Dialetto tarantino

dialetto della Puglia
Voce principale: Dialetti della Puglia.

Il dialetto tarantino[1] ('u tarandíne), o vernacolo cataldiano[2] (così chiamato, a partire dal Novecento, in onore del santo patrono cittadino), è un dialetto parlato nella città di Taranto e, con significative differenze, in alcuni comuni della parte occidentale dell'omonima provincia. Esso possiede la particolarità di essere un idioma comunale, ovvero è parlato, nella sua forma più pura, esclusivamente entro i confini della città ed in provincia ha sviluppato alcune varianti, seppur abbastanza distaccate. Secondo lo studioso tarantino Domenico Ludovico de Vincentiis, procedendo a nord della città si avverte più influente l'inflessione del barese sui dialetti circostanti, mentre a sud si comincia a notare l'inflessione del salentino, in particolare del dialetto leccese;[3] questa osservazione fu fatta in precedenza anche da Giovanni Battista Gagliardo, che già nel 1811, riferendosi alla grande discontinuità dialettale nel suo territorio, affermava che "il dialetto è tutto affatto diverso dal resto degli altri Tarentini, un miscuglio di corrotte voci greche e latine".[4]

Tarantino
Tarandíne
Parlato inBandiera dell'Italia Italia
Regioni  Puglia (esclusivamente nella città di Taranto)
Locutori
Totalecirca 200.000
Tassonomia
FilogenesiLingue indoeuropee
 Italiche
  Romanze
   Meridionale intermedio/Meridionale estremo
    Tarantino
Estratto in lingua
Dichiarazione universale dei diritti umani, art. 1
Tutte le crestiáne nàscene libbere, parapatte 'ndegnetáte e iusse. Tènene 'a rascióne e 'a cuscènze, e s'honne a ccumburtà l'une pe ll'ôtre accume a ffráte.
Maglietta con scritta "Avast" termine dialettale tarantino che in italiano si traduce con "Basta".
  Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Taranto.

Il dialetto tarantino è una variante diatopica italo-romanza evolutasi, come tutte le altre varietà linguistiche romanze, dalla lingua latina, la quale si diffuse nell'area tarantina a partire dal 272 a.C., anno della conquista della città da parte dei Romani in seguito alle Guerre pirriche.[5] La specifica evoluzione del tarantino ha risentito dell'opera sia di sostrati precedenti la latinizzazione dell'area, sia di adstrati intervenuti nei secoli successivi.

Ad agire da sostrato fu soprattutto il greco antico parlato nella Taranto magnogreca: fondata, secondo la tradizione, nel 706 a.C. come colonia spartana (Τάρας), la città emerse come uno dei principali centri politici e culturali della Magna Grecia. Il sostrato greco ha lasciato un notevole influsso linguistico sul tarantino, sia dal punto di vista lessicale sia da quello morfo-sintattico; secondo gli studiosi, la varietà di greco parlata in quell'epoca a Taranto sarebbe stata ascrivibile al gruppo occidentale dei dialetti greci antichi e, più precisamente, mostrando evidenze ascrivibili al gruppo dorico o al laconico.[6][7] Questi influssi sono ancora oggi notabili in parole di origine greca.[8]

Con la romanizzazione dell'Apulia il latino soppiantò gradualmente gli idiomi di sostrato. Nel tarantino vi è la presenza di arcaicismi originatisi dal latino volgare e non riscontrabili nella lingua italiana,[9] nonché la circonlocuzione verbale con il verbo scére + gerundio (dal latino ire iendo), e l'affievolimento delle -i- atone. Le alterne vicissitudini susseguitesi a partire dall'epoca romana fecero sì che la lingua latina coesistesse in diglossia con l'idioma ellenico,[10] e il greco si continuò a parlare ininterrottamente fino all'arrivo dei normanni e alla cosiddetta "latinizzazione", soprattutto nell'ambito dei riti religiosi.

Successivamente, sulla varietà tarantina di latino volgare iniziarono ad agire le lingue di adstrato che influenzarono la parlata vernacolare dell'area nel corso dei secoli. Durante il periodo bizantino e longobardo, l'idioma parlato a Taranto subì un processo di dittongazione, con l'esito delle /o/ in /ue/[11] e delle /e/ in /ie/[11] (esito condizionato dalla presenza nella sillaba finale di /i/ o /u/[12][13][14]) ed il vocabolario si arricchì di nuovi termini di origine longobarda.[15][16]

Nel IX secolo la città venne temporaneamente dominata dai saraceni con la conseguente introduzione di vocaboli provenienti dalla lingua araba.[17]

Con l'arrivo dei normanni nel 1071 e degli angioini nel 1266, la lingua tarantina perse buona parte dei suoi tratti orientali e venne influenzata da elementi gallo-romanzi (francoprovenzali)[18] e gallo-italici. Nel XV secolo Taranto cadde sotto il dominio della Corona d'Aragona, attraverso la quale vi giunsero alcuni prestiti lessicali ibero-romanzi.[19] A partire dalla prima metà del XVI secolo, il volgare toscano, ossia, l'italiano standard, (presente già da tempo in contesti letterari, di studio e relativi alla cancelleria, insieme al latino),[20][21] come nel resto del Regno di Napoli, sostituì definitivamente il latino in qualità di lingua ufficiale dell'amministrazione.[22][23]

Dal 1801 la città fu per breve tempo sotto il dominio delle truppe napoleoniche, le quali vi introdussero ulteriori vocaboli ascrivibili all'area gallo-romanza.

