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Khayr al-Dīn
Barbarossa in un'immagine del XVI secolo (Parigi, Louvre)
SoprannomeBarbarossa
NascitaMitilene, 1478
MorteCostantinopoli, 1546
Religioneislamica
Dati militari
Paese servitoBandiera dell'Impero ottomano Impero ottomano
Forza armataBandiera dell'Impero ottomano Osmanlı Donanması
GradoKapudan-i Derya
GuerreGuerra turco-veneziana (1537-1540)
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Khayr al-Dīn in un ritratto del XVI secolo

Khayr al-Dīn Barbarossa, detto in ambiente italico Ariadeno o Aricodemo Barbarossa, conosciuto anche come Haradin, Kaireddin, Cair Heddin, Hasher e Hazer (Mitilene, 1478Costantinopoli, 1546), è stato un corsaro e ammiraglio ottomano, Bey di Algeri e di Tlemcen, nonché comandante della flotta ottomana.

Biografia

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Dalle origini alla morte di Aruj

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Le origini di Barbarossa sono incerte. Secondo alcune fonti nacque da Ya'Kub, probabilmente un ex giannizzero o un ex Sipahi, diventato poi vasaio, che prese in moglie la greca Catalina, vedova d'un prete ortodosso dell'isola. Il futuro corsaro venne chiamato con il nome di Khizr ed ebbe tre fratelli: Isaac, Elias e ʿArūj.[1]

Messosi in mare già in giovane età, Barbarossa navigò l'Egeo settentrionale, dandosi alla mercatura e occasionalmente ad atti di pirateria, alla pari del fratello Aruj, che invece solcava principalmente le acque prossime alle coste africane, in compagnia di Isaac.[2] I traffici marittimi di Aruj vennero bruscamente interrotti dalle galee dei Cavalieri di Rodi al largo dell'arcipelago del Dodecaneso. I giovanniti assaltarono la loro imbarcazione, massacrando parte della ciurma, compreso Isaac e imprigionando Aruj insieme ai superstiti[3]

Aruj tornò infine libero, non si sa se grazie alla fuga o a un riscatto pagato, ma ebbe comunque modo di sottrarsi alla prigionia dei Cavalieri di San Giovanni e rimettersi nuovamente in mare.

Barbarossa militò quindi nella squadra del Camali insieme al fratello ʿArūj. Quando questi si ammutinò sulla galea in cui era imbarcato uccidendone uno dei proprietari, a Barbarossa venne dato il comando del brigantino che viaggiava al seguito. Questo episodio gli consentì di accumulare una grossa fortuna in denaro.

I fratelli Barbarossa arrivarono in Maghreb, in particolare a Tunisi, intorno al 1504.[4] I due corsari portarono ricchi doni al sovrano tunisino, l'Hafside Mulay Mohammed, in modo da ottenerne ospitalità e supporto. Il regnante mise a disposizione di Khizir e Aruj il porto di La Goletta per le proprie imbarcazioni, in cambio di una percentuale sui loro futuri bottini.[5][6]

Negli anni seguenti i due Barbarossa portarono avanti con successo le loro azioni di pirateria, in special modo contro il naviglio genovese e spagnolo, razziando inoltre molte coste del Mar Mediterraneo.[7]

Nel 1510 i corsari riuscirono a conquistare l'Isolotto di Gerba, prima possedimento spagnolo, e a tramutarlo in un ancoraggio sicuro dal quale far partire le proprie scorrerie nel Mediterraneo e lungo le coste del Meridione italiano.[8] Vengono ricordate soprattutto quelle comprese nella zona di Diano Marina in Liguria, ma anche di Reggio Calabria (1512), in Andalusia (tornata cristiana), a Lipari e a Tindari.

