Paradosso di Achille e la tartaruga

paradosso di Zenone più famoso
Voce principale: Paradossi di Zenone.

Il paradosso di “Achille e la Tartaruga” è il più famoso dei Paradossi di Zenone. Fu proposto nel V sec. a.C. da Zenone di Elea per sostenere la tesi del suo maestro Parmenide, secondo cui il movimento era un'illusione.

La corsa della tartaruga modifica

La descrizione di Aristotele modifica

Aristotele espone il paradosso così (Fisica, Libro VI, capitolo 9, 239b 14-20) : «Il secondo argomento prende il nome "dell'Achille" e consiste in questo: nel momento in cui il concorrente più veloce parte dopo il concorrente più lento nella corsa, quest'ultimo non sarà mai raggiunto dal più veloce perché l'inseguitore prima sarebbe costretto a raggiungere il luogo da cui quello che fugge ha preso le mosse, e intanto, di necessità, il più lento sarà sempre un po' più avanti.».[1]

La descrizione di Borges modifica

 
Rappresentazione del paradosso di Achille e la tartaruga secondo la descrizione di Borges. Sull'asse sono indicate le distanze (in metri) percorse da Achille e dalla tartaruga.

Una delle descrizioni più famose del paradosso è dello scrittore argentino Jorge Luis Borges[2]: «Achille, simbolo di rapidità, deve raggiungere la tartaruga, simbolo di lentezza. Achille corre dieci volte più svelto della tartaruga e le concede dieci metri di vantaggio. Achille corre quei dieci metri e la tartaruga percorre un metro; Achille percorre quel metro, la tartaruga percorre un decimetro; Achille percorre quel decimetro, la tartaruga percorre un centimetro; Achille percorre quel centimetro, la tartaruga percorre un millimetro; Achille percorre quel millimetro, la tartaruga percorre un decimo di millimetro, e così via all'infinito; di modo che Achille può correre per sempre senza raggiungerla».

Le soluzioni del paradosso modifica

La confutazione più immediata è del filosofo Diogene di Sinope, che non disse nulla sugli argomenti portati da Zenone, ma si alzò e camminò, allo scopo di dimostrare la falsità delle conclusioni di quest'ultimo.[3]

Secondo Aristotele, invece, il tempo e lo spazio sono divisibili all'infinito in potenza, ma non sono divisibili all'infinito in atto. Una distanza finita, che secondo Zenone non è percorribile perché divisibile in frazioni infinite, è infinita nella considerazione mentale, ma in concreto si compone di parti finite e può essere percorsa.

Soluzione matematica[4] modifica

Zenone supponeva implicitamente che la somma infinita di tempi finiti, per quanto piccole, desse sempre un risultato infinito. Quest'ipotesi è palesemente errata sul piano pratico e verrà successivamente dimostrata errata in ambito matematico (vista l'esistenza di serie convergenti). Poiché gli avversari di Zenone e Parmenide non riuscirono a confutarla sul piano logico, furono costretti, contro la loro intuizione, ad accettare il punto di vista dei due filosofi di Elea.

Il paradosso è immediatamente confutabile sul piano pratico e su quello matematico riconducendolo allo studio di una serie geometrica, già utilizzata in casi particolari da Archimede ma formalizzata solo nel XIX secolo da Gauss.

Nello specifico, si va a studiare il problema ponendo   come il tempo impiegato da Achille per raggiungere la tartaruga. Si osserva che tale tempo è composto in realtà dalla somma dei tempi impiegati da Achille per percorrere le infinite distanze (sempre minori) che lo separano dai punti via via raggiunti dalla tartaruga mentre lui correva. In simboli:

 

Si osserva infine che tale somma infinita è riconducibile a una serie geometrica di ragione strettamente compresa tra -1 e 1, e dunque convergente. Per questo   è un valore finito e il paradosso si può considerare risolto, dato che Achille impiegherà un tempo finito e non infinito per raggiungere la tartaruga.

Note modifica

  1. ^ Autore, Fisica, Milano, Bompiani, 2011.
  2. ^ Jorge Luis Sal Borges, Altre inquisizioni, Feltrinelli, 1973, Metamorfosi della tartaruga.
  3. ^ Zeno's Paradoxes
  4. ^ Marson, Baiti, Ancona, Rubino, Analisi Matematica 1 - Teoria e applicazioni, Roma, Carocci, 2010, pp. 244-245, ISBN 978-88-430-5289-9.
  5. ^ In termini matematicamente più rigorosi: la serie converge a . Per approfondimenti consultare la sezione dedicata.

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