivamente la locanda in Via dei Fusari.
Nel 1712, nel "Giuoco nuovo di tutte le osterie che sono in Bologna" di Giuseppe Maria Mitelli appare il logo dell'osteria.
Osteria all'Antico Termine
modificaAd Asiago (VI), lungo l'attuale Strada Statale 349 di Val d'Assa, un tempo mulattiera, si trova l'Osteria all'Antico Termine, costruita attorno alla metà del XVII secolo, per secoli fu rifugio alpestre e stazione di posta. Venne costruita lungo il nuovo confine (donde il nome) tra la Federazione dei Sette Comuni e il Sacro Romano Impero. Nel 1866 nei pressi dell'osteria venne fatto passare il nuovo confine di Stato. Attualmente si trova al confine tra le regioni Veneto e Trentino-Alto Adige.
Costruita originariamente in tronchi squadrati, nei primi dell'Ottocento l'edificio venne ricostruito in muratura. Proprio a causa della sua posizione, l'osteria durante la prima guerra mondiale si trovò lungo la linea del fronte e fu inizialmente centro operativo della 34ª divisione italiana. Successivamente l'avanzata nemica divenne invece importante sede di comando dell'esercito austro-ungarico (in particolare del 27º Reggimento di fanteria di Graz "König der Belgier"). Vi presero alloggio anche l'arciduca d'Austria e principe d'Ungheria e di Boemia Eugenio Ferdinando Pio d'Asburgo-Teschen e l'imperatore d'Austria, re d'Ungheria e Boemia, e monarca della Casa d'Asburgo-Lorena Carlo I d'Austria[11]. Era inoltre un luogo caro allo scrittore Mario Rigoni Stern.[12]
L'osteria, che si trova a 12 km dal centro abitato più vicino, fu anche rifugio dei reparti partigiani durante la Resistenza.
L'osteria, da sempre (tranne durante la Grande guerra), è aperta solo nel periodo estivo.
L'osteria nella letteratura
modificaL'osteria e la figura dell'oste sono presenti in vari testi letterari. Si trova menzione già nei Vangeli, ad esempio nella Parabola del buon samaritano nel Vangelo secondo Luca (10- 25, 37) in cui un samaritano soccorse un uomo aggredito dai briganti, lo fasciò e lo portò in una locanda. "Il giorno dopo, presi due denari li diede all'oste e gli disse: - Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno".[13]
Le osterie e le taverne sono presentate dai poeti latini Marziale[14] e Giovenale che mostrano come fossero frequentate da larghe masse di popolo e da gente di malaffare nell'antica Roma imperiale.
Nel Decameron di Giovanni Boccaccio l'osteria è menzionata in alcune novelle come ad esempio in quelle di frate Cipolla (VI, 10), di Andreuccio da Perugia (III, 5) e di Re Carlo e le fanciulle (X, 6).
Il poeta Cecco Angiolieri, nel XIII secolo, nel sonetto Tre cose solamente mi so 'n grado enumera le cose che più gli sono gradite: "la donna, la taverna e 'l dado". Altro documento di epoca medievale è il Carmen Potatorium, il Canto dei bevitori nei Carmina Burana dei goliardi.[15]
Ne I racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer (secolo XIV) i pellegrini diretti alla tomba di Tommaso Becket nella cattedrale di Canterbury partono, in aprile, dall'osteria del Tabarro (Tabard Inn) a Londra e sono guidati dall'oste. Raggiungono la meta raccontando novelle.[16]
Ricco di trovate beffarde è l'episodio di Morgante e Margutte all'osteria nel poema comico Morgante (XVIII, 150-179) di Luigi Pulci (secolo XV). Qui i protagonisti sono il gigante Morgante, armato del batacchio di una campana, ed il semigigante Margutte. I due protagonisti mangiano con enorme voracità; poi Margutte, esperto d'ogni vizio e rotto ad ogni ribalderia, mette a soqquadro la casa e, durante la notte, deruba astutamente l'oste, brucia l'osteria e se ne va con Morgante tra matte risate.[17]
Nel romanzo francese Gargantua e Pantagruele di Rabelais (XVI secolo) le osterie sono frequentemente menzionate. Il protagonista, Gargantua, è uno straordinario mangiatore e bevitore.[18][19]