È da ricordare che Taranto ha fatto parte del Regno di Napoli, il che spiegherebbe alcuni termini in comune con il dialetto napoletano propriamente detto.[24]

Con l'Unità d'Italia la città assume un importante ruolo navale, soprattutto grazie al suo Arsenale militare. Il sopraggiungere di militari da ogni parte d'Italia rende la popolazione sempre più eterogenea con nuove influenze nella parlata.[24] Con l'avvento del boom industriale degli anni '60 la città inizia ad accogliere altri lavoratori provenienti da varie area pugliesi e non, con la conseguente e definitiva perdita dell'impronta più tipicamente salentina che il dialetto ha avuto fino agli inizi del XX secolo.[25]

Classificazione

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Negli ultimi due secoli, il dialetto tarantino è stato oggetto di continui studi, non solo per capirne la complessità fonetica e morfologica, ma soprattutto per riuscire a dargli una collocazione definiva in mezzo agli innumerevoli dialetti meridionali. Il dilemma è sempre stato se fosse stato più opportuno classificarlo quale dialetto pugliese del gruppo alto-meridionale (o "napoletano") o del sottogruppo salentino di quello estremo-meridionale (o "siciliano").

Il primo a notare una notevole divergenza fonetica con gli altri dialetti dell'area salentina fu Michele De Noto che, nel suo saggio Appunti di fonetica del dialetto di Taranto, getta le prime basi per lo studio del vocalismo e del consonantismo dialettale. Anche Rosa Anna Greco, nel suo contributo Ricerca sul verbo nel dialetto tarentino, affronta apertamente la tematica dialettale tarantina, cercando di dimostrare l'appartenenza all'area linguistica alto-meridionale. Greco nota come nel tarantino, oltre alla metafonia e al dittongamento condizionato, vi sia anche un turbamento delle vocali toniche in sillaba libera: 'nzóre (sposo), próche (seppellisco), náte (nuoto) e la pronuncia indistinta delle vocali atone (scevà), cosa che manca nell'area brindisina e in quelle adiacenti[26].

Un paio di anni dopo, Giovan Battista Mancarella scrive Nuovi contributi per la storia della lingua a Taranto, dove appoggia la tesi di Greco. Tramite inchieste e sondaggi, egli elenca tutta una serie di particolarità tipiche delle parlate pugliesi alto-meridionali:

  • le postnasali -NT-,-MP-, -NC-, -NS- hanno subito tutte la sonorizzazione[27];
  • le vocali e e o hanno suono stretto in sillaba libera e un suono allargato in sillaba chiusa[27].

Per la morfologia verbale, si vanno confermando alcune oscillazioni tipiche dell'area linguistica in questione, come gli infiniti apocopati, le doppie desinenze per l'indicativo imperfetto ed il perfetto e le desinenze -àmme e -èmme[27].

Ma Mancarella offre anche un'ampia serie di particolarità che potrebbero far rientrare il tarantino tra i dialetti salentini:

  • la scomparsa delle doppie desinenze forti -abbe e -ibbe per il perfetto[28] (ancora in uso nell'area pugliese centrale e materana);
  • la presenza di dittongazioni metafologiche tipica del brindisino-orientano, come i verbi appartenente alla seconda classe in ó che danno sempre u, e quelli in é che si distinguono in due gruppi, uno che dà un i e l'altro che dà in ie[28].

Successivamente è Giacinto Peluso a voler risollevare la questione di appartenenza del dialetto tarantino all'area pugliese dei dialetti meridionali. In Ajère e ôsce - Alle radici del dialetto tarantino, conferma le ricerche effettuate da Greco e da Mancarella con altri punti di contatto tra il tarantino e il lucano:

  • la tendenza a turbare le vocali toniche in sillaba libera o in direzione palatale (máne, cápe) o in direzione velare (vóce, buóno), mentre i dialetti salentini hanno vocali toniche ben distinte (càpu, vòce);
  • la riduzione di tutte le atone finali ed interne, al contrario del sistema salentino che articolare sempre tutte le atone;
  • la sonorizzazione del postnasali, che in salentino rimangono intatte;
  • le desinenze dell'imperfetto -áve e -íve, che in salentino sono -aa e -ii, e le desinenze del perfetto in -éve e -íve, che in salentino sono -ai e -ii;
  • il sistema del possessivo tipico lucano a due forme (maschile e plurale, e femminile) contro quello salentino ad una forma soltanto;
  • l'uso del congiuntivo nell'ipotetica irreale, mentre il salentino continua ad usare l'indicativo.

A sostenere invece la tesi secondo la quale in dialetto tarantino appartenga all'area salentina, sono soprattutto gli studiosi Heinrich Lausberg e Gerhard Rohlfs. Lausberg nota una concordanza tra il tarantino e il brindisino nell'esito fonetico che accomuna i continuatori e ed o stretti e aperti, confluiti sempre in suono aperto (cuèdde, strètte, pònde); esito caratteristico, tuttavia, anche di dialetti appartenenti sicuramente all'area pugliese come l'altamurano o il materano. Rohlfs mette in evidenza invece l'uso della congiunzione cu + presente indicativo per tradurre l'infinito ed il congiuntivo, costrutto tipico dei dialetti salentini.

 
Predominanza dell'influenza della lingua greca nel dialetto tarantino secondo il Vocabolario dei dialetti salentini di Gerhard Rohlfs.

Nel Vocabolario dei dialetti salentini di Rohlfs si contano più di tredicimila voci latine, oltre ventiquattromila greche e circa trecentoquaranta tra spagnole, portoghesi, catalane, franco-provenzali, celtiche, còrse, germaniche, inglesi, turche, albanesi, dalmate, serbo-croate, rumene, ebraiche, berbere ed arabe.

Oltre ad alcune similitudini morfo-sintattiche con i dialetti salentini, il tarantino vanta anche numerosissimi vocaboli in comune col Salento, tanto da farlo includere da Rohlfs nel suo Vocabolario dei dialetti salentini. Tuttavia, le divergenze fonetiche con i dialetti salentini nonché il numero elevato di vocaboli e particolarità che sono originali tarantine, fanno vacillare questa tesi, mettendo in difficoltà gli studiosi.

