Utente:Puxanto/Sandbox/mores(antica roma)

iritto|novembre 2008}} Il termine mos (plurale mores, più utilizzato, che tradotto letteralmente significa costumi, in alcune opere specialmente retoriche e storiche nominati come mos maiorum che significa costumi dei padri) identifica l'uso e costume di Roma antica e il nucleo della tradizione romana [1].I mores già presenti nel periodo protostorico delle tribu stanziate nel territorio laziale e vicini erano usanze e usi di tipo magico-religioso. Questa è la definizione che ci dà Festo:

(LA)

«Mos est institutum patrium, id est memoria veterum pertinens maxime ad religiones caerimoniasque antiquorum.»

(IT)

«Costume e usanza dei padri, ossia memoria degli antichi relativa soprattutto a riti e cerimonie dell'antichità.»

I mores però si identificano anche con una tavola di valori i così detti valori della romanità almeno dal periodo regio, all'età imperiale vengono a identificarsi con una tavola di valori di esempio per la comunità di quell'epoca.

Mores come costumi-usanze modifica

Storia modifica

Protostoria: dal X secolo a.C. alla metà del VIII secolo a.C. modifica

Lo stesso argomento in dettaglio: Fondazione di Roma e Area di Sant'Omobono.
L'area "sacra" di Sant'Omobono dove si sono svolti gli scavi e lo studio dei popoli latini risalenti a prima dell'VIII secolo a.C..

Secondo le opere[3] storico-giuridiche di Gaio e Sesto Pomponio i mores, sono usi e costumi delle tribù che si unirono e formarono Roma[4]. In questa prima fase erano solo i mores a identificarsi col diritto romano, e costituivano il modo in cui gli appartenenti alla comunità dovevano comportarsi: questi modelli di comportamento derivavano da secoli di usanze precedenti dei pagi[5]. Gli studiosi ritengono che prima dell'età regia (ovvero la precivica) si basavano sul comportamento delle familiae e successivamente (a partire dalla metà del VIII secolo a.C.) anche dalle gentes da tenere in rispetto alle forze naturali come decidevano i sacerdoti. Questi mores furono man mano raccolti dai sacerdoti, che li tennero vivi tramandandoli oralmente, secondo altri autori vennero tenuti segreti in archivi sacerdotali.

Età regia modifica

Lo stesso argomento in dettaglio: Età regia di Roma.
La lupa capitolina, Romolo e Remo.

Nessuna fonte ci dice nulla di preciso sui mores nelle età più antiche ovverò come si evolserò se cambiarono nel tempo solo Sesto Pomponio[6] ci dice che a un certo punto, con i primi re, si sentì il bisogno di norme scritte così nell'età regia invece si identifica anche l'atto normativo delle leges regiae. Grazie anche a altre fonti tra cui Plutarco, Cicerone e molti altri oltre al solito Sesto Pomponio sappiamo di queste norme emanate dai re con l'intervento anche o solo del Pontefice. A questo punto gli storici hanno cominciato a pensare che ci fosse un profondo collegamento tra leges regiae e mores poiché anche il pontefice poteva amanarli così si ritiene che alcuni di questi forse con qualche modifica non siano altro che costumi diventati leggi. Secondo la tradizione e in quest'epoca che si emanarono in opera scritta le leggi il primo non fu Romolo che li emanò sempre oralmente (anche se Dionigi d'Alicarnasso[7] ci informa che alcune di esse furono rese in forma scritta per volere dello stesso Romolo), invece la prima opera che si perde nella leggenda sarebbe il liber numae di Numa Pompilio il fantomatico Liber Numae, che però non ci è pervenuto, oltre ai libri pontifici (non sappiamo se opera a parte o sezione del Liber): questo libro raccoglierebbe le norme di Romolo e quelle di Numa Pompilio ma in particolare anche i riti sacerdotali sicuramente derivanti da mores. Da quest'operà si ispirarono anche i re successivi creando nuove leges, probabilmente anche nuovi mores, in parte riprese da quelle di Numa. La tradizione successivamente ci parla anche di altre opere come il commentarius di Servio Tullio e i Libri sibillini che ricevette Tarquinio il Superbo dalla ninfa Sibilla e che avrebbe alcuni riti religiosi, tutti gli atti normativi dell'età regia sono comunque scomparsi per l'incendio che colpì Roma nel 390 a.C. ad opera dei Galli di Brennnio. Comunque, sia le pratiche tradizionali che i rituali arcaici gettano le proprie radici nelle consuetudini collettive. Nel periodo successivo però alcuni rituali entrarono in disuso: i Lupercalia, per esempio, un'antica festività celebrata a Roma ogni 15 febbraio [8], caddero nell'oblio a tal punto da risultare sconosciuti fino ai tempi di Augusto, verso la fine del I secolo a.C. In alcuni casi molte pratiche venivano trascurate dalla società, come del resto la pratica del matrimonio confarreatio[9]. Infatti, queste arcaiche pratiche di matrimonio, sono state successivamente abbandonate a causa della rigidità dell'unione tra i due coniugi. Nonostante la progressiva entrata in disuso di tali pratiche, l'importanza del mores maiorum non è mai decaduta.

Dall'inizio dell'età repubblicana al IV secolo d.C. modifica

Lo stesso argomento in dettaglio: Età repubblicana ed Età imperiale.
Dal 509 a.C. al III secolo a.C. modifica

Sempre secondo Sesto Pomponio la prima operà riguardante i mores (sempre indirettamente poiché riguarda le leges regiae) dell'età repubblicana secondo la tradizione era il ius papirianum di Sesto Papirio ( secondo alcuni [[Gaio Papirio, Pontifex Maximus nel 509 a.C.]]) che era una raccoltà di tutte le leges regiae dell'età regia: anche quest'opera si perde nei meandri della tradizione e non sappiamo se è esistità davverò. Il primo cinquantennio dell'età repubblicana nel V secolo a.C. è caratterizzata solo dal regolamento dei mores in massima ma da Livio e da Dionigi d'Alicarnasso ci viene raccontato che a partire dal 462 a.C. i plebei resosi conto che i Pontefici emanavano i mores solo in favore loro o dei patrizi cominciarono a chiedere un'opera scritta che riassumesse l'essenza dei mores in modo tale da fermare il monopolio dei Pontefici su questi regolamenti orali tramandati e conosciuti solo dai sacerdoti. Così con un decemvirato legislativo durato 1,2 o 3 anni (le fonti sono discordanti) circa nel 450 a.C. fu emanata la legge delle XII Tavole, che in pratiche era una raccolta di massime dei mores sino a allora esistenti. Ma siccome l'opera era di difficile interpretazione questa fu affidata ai pontefici. Perciò i mores erano sempre e comunque in mano ai Pontefici che li rivelavano negli ambiti dove le XII Tavole non vigevano. Ma questo cambio con Tiberio Coruncanio primo pontefice plebeo che rivelò i rituali e come venivano emanate le XII Tavole e da qui cominciarono i primi giuristi laici.Fonti utili potevano essere anche il ius usurcapionis(di Appio Claudio Cieco) e il ius Flavianum( di Gneo Flavio): il primo legis actiones riprese da archivi pontificali il secondo sua rifacimento senza modifiche ma purtroppo non pervenuteci.

Dal II secolo a.C. fino al IV secolo modifica

Il primo giurista o meglio vero studioso del diritto si ha con il Sesto Elio diventato anche console che nel 198 a.C. fa un operà di analisi delle XII Tavole e dell'interpretazione pontificale oltre alle legis actiones chiamata tripartita (lat. tripertita) anche quest'opera non ci è pervenuta ma sicuramente poteva essere di grande aiuto per capire i collegamenti tra mores-XII Tavole e tra mores-legis actiones. I mores dovevano comunque essere ancora molto seguiti nel I secolo a.C. il giurista Gaio Svetonio Tranquillo ci racconta di un editto di censura del 92 a.C. che pone i mores come regolamenti a cui tutte le consuetudini (lui parla di novità forse riferendosi anche alle leggi in qualche misura) si devono adeguare altrimenti vengono ritenute non giuste. Con l'avvento degli imperatori romani è possibile che i mores siano stati decisi sempre da questi tramite le varie costituzioni che ne delineavano i limiti. Le ultime informazioni che abbiamo dei mores come regolamenti però risalgono al II secolo grazie al giurista Giuliano che ci informa che i mores devono essere seguiti solo se non ci sono leggi contrarie. Per i periodi successivi non ci sono informazioni ma è da ritenere che almeno in ambito religioso-pagano qualcosa soppravvisse, un esempio sarebbero i sacrifici fatti dal senato all'altare della vittoria per portare buon ospicio nelle guerre poi eliminato nel 382 per volere imperiale, vicino al 380 quando invece l'editto di Tessalonica dichiarava la religione cristiana religione di stato. Oppure ancora i riti officiati dal rex sacrorum che fu eliminato come figura istituzionale solo nel 390.