Le osterie sono presenti anche nel Don Chisciotte di Miguel Cervantes. Ad esempio, nella prima parte del romanzo, il protagonista, ribaltando realtà e illusione, scambia un'umile osteria per un castello e l'oste per un castellano.[20] Nell'osteria Don Chisciotte si fece poi armare cavaliere dall'oste che fingeva "di leggere uno scartafaccio come se recitasse una preghiera" . Infine l'oste "gli dette un sonoro scapaccione, e poi con la sua stessa spada una soda piattonata" (I, 3). In un'osteria si svolge anche la zuffa con gli otri di vino rosso scambiati da Don Chisciotte per il gigante del regno di Micomicone:"... e credendo di dargli al gigante aveva dato tanti colpi di spada agli otri che tutta la stanza era piena di vino" (parte I, cap.35). Il Don Chisciotte riflette altresì i tratti del romanzo picaresco spagnolo nel quale povere osterie fanno parte dei desolati paesaggi e dei degradati ambienti in cui si muovono i personaggi.[21]
Nei Promessi sposi di Alessandro Manzoni Renzo Tramaglino passa varie vicissitudini in alcune osterie, luoghi di passaggio e di inganno nonché importanti luoghi di snodo delle vicende del romanzo. Nel capolavoro manzoniano gli osti sono presentati come personaggi ambigui che badano al proprio tornaconto. All'osteria con l'insegna della Luna Piena a Milano (capitoli XIV e XV)[22] Renzo viene arrestato dal notaio criminale dopo essere stato denunciato alle autorità dall'oste. Durante la fuga verso l'Adda si ferma poi in un'osteria a Gorgonzola (capitolo XVI) dove evita le domande degli avventori e sente il racconto di un mercante sui tumulti di Milano a cui egli stesso aveva partecipato.[23] La taverna della Malanotte si trova invece presso il castello dell'Innominato (capitolo XX).[24][25]
Fondamentali, per la conoscenza degli ambienti e dei personaggi, sono le soste nelle locande nel romanzo Il Circolo Pickwick di Charles Dickens[26] il quale presenta questi ambienti anche negli altri romanzi realistici a sfondo sociale: Oliver Twist[27] e David Copperfield. La pensione Vauquer con i suoi frequentatori è invece descritta con vivace realismo nel romanzo papà Goriot di Honoré de Balzac.[28] Victor Hugo ne I miserabili, vasto affresco storico e sociale della prima metà dell'Ottocento, ci descrive le osterie del sobborgo parigino Saint-Antoine, "un serbatoio di popolo".[29]
Nella letteratura russa incontriamo un famoso evento nel romanzo I fratelli Karamazov di Dostoevskij (libro VIII, cap. 8): "Cominciò quasi un'orgia, una festa indiavolata". Inizia così l'ampia descrizione della grande baldoria nella locanda Trifòn Borisyč, al termine della quale Mìtja Karamazov viene arrestato sotto l'accusa di avere ucciso il padre in quella notte.[30]
L'osteria è luogo di abbrutimento e depravazione nel romanzo naturalista ottocentesco di Émile Zola (L'ammazzatoio)[31] e nel romanzo verista di Giovanni Verga. Verga ne I Malavoglia presenta 'Ntoni che, bighellonando, frequenta spesso l'osteria contrapponendo così il proprio stile di vita a quello del nonno padron 'Ntoni, emblema delle sane tradizioni e dei valori della famiglia patriarcale (l'ideale dell'ostrica).[32]
Troviamo ulteriori esempi nel romanzo Tom Jones di Henry Fielding per giungere poi fino alla celebre osteria del Gambero Rosso in Pinocchio di Carlo Collodi.[33] Si trova invece a Praga la taverna Il calice (U' kalicha) frequentata da Il buon soldato Sc'vèik, antieroe protagonista dell'omonimo romanzo dello scrittore ceco Jaroslav Hašek.[34]
Nella letteratura del Novecento gli ambienti un poco sordidi con avventori anonimi e loschi trovano corrispondenze in certe caffetterie e bar di malaffare come nei racconti "gialli" di Georges Simenon, che hanno come protagonista il commissario Maigret, o come nella pagina iniziale del romanzo Zorba il greco (1946) di Nikos Kazantzakis. Nella poesia di Umberto Saba, nella raccolta Il Canzoniere, incontriamo l'osteria All'isoletta. Italo Calvino nel romanzo Il sentiero dei nidi di ragno tratta di Pin, un bambino orfano che vive nella riviera ligure di Ponente e cerca di entrare in contatto con il mondo dei "grandi" e di integrarsi con esso frequentando, all'inizio, l'osteria "fumosa e viola" (cap. I) del paese dove vi sono donne "vecchie ubriacone con la faccia rossa" e uomini che per lo più erano stati in prigione.[35] Nell'Ulisse di James Joyce la taverna di Dublino in cui Bloom e Stephen discutono di razionalità e istinto assume un suo particolare significato in quanto corrisponde alla grotta del ciclope Polifemo (istinto) che verrà sconfitto da Ulisse (razionalità).
