Salvador Allende in un'immagine della rivista argentina "7 Dias Ilustrados"

Il Governo Allende si insediò dopo le elezioni presidenziali in Cile del 1970, vinte da Salvador Allende, il 3 novembre 1970 e restò in carica fino al golpe militare dell'11 settembre 1973. Questo fu il primo governo di un presidente marxista latino-americano democraticamente eletto.

Allende in politica

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Prima del 1970

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Allende si candidò tre volte alle elezioni prima del 1970: nel 1952, quando la sua coalizione 'Frente del Pueblo' venne sconfitta da Carlos Ibañez del Campo, che prese il 47% delle preferenze, instaurando un governo di destra populista e progressista. La seconda volta Allende perse nel 1958, contro Jorge Alessandri, candidato appoggiato dalle forze di destra e figlio dell'ex presidente Arturo Alessandri, che ricevette più del 31% delle preferenze contro il quasi 29% di Allende. Nel 1964 il politico di Valparaíso si candidò nuovamente ma venne questa volta sconfitto da un'alleanza sotterranea tra conservatori, liberali e radicali che appoggiando il candidato democristiano Eduardo Frei evitarono che un socialista come Allende arrivasse alla presidenza.

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Nel 1969 nacque Unidad Popular, alleanza formata dai partiti socialista, comunista, socialdemocratico, l’Acción Popular Independiente (API), una piccola formazione composta da ex sostenitori di Ibañez del Campo e del suo populismo, e il MAPU, ovvero il Movimiento de Acción Popular Unitario (nato da una scissione della sinistra democristiana). Nel panorama politico nazionale operavano anche altri piccoli partiti come il MIR (Movimiento Izquierda Revolucionaria), l’Usopo (Unión Socialista Popular) e il gruppo comunista Spartaco, che appoggiarono il nuovo cartello delle sinistre, senza però figurarne tra gli elementi costituenti. Il programma di Unidad Popular fu approvato il 17 dicembre 1969.

Il programma della nuova coalizione riguardava la crisi cilena, la dipendenza dagli Stati Uniti, la loro politica imperialista, il fallimento della politica riformista e desarrollista promossa dal governo Frei. Il programma si articolava in cinque punti, che riguardavano i problemi istituzionali, l’istruzione, le relazioni internazionali, la promozione di un nuovo sistema economico e l’agenda sociale.

Il programma elettorale era, come spesso accade, abbondante di promesse, senza proporre un vero e dettagliato calcolo dei costi e delle risorse necessarie per la sua attuazione: era dunque di dubbia applicabilità. Tra le molte promesse fatte dai candidati della Unidad Popular si ricorda, per esempio quella di distribuire «mezzo litro di latte al giorno a tutti i bambini del Cile», che ebbe un costo spropositato.

Dal 1966 al 1969 Allende fu presidente del Senato e diede prova di una politica moderata che, tuttavia, non prese le distanze dell’operato del Che Guevara, di Fidel Castro o da chiunque sostenesse la via armata.

Alle porte delle elezioni del 1970, Allende era convinto che la sinistra avesse potuto vincere; era reduce da due elezioni presidenziali molto promettenti, dove aveva conquistato ottime percentuali di preferenza.

Le elezioni del 1970

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Poco prima delle elezioni del 1970, che si prospettavano molto favorevoli per la Unidad Popular, la CIA intensificò la sua ostilità nei confronti della formazione guidata da Allende tramite finanziamenti ai partiti alternativi, alle radio e alla stampa anticomunista. Come si evince anche da alcuni documenti del Senato statunitense, la CIA promuove una serie di iniziative che mirano ad ostacolare l’elezione di Allende. Si tratta delle cosiddette ‘covert action’, azioni più o meno esplicite che vanno ad influenzare il clima politico (nel 1964, per esempio, gli Stati Uniti avevano finanziato la campagna politica della Democrazia Cristiana cilena per 2,6 milioni di dollari).

Queste azioni hanno inizio nel 1963 e sarebbero durate10 anni, fino al colpo di stato del 1973. Il clima del periodo è quello della guerra fredda, la rivoluzione cubana è alle spalle da pochi anni e gli Stati Uniti non possono permettere che si formi un altro baluardo sovietico nel continente: tutte le iniziative «controrivoluzionarie» sono prese in considerazione.