Fonte dei mores modifica

All'inizio nell'età protostorica le fonti dei mores non erano altro che il comportamento dei patres, i quali erano i genus all'interno della loro famiglia e seguivano certi culti e i sacerdoti in questi gruppi stanziati nelle colline i quali erano parentali dive i più anziani erano i sacerdoti e probabile che già questi raccoglievano i culti seguiti in quel epoca, successivamente delle gentes poi non si sa quando probabilmente prima dell'inizio dell'età regia furono raccolti dai sacerdoti che li memorizzavano e tramandati oralmente e perciò le fonti dei mores erano gli stessi sacerdoti e la loro interpretazione. In piena età regia i mores furono redatti in forma scritta o e emanati anche dai re poi con la fine dell'età regia l'unica fonte dei mores restarono i sacerdoti con le loro rivelazioni e la tradizione.

I mores come costume e usanza modifica

I mores sono dei precetti normativi comunitari, cioè accettati da tutta la comunità poiché investiti di un auctoritas (derivante dal fatto che venivano seguiti dai padri-da cui i patrizi- e in parte in quanto rivelati dai sacerdoti). Questi mores non solo sono un'usanza investita di sacralità ma costituiscono un abbozzo di costituzione per l'intera comunità romana, obbligata a seguirli. Si riteneva, soprattutto nei periodi antichi, che il rispetto di questi precetti (accomunati dalla costante della religiosità e dalla magia) proteggesse dalle forze dell'occulto in quanto concorde al volere delle forze soprannaturali. I mores non creano nessun obbligo effettivo ma sono già impressi nel sistema istituzionale romano così da porre comunque il soggetto a seguirli.

Legislazione, regolamentazione e sanzionamento modifica

legislazione e regolamentazione modifica

Dal periodo protostorico-precivico alle rivelazioni del rex modifica

In un primo momento i mores non costituirono leggi effettive, ma (soprattutto nella Roma precivica) erano semplicemente precetti comunemente rispettati dalla comunità. Intorno al X secolo a.C. i sacerdoti raccoglievano tramite forma orale (probabilmente anche per iscritto) questi usi, tenendoli segreti. In questo periodo erano gli unici detentori delle conoscenze giuridiche, il loro compito consisteva nel rivelare questi usi al soggetto che li richiedesse (sempre segretamente) o piuttosto ad interpretarli nel modo che ritenessero più consono. Quindi consigliavano al richiedente una condotta da seguire per conseguire il proprio interesse o per difendersi correttamente da un diritto altrui. Questo perché nel diritto dell' epoca era acceso un forte moralismo, si dovevano quindi rispettare prefissati modi di parlare e di comportarsi per condurre una trattativa o semplicemente far valere un proprio diritto, metodo utilizzato sia nel periodo regio che in buona parte del repubblicano. Nell'età regia l'interpretazione fu affidata al rex e al Pontifex Maximus, sia insieme che separatamente.

Età regia:I mores e il bisogno di un diritto certo, i mores e le leges regiae modifica
Interno della Curia, antica sede del Senato.

A un certo punto però i mores non furono più sufficenti in quanto il popolo romano richiedeva un diritto più sicuro e non incerto come i mores come attesta l'Enchiridion di Pomponio:

(LA)

«Iniquae initio civitatis nostrae populus sine lege certa, sine iure certo primum agere instituit:omniaque manu a regibus gubernabantur

(IT)

«e certamente il popolo all’inizio della nostra città (Roma) decise di agire senza legge stabile, senza diritto stabile: tutto era governato dai re con il loro potere.»

poi più avanti ci parla di leggi regie emanate dai re della tradizione:

(LA)

«Et ita lege quasdam et ipse curiatas ad populum tulit:tulerunt et sequentes reges. Quae omnes conscriptae ex stant in libro Sexti Papirii, qui fuit illis temporibus, quibus Superbus Demarati Corinthii filius ex principalibus viris.»

(IT)

«Così egli (Romolo) propose al popolo alcune leggi curiate (ovvero le leges regie secondo gli studiosi): altre ne proposero i re successivi. Tutte queste leggi si trovano scritte insieme nel libro di Sesto Papirio, che visse nella stessa epoca in cui visse il superbo figlio di Demarato di Corinto, (per citare uno) fra gli uomini più illustri.»

Siccome nell'età regia poteva rivelare i mores interpretati anche il rex sicuramente era a conoscenza dei mores, dall'altra anche il Pontifex Maximus contribuiva all'emanazione delle leges regiae alcuni studiosi ritengono che alcune di queste siano in realtà mores resi in atto normativo regio o almeno in parte, di conseguenza anche questo sarebbe da ritenere un sistema di emanazione di mores (se pur indiretto), da altra parte erano sempre vigenti i mores e lo stessa legislazione del periodo precedente.

Lo stesso argomento in dettaglio: Lex regia e Rex (Roma antica).
Dalla fine dell'età regia a prima dell'emanazione delle XII Tavole modifica

Con la cacciata dei Tarquini si conclude l'età regia e l'unico diritto ritorna a essere le rivelazioni e l'interpretazione dei soli Pontefici dei mores. Però in questo periodo che durerà circa 50 anni la plebe comincia già più a sospettare che i Pontefici interpretino solo per i loro gusti a discapito degli stessi plebei.

Emanazione delle XII Tavole e conseguente interpretazione pontificale modifica
Lo stesso argomento in dettaglio: XII Tavole, Interpretatio pontificium e Interpretatio prudentium.

Nella prima metà del V secolo a.C. la plebe ormai sospettava che le interpretazioni del Pontefice Massimo fossero a favore dei Patrizi e a danno dei plebei finò a cui si giunse al punto di rottura. Alcune fonti ci raccontano tra cui Livio e Dionigi d'Alicarnasso che a partire dal 462 a.C. si creò un movimento plebeo il cui fine era un regolamento scritto che ottennero circa nel 450 a.C. grazie a un decemvirato legislativo durato due anni che aveva il compito di elaborare in massime il diritto esistente fino a ora perciò soprattutto di mores (secondo alcuni studiosi anche tramite leges regiae che hanno fatto da memorizzazioni dei mores). Poi siccome queste non erano di facile lettura la loro interpretatio era comunque lasciata ai Pontefici tenuta ancora segreta perciò da ritenere sempre rientrante come interpretatio di mores almeno sino a quando Tiberio Coruncanio non la renderà pubblica e comincerà un'interpretazione laica creando vero e proprio diritto ovvero la creazione del Ius Civile. D'altra parte però le XII Tavole erano un'opera che non poteva riguardare e non riguardava tutti i rami del diritto perciò dove non arrivavano le XII Tavole venivano utilizzati e rivelati i mores[12]

Dall'interpretazione pontificale al II secolo modifica
Lo stesso argomento in dettaglio: Pontifex Maximus e Imperatore.
Augusto nelle vesti di pontifex maximus

Le rivelazioni dei pontefici per quanto riguarda i mores hanno sempre minor rilevanza poiché molti settori vengono sostituiti con l'osservanza di leges, ma dall'altra parte per gli altri settori del diritto le rivelazioni dei pontefici assumono meno rilevanza anche perché molti di questi sono già conosciuti dai cittadini e veicolo sempre maggiore diventa la tradizione oltre che magari già applicati all'interno del sistema giudiziario, si pensi alla pignoris capio di cui Gaio ci informa che è una legis actio che è strutturata in alcuni punti secondo i mores. Se poi il iudex (giudice) e indeciso su una causa controversa perché magari quel negozio e regolato da mores o regole conosciute solo dai pontefici può chiedere che intervenga il Pontefice come arbitro della controversia. Dall'altra parte con l'avvento del periodo imperiale sono gli stessi imperatori a restringere gli ambiti di utilizzo di questi con le loro costituzioni e ne abbiamo informazioni dai giuristi. Prima con Gaio Svetonio Tranquillo che racconta di un editto di censura del 92 a.C., che dichiarava:

«Tutte le novità fatte contrariamente alle usanze e alle tradizioni dei nostri antenati, non devono essere considerate giuste.[13]»

Infine con Giuliano (II secolo) afferma che i mores si utilizzano solo se non vengono previste leggi in quegli ambiti. Dopo il II secolo d.C. non si trovano più informazioni ma sembrerebbe che hanno perso quasi del tutto la loro rilevanza come atto giuridico, validi ancora per qualche rito pagano (riti del Rex sacrorum, Lupercalia, Arvali, ecc. almeno fino a Teodosio I).

