Organizzazione militare dei Sanniti

organizzazione militare dei Sanniti

Per organizzazione militare dei Sanniti si intendono la struttura, la tattica, l'armamento e la strategia, che servirono alle popolazioni di Pentri, Irpini, Caudini e Carricini, per espandersi prima e poi difendersi, durante le cosiddette guerre sannitiche, combattute per l'indipendenza del Sannio durante i secoli IV-III secolo a.C. contro la Repubblica romana.

Organizzazione militare dei Sanniti
Soldati sanniti da una tomba di Nola del IV secolo a.C.
Descrizione generale
AttivaV - III secolo a.C.
NazioneFederazione sannitica
ServizioForza armata
Tipoforze armate di fanteria e cavalleria
RuoloDifesa del territorio
EquipaggiamentoElmo, spada e scudo
Battaglie/guerreGuerre sannitiche: prima, seconda e terza;
Aquilonia, Boviano, Camerino, Forche Caudine, Lautulae, Monte Gauro, Sentino, Suessula, Tiferno
Comandanti
Degni di notaErennio Ponzio
Gaio Ponzio
Stazio Gellio
Gellio Egnazio
Voci su unità militari presenti su Wikipedia

Contesto storico

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Sanniti e Lega sannitica.

I Sanniti costituivano una confederazione di popoli, la cosiddetta Lega sannitica, composta principalmente da quattro tribù: Caudini, Irpini, Pentri e Carricini. Queste popolazioni erano strettamente correlati agli Osci, popolazione indoeuropea del gruppo osco-umbro. In epoca storica i Sanniti risultano dispersi su di un vasto territorio delimitato a nord dai monti della Maiella, nell'alto Abruzzo, al confine con gli Umbri, i Piceni (a nord-est) e i Sabini (a nord-ovest); a sud ed a est dal Tavoliere delle Puglie e dalle coste adriatiche; a ovest dal Mar Tirreno, dalle terre dei Volsci, degli Aurunci, dei Sidicini e dei Latini.

Struttura unità

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Al tempo della terza guerra sannitica, E.T. Salmon ritiene che i Sanniti avessero sviluppato pienamente i loro eserciti tribali, e le loro armate e strutture militari interne, non erano molto differenti da quelle romane[1].

Fanteria

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Legio Linteata.

Secondo Tito Livio la fanteria sannita era organizzata in coorti composte da 400 armati e combatteva con la tattica manipolare[2][3]. Sembra inoltre che le unità base militari fossero molto simili alle legioni romane anche in assetto di marcia.[4]. Vi sarebbe, infine, stata una formazione di particolare valore tra le loro file, la Legio Linteata, che Livio descrive formata da soldati "consacrati", che spiccavano per il candore delle loro vesti e per le armi ugualmente candide[5]. Questa formazione apparirebbe schierata, secondo il Salmon, come una falange sacra tebana, facente parte di un racconto immaginario ed idealizzato dello stesso Livio[6].

Cavalleria

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La cavalleria sannita godeva di un'ottima fama, sebbene fosse organizzata in un paese montuoso come il Sannio, apparentemente non particolarmente idoneo a schierare unità di questo genere[7]. Verrà utilizzata dai Romani come cavalleria alleata nelle successive campagne militari (es.seconda guerra punica), fino alla guerra sociale (90-88 a.C.), quando a tutta l'Italia centro-meridionale verrà concessa la cittadinanza romana, diventando parte integrante dell'esercito romano.

Organizzazione e gerarchia interna

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Capo supremo dell'esercito e quindi del Touto (letteralmente "popolo") vi era il meddíss tovtíks (in latino: meddix tuticus, "magistrato del popolo"), figura politico-amministrativa, ricordata da Tito Livio con il termine praetor proprio dell'ordinamento romano[8]. In quanto capo assoluto del suo popolo, ossia del suo Touto, aveva un potere decisionale massimo e autonomo, anche se sentiva il parere di altri:

(LA)

«Unum maxime nomen per consensum clamantium Brutuli Papi exaudiebatur […]»

(IT)

«Un nome specialmente correva sulle bocche di tutti i malcontenti, quello di Brutulo Papio […]»

Oltre ad essere il capo militare del Touto, ne curava l'amministrazione della legge, delle finanze, della religione e presiedeva le assemblee collegiali che aveva il potere di convocare. Aveva naturalmente anche funzioni militari, ma meno accentuate rispetto al suo omologo romano, il praetor[8]. La carica di meddix tuticus, elettiva e monocratica, era annuale ma poteva essere rinnovata. Si ebbero anche due meddix tuticus, come a Velitrae, Nola, Messana e Corfinium. A differenza dei consoli romani, tuttavia, i due meddices tuticis non erano perfettamente pari grado, né risulta che vi fossero differenze di specializzazione, «per cui noi parleremmo di un meddix e di un vice-meddix»[8].

Tattica ed armamento

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Rappresentazione della battaglia delle Forche Caudine del 321 a.C., dove i Sanniti ebbero la meglio sui Romani.

