Carlo Fait

scultore italiano

Carlo Fait (Rovereto, 8 gennaio 1877Torino, 11 marzo 1968) è stato uno scultore italiano.

È stato attivo soprattutto a Torino, dove è stato per lungo tempo apprendista e collaboratore di Pietro Canonica.[1][2] Ha realizzato opere letterarie e allegoriche (Castellana, Fiammetta, Prima fides), monumenti funebri nei cimiteri di Biella, Genova e Torino e monumenti ai caduti in numerose località del Piemonte, della Liguria e del Friuli.[1][2] Ha scolpito numerosi ritratti fra cui i busti di Giovanna d'Arco e Giovanni Bosco, con i quali ha partecipato al Salon di Parigi nel 1934, il medaglione bronzeo di Antonio Carle (1938), il rilievo marmoreo di Pio XII (1941) e il busto di Luigi Zandonai (1948–1951).[1][2] Negli anni Quaranta si è dedicato lungamente alla preparazione dell'opera La preda, ispirata al ratto di Proserpina e scolpita fra il 1944 e il 1947.[1][2]

Biografia modifica

 
Monumento a Clementino Vannetti nella piazzetta presso il palazzo Del Ben-Conti d'Arco a Rovereto

Carlo Fait nasce a Rovereto l'8 gennaio 1877.[1][2] È figlio di Antonio Fait e Angela Galvan, proprietari di un'osteria.[1][2] Dopo un apprendistato presso i marmisti Scanagatta di Rovereto si iscrive alla Scuola di ornato di Trento e in seguito al corso preparatorio dell'Accademia di Brera a Milano nel 1897.[1][2] Interrompe ben presto gli studi per dedicarsi all'apprendistato presso gli scultori della città, in seguito Pietro Canonica lo chiama nel proprio studio di Torino.[1] Nel 1907 presenta l'opera Desiderio, un busto femminile in marmo, alla VI Esposizione internazionale d'arte di Venezia.[1][2] Nel 1908 completa il busto in bronzo di Clementino Vannetti per la città di Rovereto.[1] All'inaugurazione, nel maggio dello stesso anno, è presente anche Cesare Battisti.[1][2] Nel 1912 Fait collabora con Canonica agli altorilievi del monumento equestre al granduca Nikolaj Nikolaevič Romanov, che viene posto nella piazza Manejnaja di Pietroburgo.[1][2] Nello stesso anno compie con il maestro un viaggio a Roma, dove può osservare le opere scultoree dell'antichità.[1][2]

Negli anni Dieci Fait realizza opere di soggetto letterario e allegorico, fra cui si ricordano Castellana, Fiammetta e Prima fides.[1][2] Dopo la prima guerra mondiale Fait ottiene importanti incarichi per opere commemorative ed è nominato nel 1922 cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia.[1][2] Fra le opere di questo periodo vi sono i monumenti ai caduti di Dogliani, Cordovado, Laigueglia, Rosignano Monferrato, Udine e le tombe per il Cimitero monumentale di Torino, il Cimitero monumentale di Staglieno a Genova e quelli di Biella e Mezzolombardo.[1][2] Realizza inoltre numerose targhe, medaglie, busti e ritratti.[1][2] Nel 1930 inaugura a Chieri il monumento al conte Cesare Rossi di Montelera, alla presenza del principe Umberto I di Savoia.[1][2] Nel 1934 è al Salon di Parigi dove espone il busto di Giovanna d'Arco e quello di Giovanni Bosco.[1][2] Negli anni Trenta si incrinano i rapporti tra Fait e Canonica, da cui egli non si sente riconosciuto.[1][2] Inoltre, Fait è colpito da una improvvisa sordità.[1][2]

Fait torna dunque a Rovereto, e nel 1937 decide di donare parte della sua opera al Museo civico della città.[1][2] Nel frattempo realizza una Deposizione per il cimitero di Torino e il medaglione bronzeo di Antonio Carle a Chiusa di Pesio.[1][2] Nel 1940 è inaugurato a Rovereto il Monumento dell'alpino.[1][2] L'anno seguente Fait realizza il rilievo marmoreo di Pio XII e tiene una personale al salone de La Stampa di Torino.[1][2] Nel 1942 completa il monumento funebre all'aviatore Sandro Passaleva per il cimitero di Sesto Calende.[1][2] Negli anni Quaranta i committenti si diradano e Fait dedica tutte le sue energie alla creazione dell'opera La preda, ideata nel 1934 e ispirata al ratto di Proserpina.[1][2] Nel 1944 trova un committente, ma tre anni dopo l'incarico gli è revocato per motivi economici.[1] Nel 1949 realizza La pace a Trino, nel 1948–1951 il busto di Luigi Zandonai a Rovereto.[1][2] Trascorre gli ultimi vent'anni della sua vita in cattive condizioni economiche e di salute, sempre alla ricerca di un acquirente per La preda.[1] Muore a Torino l'11 marzo 1968.[1][2]

Note modifica

  1. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z aa ab ac ad ae Paola Pettenella, Carlo Fait, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 44, Treccani, 1994. URL consultato il 28 novembre 2014.
  2. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z aa Carlo Fait (PDF), su agiati.it, Accademia Roveretana degli Agiati, pp. 470–472. URL consultato il 28 novembre 2014 (archiviato dall'url originale il 5 dicembre 2014).

Bibliografia modifica

  • Antonietta Maria Bessone Aurelj, Dizionario degli scultori e architetti italiani, Città di Castello, Società anonima editrice Dante Alighieri, 1947, p. 207.
  • Alfonso Panzetta, Dizionario degli scultori italiani dell'800, Torino, Allemandi, 1989, p. 73.
  • (FR) André Pascal-Lévis, Au Salon de 1934, in Les artistes d'aujourd'hui, 15 giugno 1934.
  • Paola Pettenella, Carlo Fait, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 44, Treccani, 1994.
  • Vittorio Pica, L'arte mondiale alla VII Esposizione di Venezia, Bergamo, Istituto italiano d'arti grafiche, 1907, p. 293.
  • Mario Pilo, Settima Esposizione d'arte a Venezia, in Rivista popolare, 31 ottobre 1907.
  • I. Sega, La Galleria roveretana d'arte, in Musei e istituzioni per Rovereto. Storia e prospettive, Università di Udine, 1991, pp. 101-169.
  • Ferruccio Trentini e Remo Wolf, Gli artisti dell'Accademia degli Agiati, in Atti della Accademia Roveretana degli Agiati, Accademia Roveretana degli Agiati, 1963.
  • Vincenzo Vicario, Gli scultori italiani dal neoclassicismo al liberty, Lodi, Edizioni Lodigraf, 1990, p. 284.
  • Eugenio Vitelli, L'arte alla VII Biennale di Venezia, Torino, Società tipografico-editrice nazionale, 1908.
  • Gabriella Belli e Giovanni Marzari (a cura di), Artisti del '900. Protagonisti di Rovereto, Rovereto, 1991, p. 144.

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