Sanzionamento modifica

La non osservanza dei mores da parte di un soggetto prevedeva diverse conseguenze oltre a qualsisasi decisione dei mores valeva come precedente giudiziario. Nel periodo precivico e antico era la stessa comunità che garantiva l'osservanza di riti o per caso se un soggetto (pater familias) doveva chiedere il tributo a un altro soggetto che avessa commesso un danno al primo, il pater familias richiedente del tributo era messo in grado di ottenerlo nei confronti del colpevole dalla stessa comunità (per es. il colpevole di un delitto non poteva porre resistenza per opporsi all'eventuale pena poiché la stessa comunità gli impediva di agire). Siccome i mores venivano definite come espressione corretta di vedere la vita secondo gli antichi si deve ritenere possibile che per i mores soprattutto quelli investiti di una maggior auctoritas dovesse esserci una conseguenza simile all'infamia ,l'ignominia o anche pene capitali da parte del soggetto che non rispettasse questi mores. Se invece il mores riguardava il poter utilizzare un diritto o porre in essere un negozio questo non era considerato valido (anche se c'era un semplice errore di gesti o parole, per es. Gaio ci dice che un soggetto che diceva vites invece di arbores come era previsto anche questo semplice errore recava nullità al negozio). Se per esempio il mores riguardava determinate azioni criminali tipo un delitto o l'adulterio il soggetto in questione nella maggior parte dei casi andava incontro a pena di tipo religioso-pagano esempio era l'essere messo a sacrificio di una divinità (sacertà), il supplicium more maiorum, o la poena cullei oppure era soggetto al vincolo corporale del danneggiato (o per meglio dire chi ne avesse il diritto ovvero i pater familias) poi evoluto nell'oportere forse anche questo derivante da mores. Anche per esempio attirare il malocchio su qualcuno se in un primo tempo non veniva sanzionato, di sicuro nel periodo delle XII tavole si riccorreva a pesanti sanzioni.

I mores sotto vari punti di vista modifica

Mores opera scritta o non scritta? modifica

Questo è un aspetto molto dibattuto dagli studiosi romanisti, in linea generale si possono individuare tre correnti: Nella prima alcuni studiosi sulla base di alcune fonti risulta immancabilmente che i mores erano un regolamento non scritto come ci informano all'inizio delle loro opere Sesto Pomponio col Enchiridion (viene definito ius incertum) e Gaio con le sue istituzioni(parla di usi che all'inizio ogni popolazione segue). La seconda linea di pensiero invecenon è d'accordo poiché afferma che è vero solo in parte infatti all'inizio probabilmente erano emanati e raccolti oralmente (anche se da alcuni ricostruzioni archeologiche risultano dei rapporti in questo periodo tra minoici, che applicavano già una loro scrittura, e latini perciò un periodo di formazione della scrittura laziale derivante da questi influssi) tra il X secolo a.C. e il IX secolo a.C., comunque almeno dal VIII secolo a.C. dalle fonti vengono menzionate numerose opere scritte relative ai mores( oltre a rilevanti correlazioni e relazioni tra greci e romani che hanno un periodo di applicazione della scrittura molto vicino a questo periodo) e alle leges regiae di cui libri pontificii, libri augurales, libri regii ecc, date da autori come Cicerone che era anche un sacerdote augurale perciò aveva libero acccesso ai libri augurales (anche se alcuni storici ritengono, senza però delle fonti o alcuno studio archeologico, che queste opere siano di più recente fattura circa IV-III secolo a.C.) che talune opere o Plutarco ma ce ne sono molti altri, perciò si viene a delineare un archivio pontificale in cui vengono a essere raccolti tutti i precetti e le attività effettuate dai sacerdoti distinguendo le opere rispettivamente con libri per i primi e commentarii per i secondi. Infine c'è una terza linea di pensiero però di tipo induttivo in cui vedrebbero i sacerdoti come redattori di testi memoriali dei mores, e questi sarebbero arrivati fino a noi tramite le informazioni indirette di alcuni storici romani e greci che ci parlano delle leges regiae, le quali fortemente collegati ai mores. Ci sono idee a tal proposito che ritengono che appunto e da queste redazioni scritte che sia nata la legge delle dodici tavole. Gli studiosi ritengono che ,al di là della rielaborazione degli storici antichi che sicuramente ripresero le norme nelle loro così dette citazioni testuali togliendo molti arcaismi, la struttura delle XII Tavole sia troppo complessa per venir fatta dal decemvirato legislativo ex novo da leggi non scritte e ricordate a memoria ma in realta le stesse leges regiae e alcuni memoriali dei sacerdoti funserò da ponte tra i mores e la redazione delle XII Tavole perciò sulla base di ciò molti studiosi ritengono che sia esistito qualche documento scritto attinente ai mores (a parte i documenti attinenti alle leges regiae).

Chi era titolare di diritti derivanti da mores modifica

Ititolari di diritti derivanti da mores erano veramente pochi sopprattutto nel periodo più antico. Infatti in questo periodo sicuramente in linea di massima potevano essere solo chi poteva essere titolare di situazioni giuridiche soggettive ovvero i patres familiae: poi questi potevano essere sposati dunque i mariti (con la manus sulla moglie)o avere un cliens cioè il patronus, oppure il patres nei confronti dei consociati della familia gli alieni iuris, oppure militari: per esempio i celeres che dovevano fare dei riti, oppure i sacerdoti ecc. Sempre in antico quelli che non potevano essere titolari di diritti erano certamente quelli che non potevano essere titolari i situazioni giuridiche ovvero chi non aveva tre requisiti: la libertà, la cittadinanza romana, la potestà su persone alieni iuris cioè lo status di pater familias. Nel periodo preclassico e classico però la situazione cominciò a mutare con la potestà del pater che diventa sempre meno patrimoniale e il crearsi della distinzione tra situazioni da tutelare e interesi forse anche i filii familia poterono essere titolari di diritti derivanti da mores.

i mores regolatore di legis actio, vari negozi e riti modifica

I mores all'inizio essendo l'unico regolamento esistente regolavano le legis actiones più antiche ovvero legis actio sacramentum in rem, manus iniectio, pignoris capio e altre che non conosciamo dalle fonti. La legis actio sacramentum in rem doveva essere regolata solo da mores poiché unico atto normativo, e la presa della cosa in iure davanti al giudice non doveva essere solo simbolica ma viene supposto da alcuni studiosi che nel periodo più arcaico avvenisse proprio una contesa mteriale sulla cosa in un secondo momento diventata più simbolica e seguita poi da giuramento con satisdatio tutti questi aspetti dovevano essere controllati dai mores e insiti nel sistema istituzionale del tempo da cui poi nacquero le leggi. Per la manus iniectio non sapppiamo bene come si svolgeva la procedura poiché non si hanno grosse informazioni ma in linea di massima serviva per avere una sorta di potestas sullo schiavo o sulla moglie dicendo determinate parole e con determinati gesti come ne caso della legis actio sacramentum in rem quando l'attore pone la festuca sulla persona che rivendica come suo schiavo. Nel caso della pignoris capio che a quanto ci dice Gaio era ancora in vigore nel suo periodo e poco modificato dal periodo antico poiché ancora molti aspetti regolati dai mores anche se non ci specifica in che maniera. Oltre ciò anche l'agere per sponsione o la stipulatio doveva essere regolato da mores anche perché nel rito viene menzionato il ius Quiritium fortemente legato ai mores.

Da questa analisi si comprende che i mores regolavano le legis actio dicendo che parole andavano dette o quali gesti fare. Questo non solo poiché così il gesto o la parola eseguita convenzionalmente dava all'atto per quel diritto validità poiché necessario e sufficiente per conseguire quel risultato come prevedeva il iritto di quel tempo ma anche (questo vale per il periodo più antico sopprattuttto) poiché così ci si proteggeva dall'intervenire di forze occulte che sarebbero potute intervenire negativamente.

Oltre a regolare alcuni punti delle legis actionis regolava anche alcuni negozi soprattutto i più antichi come la mancipio e il trasferimento dela res mancipi attraverso il rito della pesatura del bronzo grezzo poi man mano con l'evoluzione dell'istituto volto a essere solo mera apparenza poiché il costo della res si pagava con moneta. La nuncupatio secondo cui si poteva modificare gli effetti della mancipatio sembra che prima di derivare da una regola delle dodici tavole questa sia stata prima un mores poi rielaborato all'interno della stesura delle XII tavole, come la nuncupatio stessa sote ebbe l'istituto dell'usus (cioè nel senso di usucapire un bene). L'istituto del matrimonio previsto con confarreatio e molti riti di tipo religioso come i Lupercalia o gli auguri con i loro Auspici.