I successi iniziali dei Sanniti contro i Romani sul terreno montuoso, confermano come essi usassero un ordine di battaglia flessibile e aperto, piuttosto che schierare una falange serrata[9]. Vi è da aggiungere che la loro carica iniziale era molto difficile da contenere[10], tanto che in più di una circostanza essi sfondarono le linee romane, penetrando nelle difese fino ai triarii[11]. Una tradizione, sostenuta dal frammento in greco detto Ineditum Vaticanum e da Diodoro Siculo[12][3], vuole che i Sanniti usassero sia il giavellotto (pilum), sia un lungo scudo ellittico, diviso verticalmente in due da una nervatura con una borchia al centro (lo scutum), e che i Romani appresero da essi l'uso di tali armi, oltre alla tattica manipolare ed un miglior utilizzo della cavalleria. L'impressione generale che si ricava dell'esercito sannita è quella di uomini non appesantiti da troppe armature difensive e ben equipaggiati per un'azione flessibile.

«[…] lo scudo sannitico oblungo (scutum) non faceva parte del nostro equipaggiamento nazionale [romano], né avevamo ancora i giavellotti (pilum), ma si combatteva con scudi rotondi e lance. […] Ma quando ci siamo trovati in guerra con i Sanniti, ci siamo armati come loro con gli scudi oblunghi e i giavellotti e copiando le armi nemiche siamo diventati padroni di tutti quelli che avevano una così alta opinione di se stessi.»

L'elmo era spesso ornato da un pennacchio (soprattutto quello degli ufficiali o degli appartenenti alla legio linteata)[13]. A volte presentava delle aperture laterali dove venivano fissate delle penne d'aquila (si veda foto qui a lato). La tunica era di lino o pelle, copriva il torace fino ai fianchi, dove era spesso presente una cintura in pelle, munita di fibbie in bronzo. Aveva inoltre maniche corte[14]. Per proteggere il petto molte popolazioni dell'Italia antica utilizzavano o una piastra rotonda centrale di circa venti centimetri (talvolta decorata con la figura di un animale) oppure tre dischi sbalzati davanti e tre dietro, dove le due metà della "corazza" erano fissate fra loro, attraverso una serie di fibbie di metallo che si intersecavano sulle spalle e sotto le ascelle[15].

Come tanti altri popoli italici, anche i Sanniti utilizzavano il classico scutum ellittico, diviso verticalmente da una nervatura con un umbone al centro, o uno scudo più largo nella parte superiore (a protezione del viso e del petto), più stretto nella parte inferiore (verso le gambe, spesso protette da schiniere)[16]. Lo scudo non era di metallo, ma di giunchi intrecciati, ricoperti da pelle di pecora nella loro parte esterna[15].

Riguardo alle armi d'offesa dei Sanniti, utilizzavano lance, adatte più che altro al combattimento ravvicinato, un piccolo giavellotto, lunghi pugnali e, più raramente, spade a doppia lama. Questo significa che le armate sannite apparivano con armamenti non troppo pesanti, quindi adeguati al fatto di dover spesso combattere su di un territorio spesso montuoso, e quindi ben equipaggiati per un'azione flessibile.

La percezione dei Romani nei confronti dei Sanniti era di combattenti assai valorosi[17][18] ma anche spietati, pronti ad uccidere i prigionieri con grande freddezza, massacrando anche i loro stessi uomini che si fossero sottratti al servizio di leva[19]; vi è tuttavia da aggiungere che i Sanniti stessi smentirono con i fatti, questa infondata credenza nella battaglia delle Forche Caudine. In questa circostanza, infatti, risparmiarono a molti Romani la vita, al posto di compiere un barbaro eccidio di un'intera armata, fatta invece passare sotto il giogo[20].

Livio racconta infatti che, i consoli romani, atteso che non avevano altra via d'uscita, mandarono dei legati per chiedere una pace equa o che i Sanniti si schierassero per la battaglia, ma ovviamente Gaio Ponzio non accettò e pose le sue condizioni:

(LA)

«inermes cum singulis vestimentis sub iugum missurum; alias condiciones pacis aequas victis ac victoribus fore: si agro Samnitium decederetur, coloniae abducerentur, suis inde legibus Romanum ac Samnitem aeque foedere victurum»

(IT)

«[...] li avrebbe fatti passare sotto il giogo disarmati con una sola veste per ciascuno; le altre condizioni della pace sarebbero state di parità per vinti e vincitori: se i Romani avessero abbandonato il territorio sannita e ritirato le colonie, i Romani e i Sanniti in futuro sarebbero vissuti secondo le proprie leggi, stringendo un patto di alleanza alla pari.»

Lucio Lentulo, in una sorta di assemblea informale si alzò per consigliare la resa, razionalizzandola come difesa della patria che altrimenti, perso l'esercito, ne sarebbe rimasta priva. Contrariamente a quanto era accaduto ai tempi del padre, non c'era un esercito romano pronto a ritornare alla riscossa. I consoli si recarono da Ponzio per discutere la resa.