Allende si candidò dunque per la quarta volta consecutiva nel 1970, suscitando anche qualche polemica come tra chi lo considerava ormai superato, o alla propaganda di altri esponenti politici, come Jorge Alessandri che lo definì fautore di «dottrine criminali» che avrebbero portato il Cile ad una perdita di tutte le libertà e dei valori morali basata sul comunismo.

Allende Presidente

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Allende venne eletto presidente tra il 4 e il 5 settembre 1970 con la coalizione di Unidad Popular: prese il 36,6% dei voti, pari a circa 1.070.000 preferenze, che rappresentavano una maggioranza relativa. Il secondo candidato per preferenze ottenute fu Jorge Alessandri, inizialmente favorito, che ottenne solamente 39.000 voti in meno di Allende. La Democrazia cristiana, a questo punto, terza forza elettorale, decise di appoggiare Unidad Popular. Il momento era particolarmente delicato, sia perché il paese aveva gli occhi della stampa internazionale puntati addosso come mai prima di allora, sia per ragioni di sicurezza, in quanto andavano assolutamente evitate azioni violente che avrebbero potuto degenerare in attentati e addirittura in un colpo di stato.

I primi anni di governo

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Allende assunse la presidenza il 3 novembre 1970 e si dimostrò subito un presidente inconsueto: spesso vestiva in maniera informale, indossa solo una camicia, lontano da quella che era la classica figura di un Presidente della Repubblica. Egli si distaccò anche dalla storia precedente grazie alla sua coerenza con il programma precedentemente concordato, al suo attivismo politico, alla sua voglia di agire velocemente e infine per non voler instaurare un governo personale. Allende concordò ogni scelta di governo con il suo partito.

Allende fu il primo presidente marxista latino-americano ad essere democraticamente eletto. I primi provvedimenti attuati dal nuovo presidente, infatti, consistono nel cosiddetto «superamento del capitalismo» e nella preparazione verso il socialismo. Secondo Allende solo alla fine dei sei anni di mandato si sarebbe ottenuto qualche risultato che, un nuovo presidente, sempre socialista, avrebbe poi consolidato.

Il programma di governo consisteva in tre fasi: la prima, della durata di poco più di un anno, prevedeva grandi riforme strutturali come la redistribuzione del reddito, la nazionalizzazione dell’industria del rame e delle banche, la riforma agraria, l’adozione di una nuova politica internazionale e l’inserimento del paese nell’economia globale. La seconda fase consisteva nel consolidamento di ciò che si era attuato nella prima fase e nello sviluppo della produzione industriale: questa misura avrebbe reso l’area di proprietà sociale, come le industrie nazionalizzate, il settore trainante dell’economia. Solo alla fine, dopo aver limitato l’influenza straniera, modernizzato l’economia, la cultura e la realtà cilena si sarebbe giunti alla terza fase, la cosiddetta «via cilena al socialismo».[1]

La prima fase si realizzò, effettivamente in larga parte, grazie alle riforme del “piano Vúskovic”, dal nome del ministro dell’economia. Fu realizzata con estrema rigidità e rigore: ciò porterà all’ostilità della destra, per esempio da Pinochet che incolpò Vúskovic della situazione di crisi in cui imperversava il paese.

In questo periodo il Cile diventa un paese «non allineato» a causa delle sue relazioni via via più intense con i paesi socialisti. In particolare, il governo riprese i contatti con Cuba, (interrotti da Frei nel 1964), con la Cina, con la Repubblica Democratica del Vietnam, con l’Afghanistan, con la Repubblica Democratica Tedesca, ma anche con i paesi dell’Europa occidentale. Nel frattempo, diminuirono sempre più quelli con gli Stati Uniti. Questo nuovo orientamento, più diversificato rispetto al passato, compenserà la riduzione degli scambi con gli Stati Uniti.

I salari aumentarono in maniera considerevole nel primo anno di governo (del 28% circa) e vennero creati 200.000 nuovi posti di lavoro, ma si registrò un aumento della spesa pubblica del 70%, da 19 a 33 miliardi di pesos alla fine del 1971.[2]

La riforma agraria cilena, nonostante la portata massiccia, fu tra le più pacifiche del Novecento, perché al contrario di quanto accadde in Nicaragua, Messico, Cuba e Bolivia non si inseriva in un contesto di violenza e rivoluzione armata, ma nella legalità.