L'osteria nel teatro
modificaWilliam Shakespeare nella commedia Falstaff mette in scena un personaggio millantatore e beone. Questa figura è ripresa nel Falstaff di Giuseppe Verdi, opera lirica nella quale troviamo il protagonista seduttore di donne che progetta i suoi piani nell’Osteria della Giarrettiera.
Un elogio dei piaceri della taverna ("O taverna santa, o taverna miracolosa....") è presente all'inizio del II atto della commedia La cortigiana di Pietro Aretino.
Molto nota è la figura di Mirandolina nella commedia la locandiera di Carlo Goldoni. Mirandolina, che gestisce una locanda a Firenze, è un personaggio volitivo, astuto e ben caratterizzato psicologicamente.
L'osteria nella pittura
modificaLe osterie e taverne furono rappresentate da vari pittori. Si ricordano David Teniers il Giovane, Pieter Bruegel il Vecchio (Lotta tra Carnevale e Quaresima, Banchetto nuziale), Caravaggio, i Bamboccianti ed in particolare i pittori del secolo d'oro olandese, il Seicento.
L'osteria nella musica
modificaLe osterie hanno un ruolo centrale nella Canzone delle osterie di fuori porta di Francesco Guccini.
L'osteria nei giochi
modificaIl gioco delle osterie è una delle varianti del gioco dell'oca, incisa nel 1712 da Giuseppe Maria Mitelli. Il gioco ha per caselle le insegne delle osterie di Bologna del periodo[36].
Modi di dire
modificaDomandare all'oste se ha buon vino significa "fare una domanda inutile". Fare i conti senza l'oste significa "fare piani senza considerare eventuali difficoltà". Fermarsi alla prima osteria significa invece "accettare la prima cosa che càpita, senza riflettere".
L'esclamazione osteria! è un eufemismo popolare (in luogo di: ostia!)
Quando si entra in una stanza e le persone all'interno sono chiassose e hanno comportamenti poco consoni per il locale in cui si trovano (ad esempio un'aula scolastica), si può esclamare "Oh, ma dove siamo, all'osteria?" per richiamare l'attenzione e nello stesso tempo correggere il comportamento scorretto.
Note
modifica- ^ Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli.
- ^ Emilia Romagna e Marche, Touring Editore, 2002, p. 52, ISBN 978-88-365-2706-9.
- ^ Nel 1405 a Padova sul luogo dove poi sorse l'edificio universitario del Palazzo del Bo, un macellaio vi aveva aperto una locanda (Hospitium Bovis) che aveva come insegna un bucranio, simbolo poi dell'Università padovana.
- ^ La nostra storia, su Osteria del Sole. URL consultato il 10 settembre 2023.
- ^ Percorsi in città - Bologna Welcome, su bolognawelcome.com. URL consultato il 3 novembre 2012 (archiviato dall'url originale il 3 febbraio 2014).
- ^ Il gioco nuovo di tutte le osterie, su LombardiaBeniCulturali, Sistema Informativo Regionale dei Beni Culturali (SIRBeC), Regione Lombardia. URL consultato l'8 settembre 2023.
- ^ Giuseppe Maria Mitelli, Gioco nuovo di tutte l'osterie (1712), su Cultura Bologna, 16 giugno 2023. URL consultato l'8 settembre 2023. (immagine a maggiore risoluzione su Imago, Biblioteca comunale dell'Archiginnasio)
- ^ (EN) Gioco nuovo di tutte l'osterie che sono in Bologna con le sue insegne e sue strade, su British Museum. URL consultato l'8 settembre 2023. (in alta risoluzione)
- ^ Home Page, su Osteria del Sole. URL consultato il 10 settembre 2023.
- ^ Bologna e l'Osteria (del sole) dove non si serve cibo, su la Repubblica, 21 gennaio 2022. URL consultato l'8 settembre 2023.
- ^ Tratto da: Mario Rigoni Stern, Sentieri sotto la neve
- ^ Osteria al Termine, su I luoghi di Mario Rigoni Stern. URL consultato l'8 settembre 2023.
- ^ Lc 10,25-37, su laparola.net.
- ^ Per esempio ne Il canto dell'osteria.