I mores e gli altri ius varie correlazioni modifica

Ius Quiritium modifica

I mores più antichi sono strettamente correlati col ius quiritium ovvero il primo diritto romano. Di questo diritto abbiamo informazioni da Gaio, da Cicerone e da altri poiché viene nominato in alcuni negozi che hanno le loro radici nel periodo più antico come nella mancipatio. Questo diritto si incentra sopprattutto nel potere familiare e dominicale e va dal VII secolo a.C. al VI secolo a.C. perciò non riguarda la branca delle obbligazioni con l'oportere che invece si è sviluppato dopo questo periodo perciò il ius quiritium e caratterizzato fondamentalmente da mores, leges regiae e foedera.

XII Tavole e mores modifica

Come sappiamo le XII Tavole sono fondamentalmente massime di mores perciò siccome come dicono vari autori antichi. I relativi collegamenti sono molti, per esempio l'usucapio deriva da mores prima di diventare una regola delle tavole, oppure la traditio molto antico anche questo e poi trasformato in legge tabulara oppure ancora la mancipatio e ce ne sono ancora molti altri.

ius civile e mores modifica

Il ius civile essendo la risultante del lavoro ragionato dei giuristi sulle dodici tavole e solo un'evoluzione ulteriore delle dodici tavole ma anche qua troviamo delle analogie con i mores per esempio il rapporto tra patronus (o gens) e cliens e il l'obsequum del cliens nei confronti del patronus, ma oltre di diritto positivo molti collegamenti ci sono anche nel diritto processuale erivante sempre dalle XII Tavole e trasformate col ius civile in formule: l'actio sacramentum in rem, l'agere per sponsionem o la manus iniectio, ecc.

ius gentium e mores modifica

Per il ius gentium invece bisogna fare un discorso più complesso poiché riprende oltre a istituti di varie popolazioni anche istituti romani assimilandoli insieme. La risultante è che vengono per esempio ripresi sempre la traditio e la sponseo stipulatio tutte due derivanti da mores.

ius honorarium e mores modifica

Per il ius honorarium non abbiamo invece nessun collegamento diretto poiché nasce dalla iurisditio del pretore ma man mano quando si stabilizza riprende istituti dal ius civile e cambiando solo alcune forme orali eliminando per esempio la formula ex iure quiritium questo a dimostrare che riprende istituti regolati da mores.

Varie categorie di "mos" modifica

Alcuni di questi costumi prendono vari nomi e non vengono identificati semplicemente col termini di mos, infatti esistevano:

  • i mores maiorum che identificavano i costumi più antichi o caratterizzati da maggior auctoritas
  • i mores regionis che erano quelli che erano validi solo in una precisa regione
  • i mores sacer (nominati come lex sacra dalle fonti o anche come sacra gentiles) erano quelli relative al culto
  • i mores familiae (o gentes) che erano validi limitatamente a quel gruppo familiare o a quella gens che oltre che di tipo religioso come i sacra gentiles potevano essere anche di altri ambiti come comandare un dato abbigliamento o un dato culto ecc.
  • i mores iudiciorum usi che regolavano lo svolgere delle attività processuali poiché anche in quegli ambiti si rispettava un certo schema.
  • i mores militum: usi e costumi militari si pensi alla figura del cittadino-soldato che si divide tra coltivatore e guerra e si accontenta da una parte della gloria dall'altra della semplicità.

I mores nei vari ambiti modifica

Dal X secolo a.C. alla prima metà del VIII secolo a.C. modifica

Introduzione modifica

Riguardo a questo periodo non abbiamo nessuna fonte di scritti coeve (non c'era ancora la scrittura forse) o di autori successivi perciò per stabilire le tradizioni l'unico modo è utilizzare lo strumento archeologico con le poche informazioni dateci dagli autori. Si parla delle popolazioni stanziate nei territori dove poi verrà fondata la città di Roma e appunto tramite i ritrovamenti funerari si cerca di dedurre costumi e tradizioni e struttura della società in quel periodo remoto.

Struttura familiare modifica

Prima di tutto secondo i corredi funerari trovati dagli scavi archeologici si ha una differenza di attività tra maschi, che si dedicano all'attività della raccolta-coltivazione forse anche della caccia trovandosi in una zona boscova e infine della guerra perciò un contadino-soldato forse anticipatore del più recente cittadino-soldato istituito nel periodo romuleo, e l'attività della donna dedita alla tessitura e ai lavori domestici. In questo periodo esiste solo la struttura familiare della familia mentre la gens ancora non esiste, queste familiae sempre caratterizzate dal potere patriarcale dove il pater a potere assoluto e di decidere i riti all'interno della familia poiché genus di questa. questi primi insediamenti sono di tipo strettamente familiare cioè il gruppo semi-nomade o sedentario stabilito in un colle è una famiglia o comunque legata da legami parentali. Poiché vengono rinvenuti diverse qualità di corredi funerari cioè corredi funerari più ricchi e meno ricchi e da ritenere possibile una differenza economica tra le varie famiglie non si può dire se c'erano già delle classi differenti.

Religione e riti modifica
Vestale (Roma, Palazzo Braschi)

La religione di questo periodo e identificabile mettendo a confronto le culture più primitive dei nostri giorni viene in questo caso messa in rilevanza da alcuni studiosi la popolazione malesiana che credeva nell'intrvenire di forze nella vita di tutti i giorni, così sarebbe anche il popolo abitante nei colli romani e questo sarebbe provato dal fatto che alcune fonti parlano di numen o numena che sarebberò forze secondo le credenze dei popoli più antichi stanziate in questi territori che li identificherebberò non come divinità ma come forze singole ognuna delle quali ha un proprio compito e sarebbero tutte intorno a loro e interverrebero nella vità di tutti. Ogni forza ha un piccolo intervento nella realtà per esempio quella che fa muovere un fiume oppure quella della pioggia ecc, ecc. Per molte di queste ci sarebberò dei riti da osservare dai sacerdoti, i sacerdoti in questo periodo non sono altro che gli anziani del gruppo semi-nomade. Non sappiamo nulla dei riti seguiti tranne di uno usato anche in età storica ovvero il rito del Septimontium, il quale è una processione fatta da tutte le popolazioni stanziate nei colli romani o vicini che parte dal Palatino e attraversa molti colli vicini, questo dimostrerebbe la somiglianza religiosa di tutte queste popolazioni ma questo rito servirebbe anche a augurare la pace tra le varie popolazioni e avviene l'11 dicembre. I riti in questo periodo, almeno la maggior parte utilizzano come donazione alle forze i legumi particolarmente gli scavi hanno scoperto e anche secondo quanto dice Plinio l'utilizzo nei riti della fava. Prima dell'età regia risale anche il culto di Vesta e delle vestali che dovevano custodire il fuoco di Vesta all'inizio dovevano essere solo due, la prima vestale di cui si ha notizia è la madre di Romolo Rea Silvia vestale di certo prima dell'età regia di Roma

rituali funebri modifica

X secolo a.C.: il rituale prevede la cremazione del corpo per un periodo prolungato su un rogo (si capisce dal fatto che sono state rinvenute ossa incenerite) dopo di che il fuoco viene spento probabilmente col latte poi le ossa vengono raccolte in un vaso chiamato ossuario collocato in un vaso più grande chiamato dolio a questo viene affiancato il corredo funerario di oggetti in miniatura che servivano nell'aldilà da ciò possiamo anche capire che credevano in un'altra vita.

Dal 900 a.C. al 830 a.C.: in questo periodo avvengono tre rituali differenti quello della cremazione già esposto quello in cui il vaso coi resti veniva deposto in una fossa chiamata pozzo oppure il terzo in cui veniva fatta una fossa rettangolare per metterci il cadavere supino.

Dal 830 a.C. al 770 a.C.: il più utilizzato è la fossa rettangolare col cadavere supino, alcune volte viene usata la cremazione, e il corredo è caratterizzato non più da oggetti miniaturizzati ma da oggetti veri per esempio vengono messe armi vere, collane ecc.

Dal 770 a.C. al 730 a.C.: metodo a fossa con corredo oppure utilizzo di sarcofagi in terracotta tipo bara.

divisione del lavoro attività di produzione e guerra modifica

Il costume di questi popoli prevedeva che l'uomo andasse a fare la guerra o a coltivare o raccolta mentre la donna si occupava della tessitura e dei lavori domestici e i sacerdoti (le persone più anziane del gruppo) dei riti sacri.

Dal 754 a.C. al II secolo d.C. modifica

Lo stesso argomento in dettaglio: Lex regia.
La concezione dei mores in Politica modifica
Lo stesso argomento in dettaglio: Cursus honorum.