Due anni dopo, giunse a Gerba un emissario proveniente dall'ex sovrano di Bugia, città situata sulla costa algerina, occupata da una guarnigione spagnola. I due corsari furono invitati a partecipare alla riconquista della città assediandola via mare, e alla restaurazione del precedente sovrano, che si impegnava a offrire loro il libero utilizzo del porto cittadino e dei suoi cantieri navali.[9] Durante la battaglia per il controllo della città, Aruj perse parte del braccio sinistro, e dovette ritirarsi rocambolescamente con tutto il suo schieramento. La città infine restò in mano agli spagnoli.[10]

Poco tempo dopo, colti in una posizione di debolezza, i Barbarossa subirono un violento attacco da parte della marina genovese, guidata da Andrea Doria, a causa dei numerosi attacchi subiti da parte dei due fratelli. I due dovettero assistere impotenti da Tunisi all'affondamento di metà delle loro galee e alla distruzione del forte di La Goletta. In seguito all'attacco decisero di ritirarsi a Gerba per ricostituire le proprie forze[11]

Il 1516 vide i due fratelli impegnati in un nuovo assedio, quello di Algeri. La popolazione locale, sottomessa agli spagnoli, invitò i corsari a partecipare alla cacciata della guarnigione cristiana, che controllava la città da una fortezza costruita su un isolotto posto all'ingresso del porto. Aruj riuscì ad occupare la città e a farsi proclamare re, ma non a espugnare il forte.[12]

Con l'eccezione di poche postazioni fortificate in mano alla Spagna, Aruj pose sotto il suo controllo tutta la fascia costiera dell'Algeria odierna.[13]

La reazione spagnola non si fece attendere. Venne inviato un poderoso esercito per eliminare il Barbarossa, colto in inferiorità numerica. Aruj morì in combattimento non molto distante dalla città di Tlemcen[14][15]

La protezione della Porta

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Alla notizia della morte del fratello, Barbarossa inviò una galea a Costantinopoli, ponendosi sotto la protezione di Selim I. Il sultano lo nominò Beylerbey di Algeri, che dovette ben presto difendere da un assalto spagnolo.[16]

Consolidata la sua posizione sulla costa algerina e pacificato l'entroterra, Khizr può concentrarsi sull'attività di corsa, funestando le coste cristiane del Mediterraneo occidentale.

Nel 1526, attaccò nuovamente Reggio Calabria subendo però lo scacco da parte dei reggini. Si rivolse allora contro Messina e, superato il Faro di Messina, colpì la fortezza sul porto. In cerca di altri bottini risalì la penisola italiana, ma davanti a Piombino viene affrontato e costretto alla fuga da Andrea Doria, alla guida di una flotta composta da navi pontificie e da alcune galee dei Cavalieri di Malta.

Nel 1530 Barbarossa si decise ad assediare il famigerato Peñon di Algeri, Il bastione posizionato all'imboccatura del porto cittadino. Dopo un intenso bombardamento il corsaro riuscì a conquistare la fortezza, che venne prontamente rasa al suolo. Le stesse rovine del forte vennero poi utilizzate per ricollegare l'isolotto alla terraferma.[17]

 
(Istanbul), Türbe del Barbarossa

A seguito della perdita della fortezza di Corone, Barbarossa venne convocato a Costantinopoli nel 1533 per essere nominato ammiraglio (qapudàn-i derya) della flotta ottomana.[18]

Nell'estate del 1534 compì una terribile incursione sulle coste tirreniche alla testa di 82 galee: sbarchi e saccheggi si registrarono a Cetraro, San Lucido (900 prigionieri), Capri, Procida e Gaeta. Approdato a Sperlonga, e messo a ferro e fuoco il territorio circostante e la stessa città, tentò addirittura di rapire Giulia Gonzaga, vedova di Vespasiano Colonna e celebre per la sua bellezza, per farne dono al sultano Solimano I, ma questa riuscì a rifugiarsi rocambolescamente a Campodimele. Fondi, da cui Giulia fuggì, venne saccheggiata per 4 giorni, poi è la volta di Terracina e finalmente, riempite le navi di schiavi e di bottino, si diresse verso la Tunisia.[19]