[[[Aiuto:Chiarezza|]]]. Un tipico costrutto ereditato è costituito da un particolare tipo di periodo ipotetico, dove la costruzione italiana "se avessi, ti darei" è resa in tarantino con la forma greca "ce avéve, te dáve"[29]. Altro grecismo puro è la perdita dell'infinito dopo i verbi che esprimono un desiderio o un ordine: vogghie cu vvóche (voglio andare, lett. voglio che vado), o un ordine: dille cu accàtte (digli di comprare)[30]. Anche in ambito fonetico i residui del sostrato greco sono ben visibili:

  • la sonorizzazione delle postnasali (come avviene nel greco moderno per i nessi ντ e μπ);
  • la tendenza ad accentuare i monosillabi e i bisillabi sull'ultima vocale;
  • l'esito nelle voci posteriori di -o- in -u-: sckamunére > gr. σκαμόνιον (skammónion).

Gli studiosi che si cimentano con lo studio del dialetto tarantino, non possono non tener conto di questi importantissimi dati, che escluderebbero a priori la possibile appartenenza al gruppo "napoletano" dei dialetti pugliesi. Oggi il dibattito sulla classificazione di questo dialetto è ancora aperto, e studiosi e linguisti continuano a discutere sulla sua filogenesi.

Fonologia

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Oltre alle tipiche cinque vocali dell'italiano a e i o u, il dialetto tarantino ne conta anche altre cinque: é ed ó sono vocali chiuse, la á che ha un suono particolarmente chiuso, quasi semimuto, ed í e ú chiamate "vocali dure", poiché vengono pronunciate con una notevole vibrazione delle corde vocali; le vocali con accento acuto sono tutte lunghe ed hanno valore doppio rispetto a quelle italiane. Vi sono anche le vocali aperte è e ò (sempre brevi)[31] e le con accento circonflesso â ê î ô û[31] usate spesso (specie nel caso di ô) per segnalare la contrazione di una vocale con una consonante o un'altra vocale:

  • côre (cuore), dal latino cor, cordis, di cui non eredita la u di cuore italiano;
  • bbône (buona), dalla radice latina bonū-, di cui non eredita la u di buona italiano;
  • scè ô cìneme (andare al cinema), contrazione di a'u (a lu);
  • scenne' d'â màchene (scendere dall'auto), contrazione di da la.

Esiste inoltre un'altra vocale, la e muta (foneticamente equivalente allo scevà ə), la quale è sempre mutola in fine di parola e quasi sempre semimuta in posizione protonica[32]: una parola come perebìsse, quindi, andrà pronunciata come [pərəbìssə]. Nel caso in cui la parola con e muta in fine di parola formi un nesso sintattico con la parola successiva, la vocale si sonorizza: marànge → maràngia pònde (arancia punta, guasta)[33]. I dittonghi sono pronunciati come in italiano, tranne che per ie che vale come una i lunga se si trova nel corpo di una parola, mentre se posta alla fine andrà pronunciata come una i molto veloce seguita da una e semimuta.

Consonanti

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Le consonanti sono le stesse dell'italiano, con sole cinque aggiunte: c se si trova in posizione postonica tende ad essere pronunciata come sc in sciocco (es. dôce [do:ʃə], fáce [fɐ:ʃə], ecc.), -j suffissale pronunciata come la y della parola inglese yellow, il nesso sck dove sc è pronunciato come nella parola italiana scena, la k come la c di casa, il nesso ije pronunciato più o meno come ille nella parola francese bouteille, e la v in posizione intervocalica che non ha alcun suono (es: avuandáre, tuve, ecc.). Le consonanti doppie sono molto frequenti in principio di parola[31] ed in posizione protonica.[34]

La dieresi

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A causa del grande numero di omofoni presenti nel dialetto tarantino, a volte si è costretti a distinguerli per mezzo di un accento o di una dieresi[31]; quest'ultima viene adoperata soprattutto per indicare lo iato fra due consonanti, ad esempio:

  • fiúre (fiori), fïúre (figura);
  • pèsce (pesce), pésce (peggio), ecc.

Apocope e aferesi

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L'apocope (la caduta di una vocale o di una sillaba in fine di parola), se riguarda le forme verbali, va segnalato mettendo l'apposito accento tonico; l'aferesi (la caduta di una vocale o di una sillaba in principio di parola) in tarantino va segnato mediante un apostrofo:

  • durmé(re) - durmè
  • addummanná(re) - addummannà
  • (u)mbriáche - 'mbriáche
  • (i)ndurtegghià(re) - ndurtegghià
  • insalata - (i)nzalata - 'nzaláte

Dissimilazione e assimilazione

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La dissimilazione è un fenomeno per il quale due suoni, trovandosi a stretto contatto, tendono a differenziarsi:

  • lat. cultellus - tar. curtidde (coltello).

L'assimilazione si ha quando la consonante iniziale di una parola si muta nella consonante della seconda sillaba della parola stessa, in seguito ad un'anticipazione dell'articolazione fonetica di quest'ultima:

  • lat. juscellum - tar. sciuscidde (tipo di minestra).

Geminazione

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Una particolarità che salta subito all'occhio di chi per la prima volta si trova a leggere un testo in dialetto tarantino, è il fenomeno della geminazione, o più semplicemente raddoppiamento iniziale o sintattico. Esso è un fenomeno di fonosintassi, ossia, a causa della perdita della consonante finale di alcuni monosillabi (assimilazione fonosintattica), la consonante iniziale della parola che segue viene rafforzata.

I principali monosillabi che danno luogo alla geminazione sono:

  • a: a (preposizione);
  • e: e (congiunzione);
  • cu: con (sia come congiunzione, sia come preposizione);
  • addà: lì, là (avverbio);
  • aqquà: qui, qua (avverbio);
  • ogne: ogni (aggettivo indefinito);
  • cchiù: più (aggettivo e avverbio);
  • pe: per (preposizione);
  • : è (verbo essere);
  • si': sei (verbo essere);
  • so': sono (verbo essere);
  • 'mbra: tra, fra (preposizione);
  • tre': tre (numerale).