- ^ Il canto inizia così: "Quando in taberna sumus,/ non curamus quid sit humus, / sed ad ludum properamus / cui semper insudamus".("Quando siamo alla taverna,/ non ci curiamo più del mondo, / ma al giuoco ci affrettiamo, / al quale ognora ci accaniamo").
- ^ Scrive Chaucer nel Prologo generale:" Un giorno, appunto in quella stagione, mentre sostavo alla locanda del Tabarro in Southwark, pronto a mettermi devotamente in pellegrinaggio per Canterbury, ecco capitare verso sera una brigata di ben ventinove persone, gente d'ogni ceto trovatasi per caso in compagnia e tutti pellegrini che intendevano recarsi a cavallo fino a Canterbury. Camere e stalle erano grandi e perciò fummo alloggiati nel migliore dei modi". Più oltre l'autore presenta l'oste: "Era proprio affabile con tutti, questo nostro Oste, degno di fare il maggiordomo di palazzo. Era un uomo grande e grosso, con gli occhi sporgenti, il miglior cittadino che esistesse a Cheapside: franco nel parlare, saggio, ben istruito, non mancava certo di virilità, ed era per di più un vero bontempone".
- ^ http://letteritaliana.weebly.com/morgante-e-margutte-allosteria.html
- ^ L'aggettivo pantagruelico significa "insaziabile"
- ^ Rabelais parla ad esempio dell'Osteria del Castello (cap. XVII). In un altro passo scrive:" Homenaz ci disse: - Le nostre sante decretali c'impongono e comandano di visitare prima le chiese, che le osterie. Pertanto, senza deflettere dal bel comandamento, andiamo in chiesa, poi andremo a banchettare" (cap. XLIX).
- ^ "... appena scorse l'osteria, si figurò fosse un castello con le sue quattro torri e i comignoli d'argento lucido, munito del suo bravo ponte levatoio e del suo profondo fossato, e con tutti gli accessori con cui sono descritti di solito i castelli".[...] "Don Chisciotte, vedendo l'umiltà del governatore della fortezza (tali gli parvero l'oste e l'osteria), rispose: - Per me, signor castellano, qualunque cosa mi basta, perché i miei arredi son l'armi, e riposo m'è il pugnar"(Don Chisciotte, I, 2).
- ^ Osterie piene di gente allegra e spensierata sono presenti nel seicentesco romanzo picaresco L'avventuroso Simplicissimus, opera in stile barocco dello scrittore tedesco Hans Jakob Christoffel von Grimmelshausen.
- ^ "Entrò in un usciaccio, sopra il quale pendeva l'insegna della luna piena" (cap. XIV).
- ^ "Maledetti gli osti!" esclamò Renzo tra sé: "più ne conosco, peggio li trovo" (cap. XVI).
- ^ "Sur una vecchia insegna che pendeva sopra l'uscio, era dipinto da tutt'e due le parti un sole raggiante, ma la voce pubblica, che talvolta ripete i nomi come le vengono insegnati, talvolta li rifà a modo suo, non chiamava quella taverna che col nome Malanotte".
- ^ Nel romanzo manzoniano vi sono altre osterie, nelle quali i proprietari appaiono come personaggi infidi ed ipocriti che agiscono spesso in modo falso ed opportunistico guardando ai propri interessi. Nell’osteria del paese (capp. VI e VII) Renzo organizza il tentato "matrimonio a sorpresa", e i bravi di don Rodrigo preparano il rapimento di Lucia. Nell’osteria di Monza (cap. IX) si riparano per una breve sosta Renzo, Lucia e Agnese in fuga, la mattina seguente la "notte degli imbrogli" e qui i due fidanzati si separano. Nell’osteria della Frasca (cap. XVI) Renzo fa la sua prima sosta nella sua fuga da Milano verso Bergamo e ottiene informazioni sulla strada verso il confine. Nell’osteria oltre Adda (cap. XVII) Renzo, giunto salvo oltre confine nel territorio della Repubblica di Venezia, spende gli ultimi spiccioli per rifocillarsi e in elemosina.
- ^ Numerose sono le taverne e le osterie descritte in quest'opera. Gli ambienti sono molto umili: "una miserabile osteria, con davanti due olmi, una tina ed una insegna ..."; oppure, per citare un secondo esempio, "questa favorita osteria, consacrata alle orge notturne del signor Lowten e dei suoi compagni".