Il corsaro si presentò con la flotta e i suoi giannizzeri davanti al porto di Tunisi, retta dai deboli Hafsidi. Il sovrano Mulay Hasan, già vacillante sul trono, non tentò nemmeno di opporsi, si diede alla fuga e lasciò che Barbarossa entrasse in città senza incontrare resistenza[20]

La conquista di Tunisi allarmò gli imperiali. Nel 1535, Carlo V armò una flotta di 82 galee e 200 vascelli galee e la affidò ad Andrea Doria che riconquistò Tunisi. La città venne devastata dalle truppe di Carlo V prima di essere ufficialmente riconsegnata agli Hafsidi, ormai vassalli dell'imperatore.[21]

Barbarossa però, avendo previdentemente lasciato una piccola flotta a Bona, la raggiunse e, mentre l'Europa lo credeva morto, e si celebravano ovunque festeggiamenti, si diresse verso le Baleari dove attraccò a Minorca[22] conquistandola con l'inganno. Mise a ferro e fuoco il porto e poi assalì Mahón. La rocca si arrese ma vennero uccisi 400 abitanti ed oltre 2000 furono condotti in schiavitù dall'isola di Minorca di cui 800 solo dalla città portuale: la loro vendita gli procurò più di 500000 ducati sui mercati di Costantinopoli ed Alessandria. Anche il bottino (gioielli, stoffe preziose, polvere da sparo ed armi) è straordinariamente copioso.

A Costantinopoli viene accolto come un eroe, ricevendo diversi doni fra cui, nel 1535, un magnifico palazzo.

Nella campagna del 1537 devastò la costa della Puglia e catturò 10000 prigionieri. In agosto raggiunse Corfù (Kerkira), piazzaforte veneziana e vi sbarcò, a meno di tre miglia dal castello, con 25000 uomini e 30 cannoni, tra cui il cannone più potente dell'epoca, in grado di sparare palle del peso di 50 libbre: in tre giorni vennero tirati 19 colpi, dei quali solo cinque riuscirono a colpire la fortezza. A causa del maltempo e a causa della precisione del fuoco dell'artiglieria veneziana che, tirando dalla fortezza, affondarono 5 galee corsare e colpirono perfino la sua ammiraglia, Barbarossa decise di desistere.[23]

Si dedicò però alle isole minori dove conquistò ricchi bottini e prigionieri a Malvasia, Nauplia, Sciro, Egina, Skopelos.

A settembre la campagna si concluse. Il bottino ammontò a 400000 pezzi d'oro, un migliaio di donne e 1500 giovani. In omaggio al sultano inviò a Solimano 200 giovani vestiti di scarlatto, ciascuno dei quali con una coppa d'oro e d'argento; altri 200 recarono pezzi di fine drappo e 30 offrirono altrettante borse ben fornite.

Il 28 settembre 1538 affrontò nuovamente Andrea Doria nella battaglia di Prevesa sulla costa albanese. Il Doria lo fronteggiò con 82 galee veneziane, 36 pontificie, 82 imperiali e altri 40 vascelli minori, mentre il Barbarossa disponeva soltanto di 87 galee, 30 fuste barbaresche e 40 imbarcazioni piccole. Nonostante la superiorità numerica degli imperiali, le divisioni interne allo schieramento regalarono la vittoria al corsaro. Poco propenso a rischiare le sue navi per gli interessi dei rivali veneziani, il genovese lasciò si ritirò nel mezzo della battaglia, abbandonando le galee della Serenissima al loro destino.[24]

Guerra d'Italia del 1542-1546

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra d'Italia del 1542-1546.