La partecipazione nella vita pubblica era parte dominante della vita del cittadino maschio nella Roma antica. La vita pubblica comprendeva politica, esercito, legge e anche sacerdozio. Nella politica, il cursus honorum divenne la procedura standard di attribuzione delle cariche. l'osservanza di questo percorso veniva considerata convenzionale; comunque ci furono deviazioni dal cursus. Lucio Appuleio Saturnino e Gaio Servilio Glaucia, in associazione con Gaio Mario la sua legislazione e le elezioni, ruppe la tradizione cercando il consenso dei Tribuna della plevetribuni. Mario stesso smise di accettare la tradizione dell'elite romana. Mario non fu solo un homo novus di gran successo, ma fu eletto 7 volte console, cosa mai accaduta prima. Queste figure contrastano fortemente con la carriera di Cicerone, che seguì severamente il cursus honorum e mantenne una gran coerenza nel sostenere gli interessi dell'aristocrazia e i valori ancestrali da essa salvaguardati. Cicerone ottenne molta della sua fama dalla sua abilità di oratore, lavorando come difensore e Pubblico Ministero nelle corti.

La legge era strettamente legata al cursus honorum e alle magistracies che un cittadino poteva sperare di ottenere. I membri della classe superiore, avendo una conoscenza maggiore della legge e dell'arte oratoria (dal momento che erano consuetudini parte della loro istruzione), soddisfavano i ruoli di prosecutore, difensore e persino giudice. Questi ruoli erano doveri tradizionali per la classe superiore, che potevano addossarsene la responsabilità. Sebbene moltissime responsabilità appartenevano alla sfera della vita civile, come era comune nell'era antica, dai romani ci si aspettava anche che servissero nell'esercito.

Campo militare modifica
Lo stesso argomento in dettaglio: Esercito romano e Legione romana.

All'inizio emblematica è la figura in età arcaica del cittadino soldato che fino ai 40 anni si dedica solo a due attività coltivare la terra e guerreggiare. Successivamente i mores del militare stabiliva che i soldati cittadini venivano obbligati all'arruolamento tramite minacce riguardanti lo stato intero, ma dopo Mario entrarono in vigore i soldati professionisti, alleati dei loro generali. L' esercito romano era originariamente costituito da persone della classe superiore, poiché essi erano gli unici membri della società che potevano permettersi i costi economici delle armi ed assenze dal lavoro giornaliero. La speranza degli uomini romani era di unirsi all'esercito ed ottenere gloria a servizio dello stato, e quando non erano impegnati in battaglie o guerre, riponevano le armi e si dedicavano alla vita civile. Comunque, Gaio Mario riformò l'esercito per includere capite censi e sottomettere le truppe al suo controllo prima ancora che a quello dello stato.

Nel diritto di famiglia modifica

I mores stabilivano anche la struttura familiare cioè si limitavano a dare la potestà del pater familias sui suoi consociati nonché la struttura delle gentes, però sicuramente i mores in questo ambito si limitavano solo a dare la giusta struttura e a qualche altro regolamento che però non intaccava il potere del pater nei confronti di chi abbia un debito o un delitto su un suo consociato o lui stesso cioè i così detto formarsi del vincolo corporale poi evoluto in dare oportere sino ad arrivare a una parvenza di vincolo giuridico.

Tradizione religiosa modifica
Lo stesso argomento in dettaglio: Religione romana.

A differenza delle moderne religioni occidentali, i Romani non divisero (cioè le assimilarono) le pratiche religiose ed il servizio allo stato. Invece i Romani mantennero l'usanza dei loro antenati Indo-Europei del lasciare il clero legato allo stato. Il Collegio dei Pontifici consisteva di diversi culti al capo del quale era nominato un sacerdote , che poteva simultaneamente essere in possesso di potere politico e / o militare. I romani avevano anche il culto regolarmente dei Penati, che erano le divinità protettrice della casa privata nel suo interno[14]. I Lari sono comuni nella religione privata romana, in aggiunta alle figure antropomorfe divine romane. Essi sono spiriti guardiani, che variano nelle loro manifestazioni a seconda dei ruoli che hanno. Come i Lari Augusti, che erano spiriti protettori dell'imperatore. NOminativi più comuni sono però i Lari compitali, che erano i guardiani degli incroci e i Lari familiari, che erano i custodi della casa. Senza dimenticare tutti gli dei pagani che poi sono stati assimilati e modificati con le varie conquiste molti dei quali per esempio hanno assunto nomi di dei greci.

Patronato e Clientela modifica

Un altro importante aspetto della tradizione romana è il rapporto tra Patronus e Cliens (patrono e cliente). Questo è il rapporto che comunemente si è verificato tra Patrizi e Plebei, dove in cambio per la tutela del Patronus (patrizio), il cliens (plebeo) offriva servizi fino a quando il debito non era stato restituito. Più tardi nella storia romana, dopo la nomina a princeps di Augusto, la maggior parte della popolazione diventò clientela dell'imperatore, finché, alla fine, non lo fecero tutti.

La differenza tra mos (costume, usanza) e consuetudo modifica

Negli studi sul diritto romano fino al XX secolo, generalmente i termini mos e consuetudo vengono considerati sinonimi, e in realtà anche alcune fonti di epoca romana si comportano allo stesso modo. Recentemente però gli storici, sulla traccia di altre fonti, tendono a non associare i due termini insieme e a individuare invece una differenza, lieve ma non del tutto trascurabile. I mores infatti sono usi e costumi (e per certi versi anche consuetudini) conseguiti per ottenere il bene dell'intera comunità e caratterizzati prima da elementi magico-pagani poi dall'intervento sacerdotale: i sacerdoti, con le rivelazioni dei mores, conferirono a questi il classico carattere giuridico-religioso. Le consuetudines invece sono usi e costumi che il popolo segue passivamente come abitudine non caratterizzate da nessun intervento di memorizzazione sacerdotale: si tratta di atteggiamenti non derivanti da usi antichi ma di più recente fattura dove manca la componente religiosa e intervento sacerdotale.

I mores come valori della romanità modifica

Storia: Introduzione alla trasformazione dei mores da costumi a valori modifica

Se da una parte abbiamo i mores che identificano i costumi e usanze dall'altra i mores divengono strumenti portatori di valori. In questo frangente i mores assumono una caratteristica di ideologia, soprattutto nell'età imperiale, cioè rappresentano in senso ampio non più dei singoli costumi da seguire ma vengono visti nel loro complesso come rappresentanti di virtù che si devono avere per far del bene alla comunità romana. A questo proposito si affermava che il fondamento dei mores maiorum fosse basato su cinque virtù fondamentali appunto:

  1. Fides:la fedeltà, la lealtà, la fede, la fiducia e reciprocità tra i cittadini
  2. Pietas: la pietà, la devozione, il patriottismo, il dazio;
  3. Majestas: sensazione di superiorità di appartenenza a un popolo eletto, Majestys
  4. Virtus:qualità peculiari dei cittadini romani, il coraggio, l'attività politica e militare
  5. Gravitas: tutte le regole di condotta del romano tradizionale rispetto per la tradizione, la serietà, la dignità, l'autorità;

Anche se ne ci saranno plurimi valori che sgorgheranno dai mores dai mores scaturirono plurimi valori. Vediamo però la trasformazione in dettaglio:

Età regia modifica

Già dall'età regia si ritenevano importanti alcuni valori, non ne abbiamo informazioni scritte che indicano in che maniera ma sappiamo che già Numa Pompilio fece un piccolo tempio in onore della fides divinizzata sicuramente anche altri ebbero la stessa sorte soprattutto quelli ritenuti fondamentali.

Età repubblicana modifica

Prima del terzo secolo non abbiamo nessun documento che ci parla dei valori morali romani però quasi certamente ce ne sono stati anche in questo periodo oltre a qualche opera o luogo di culto in loro onore. In tutto il periodo repubblicano si denota anche uno sfarzo maggiore dei templi in loro onore rispetto all'età regia. Come vedremo ci sono però innumerevoli autori che nei secoli successivi dedicheranno chi più chi meno le loro opere vediamone qualcuno e la loro evoluzione nel tempo:

IV secolo a.C. modifica

Appio Claudio Cieco modifica

La figura di Appio Claudio Cieco per i valori non è tanto importante per le opere che ha fatto poiché non abbiamo notizie di opere che riguardano i valori romani, quanto invece di come visse, anche se le sue imprese sono forse in parte leggendarie, ovvero come il buon cittadino romano preso a esempio anche dai successori infatti fu grande parlatore ovvero abilissimo nell'attività oratoria e retorica rientrante appunto nell'otium del bonus civis. Da non scordare anche le sue Sententiae. Viene considerato un pre-Catone ovvero anticipatore su molti aspetti della figura di Catone il Censore.