La politica da adottare riguardo la nazionalizzazione delle industrie era alquanto vaga: non si specificava nel particolare quali settori avrebbe investito, limitandosi a definirli «attività che condizionano lo sviluppo economico del paese».[3] Questa politica riguardò un numero incerto di aziende: nel programma si parla di 150 unità come soglia limite su un totale di oltre 30 000. Questa cifra verrà abbassata a 90 nell’ottobre 1971, senza in realtà essere mai rispettata; si giungerà al colpo di stato militare del 1973 con 526 imprese sotto il controllo statale. A causa della sua centralità nella campagna elettorale, la politica di nazionalizzazione e il suo esito fallimentare, furono probabilmente le maggiori debolezze del governo di Allende. L’apparente rigidità delle misure, poi sfociata in improvvisazione, costerà ad Allende la sconfitta finale e il collasso del paese.

Almeno per la prima metà del 1971 i consensi e la popolarità del presidente erano in crescita; il governo ottiene dei risultati positivi, come il contenimento dei prezzi, e promuove misure assistenziali per i ceti sociali più bisognosi.

Il 1972 segna un periodo di forte crisi che si concluderà nel settembre 1973 con un violento colpo di stato militare. Le cause che portarono a questa situazione sono molteplici e chiaramente non tutte sono riconducibili in maniera diretta od indiretta al governo di Allende. I motivi principali sono tre: dalla difficile situazione politico-istituzionale precedente all’insediamento di Allende, alle difficoltà creata dalla feroce opposizione statunitense, che impiegò qualsiasi mezzo per ostacolare il presidente cileno, ed in ultimo agli errori ed ingenuità commesse dal governo di Unidad Popular.[1]

Il presidente cileno attribuiva all’azione del governo statunitense la causa delle problematiche del suo paese. Oggi, a distanza di più di cinquant’anni, possiamo invece giudicare la vicenda in modo più oggettivo. L’azione di Washington ha sicuramente avuto un’importanza non trascurabile, ma il governo di Unidad Popular crollò a causa delle problematiche interne. La situazione sfuggì al controllo del governo: l’inflazione passò dal 46% di luglio fino al 163% della fine dell’anno 1972 e ciò comportò una svalutazione della moneta nazionale del 50%. Si diffusero su larga scala abitudini degli stati sull’orlo del baratro, come il razionamento degli alimenti, il mercato nero, le lunghissime code davanti ai negozi.

Il 1973

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Il 1973 si aprì con la campagna elettorale per le imminenti elezioni parlamentari. Contro tutti i pronostici, che vedevano Unidad Popular tra il 36 e il 40% al massimo, raggiunse il 43,4%, accaparrandosi addirittura l’80% delle preferenze dei giovani tra i 18 e i 21 anni. La Coalizione Democratica si fermò molto lontana dai due terzi sperati, al 54,7%. La sinistra vinse, nonostante la crisi, dimostrando la prevalenza dell’ideologia sulla ragione economica. Il quotidiano francese ‘Le Monde’ scrisse «I cileni dimostrano di avere la politica, più che l’economia, nel cervello. [...] Queste elezioni hanno avuto un carattere di classe innegabile ed è chiaro che coloro che hanno votato per l’Unità popolare hanno votato per un certo tipo di regime che conferisce alle masse una partecipazione che finora gli era stata preclusa»[4]. Continuò tuttavia, un sostanziale stallo istituzionale; Unidad Popular venne accusata dall’opposizione di brogli nelle elezioni per circa 200 mila voti; il governo etichettò le critiche frettolosamente come fandonie e la polemica si placò rapidamente.

Tra il marzo e il giugno del 1973 la situazione continuava ad essere grave, sia nel piano interno, dove avvennero scontri tra militanti della Democrazia Cristiana e di Unidad Popular (che porteranno anche a due decessi), sia per quanto riguarda i rapporti internazionali, dove si interruppero tutte le trattative con gli Stati Uniti. Prats nel frattempo venne rimesso a capo dell’esercito perché il presidente Allende si fidava di lui, non perché nutrisse particolari dubbi sulle forze armate in quel momento.