Nella primavera del 1543, a seguito dell'alleanza di Solimano con il re Francesco I di Francia durante la Guerra d'Italia del 1542-1546, il Barbarossa venne inviato in Francia meridionale. Passato lo Stretto di Messina, si lanciò all'attacco di Reggio. Presa la città, il vecchio corsaro si invaghi della figlia del governatore, tanto da prenderla in sposa. Arrivato a Marsiglia, in accordo con l'alleato francese, Barbarossa razziò Nizza, possedimento dei Duchi di Savoia.[25]

Il bottino sulle coste nizzarde e liguri (la stessa Genova paga un riscatto) è così ricco che il Barbarossa invia ad Algeria 25 galee cariche di bottino e a Costantinopoli 4 grosse navi, cariche di 5000 cristiani, tra cui 200 monache, razziate in vari conventi italiani, quale suo regalo personale di donne vergini a Solimano. Tra i prigionieri cristiani vi fu anche un prelato spagnolo, Giovanni Canuti (all'epoca vescovo di Cariati e Cerenzia), che morirà in schiavitù ad Algeri[26][27][28].

A causa di screzi con i francesi, Barbarossa minacciò il rientro della sua flotta a Costantinopoli. Francesco I, nel tentativo di trattenerlo, gli offrì alloggio nel porto di Tolone, che venne riadattata per ospitare un esercito così numeroso. L'inizio di una guerra congiunta ai danni dei domini imperiali, vero scopo della presenza del corsaro nel sud della Francia, non arrivò mai a causa delle indecisioni francesi. Ciò spinse il corsaro a muoversi indipendentemente, devastando le coste del Tirreno.[29]

Nel corso della sua permanenza in Francia, Barbarossa ebbe modo di riscattare Dragut, uno dei suoi più validi luogotenenti, catturato anni prima dal Doria.[30]

Il 24 giugno 1544, assaltò l'isola d'Ischia con un'ingente flotta equipaggiata con circa 14000 uomini. Fece una tale strage che Forio rimase per molto tempo spopolata, Barbarossa arrivò il 22 giugno nascondendo le navi dietro l'isola di Ventotene, in attesa della notte fonda. Poi si avvicinò silenziosamente all'isola d'Ischia radunando le circa 150 barche davanti alla Scannella (Panza). Gli aggressori sbarcarono contemporaneamente in più punti: sulla spiaggia di Citara, su quella dei Maronti ed in altri punti intermedi, sorprendendo gli sfortunati ischitani nel sonno. Fu una delle più orrende stragi avvenute sull'isola. È stato calcolato che furono presi prigionieri tra le 2500 e le 4000 persone che furono poi vendute nei mercati del Nord Africa. È da rilevare che per il problema di vaste dimensioni che colpì l'intero meridione furono costituiti due ordini religiosi per il riscatto degli schiavi i Trinitari ed i Mercedari.

Da quel giorno il 24 giugno a Forio si raccomanda di non andare a fare il bagno, perché "ce stanne 'e curtielle a mmare!" ( o "curtiegghie", come si dice a Forio).

Nel luglio 1544 Barbarossa attaccò e saccheggiò Lipari e circa 8000 dei suoi abitanti furono catturati.[31]

Rientrato a Costantinopoli, Barbarossa passò gli ultimi anni di vita dandosi al mecenatismo, commissionando moschee e strutture con i proventi dei suoi saccheggi. Morì il 4 luglio 1546, a causa di un attacco di febbre. Il corsaro fu sepolto a Beşiktaş, a nord di Istanbul, in una Türbe costruita dal famoso architetto Sinan.[32][33]