III secolo a.C. modifica

Gneo Nevio e la virtus modifica

Nevio (siamo nel III secolo a.C.) nelle sue opere fa trasparire l'ideologia eroica nelle sue cothurnatae e prorio in queste opere trasaiono alcuni valori riguardanti la guerra e i soldati. In vari frammenti del Bellum Poenicus vediamo trasparire valori come la virtus, la gloria, l'onore del soldato:

(LA)

«seseque ei perire mavolunt ibidem...quam cum edire ad suo popularis

(IT)

«e loro preferirono morire in quel luogo...piuttosto che tornare con vergogna presso i concittadini.»

E la prima opera a noi pervenuta che ci parla dei valori della romanità qui si sofferma sul guerriero romano non sappiamo se prima venivano messi in rilevanza i valori romani ma da qui partirà l'evoluzione di questi in relazione al mos maiorum.

tra III secolo a.C. e II secolo a.C. modifica

Ennio storiografo degli antichi valori romani modifica

Successivamente compare nella scena Ennio che nella sua opera degli Annales come nella sua opera epica oltre che di gesta di eri si parla anche di valori valore verso l'ideologia aristocratica e celebrano la storia di Roma che è stata possibile e è tuttora grazie alla virtus di singoli individui: grandi n mores come uso e costume e il nobili e magistrati che hanno portato prosperità a Roma come Quinto Massimo. La descrizione di questi valori descritti da Ennio viene alla luce grazie a ritratti di condottieri e uomini di potere in un verso afferma persino:

(LA)

«Moribus antiquis res stat Romana virisque

(IT)

«Lo stato Romano si fonda sugli antichi costumi e sui grandi uomini .»

In questo pezzo possiamo notare la coesione e il collegamento tra gli antichi costumi, ovvero i mores come uso e costume e i mores come portatori di valori della romanità antica che secondo Ennio sono questi i perni di Roma

Plauto, Stazio e Terenzio: il penetrare della cultura ellenica modifica

In questo periodo però qualcosa cambia, il successivo autore di cui abbiamo notizia ci parla però di valori ellenici è Tito Maccio Plauto il quale però è importante poiché una sorta di maestro di Terenzio a cui fa da mediatore di Plauto Cecilio Stazio. Infatti Terenzio come il maestro si ispira nelle sue opere teatrali a valori ellenici sulla riga del maestro però in questo caso lui aggiunge anche delle morali (oltre al fatto di inserirci istituti tipicamente romani e valori tipicamente romani come l' Urbanitas) cosa che invece Plauto non faceva, grazie appunto a questi tre autori oltre al Circolo degli Scipioni la cultura greca con la sua etica e i suoi modelli faranno da mediatori per la penetrazione della cultura ellenica in quella romana e anche grazie a Pacuvio, Accio i poetae novi e la satira di Lucilio fino a Lucrezio nel I secolo a.C. che fa conoscere la dottrina epicurea alla plebe. Di non meno scarsa importanza è Catullo e i suoi carmen caratterizzati dalla ricerca dell'amore e della voluptas sottraendosi ai doveri e agli interessi propri del civis romano e dove assumono importanza i sentimenti personali e non l'interesse e il benessere della collettività. Un'altra figura sulla scia di Catullo è anche Properzio insieme a altri rifiuta il mos maiorum e i valori della civitas preferendo un'esistenza dedicata all'amore utilizzando l'elegia.

Catone il censore e i mores modifica
Marco Porcio Catone

Il punto di svolta ha inizio quando i romani venirono a maggior contatto e conquistarono i territori della penisola ellenica. Roma fu sempre influenzata, anche se limitatamente, dalla cultura greca durante il suo sviluppo, ma quando venirono a contatto con la loro cultura, gli studiosi romani impararono nuove materie di conoscenza come la dialettica, la filosofia, la logica e queste furono applicate al diritto, un diritto che ormai, grazie all'influenza greca, si stava man mano trasformando da tradizionalista, con i riti e costumi romani, a ragionato e pratico: la nascita dei vari ius civile, ius gentium, ius honorarium nati dallo studio dei giuristi e dai loro pareri sui casi concreti da cui scaturisce del diritto più pratico e lontano dai tradizionalismi. A questo ambiente ellenizzante, si oppone la figura di Catone il censore il quale dal 184 a.C. si presenta come campione delle antiche virtù romane contro il degenerare dei costumi e le manie di protagonismo ispirate dal pensiero greco[17]. Catone, a favore dei valori antichi romani, farà anche varie opere che ne esalteranno le caratteristiche: il De agri cultura in cui si danno dei precetti per il giusto comportamento di un proprietario terriero (pater familia) da una parte come attività sicura mentre dall'altra l'attività di soldato cioè espone le caratteristiche che doveva avere un buon cittadino-soldato che si doveva basare su virtù come la parsimonia, duttilità e industria valori tipici anche della precettistica dei mores maiorum nel tempo successivo, il Praecepta ad filium:

(LA)

«Vir bonus, Marce fili, colendi peritus, cuius ferramenta splendent

(IT)

«Uomo buono, Marco figlio mio, è l'esperto agricoltore i cui arnesi splendono.»

(LA)

«Orator est, Marce fili, vir bonus dicendi peritus

(IT)

«L'Oratore è, Marco figlio mio, l'uomo buono che a parlare (lett. esperto nel parlare).»


il Carmen de moribus a noi non pervenuto ma ci sono pervenuti solo due frammenti dal Noctes atticae di Gellio:

(LA)

«"Vestiri" inquit "in foro honeste mos erat, domi quod satis erat. Equos carius quam coquos emebant. Poeticae artis honos non erat. Si quis in ea re studebat aut sese ad convivia adplicabat, "crassator" vocabatur"

(IT)

«Dice: nel foro era costume vestirsi in modo decoroso, in casa (vestirsi) quanto bastava. Compravano i cavalli a prezzo più caro dei cuochi. Non c'era onore nel fare poesia e se qualcuno vi si applicava (alla poesia) o partecipava assiduamente ai banchetti era chiamato parassita»

(LA)

«Illa quoque ex eodem libro praeclarae veritatis sententia est: "Nam vita" inquit "humana prope uti ferrum est. Si exerceas, conteritur; si non exerceas, tamen robigo interficit. Item homines exercendo videmus conteri; si nihil exerceas, inertia atque torpedo plus detrimenti facit quam exercitio"

(IT)

«Dallo stesso libro si trae anche quella sentenza di chiarissima verità :"Infatti la vita umana è quasi come il ferro. Se la eserciti. Se non la eserciti, tuttavia, la ruggine la distrugge. Parimenti vediamo uomini consumarsi esercitandole»

In queste opere l'obbiettivo di Catone risulta essere la lotta contro il Circolo degli Scipioni, non tanto per combattere contro la cultura greca in se stessa ma vuole andare contro i suoi elementi illuministici di critica e di pensiero sui valori, infatti per Catone le due culture Romana e Greca possono coesistere ma la prima non deve far corrodere le sue basi etico-sociali costituite dai mores dall'azione di critica della seconda. Anche se man mano inevitabilmente la cultura greca scorrerà in quella romana.

Dall'inizio del I secolo a.C. all'età Augustea modifica

Lucilio modifica

Nei pochi frammenti arrivatici dell'opera satira di Lucilio traspare la sua tecnica di satira e di lameto nei confronti della politica e delle condizioni sociali (anche se in parte fu inflenzato dalla corrente ellenica) del suo tempo ma non solo, dai frammenti pervenutici ci parla anche di un valore imporante l'Urbanitas (il bon ton)

Cicerone modifica

Figura emblematica sulla scia di Catone e di Panezio (da cui riprende molti pensieri) è quella di Cicerone che tramite le sue orazioni e opere filosofiche vuole dare una base ideale, etica politica ripresa dalla tradizione dei mos maiorum alla classe dominante però anche facendo assorbire la cultura greca senza eliminare valori fondamentali romani come l' otium e l' humanitas. Tra le opere più significative che vanno verso questa linea di pensiero ci sono il De oratore, qualche sentenziae del Pro Sestio. l' humanitas si classificava come codice di buone maniere oltre ciò Cicerone andava contro l'epicureismo cioè il disinteresse per la politica cosa che Cicerone non poteva sopportare poiché un uomo romano si deve interessare alla politica e alla vita pubblica. Cicerone nella sua opera Cato maior idealizza Catone come simbolo della vecchiaia (visto come valore) dall'altra con l'opera Laelius parla del suo amico Lelio e dei fondamenti dell'amicizia (come valore). Poi c'è il De officiis si basa sullo stoicismo di Panezio per formulare una morale contro il disimpegno politico dell'epicureismo e ci illustra valori come l' honestum, l'utile, la beneficentia, la magnitudo animi, il decorum e il galateo.

Varrone modifica

Anche Varrone si occupa dei costumi e si rende conto come i suoi predecessori della loro decadenza e ne parla nel Le Menippeae (opera satira) emblematica è il Sexagensis che racconta di un ragazzo che addormentatosi si risveglia dopo sessant'anni e si accorge che Roma è cambiata in peggio.