Il raddoppiamento iniziale è indispensabile nella lingua orale per capire il significato della frase:

  • hé fatte bbuéne (hai fatto bene);
  • è ffatte bbuéne (è fatto bene).

Come si vede dall'esempio, il rafforzamento della f si rivela fondamentale per il senso dell'affermazione. Ecco altri esempi:

  • 'a máne (la mano) - a mmáne (a mano);
  • de pétre (di pietra) - cu ppétre (con pietra);
  • 'a cáse (la casa) - a ccáse (a casa).

Grammatica

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Morfologia

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Articoli e sostantivi

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Il Vocabolario del dialetto tarantino di Domenico Ludovico de Vincentiis, magistrale opera del 1872, è oggi uno dei principali punti di riferimento per lo studio dell'evoluzione del vernacolo tarantino nell'ultimo secolo.

Il dialetto tarantino ha due generi, maschile e femminile. Avendo la terminazione in e muta, il genere delle parole è riconoscibile solamente tramite l'articolo, che in tarantino è 'u, 'a, le per il determinativo, e 'nu, 'na per l'indeterminativo.

Se il sostantivo che segue l'articolo comincia con una vocale, questo si apostrofa, a meno che esso non abbia una consonante iniziale precedentemente caduta:

  • l'acchiále (gli occhiali);
  • l'òmme (l'uomo);
  • 'n'àrvule (un albero);
  • le uáie (i guai);
  • lu uéve (il bue);
  • 'a uagnèdde (la ragazza).

Plurale e femminile

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La formazione del plurale è assai complessa. Per molti sostantivi ed aggettivi esso non esiste, ossia rimangono invariati:

  • 'u livre (il libro) - le livre (i libri);
  • l'àrvule (l'albero) - l'àrvule (gli alberi).

Alcuni aggiungono il suffisso -ere:

  • 'a cáse (la casa) - le càsere (le case);

Altri cambiano la vocale tematica:

  • 'a fògghie (la foglia) - le fuègghie (le foglie);
  • 'u chiangóne (il macigno) - le chiangúne (i macigni);
  • 'u sciorge (il topo) - le sciurge (i topi)

Altri ancora tutti e due:

  • 'u pertúse (il buco) - le pertòsere (i buchi);
  • 'u paíse (il paese) - le pajèsere (i paesi);
  • l'anìdde (l'anello) - l'anèddere (gli anelli).

In ultimo vi sono i plurali irregolari:

  • 'u figghie (il figlio) - le fíle (i figli),

o sostantivi con doppia formazione:

  • 'a mulèdde (la mela) - le mulìdde o le mulèddere (le mele).

La formazione del femminile segue le stesse regole. Alcuni sostantivi e aggettivi rimangono invariati:

  • bèdde (bello) - bèdde (bella).

Altri cambiano il dittongo in o:

  • luènghe (lungo) - lònghe (lunga).

Pronomi

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I pronomi dimostrativi sono:

  • quiste (questo)[35];
  • quèste (questa)[35];
  • chiste (questi[36], queste[37]);
  • quidde (quello)[35];
  • quèdde (quella)[35];
  • chidde (quelli, quelle)[38].

Più usate nel parlato sono le forme abbreviate: 'stu per quiste, 'sta per quèste, 'ste per chiste.

I pronomi personali sono:

persona soggetto atono tonico riflessivo
1a singolare ìe[39] me[40] méie[40] me[40]
2a singolare túne[41] te[42] téie[43]/téve[44] te[42]
3a singolare maschile iìdde[39] le[45] iìdde[39] se[46]
3a singolare femminile ièdde[39] le[45] jèdde[39] se[46]
1a plurale nùie/nu'[47] ne[48] nùie/nu'[47] ne[48]
2a plurale vùie/vù[49] ve[50] vùie/vù[49] ve[50]
3a plurale indistinto lóre[51] le[45] lóre[51] se[46]
impersonale se[46] -- -- se[46]

Se la forma dativa del pronome soggetto è seguita da un pronome oggetto, a differenza dell'italiano, la forma dativa si omette lasciando posto solo per il pronome oggetto:

  • 'u dìche cchiù ttarde (lo dico più tardi).

Volendo si può specificare il soggetto mediante l'aggiunta di un pronone personale:

  • a iìdde u dìche cchiù ttarde (a lui lo dico più tardi).

Per la "forma di cortesia", il tarantino adopera la forma allocutiva che, come avveniva a Roma, dà del tu a tutti indistintamente. Se proprio si vuole esprimere rispetto nei riguardi dell'interlocutore, si aggiunge l'aggettivo ussignorìe (deriv. di vu ssignorije), lasciando però sempre il verbo alla seconda persona singolare:

  • d'addò avíne (v)u ssignorìe? (Lei da dove viene?).

Quando il pronome riflessivo della prima persona plurale è seguito da pronome oggetto (in italiano reso con ce) e si trova alla forma negativa, esso diviene no 'nge in dialetto tarantino:

  • nù non ge ne sciáme (noi non ce ne andiamo).

I pronomi relativi sono:

  • ci[52], ce[53] (chi);
  • ca[54] (il quale, la quale, i quali, le quali, di cui, a cui).

Per esempio:

  • ci sì tu? (chi sei?);
  • 'a cristiáne c'agghie viste aiére (la signora la quale ho visto ieri);
  • le libbre ca m'hé parláte (i libri di cui mi hai parlato).