Nella cultura di massa

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  • Barbarossa è uno dei principali co-protagonisti del fumetto Dago, creato da Robin Wood, che narra le gesta di un avventuriero veneziano, Cesare Renzi "Dago", sullo sfondo delle tumultuose vicende europee della prima metà del Cinquecento.
  1. ^ Ernle Bradford, The sultan's admiral: the life of Barbarossa, New York, Harcourt, Brace & World, 1968, pp. 16-18.
  2. ^ Seyyid Muràd, La vita e la storia di Ariadeno Barbarossa, a cura di Giuseppe Bonaffini, Palermo, Sellerio, 1993, pp. 77-78.
  3. ^ Ernle Bradford, The sultan's admiral: the life of Barbarossa, New York, Harcourt, Brace & World, 1968, pp. 19-21.
  4. ^ Ernle Bradford, The sultan's admiral: the life of Barbarossa, New York, Harcourt, Brace & World, 1968, p. 25.
  5. ^ Seyyid Muràd, La vita e la storia di Ariadeno Barbarossa, a cura di Giuseppe Bonaffini, Palermo, Sellerio, 1993, p. 86.
  6. ^ Ernle Bradford, The sultan's admiral: the life of Barbarossa, New York, Harcourt, Brace & World, 1968, p. 26.
  7. ^ Seyyid Muràd, La vita e la storia di Ariadeno Barbarossa, a cura di Giuseppe Bonaffini, Palermo, Sellerio, 1993, pp. 87-89.
  8. ^ Ernle Bradford, The sultan's admiral: the life of Barbarossa, New York, Harcourt, Brace & World, 1968, pp. 39-40.
  9. ^ Ernle Bradford, The sultan's admiral: the life of Barbarossa, New York, Harcourt, Brace & World, 1968, p. 41.
  10. ^ Ernle Bradford, The sultan's admiral: the life of Barbarossa, New York, Harcourt, Brace & World, 1968, p. 45.
  11. ^ Ernle Bradford, The sultan's admiral: the life of Barbarossa, New York, Harcourt, Brace & World, 1968, pp. 49-50.
  12. ^ Ernle Bradford, The sultan's admiral: the life of Barbarossa, New York, Harcourt, Brace & World, 1968, pp. 62-63.
  13. ^ Ernle Bradford, The sultan's admiral: the life of Barbarossa, New York, Harcourt, Brace & World, 1968, pp. 70-71.
  14. ^ Ernle Bradford, The sultan's admiral: the life of Barbarossa, New York, Harcourt, Brace & World, 1968, pp. 73-74.
  15. ^ Seyyid Muràd, La vita e la storia di Ariadeno Barbarossa, a cura di Giuseppe Bonaffini, Palermo, Sellerio, 1993, p. 113.
  16. ^ Ernle Bradford, The sultan's admiral: the life of Barbarossa, New York, Harcourt, Brace & World, 1968, p. 80.
  17. ^ Seyyid Muràd, La vita e la storia di Ariadeno Barbarossa, a cura di Giuseppe Bonaffini, Palermo, Sellerio, 1993, pp. 158-160.
  18. ^ Gabriella Airaldi, Andrea Doria: un principe del mare che guidò la Repubblica di Genova, fra guerre, imperialismi e difesa della libertà, collana Profili, Salerno editrice, 2015, p. 166, ISBN 978-88-8402-951-5.
  19. ^ Gennaro Varriale, Arrivano li Turchi: guerra navale e spionaggio nel Mediterraneo (1532-1582), collana Biblioteca del laboratorio di storia marittima e navale, Città del silenzio edizioni, 2014, pp. 62-64, ISBN 978-88-97273-22-6.
  20. ^ Gennaro Varriale, Arrivano li Turchi: guerra navale e spionaggio nel Mediterraneo (1532-1582), collana Biblioteca del laboratorio di storia marittima e navale, Città del silenzio, 2014, pp. 65-66, ISBN 978-88-97273-22-6.
  21. ^ Gennaro Varriale, Arrivano li Turchi: guerra navale e spionaggio nel Mediterraneo (1532-1582), collana Biblioteca del laboratorio di storia marittima e navale, Città del silenzio, 2014, pp. 78-80, ISBN 978-88-97273-22-6.
  22. ^ Flavio Russo, Guerra di corsa: ragguaglio storico sulle principali incursioni turco-barbaresche in Italia e sulla sorte dei deportati tra il XVI ed il XIX secolo, Stato Maggiore dell'Esercito, Ufficio storico, 1997, p. 138.
  23. ^ Ernel Bradford, The sultan's admiral: the life of Barbarossa, New York, Harcourt, Brace & World, 1968, pp. 151-152.
  24. ^ Gennaro Varriale, Arrivano li Turchi: guerra navale e spionaggio nel Mediterraneo (1532-1582), collana Biblioteca del laboratorio di storia marittima e navale, Città del silenzio, 2014, pp. 108-109, ISBN 978-88-97273-22-6.
  25. ^ Gennaro Varriale, Arrivano li Turchi: guerra navale e spionaggio nel Mediterraneo (1532-1582), collana Biblioteca del laboratorio di storia marittima e navale, Città del silenzio, 2014, pp. 114-116, ISBN 978-88-97273-22-6.
  26. ^ Andrea Pesavento, La cattedrale di San Pietro a Cariati, su archiviostoricocrotone.it. URL consultato il 21 novembre 2019.
  27. ^ Andrea Pesavento, La cattedrale rovinata di San Teodoro a Cerenzia Vecchia, su archiviostoricocrotone.it. URL consultato il 21 novembre 2019.
  28. ^ Andrea Pesavento, La costruzione delle fortificazioni della città di Lipari (settembre 1549 – giugno 1550) e del castello "novo" di Reggio, su archiviostoricocrotone.it. URL consultato il 21 novembre 2019.
  29. ^ Gennaro Varriale, Arrivano li Turchi: guerra navale e spionaggio nel Mediterraneo (1532-1582), collana Biblioteca del laboratorio di storia marittima e navale, Città del silenzio, 2014, pp. 117-118, ISBN 978-88-97273-22-6.
  30. ^ Gabriella Airaldi, Andrea Doria: un principe del mare che guidò la Repubblica di Genova, fra guerre, imperialismi e difesa della libertà, collana Profili, Salerno editrice, 2015, pp. 170-171, ISBN 978-88-8402-951-5.
  31. ^ Domenico Palanza, Fra Salvatore da Villamagna, Youcanprint, 28 gennaio 2014, p. 17, ISBN 978-88-911-3120-1.
  32. ^ Ernle Bradford, The sultan's admiral: the life of Barbarossa, New York, Harcourt, Brace & World, 1968, p. 203.
  33. ^ Gennaro Varriale, Arrivano li Turchi: guerra navale e spionaggio nel Mediterraneo (1532-1582), collana Biblioteca del laboratorio di storia marittima e navale, Città del silenzio, 2014, p. 120, ISBN 978-88-97273-22-6.