Cornelio Nepote modifica

Anche Cornelio Nepote fa un'opera sull'argomento dei valori romani nel suo caso però col De viris illustribus in cui si sofferma sui caratteri originali di Roma antica e la sua tradizione e i valori mettendoli però a confronto con altre tradizioni di altri popoli facendo un'analisi sui popoli di cui parla che si distinguono tutti dagli altri con i loro maiorum istituta però senza criticare come invece fanno Catone o Cicerone.

Sallustio modifica

Questo autore con le sue opere come il Bellum Catilinae parlerà di vari personaggi del periodo catilineo tra cui Catone e Cesare messi a confronto e ai cui personaggi appiopperà dei valori ben precise (non senza modificare la realtà di alcuni fatti): un Catone caratterizzato da integritas, severitas, innocentia e magnitudo animi, un Cesare con munificentia, misericordia e anche lui con magnitudo animi affermando che tuti e due erano importanti e positivi per lo stato romano. Tramite queste opere-ritratto esporra i valori tipici secondo lui che caratterizzavano alcuni personaggi della storia. Oltre ciò fa anche una riflessione sul dilagare del malcostume che secondo lui è dovuto a lotte continue tra le varie fazioni.

Cesare modifica

Riguardo a Cesare importanti per il mos maiorum e la sua analisi sono le opere del De bello Gallico, in cui si racconta la sua campagna militare in Gallia però non si sofferma a semplice cronaca di guerra ma analizza il mos gallicus e la struttura politica gallica con a capo la figura dei druidi. Questa opera ci fa capire che la struttura politica-giuridica della Roma più antica con i suoi sacerdoti e Collegio dei Pontefici non era molto dissimile da quella gallica. Nel De bello civili oltre alla guerra civile si sofferma su valori come la pax e la clementia. Ma la vera svolta nei suoi commentarii e l'esaltazione dell'onore e del valore dei soldati elogio che si configura come prima promozione propagandistica dei valori della romanità come faranno poi Augusto e Marco Aurelio e non semplicemente di studio filosofico o protesta contro la decadenza dei costumi avvenuta sino ad allora.


Augusto modifica

Centrali in questo periodo sono le figure di Augusto e Mecenate e la loro attività propagandistica dei valori romani come unione della comunità e l'osservanza dei quali per il benessere della collettività. Viene istaurandosi un tentativo di ripristino degli antichi valori dopo la continua crisi e la loro inosservanza nel periodo precedente dovuta al dilagare della crisi in tutti gli ambiti e in tutto l'impero. I più grandi poeti anche se legati a Mecenate non si sentono veramente obbligati a far risplendere i valori romani nelle loro opere poiché li sentono importanti anche loro e le loro idee coincidono con quelle propagandistiche di Augusto. Ma vediamo come rispondono a questa richiesta di propaganda i vari autori:


Virgilio e Teocrito: mentre Teocrito mette in risalto il mondo pastorale nella sua semplicità con la sua poesia. Virgilio li imita ma lo fa anche suo nella prima giovinezza e il risultato che ne ottiene sono le Bucoliche. Più avanti farà un'opera le Georgiche che sembrano ispirate da un programma augusteo di ripristino del mondo agricolo (a causa della crisi) che però non ne risulta traccia, invece si coglie il collegamento tra Virgilio e la propaganda deologica augustea dove vengono esaltate le tradizioni nazionali dell'Italia contadina e guerriera che ha come clima la guerra contro Antonio dove Virgilio persegue il mito nazionale dell'unità italica, per la tradizione oltre che per divinizzare il princeps viene fatta anche l'opera dell'Eneide.


Orazio:Orazio a differenza degli altri autori decide di analizzare tramite la satira i vizi invece dei valori. Vizi come gli eccessi, la stoltezza, l'ambizione, l'avidità, l'incostanza il tutto volto non a cambiare il mondo ma soltanto di trovare una soluzione alla crisi che pochi possono percorrere. Man mano però la sua voce satirica viene meno a causa delle dure critiche che gli vengono affibbiate.

Periodo Neroniano modifica

Seneca modifica

Seneca ci illustra nelle sue opere valori come la beneficentia e la clementia nelle opere del de beneficentia e il de clementia: Nel primo ci illustra il rapporto tra benefattore e beneficiato, nel secondo illustra a Nerone come si comporta un buon imperatore che deve avere come valore massimo la clementia. Lui credeva che con la sua filosofia un imperatore guidato bene poteva diventare un buon imperatore forse era questa la sua risposta alla crisi.

I secolo e età Flavia modifica

Giovenale modifica

Lui stanco della realtà corrotta di Roma e delle false vortù che esternano dal mondo senza apprezzarlo ovvero quelle del saggio tramite la sua satira prende di mira personaggi della sua epoca e passaggi denunciandone la corruzione, nelle sue opere ci dice anche però che vorrebbe che Roma ritornasse agli albori pastorali poiché sono quelli il periodi migliori senza corruzione e false virtù.

Stazio, Marziale e Quintiliano modifica

Tramite le sue opere gli imperatori dell'età Flavia vogliono esercitare un controllo sulla cultura come in realtà cerco di fare anche Nerone e tentare un programma di restaurazione civile e morale. Stazio con le Silvae e la sua retorica fatta con celeritas analizza i valori tipici di quel periodo imperiale. Tra i valori menziona la simplicitas già menzionata da Ovidio nelle Epistulae ancor prima da Seneca poi riprese alcune idee di Cicerone ma sarà utilizzata anche da autori successivi quali Plinio il Giovane e Marziale.

Una figura un po' a parte e Quintilliano il quale vede una Roma completamente allo sbando e la crisi dell'eloquenza. Le sue opere si soffermano sulle virtù e i valori che devono avere un buon insegnate e un buon Oratore analizzando in modo preciso l'arte retorica e i rimedi per uscire dalla crisi e corruzione dell'oratoria e dell'eloquenza.

II secolo modifica

Tacito modifica

Anche con Tacito conosciamo i valori un esempio è l'opera L'Agricola dove esalta il suocero Giulio Agricola per la conquista della britannia e in quest'operà ci parla proprio della virtù guerriera: la virtus. Ma non solo esalta la figura del suocero anche quando era sotto un brutto imperatore come Domiziano dove esalta la sua fedeltà, moderazione e operosità.

Svetonio modifica

Quando ormai sembra che l'influenza alessandrina abbia avuto la meglio sulla cultura romana e la tradizione ecco che però abbiamo un'opera di elogia (di solito usata per esaltare i valori greci tranne nel caso di Giovenale) abbiamo un'esaltazione delle Gesta di Augusto però sotto la spinta descrittiva della tradizione romana e non ellenica.

Marco Aurelio modifica

L'imperatore Marco Aurelio e tra gli imperatori propagandisti degli antichi valori romani. A differenza degli altri però lui non si limita semplicemente a propagandarlo tramite gli intellettuali dell'epoca nelle loro opere ma afferma la sua convinzione anche nella sua opera senile "Ricordi o Colloqui con se stesso" dove espone anche secondo lui quali sono gli autentici valori della romanità.Sono a tal proposito illuminanti le parole dell’imperatore Marco Aurelio:

«Pensa in ogni momento che sei un romano ed un uomo e che devi eseguire ciò che hai tra le mani con dignità coscienziosa e sincera, con benevolenza e libertà e giustizia.»

Traspaiono qui gli antichi ideali romani della virtus, della gravitas e della iustitia. Marco Aurelio sentiva il dovere di mettere tutte le sue energie al servizio del tutto, di subordinare ogni suo sentimento ed azione all’interesse del tutto.

Dal III secolo al IV secolo modifica

Aulo Gellio e Eutropio modifica

Aulo Gellio con le sue Noctes Atticae è un osservatore attento e scrupoloso dei periodi precedenti e soprattutto del loro pensiero anche in quest'opera troviamo valori tipici romani ripresi da altri autori più antichi Aulo Gellio li riprende e li fa propri esaltando alcune personalità del passato e le loro idee. Un altro, uno degli ultimi, è lo storico Eutropio questo è uno degli ultimi innovatori della cultura dei valori e della morale romana col suo compendio il Breviarium ab Urbe condita sotto la scia di storici precedenti traspare nostalgia per il passato e per la vita pastorale e il grande periodo monarchico.