Aggettivi

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Gli aggettivi possessivi sono:

persona maschile singolare femminile singolare plurale indistinto forma enclitica
1a singolare míe[55] méie[40] míje[55] -me[40]
2a singolare túie[56], túve[57] tóie[58], tóve[59] túje[56], túve[57] -te[42]
3a singolare súve[60] sóve[61] súve[60] -se[46]
1a plurale nuèstre[47] nòstre[37] nuèstre[47] -
2a plurale vuèstre[62] vòstre[37] vuèstre[62] -
3a plurale lòre[51] lòre[51] lòre[51] -se[46]

In dialetto tarantino l'aggettivo possessivo va sempre posto dopo il nome al quale si riferisce[63]:

  • 'a màchena méie (la mia automobile).

Altra caratteristica di questo dialetto è anche la forma enclitica del possessivo tramite suffissi, che però è limitata solamente alle persone:

  • attàneme (mio padre);
  • màmete (tua madre);
  • sòrese (sua sorella),

e via di seguito.

Preposizioni

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Le preposizioni semplici sono:

  • de (di);
  • a (a);
  • da (da);
  • iìndre/inde (in);
  • cu (con);
  • suse/sobbre (su);
  • pe (per);
  • 'mbrà (tra, fra).

Possono fare anche da preposizioni:

  • sotte/abbàsce (sotto, giù);

Le preposizioni articolate sono:

  'u 'a le
de de 'u (d'u) de 'a (d'a) de le
a a 'u (ô) a 'a (â) a lle
da da ô (d'ô) da 'a (d'â) da le
iìndre (cfr. lat. intra) iìndre ô (iìndr'ô) iìndre a (iìndr'a) iìndre le, iìndre a (iìndr'a) lle
cu cu 'u (c'u) cu 'a (c'a) cu lle
suse suse ô (sus'ô) suse a (sus'a) suse le, suse a (sus'a) lle
pe pe 'u (p'u) pe 'a (p'a) pe lle

ca e cu

ca (lat. quia) può avere valore di:

  • preposizione relativa: vóche a 'ccàtte 'u prime ca jacchie (vado a comprare il primo che trovo);
  • congiunzione:
    1. nella proposizione dichiarativa: sacce ca jé 'nu bbuéne uagnone (so che è un bravo ragazzo)[64];
    2. nelle proposizione consecutiva: áve ca no 'nge 'u véche (è da tanto che non lo vedo)[64];
  • introdurre il secondo termine di paragone: jéve cchiù 'a fòdde ca 'u rèste (era più la folla che il resto).

Cu (lat. quod) può avere valore di:

  • preposizione: tagghiáre c'u curtídde (tagliare col coltello);
  • congiunzione (con);
  • dopo i verbi che esprimono un desiderio o un ordine: vóle cu mmange (vuole mangiare)[64][65];
  • per formare il congiuntivo presente: cu avéne aqquà (che venga qui);
  • nella forma avversativa: cu tutte ca (con tutto che)[65];
  • nelle proposizioni finali: vuléve cu éve cchiù drìtte (avrei voluto essere più in gamba)[64];
  • nelle proposizioni concessive: avàste cu ppaje (basta che paghi)[64];
  • come presente perifrastico: sté cu avéne (sta per venire)[64].

Il partitivo in tarantino non esiste, e per tradurlo vengono adoperate due forme[63]:

  • 'nu picche (un poco);
  • dóje (due).

Per esempio:

  • pozze ave' nu pìcche de marange? (potrei avere delle arance?);
  • ajére hagghie accattáte ddo' mulèddere (ieri ho comprato due mele).

Accusativo e vocativo

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Dei vecchi casi grammaticali, il dialetto tarantino ha mantenuto nella sua forma moderna soltanto l'accusativo e il vocativo. Come per altre lingue dell'area mediterranea, l'accusativo in tarantino viene segnalato mediante l'intercalare della preposizione a solo se si tratta di persone[66]:

  • Addummànnele a ffratte (chiedilo a tuo fratello)
  • Hé chiamate ô dottore? (hai chiamato il medico?)
  • Puèrtete a Marìe (portati a Maria)

Il caso vocativo, in linea con molti dialetti meridionali, è probabilmente il più utilizzato dal tarantino. Esso può affliggere ogni parte del discorso, nomi, aggettivi e avverbi. Il vocativo si forma apocopando la parola all'ultima sillaba tonica:

  • Faiéle (Raffaele), voc. Faié
  • Cungétte (Concetta), voc. Cungé
  • stuédeche (sciocco), voc. stué (molto usato ué facce de stué, stupido)
  • zurlére (donna attaccabrighe), voc. zurlé
  • cumbáre (compagno, amico), voc. cumbà
  • angóre (ancòra), voc. angó
  • ména (dai, escl.), voc.

In dialetto tarantino, il vocativo viene utilizzato sia per esprimere il complemento di vocazione sia per enfatizzare una parte del discorso o per esprimere uno stato d'animo di impazienza o di irritazione:

Hé sciute, pò, ô cìneme Frangè? Alla fine sei andato al cinema, Francesco?

None Marì Non ancora, Maria.

Angó? E mé, quanne ha a scè? Ancora? (esprime incredulità) Suvvia (esortazione), quando ci andrai?

In base al grado di impazienza o di esortazione che si vuole esprimere, talvolta è possibile retrocedere le sillabe da apocopare:

  • Frangèsche > Frangè > Frà
  • Benedetta > Benedè >

Il sistema verbale tarantino è molto complesso e differente da quello italiano.

I verbi principali e le loro declinazioni all'indicativo presente sono:

  • essere (non come ausiliare): songhe/so' , sinde/si' , (o è o éte), síme, síte, sonde/so' ;
  • avere (anche in luogo di dovere): agghie, , ha, ame/avíme, avíte, honne;
  • stare: stóche, stéje/ste' , stéje/ste' , stame, state, stonne;
  • andare: vóche, véje/ve' , véje/ve' , sciame, sciate, vonne;
  • tenere (in senso di possesso): tènghe, tine, téne, teníme, teníte, ténene;
  • fare: fazze, fáce, fáce, facíme, facíte, fàcene.

