La Tazza Farnese è un piatto da libagione (phiale) di epoca ellenistica e di scuola alessandrina, fabbricato in agata sardonica e del diametro di 20 cm circa, probabilmente non usato per i banchetti ma per libagioni rituali, attualmente conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli. Si tratta di uno dei più controversi capolavori dell'arte antica, sulla cui datazione (generalmente indicata come II o I secolo a.C.) e committenza esistono differenti posizioni da parte degli studiosi.

Tazza Farnese, interno
Tazza Farnese, esterno

Storia modifica

Si hanno notizie sulla sua esistenza dal 1239, quando ne è documentato l'acquisto da parte di Federico II. La sua presenza a Samarcanda o Herat nel 1430 sembra essere suggerita da un disegno che la riproduce; in seguito l'opera ricompare a Napoli negli anni '50 del Quattrocento nella collezione di Alfonso V d'Aragona, dopodiché passa nelle mani dell'arcivescovo Ludovico Trevisan e poi del papa, Paolo II Barbo, che la tenne nella sua collezione in Palazzo San Marco (oggi noto come Palazzo Venezia, a Roma), poi confluita, dopo la sua morte nel 1471, in quella di Lorenzo il Magnifico. Il passaggio alla famiglia Farnese ne determinò il nome con il quale è conosciuta attualmente. Della sua storia precedente si sa poco: potrebbe essere stata portata a Roma a seguito della conquista dell'Egitto da parte di Ottaviano nel 31 a.C. Passata poi a Bisanzio, venne probabilmente riportata a Roma dopo la presa della città del 1204.[1]

Descrizione modifica

La superficie interna della tazza raffigura un'immagine con sette figure: una Sfinge, su cui siede una figura femminile che reca in mano delle spighe; una grande figura maschile con barba, su un albero, che regge una cornucopia; un giovane che impugna un aratro e che reca a tracolla un sacco di sementi; due figure femminili sedute, una delle quali regge una phiále; due figure maschili in volo nei pressi del bordo superiore.

La superficie esterna invece è interamente decorata da un grande gorgoneion; il naso della Gorgone reca un piccolo foro, la cui esistenza è documentata già nel catalogo della collezione Farnese, probabilmente utilizzato per infilarvi un sostegno per esporre il manufatto.[1]

Interpretazioni modifica

Le immagini rappresentate nella Tazza Farnese, soprattutto quella interna, hanno dato adito a diverse interpretazioni, tutte comunque legate all'Egitto, grazie al preciso riferimento rappresentato dalla presenza della Sfinge. La prima interpretazione allegorica delle figure presenti all'interno della tazza risale ad una pubblicazione di Ennio Quirino Visconti del 1790, ripresa dal Furtwängler nel 1900:[2] si tratterebbe di una allegoria dei benefici ottenuti dalle piene del Nilo, rappresentato dall'uomo barbuto seduto a sinistra, con la cornucopia. Alla sua destra Horus-Trittolemo si appoggia ad un aratro. Sotto di lui Iside è seduta sulla Sfinge, mentre all'estrema destra le due figure femminili rappresentano le stagioni dell'inondazione e della mietitura con i rispettivi attributi. Presso il bordo superiore le due figure volanti sarebbero le personificazioni dei venti Etesii che provocano le inondazioni. Le figure allegoriche sono state identificate variamente come figure storiche alle quali è stata collegata la committenza dell'opera, quindi il periodo di produzione. Jean Charbonneaux ha collegato la tazza al tempo del regno di Cleopatra I riconoscendo nella figura maschile centrale Tolomeo VI Filometore, nella figura femminile sulla Sfinge Cleopatra I (rappresentata in maniera molto simile in un ritratto conservato al Museo del Louvre)[1], e nella stessa Sfinge la figura di Tolomeo V Epifane defunto.[3] Bastet ha collegato la tazza al tempo di Cleopatra III identificando Horus con Tolomeo Alessandro.[4]

Altre interpretazioni tuttavia si sono susseguite nel corso del tempo e la stessa datazione della tazza viene variamente posta; la difficoltà consiste nell'assenza di punti di riferimento esterni. Tentativi di datazione su base stilistica sono stati effettuati tramite comparazione con opere di datazione ugualmente controversa. La datazione del Bastet, ad esempio, si è basata sul collegamento stilistico con opere tardo ellenistiche come il fregio dell'Hekateion di Lagina.[4]

Note modifica

  1. ^ a b c MANN, Sito del museo, RA 147.
  2. ^ Dwyer 1992, p. 256.
  3. ^ Charbonneaux, Martin, Villard, pp. 308-310.
  4. ^ a b Bastet 1966, in EAA, s.v. Tazza Farnese.

Bibliografia modifica

  • F. L. Bastet, Tazza Farnese, in Enciclopedia dell'arte antica classica e orientale, vol. 7, Roma, Istituto della enciclopedia italiana, 1966.
  • Jean Charbonneaux, Roland Martin; François Villard, La Grecia ellenistica : 330-50 a.C., Milano, Rizzoli, 1985.
  • Eugene J. Dwyer, The Temporal Allegory of the Tazza Farnese, in American Journal of Archaeology, vol. 96, n. 2, Archaeological Institute of America, aprile 1992, pp. 255-282.
  • Silvio Strano, La "Tazza Farnese". Nuova analisi egittologica-semiotica, Roma, Espera, 2016.

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