Bibliografia

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  • Philip Gosse, Storia della pirateria, Milano 1957 e succ. edd. (ed. orig. History of piracy).
  • Vittorio Emanuele Bravetta, I pirati del Mediterraneo, Malipiero, Bologna, 1956.
  • Aldo Gallotta, Le "ġazavāt" di Khayreddīn Barbarossa, in "Studi Magrebini", III (1970), pp. 79-160.
  • Ernle Bradford, L'ammiraglio del sultano: vita e imprese del Corsaro Barbarossa, Mursia, Milano, 1972, ISBN 978-88-42537670.
  • Ernle Bradford, The sultan's admiral: the life of Barbarossa, New York, Harcourt, Brace & World, 1968.
  • Aldo Gallotta, Il Gazavat di Hayreddin Pasa di Seyyid Murad: edito in facsimile secondo il ms. di Madrid, Centro di Studi Magrebini, Napoli, 1983.
  • Seyyid Muràd, La vita e la storia di Ariadeno Barbarossa, Sellerio, Palermo, 1993 (ed. originale Ghazawāt-i Khayr al-Dīn Pasha).
  • Gabriella Airaldi, Andrea Doria. Un principe del mare che guidò la Repubblica di Genova, fra guerre, imperialismi e difesa della libertà, Roma, Salerno, 2015, ISBN 978-88-8402-951-5.
  • Gennaro Varriale, Arrivano li Turchi: guerra navale e spionaggio nel Mediterraneo (1532-1582), Novi Ligure, Città del silenzio, 2014, ISBN 978-88-97273-22-6.

Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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  • Biografia, su corsaridelmediterraneo.it. URL consultato il 23 agosto 2005 (archiviato dall'url originale il 28 settembre 2007).