Caratteristica tipica è l'uso frequente della prostesi della vocale -a-, che porta ad una doppia forma verbale[63][67]:

  • cògghiere e accògghiere (raccogliere);
  • 'ndruppecáre e attruppecáre (inciampare).

Vi è anche la presenza del suffisso incoativo -èsce derivato dall'antico -ire[68]:

  • durmèscere (dormire);
  • sparèscere (sparire);
  • scurèscere (imbrunire).

È molto diffusa l'alternanza vocalica tra i verbi della prima coniugazione, dovuto alla metafonia. Essi sono soggetti al dittongamento dell'ultima vocale tematica (-o- in -ué-). Per esempio[68][69]:

  • sciucare (giocare): ije scioche, tu sciuéche, jidde scioche, nu' sciucame, vu' sciucate, lore sciòchene;
  • annegghiare (scomparire): ije annigghie, tu annigghie, jidde annigghie, nu' annegghiame, vu' annegghiate, lore annighiane.

I verbi della seconda coniugazione, esitano la o in u[69]:

  • còsere (cucire): ije cóse, tu cúse, jidde cóse, nu' cusime, vu' cusite, lore còsene;
  • canòscere (conoscere): ije canòsche, tu canùsce, jidde canòsce, nu' canuscime, vu' canuscite, lore canòscene.

I verbi servili

  • scére (andare): Il principale verbo servile è usato molto spesso in frasi interrogative e negative.

Coniugazioni

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Il tarantino ha due coniugazioni, una in -are, la più ricca, ed una in -ere (derivante dalla latina -ire).[63]

Modo infinito

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L'infinito dei verbi è reso, specialmente nel parlato informale, mediante l'apocope delle forme cosiddette "da dizionario":

  • addumannà da addumannare (chiedere);
  • canòsce' da canòscere(conoscere).

In tarantino l'infinito viene perso dopo verbi di desiderio o di ordine, essendo sostituito da cu seguito dall'indicativo presente[64]

  • te vògghie cu ddiche (voglio dirti);
  • dille cu avéne (digli di venire).

Modo indicativo

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Le desinenze per formare l'indicativo presente sono le seguenti[68]:

  • prima coniugazione: -e, -e, -e, -áme, -áte, -ene;
  • seconda coniugazione: -e, -e, -e, -íme, -íte, -ene.

A differenza degli altri dialetti pugliesi, nel tarantino non compare la desinenza -che per le prime persone. Questa desinenza è usata però per i verbi monosillabici:

  • vóche (vado);
  • véche (vedo);
  • stóche (sto).

Il presente continuato in tarantino si forma con l'indicativo presente del verbo stare + preposizione a + indicativo presente del verbo[70]:

  • stóche a ffazze (sto facendo).
  • stonne a sciòchene (stanno giocando)

Fanno eccezione a questa regola la seconda e la terza persona singolare, le quali non richiedono l'uso della preposizione a:

  • sté studie (sta studiando);
  • sté mmange (sta mangiando).

Nell'imperfetto troviamo le seguenti desinenze[68]:

  • prima coniugazione: -áve, -áve, -áve, -àmme, -àveve (-àvve), -àvene;
  • seconda coniugazione: -éve, -íve, -éve, -èmme, -ìvene (-ìvve), -èvene.

Per il tempo perfetto le desinenze sono[70]:

  • prima coniugazione: -éve, -àste, -óie, -àmme, -àste, -àrene;
  • seconda coniugazione: -íve, -ìste, -ie, -èmme, -ìste, -èrene.

In dialetto tarantino non esiste una forma univerbale di futuro, che perciò viene spesso sostituito dal presente indicativo oppure viene espresso mediante la perifrasi futurale derivata dal latino habeo ab/de + infinito, caratteristica questa che è comune ad altre lingue, tra cui la lingua sarda:

  • agghie da ccundà o agghi'a ccundà (racconterò).

Questo costrutto è usato anche per esprimere il senso di necessità:

  • Ce amme a ffa'? (cosa dobbiamo fare?).

Modo congiuntivo

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Il congiuntivo presente ha tutta una sua forma particolare, tipica poi dei dialetti salentini; si rende con la congiunzione cu seguita dal presente indicativo[64][65]:

  • Dille cu avènene cu nnuje! (digli che vengano con noi!).

Al contrario, il congiuntivo imperfetto ha delle desinenze proprie[70]:

  • prima coniugazione: -àsse, -àsse, -àsse, -àmme, -àste, -àssere;
  • seconda coniugazione: -ìsse, -ìsse, -èsse, -èmme, -ìste, -èssere.

Modo condizionale

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Altro tempo verbale inesistente è il condizionale, sostituito dall'imperfetto indicativo o dall'imperfetto del congiuntivo[70]:

  • vuléve scè ô cìneme (vorrei andare al cinema);
  • vulìsse venè pure ie (vorrei venire anche io).

Modo imperativo

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L' imperativo è generalmente uguale alla corrispondente persona dell'indicativo presente[70]:

  • tremìende! (guarda!),
  • sciáme! (andiamo!),
  • avenìte! (venite!).

La formazione dell'imperativo negativo è già più complicata: si ottiene mediante la circonlocuzione verbale con scére + gerundio (dal latino ire iendo)[70]:

  • no sce scènne a scôle ôsce (non andare a scuola oggi).

Modo gerundio

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Il gerundio si ottiene aggiungendo la desinenza -ànne per i verbi del primo gruppo, e -ènne per i verbi del secondo:

  • 'nghianànne (salendo),
  • fuscènne (correndo).

A volte per tradurre il gerundio si fa ricorso ad una preposizione relativa:

  • hagghie vìste u film ca sté mangiáve (ho visto il film mangiando).