Riguardo questi mesi complicati, scrisse Regis Debray: «Il Cile viveva alla giornata, con i suoi due o tre microclimi quotidiani. Allende non pianificava più nulla al di là delle quarantotto ore. L’abitudine al pericolo finiva col far credere che una tregua sommata a un’altra avrebbe dato luogo a una soluzione politica».[5]

La mattina del 29 giugno ci fu un tentativo di golpe: il tanquetazo. Alcuni carri armati e uomini del secondo reggimento blindato guidati dal generale Roberto Souper ed appoggiati dall’organizzazione Patria y Libertad (organizzazione di estrema destra già coinvolta in azioni di sabotaggio nei confronti del governo Allende) circondarono il palazzo presidenziale di La Moneda attaccando le guardie; dallo scontro, che sarà sedato dalle truppe fedeli al governo guidate dal generale Prats in tre ore, risulteranno 22 morti, tra cui anche alcuni civili ed un giornalista. Si trattò di un tentativo isolato, slegato dal colpo di stato di qualche mese più tardi, che rischiava di mandare in fumo il lavoro dei cospiratori, ma che dava importanti informazioni sulle capacità di reazione e di difesa del governo. Allende chiese lo stato d’assedio e i pieni poteri per sei mesi al Congresso, che rifiutò la proposta a causa dei dissapori con il presidente, al quale non volle concedere poteri considerati quasi dittatoriali.

Il presidente Allende venne ulteriormente delegittimato da un’accusa costituzionale da parte della Camera, che lo vedeva imputato di atti illegali contro la Costituzione. Nel documento veniva richiesto l’intervento dei militari, secondo il loro dovere di fermare chi infrange la legge. Il loro mancato intervento sarebbe stato visto come una legittimazione dell’illegalità e avrebbe comportato una perdita di prestigio e di professionalità. Allende rispose alle accuse con una dichiarazione pubblica articolata in due punti. Il primo era un’autolegittimazione: «Sostengo che mai c’è stato in Cile un governo più democratico di quello che io ho l’onore di presiedere»[6]. Mentre nel secondo punto si parlava del futuro: «Le misure economiche e politiche di cui il nostro paese ha necessità per superare la crisi totale nella quale cercano di trascinarci sono importantissime e gravissime. Il governo adotterà tali misure a dispetto degli ostacoli messi sul suo cammino, e per farlo sollecita la collaborazione dei settori democratici dell’opposizione»[6]. L’atto di accusa venne approvato dal Parlamento con 81 voti contro 47, ma non avendo raggiunto la maggioranza dei due terzi non ebbe valore giuridico. Ebbe però valore politico perché mise i militari davanti ad una scelta fra il governo e il Parlamento. Allende cercò di salvare la situazione richiamando i militari al governo, ma non si riuscì a trovare un accordo a causa della poca autonomia che sarebbe stata loro concessa. I militari, dunque restarono nuovamente fuori dal governo, delusi per non aver ricevuto autonomia e responsabilità. Carlos Prats aveva fatto da mediatore, anche in questo caso, tra Forze Armate e governo, ma a causa del suo appoggio ad Allende intorno a lui si era formata una barriera.

Si arrivò ai primi giorni di settembre in una situazione di grave confusione, con scontri e attentati, dichiarazioni di Allende contro la guerra civile e richieste delle corporazioni e della destra affinché il presidente si dimettesse o addirittura si suicidasse. Durante il fine settimana dell’8 e 9 settembre i vertici delle Forze Armate decisero la data e il piano del golpe, che di fatto pose fine al governo di Allende.