(LA)

«Iam primum cum singulis vestimentis inermes extra vallum exire iussi; et primi traditi obsides atque in custodiam abducti: tum a consulibus abire lictores iussi paludamentaque detracta […] Primi consules propri seminudi sub iugum missi; tum ut quisque gradu proximus erat, ita ignominiae obiectus; tum deinceps singule legiones: circumstabant armati hostes, exprobrantes eludentesque, gladii etiam plerisque intentati, et vulnerati quidam necatique, si vultus eorum indignitate rerum acrior victorem offendisset.»

(IT)

«Dapprima ricevettero l'ordine di uscire dal vallo disarmati con un'unica veste, e furono consegnati in primo luogo e condotti in prigionia gli ostaggi. Poi fu ordinato ai littori di allontanarsi dai consoli, e a questi fu tolto il manto da generale […]. I consoli per primi furono fatti passare seminudi sotto il giogo, poi per ordine di grado gli ufficiali furono esposti all'infamia, e infine le legioni ad una ad una. All'intorno stavano i nemici armati, lanciando insulti e scherni; molti furono minacciati con le spade, e alcuni anche furono feriti e uccisi, se l'espressione del loro volto troppo risentita per quell'indegno oltraggio urtava il vincitore.»

L'episodio è ricordato anche da Niccolò Machiavelli nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio[21]:

«Era, come di sopra si è detto, il Consolo e lo esercito romano assediato da' Sanniti: i quali avendo posto ai Romani condizioni ignominiosissime (come era volergli mettere sotto il giogo, e disarmati rimandargli a Roma), e per questo stando i Consoli come attoniti, e tutto lo esercito disperato […]»

Strategia

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre sannitiche.

Il territorio occupato dalla confederazione sannita si espanse progressivamente, ma giunti a toccare il basso Lazio e la zona di Napoli i Sanniti dovettero confrontarsi con i Romani, con i quali stipularono in un primo momento un patto di alleanza ed amicizia nel 354 a.C.[22]. Undici anni più tardi però, nel 343 a.C., la città etrusca di Capua fu occupata dai Sanniti e chiese aiuto al Senato romano, che ne accolse la supplica. Fu l'inizio della prima guerra sannitica, dove i Romani alla fine prevalsero, nonostante numerose difficoltà iniziali incontrate.

Dimensione dei suoi eserciti

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Secondo quanto ci racconta Polibio, le liste di leva del Sannio poco prima dell'inizio della seconda guerra punica (225 a.C.), comprendeva 70 000 fanti e 7 000 cavalieri, all'epoca alleati dei Romani[23]. Se si considera che a quel tempo erano state già numerose le perdite territoriali subite dai Sanniti, possiamo ipotizzare che allo scoppio della guerra contro Pirro nel 280 a.C. (per taluni definita, la quarta guerra sannitica[24]), il potenziale militare umano di questa "federazione di popoli" si aggirava attorno alle 150 000 unità (su una popolazione complessiva di 750 000/780 000 abitanti)[25]. Vi è da aggiungere che nel 293 a.C. Livio sostiene che per formare la famosa legio linteata, si radunarono ad Aquilonia 60 000 uomini[26], tra i quali furono scelti 16 000 per la sopracitata legione[27] ed altri 20 000 per un'altra unità, di minor qualità[28], per un totale di 36 000 armati.

  1. ^ E.T. Salmon (1995), p. 109.
  2. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, IX, 43.17; X, 20.15; X, 40.6.
  3. ^ a b Diodoro Siculo, Bibliotheca historica, XXIII, 2.
  4. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, VIII, 30.11; X, 35.18.
  5. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, X, 38.7-13.
  6. ^ E.T. Salmon (1995), p. 108.
  7. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, VIII, 38.5; IX, 27.5; X, 20.13.
  8. ^ a b c Giacomo Devoto, Gli antichi Italici, pp. 256-259.
  9. ^ Cicerone, De Oratore, II, 80.325.
  10. ^ Frontino, Stratagemmi militari, II, 1.8.
  11. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, VIII, 8.11.
  12. ^ Ineditum Vaticanum, H. Von Arnim (1892), Hermes 27: 118.
  13. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, X, 38.12-13.
  14. ^ E.T. Salmon (1995), p. 113.
  15. ^ a b E.T. Salmon (1995), p. 114.
  16. ^ E.T. Salmon (1995), p. 110.
  17. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, VII, 29.5
  18. ^ Silio Italico, Punica, VIII, 550 e 582.
  19. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, X, 38.3.
  20. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, IX, 4-6.
  21. ^ N. Macchiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, su classicitaliani.it. URL consultato l'11 agosto 2022 (archiviato dall'url originale il 31 maggio 2011).
  22. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, VII, 19.
  23. ^ Polibio, Storie, II, 24.10.
  24. ^ E.T. Salmon (1995), p. 300.
  25. ^ G. De Sanctis (1988), p. 366, n. 12.
  26. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, X, 38.4.
  27. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, X, 38.12.
  28. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, X, 38.13.

Bibliografia

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Fonti primarie
Letteratura storiografica

Voci correlate

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Altri progetti

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