- ^ Ad esempio all'inizio del capitolo XV del romanzo Dickens ci descrive un'osteria come un luogo degradato: "Nella buia sala di una bettola, nella zona più sudicia di Little Safron Hill, un covo fosco e tetro dove una fiammella a gas ardeva tutto il giorno durante l'inverno e, d'estate, non penetrava mai un raggio di sole, era seduto, meditando davanti a una piccola brocca di stagno e a un bicchierino che sapeva fortemente di liquore, un uomo dalla giacca di velluto, i calzoni corti di cotone, scarpe basse e calze, nel quale, anche a quella fioca luce, nessun esperto agente di polizia avrebbe esitato a riconoscere il signor Guglielmo Sikes".
- ^ Nell'àmbito del romanzo realista ottocentesco, le osterie, come l'osteria - albergo di Yonville, sono luoghi ricorrenti anche in Madame Bovary di Gustave Flaubert.
- ^ "Le osterie del sobborgo Saint-Antoine, più volte da noi descritte, hanno una notorietà storica. Nei tempi torbidi, c'è lì più ebbrezza di parole che di vino; vi circola, per così dire, uno spirito profetico, un effluvio di avvenire, che infiamma i cuori e ingrandisce le anime".[....] "Il sobborgo Saint-Antoine è un serbatoio di popolo; lo scuotimento rivoluzionario vi fa delle fessure, da cui scorre la sovranità popolare" (parte IV, libro I, cap. V).
- ^ Dostoèvskij scrive che l’ispravnik, funzionario di polizia, grida: "Guardatelo! Di notte, ubriaco, con una ragazza perduta e macchiato del sangue di suo padre... Delirio, delirio!". [...] "Signor tenente Karamazov, devo dichiararvi che siete accusato dell'assassinio di vostro padre, Fëdor Pàvlovič Karamazov, avvenuto questa notte" (libro VIII, cap. 8).
- ^ L'ammazzatoio è l'osteria di père Colombe frequentata da alcolisti. L'alambicco, posto al suo interno, è simbolo dell'alcolismo. Sull'ingresso è collocata un'insegna: "Distillazione". Il locale è molto misero e trascurato, con all'interno un "enorme bancone con le sue file di bicchieri". "C'erano sulla porta, fra due mezze botti, degli oleandri polverosi".(cap. 2). Quando Gervasia giunge all'osteria dell'Assommoir per trovare il marito ubriacone, Zola ci descrive molto realisticamente l'ambiente:" Faceva molto caldo, il fumo delle pipe saliva nella luce abbagliante del gas, dove turbinava come polvere, avvolgendo i bevitori in una nebbia lenta e spessa e da quel nuvolo veniva fuori un baccano assordante e confuso, delle voci chiocce, urti di bicchieri, bestemmie e pugni forti come martellate" (parte II, capitolo X).
- ^ "E 'Ntoni Malavoglia! altro bell'uomo nuovo! suo nonno e tutti gli altri sudano e si affannano per tirarsi su un'altra volta; e lui, quando può scappare con un pretesto, va a girandolare pel paese, e davanti all'osteria, tale e quale come Rocco Spatu" (I Malavoglia, cap. X).
- ^ Collodi racconta che Pinocchio, il Gatto e la Volpe giungono all'osteria: "Cammina, cammina, cammina, alla fine sul far della sera arrivarono stanchi morti all'osteria del Gambero Rosso" (Pinocchio, cap.13).
- ^ L'"Osteria del Calice" è un luogo d'incontro di diversi personaggi che discutono di vari argomenti, soprattutto di politica dopo l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo nel 1914. L'oste Palivec "era celebre per il suo turpiloquio" (parte I; capitolo 1), mentre "l'ostessa Palivec stava dietro il banco da mescita e contemplava ottusamente i rubinetti della birra" (parte I; capitolo 6).
- ^ "All'osteria ci sono sempre gli stessi, tutt'il giorno, da anni, a gomiti sui tavoli e menti sui pugni che guardano le mosche sull'incerato e l'ombra viola in fondo ai bicchieri" (cap. I). Più oltre Calvino scrive: "Gli uomini ascoltano in silenzio, a occhi bassi come fosse un inno di chiesa. Tutti sono stati in prigione: chi non è stato mai in prigione non è un uomo. E la vecchia canzone da galeotti è piena di quello sconforto che viene nelle ossa alla sera, in prigione, quando i secondini passano a battere le grate con una spranga di ferro, e a poco a poco tutti i litigi, le imprecazioni si quietano, e rimane solo una voce che canta quella canzone, come ora Pin, e nessuno gli grida di smettere" (cap. I).
- ^ Giochi dell'Oca e di percorso, su giochidelloca.it. URL consultato il 7 febbraio 2021.
Voci correlate
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