 
Il governo Allende al momento dell'insediamento

Composizione

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Ruolo Nome Periodo
Ministro degli Interni José Tohá 1970-1972
Alejandro Ríos Valdivia 1972
Hernán del Canto 1972
Jaime Suárez 1972
Carlos Prats 1972-1973
Gerardo Espinoza 1973
Carlos Briones 1973
Orlando Letelier 1973
Carlos Briones 1973
Ministro degli Esteri Clodomiro Almeyda 1970-1973
Orlando Letelier 1973
Clodomiro Almeyda 1973
Ministro dell'Economia e delle Finanze Pedro Vuskovic 1970-1972
Carlos Matus 1972
Fernando Flores 1972
Orlando Millas 1972-1973
José Cademártori 1973
Ministro della Proprietà Américo Zorrillas Rojas 1970-1972
Orlando Millas 1972
Fernando Flores 1972-1973
Raúl Montero Cornejo 1973
Daniel Arellano 1973
Ministro dell'Educazione Pubblica Mario Astorga 1970-1972
Alejandro Ríos Valdivia 1972
Aníbal Palma 1972
Jorge Tapia 1972-1973
Edgardo Enríquez 1973
Ministro della Giustizia Lisandro Ponce 1970-1972
Manuel Sanhueza 1972
Jorge Tapia Valdés 1972
Sergio Insunza 1973
Ministro della Difesa Alejandro Ríos 1970-1972
José Tohá 1972-1973
Clodomiro Almeyda 1973
Carlos Prats 1973
Orlando Letelier 1973
Ministro delle Opere Pubbliche e dei Trasporti Pascual Barraza 1970-1972
Ismael Huerta 1972-1973
Daniel Arellano 1973
Humberto Martones 1973
César Ruiz Danyau 1973
Humberto Maglochetti 1973
Ministro dell'Agricoltura Jacques Chonchol 1970-1972
Rolando Calderón 1972-1973
Pedro Hidalgo 1973
Ernesto Torrealba 1973
Jaime Tohá 1973
Ministro della Terra e delle Colonizzazioni Humberto Martones 1970-1973
Roberto Cuéllar 1973
José María Sepúlveda 1973
Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale José Oyarce 1970-1972
Mireya Baltra 1972
Luis Figueroa 1972-1973
Jorge Godoy Godoy 1973
Ministro della Salute Pubblica Óscar Jiménez Pinochet 1970-1971
Juan Carlos Concha Gutiérrez 1971
Arturo Jirón 1972
Mario Lagos 1973
Ministro delle Miniere Orlando Cantuarias 1970-1972
Mauricio Yungk 1972
Pedro Palacios 1972
Alfonso David 1972
Claudio Sepúlveda 1972-1973
Sergio Bitar 1973
Pedro Felipe Ramírez 1973
Ministro dell'Ambiente e dell'Urbanizzazione Carlos Cortes 1970-1971
Julio Benítez Castillo 1971-1972
Orlando Cantuarias 1972
Luis Matte 1972-1973
Aníbal Palma 1973
Pedro Felipe Ramírez 1973
Segretario Generale Jaime Suárez 1970-1973
Vicepresidente Carlos Prats 1973 (dimissionario ad agosto)
  1. ^ a b Luciano Aguzzi, Salvador Allende. L'uomo, il leader, il mito, Milano, Biblion Edizioni, 2023, pp. 227-272.
  2. ^ Maria Rosaria Stabili, Il Cile: dalla repubblica liberale al dopo Pinochet (1861-1990), Firenze, Giunti, 1991, p. 151.
  3. ^ Salvador Allende, La via cilena al socialismo, Roma, Editori Riuniti, 1971, pp. 82-83.
  4. ^ Saverio Tutino, Dal Cile, Milano, Mazzotta, 1973.
  5. ^ Regis Debray, Non mi faranno prendere l'aereo in pigiama, in Sette Giorni, VII, n. 325, 23 settembre 1973, pp. 40-42.
  6. ^ a b Oscar Soto Guzman, El último día de Salvador Allende, Santiago, Aguilar Chilena de Ediciones, 1999, pp. 198-209.

Bibliografia

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  • Luciano Aguzzi, Salvador Allende. L’uomo, il leader, il mito, Milano, Biblion Edizioni, 2023, ISBN 978-88-3383-357-6.
  • Salvador Allende, La via cilena al socialismo, Roma, Editori Riuniti, 1971, ISBN 8868020157.
  • Salvador Allende, Obras escogidas. (Período 1939-1973), Santiago, Centro de Estudios Políticos Latinoamericanos Simón Bolívar, 1992.
  • Anna Corossacz, I mille giorni di Allende. L’azione del Governo di Unidad Popular in 125 documenti., Roma, Mondoperaio, 1975, ISBN 2570161511410.
  • Regis Debray, Non mi faranno prendere l’aereo in pigiama, in Sette Giorni, VII, n. 325, 23 settembre 1973, pp. 40-42.
  • Tomas Moulian, Chile Actual. Anatomía de un mito., Santiago, LOM, 1996, ISBN 9562824322.
  • Alejandra Rojas, Salvador Allende. Immagini di mille giorni di democrazia, Stoccarda, Sperling & Kupfer, 1998.
  • Oscar Soto Guzman, El último día de Salvador Allende, Santiago, Aguilar Chilena de Ediciones, 1999, ISBN 978-8498673418.
  • Maria Rosaria Stabili, Il Cile: dalla repubblica liberale al dopo Pinochet (1861-1990)., Firenze, Giunti, 1991, ISBN 978-8809201989.
  • Saverio Tutino, Dal Cile, Milano, Mazzotta, 1973.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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