Modo participio

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Il participio passato è formato con l'aggiunta del suffisso -áte per i verbi appartenenti al primo gruppo, e del suffisso -úte per i verbi appartenenti al secondo. Tuttavia vi sono anche participi passati uscenti in -ste, di derivazione latina[70]:

  • candate da candare (cantato),
  • partute da partere (partito),
  • viste da vedere (visto),
  • puèste da ponere (posto),
  • rumàste da rumanere (rimasto).
persona Indicativo presente Imperfetto Perfetto Congiuntivo presente Congiuntivo imperfetto
Ije songhe/so' ére fuéve cu ssìe fòsse
Tune/Tu sinde/si' ìre fuìste cu ssíje fuèsse
Jidde, Jédde jè, éte[72] ére, jéve[73] fu' cu ssìje fòsse
Nuje síme èreme fuèmme cu síme fòsseme
Vuje síte íreve fuésteve cu ssíte fuésseve
Lóre sonde/so' èrene, jèvene[73] fùrene cu ssíene fòssere
persona Indicativo presente Imperfetto Perfetto Congiuntivo presente Congiuntivo imperfetto
Ije hagghie avéve avìbbe cu hagghie avìsse
Tune/Tu avíve avìste cu hagghie avìsse
Jidde, Jèdde ha/have avéve aví cu hagghie avèsse
Nuje ame avèveme avèmme cu avìme avìsseme
Vuje avíte avìveve avìsteve cu avíte avìsseve
Lóre honne/avene[72] avèvene avèrene cu honne avèssere

Variazioni ortografiche

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Non avendo una regolamentazione ufficiale prima della pubblicazione del Dizionario della Parlata Tarantina, il vernacolo tarantino presenta alcune variazioni ortografiche riscontrabili per lo più in autori di vecchia data. Le più note sono l'uso di ij al posto del dittongo lungo ie (arrajamiende > arrajamijnde, niende > nijnde, ecc.), come hanno adoperato autori come Tommaso Gentile, Gigi Vellucci e Claudio De Cuia, la coniugazione del verbo avere senza h (hagghie > agghie) tuttavia da considerarsi errata poiché tale coniugazione deriva direttamente dalla forma latina habeo e quindi necessita di h altresì per distinguere la prima persona singolare da agghie (aglio), l'uso esclusivo dell'accento grave (errore probabilmente attribuito ad un fattore di comodità tipografica), l'uso più o meno ampio dell'accento circonflesso per indicare la contrazione vocalica, le segnalazioni di apocopi e aferesi (totalmente assenti in autori come il Gentile, mentre in autori come Cosimo Acquaviva vengono ancora adoperate le forme non apocopate degli articoli determinativi lu e la) e la mancata sonorizzazione delle occlusive nasalizzate (tali mancanze sono dovute al fatto che il dialetto di Taranto, prima della massiccia industrializzazione e quindi del crescere della sua popolazione grazie ai flussi migratori di lavoratori, presentava una sonorità molto più vicina ai dialetti salentini di quanto non lo sia oggi).

  1. ^ Riconoscendo l'arbitrarietà delle definizioni, nella nomenclatura delle voci viene usato il termine "lingua" in accordo alle norme ISO 639-1, 639-2 o 639-3. Negli altri casi, viene usato il termine "dialetto".
  2. ^ Roberto Nistri, Scritture joniche di fine secolo, Scorpione Editrice, Taranto, 2005.
  3. ^ Domenico Ludovico de Vincentiis, 1872, pag. 8.
  4. ^ Giovanni Battista University of Illinois Urbana-Champaign e Antonio Cavagna Sangiuliani di Gualdana, Descrizione topografica di Taranto con quella dei suoi due mari delle sue pesche : del suo territorio, de suoi prodotti marittimi e terrestri, de' rottami delle sue Antichita ; e colla serie de'suoi uomini illustri, Napoli : Angelo Trani, 1811, p. 18. URL consultato il 5 ottobre 2023.
  5. ^ Enciclopedia Treccani: Dialetti meridionali., su treccani.it.
  6. ^ Pierre Wuilleumier, Taranto, Dalle Origini alla Conquista Romana. Traduzione dal francese di Giuseppe Ettorre, 1987, pp. 657-659, Mandese Editore, Taranto.
  7. ^ Nicola Gentile, Dizionario della parlata tarantina, pag. 10.
  8. ^ Ad esempio celóne (tartaruga) da χελώνη (Nicola Gigante, 2002, pag. 262), cèndre (chiodo) da κέντρον (ibidem, pag. 263), ceráse (ciliegia) da κεράσιον (ibidem, pag. 265), àpule (morbido) da απαλός (ibidem, pag. 130).
  9. ^ Ad esempio descetáre (svegliare) da oscitare (Nicola Gigante, 2002, pag. 342), gramáre (lamentarsi) da clamare (ibidem, pag. 411), 'mbise (malvagio) da impensa (ibidem, pag. 493), sdevacáre (svuotare) da exdevacuare (ibidem, pag. 774), aláre (sbadigliare) da halare (ibidem, pag. 99), tràscene (tipo di pesce) da trachinus (ibidem, pag. 864).
  10. ^ Domenico Ludovico de Vincentiis, 1872, pag. 6.
  11. ^ a b Walther von Wartburg, Die Entstehung der romanischen Völker, Tübingen, 1951.
  12. ^ AA.VV., L'Italia linguistica odierna e le invasioni barbariche in "Rendiconti Cl. di Sc. Mor. e st. della Regia Accademia d'Italia" (7.3 pp. 63-72 e ss.), 1941.
  13. ^ Benvenuto Aronne Terracini, Italia dialettale di ieri e di oggi, Torino, 1958.
  14. ^ Giuliano Bonfante, Latini e Germani in Italia (pp.50-51), Brescia, 1965.
  15. ^ Ad esempio shkife (imbarcazione) da skif (Nicola Gigante, 2002, pag. 746), gualáne (bifolco) da wald + -anus (ibidem, pag. 417) e chiaràzze (pianta di campo) da waratja (ibidem, pag. 274).
  16. ^ R. Colizzi, Alcuni vocaboli di origine longobarda nei dialetti salentini, in Cenacolo, IX X, 1979-80, p. 28.
  17. ^ Ad esempio chiaúte (bara) da tabut (Nicola Gigante, 2002, pag. 277) e masckaráte (risata) da mascharat (D. Marturano, 'A masckarate, 1971)
  18. ^ Ad esempio fesciùdde (coprispalle) da fichu (Nicola Gigante, 2002, pag. 374), accattáre (comprare) da achater (ibidem, pag. 67), pote (tasca) da poche (ibidem, pag. 650).
  19. ^ Ad esempio marànge (arancia) da naranja (Nicola Gigante, 2002, pag. 472) e suste (tedio) da susto (ibidem, pag. 841).
  20. ^ Documentazioni linguistiche da: Storia della città e del Regno di Napoli, su books.google.it.
  21. ^ Università Statale di MilanoProfilo di storia linguistica italiana. Norma ed espansione dell'italiano. (PDF), su italiansky.narod.ru.
  22. ^ Enciclopedia Treccani: Storia della lingua italiana e del suo utilizzo negli Stati preunitari., su treccani.it.
  23. ^ Università degli Studi di Milano: Storia della lingua italiana. Il primo Cinquecento., su docsity.com.
  24. ^ a b Nicola Gigante, Dizionario della parlata tarantina, Taranto, 2002, p. 15.
  25. ^ Domenico Ludovico de Vincentiis, Vocabolario del dialetto tarantino, Taranto, 1872.
  26. ^ Rosa Anna Greco, Ricerche sul verbo nel dialetto tarentino, in Studi linguistici salentini, VI, 1973-74, pp. 69-78.
  27. ^ a b c Giovan Battista Mancarella, Nuovi contributi per la storia della lingua a Taranto, in Studi in memoria di P. Adiuto Putignani, 1975, p. 159-176.
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  32. ^ Nicola Gigante, 2002, pag. 20.
  33. ^ Nicola Gigante, 2002, pag. 19, nota 20.
  34. ^ Nicola Gigante, 2002, pag. 22.
  35. ^ a b c d Nicola Gigante, 2002, pag. 674.
  36. ^ Nicola Gigante, 2002, pag. 281.
  37. ^ a b c Domenico Ludovico de Vincentiis, 1879, pag. 14.
  38. ^ Nicola Gigante, 2002, pag. 279.
  39. ^ a b c d e Nicola Gigante, 2002, pag. 424.
  40. ^ a b c d e Nicola Gigante, 2002, pag. 499.
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  51. ^ a b c d e Nicola Gigante, 2002, pag. 452.
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  53. ^ Nicola Gigante, 2002, pag. 258.
  54. ^ Nicola Gigante, 2002, pag. 195.
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  63. ^ a b c d Nicola Gigante, 2002, pag. 30.
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  66. ^ Claudio De Cuia, Vocali e consonanti nel dialetto tarantino ed elementi di grammatica, Mandese Editore, 2003, pag.59.
  67. ^ R.A. Greco, Ricerche sul verbo nel dialetto tarantino, in Rivisti di Studi linguistici salentini, vol. 6, 1973-74, p. 71.
  68. ^ a b c d Nicola Gigante, 2002, pag. 31.
  69. ^ a b Nicola Gigante, 2002, pag. 33.
  70. ^ a b c d e f g Nicola Gigante, 2002, pag. 32.
  71. ^ Nicola Gigante, 2002, pag. 352.
  72. ^ a b Domenico Ludovico de Vincentiis, 1872, pag. 23.
  73. ^ a b Tommaso Gentile, Nu stuezze di viremijnze, 1930.
  74. ^ Nicola Gigante, 2002, pag. 164.
  75. ^ Claudio De Cuia, U Mbiérne de Dande, Editrice Tarentum, Taranto, 1976.
  76. ^ Enrico Vetrò, Il dialetto Tarantino: una favola ancestrale (PDF), su aristosseno2.altervista.org.

Bibliografia

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  • Rosa Anna Greco - Ricerca sul verbo nel dialetto tarentino (dalla rivista Studi Linguistici Salentini volume VI) - Congedo Editore - Galatina, 1973
  • Paolo De Stefano - Saggi e ritratti di cultura ionica - Scorpione Editrice - Taranto, 1985
  • Giancinto Peluso - Ajère e ôsce. Alle radici del dialetto tarantino - Edizioni Bnd - Bari, 1985
  • Nicola Gigante - Dizionario critico etimologico del dialetto tarantino - Piero Lacaita Editore - Manduria, 1986
  • Nicola Gigante - Dizionario della parlata tarantina. Storico critico etimologico - Mandese Editore - Taranto, 2002
  • Claudio De Cuia - Vocali e consonanti nel dialetto tarantino - Mandese Editore - Taranto, 2003
  • Campanini - Carboni - Il dizionario della lingua e della civiltà latina - Paravia - Torino, 2007
  • Gerhard Rohlfs - La perdita dell'infinito nelle lingue balcaniche e nell'Italia meridionale in Omagiu lui Jordan - Sofia, 1958
  • Cosimo Acquaviva - Taranto... Tarantina - Taranto, 1931
  • Domenico Ludovico De Vincentiis - Vocabolario del dialetto tarantino in corrispondenza della lingua italiana - Ristampa anastatica edizione di Taranto del 1872 - Arnaldo Forni Editore - Sala Bolognese, 1977.
  • Claudio de Cuia - Detti interdetti - Scorpione editrice, Taranto 2004

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