Dalla Tarda Età imperiale a Giustiniano: Dalla fine del III secolo al VI secolo modifica

Il Cristianesimo modifica

Dal I secolo viene a diffondersi lentamente la religione cristiana che viene combattuta dagli imperatori assiduamente poiché i cristiani non riconoscono come dio la figura dell'imperatore e vengono perseguiti sino alla fine del III secolo. Ma all'inizio del IV secolo ecco che il Cristianesimo si fa largo nella cultura romana, con la crisi religiosa il cristianesimo molto lentamente ma inesorabilmente sostituisce il paganesimo nonostante le continue lotte da parte dei rappresentanti di quest'ultimo. L'influenza del Cristianesimo nella cultura romana e anche più forte rispetto a la cultura ellenica lentamente cambiano i modi di pensare gli antichi valori romani vengono sostituiti lentamente dai valori Cristiani di libertà e uguaglianza di soggetti considerati fratelli gli uni con gli altri nel gioco della vità. Con i vari editti prima il cristianesimo viene permesso (Editto di Milano) poi diventa unica religione di Stato e qualificata cattolica (Editto di Tessalonica), perciò la stessa concezione della vità cambia rispetto ai valori della tradizione. Questi però vengono comunque ricordati negli scritti come parte di una cultura.

Giustiniano modifica

Come detto i valori della romanità sono soppiantati da quelli del cristianesimo comunque sia al tempo di Giustiniano esso stabilisce uno studio dei Giuristi classici e una raccoltà delle loro idee e di conseguenza anche dei valori in cui credevano e il caso dell'opera del Digesto.

Le basi dei Mores maiorum: i valori della romanità modifica

Tutti gli aspetti della vita, compresi i vari ambiti del diritto pubblico e privato, sono stati immensamente influenzato dal costume che era formato nel corso dei secoli. Alcuni dei componenti meritano una particolare attenzione a causa della loro importanza nel quadro della maggior mores maiorum. Queste componenti della tradizione erano una classe di valori che distinguevano il vir bonus (il buon cittadino romano) dagli altri, e alcuni di questi cominciarono a assumere una tale importanza nella cultura romana che vengono divinizzati e resi antropomorfi o sotto forma di oggetti o animali, vediamoli uno a uno:

Valori fondamentali dei mores modifica

Fides modifica
Lo stesso argomento in dettaglio: Fides.

La parola latina fides ha molti significati; comunque, questi significati sono tutti basati su principi similari: verità, fede, onestà ed affidabilità. Esso può essere visto in uso con altre parole per creare termini come bonae fidei ( "in buona fede") o fidem habere ( "per essere credibili", o più letteralmente "avere fiducia"). Nel diritto romano, fides è stato estremamente importante. Come in tutte le culture antiche, i contratti verbali sono stati molto comune nella vita quotidiana romana, e così la buona fede permette transazioni commerciali fatte con maggior fiducia, la fides si riscontra anche nel rapporto tra patronus e cliens o tra coniugi, ecc. Se questa buona fede viene tradita, la persona offesa potrebbe intentare una causa contro l'altra che non ha rispettato la buona fede.

Come la dea romana, Fides ha rappresentato un culto che era molto vecchio il primo tempio in suo onore risalirebbe a Numa Pompilio[22], nella città di Roma. Era la dea della buona fede e presiedeva ai contratti verbale. E 'stata descritta come una vecchia donna, ed è stata ritenuta di età superiore a Giove. Il suo tempio è datato intorno al 254 a.C. e si trova sul colle Capitolino di Roma, vicino al Tempio di Giove. Livio va nei dettagli del culto di Fides nella sua storia di Roma. I suoi rituali sono stati effettuati dalla flamines maiores, che erano i sacerdoti più importanti, dopo il Pontefice, degli antenati. Questi sacerdoti hanno proposto il santuario di Fides in un carro trainato coperti da una coppia di cavalli nel luogo di celebrazione. Dal momento che è stato considerato che la Fides abita nella mano destra di un uomo, ed è stata rappresentata durante l'Impero Romano su monete con un paio di mani coperte, a simboleggiare la credibilità delle legioni e dell'imperatore. La copertura delle mani riflette il culto di Fides, in cui l'uomo esegue il sacrificio di coprire le sue mani con le dita per preservare la buona fede religiosa.

Pietas modifica
Lo stesso argomento in dettaglio: Pietas.

Pietas non è l'equivalente del moderno derivato "pietà". La Pietas era l'atteggiamento romano del dovuto rispetto verso gli dei, la patria, i genitori e altri parenti. All'inizio riguardava la famiglia e la fiducia e rispetto tra coniugi poi la concezione del rapporto si estese tra uomo e divinità: in realtà non si deve solo parlare di rispetto ma anche di legame sentimentale e affettivo, gli studiosi lo definiscono amore doveroso. L'accezione del termine comprendeva anche un senso di dovere morale, non solo la mera osservanza dei riti (il cui termine corrispondente è cultus). Di conseguenza la pietas esigeva il mantenimento delle relazioni con quelli sopra elencati rispettosamente e moralmente parlando. Secondo Cicerone, "pietas è la giustizia verso gli dei," e, come tale, richiede più di un osservatore dei rituali per il sacrificio e di corretta esecuzione di questi, ma anche la devozione e rettitudine interiore della persona. La Pietas potrebbe essere visualizzata in molti modi. Per esempio, Giulio Cesare mostrò pietas durante la sua vita sia iniziando nel 52 a.C. e dedicando nel 48 a.C., dopo la battaglia di Farsalo, un tempio a Venene Genetrice. Il tempio è stato dedicato a Venere, come la madre di Enea e quindi l'antenato del Julii (gens di Giulio Cesare). Augusto, dopo la morte di Marco Antonio e Marco Emilio Lepido fuori del modo in cui [17] (questi due uomini sono cotriumviri di Augusto nel secondo triumvirato), ha costruito un tempio di Cesare, al fine di onorare il suo padre adottivo.Così alcuni romani, a causa del loro ruolo di pii cittadini, hanno adottato il cognomen Pio. L'imperatore Antonino Pio ricevuta questa aggiunta al suo nome a causa del suo ruolo nel convincere gli anziani del Senato a divinizzare il suo padre adottivo in pubblico, l'imperatore Adriano, e per la pietas che ha mostrato verso il suo padre biologico.

Sul rovescio di questa moneta coniata a nome di Flavia Massimiana Teodora (340), la dea Pietas è raffigurata mentre stringe un bambino al seno

Tale è stata l'importanza della pietas che, in base a [[[Livio]] [18], ha ricevuto un tempio dedicato nel 181 a.C. Analogamente agli altri concetti astratti nella cultura romana, pietas apparso spesso in forma antropomorfa, e talvolta è stato accompagnato da una cicogna (il simbolo della pietà filiale) [19]. Essa è stata adottata da Augusto come pietas Augusta per visualizzare la sua pietas, come si può vedere su monete del periodo [20]. Però Cicerone, nel De inventione[23] , ci illustra una più alta pietas cioè del rispetto del cittadino nei confronti dello stato che nel De re publica[24] la definisce la pietas maxima, successivamente con Virgilio, nell' Eneide[25], poi la pietas viene a identificarsi con l' humanitas e la misericordia e si trasforma da forma di rispetto per i consanguinei a provare pietà per la sofferenza altrui.

Majestas modifica
Lo stesso argomento in dettaglio: Maestà.

La Majestas sta ha indicare nella Roma antica la dignità dello stato come rappresentante del popolo. Proprio questa rappresentanza da prte prima delle istituzioni repubblicane poi con la trasformazione del governo repubblicano in uno imperiale a fatto si che l'imperatore stesso fosse investito di questa maiestas e rappresentante del popolo. Da qui viene a crearsi il principio del laesa majestatis ovvero crimine verso lo stato per quegli individui che deturpavano le opere pubbliche, o nei confronti dell'imperaore o del senato romano rappresentanti della majestas e che venivano puniti gravemente poiché il crimine veniva visto come lesione all'intera comunità che l'imperatore e il senato o gli organi del governo romano rappresentavano. Maiestas però ha un altro significato quello inerente alla grandezza in riferimento al popolo, cioè l'essere fieri di essere un appartenente al popolo romano come miglior popolo che è superiore e migliore rispetto agli altri popoli conquistarsi, avere la coscienza di essere quasi un popolo eletto.

Virtus modifica
Lo stesso argomento in dettaglio: Virtus.

Virtus deriva dal termine latino vir ( "l'uomo") e comprende ciò che costituiva l'ideale del vero maschio romano [30]. Molteplici sono gli aspetti oggetto di questo termine. Il poeta Gaio Lucilio discute virtus in alcuni dei suoi lavori, dicendo che è virtus per un uomo sapere ciò che è bene, il male, inutile, vergognoso, o disonorevole [31]. In origine designava il valore in battaglia dell'eroe e del guerriero. La virtus è tale solo se non è messa al servizio di mire personali come la ricerca del potere ma solo per interesse della comunità romana. Dal I secolo a.C. però la virtus non sarà più vista come asservità allo stato o alla comunità ma si distaccherà daquesto ideale per ottenere un obbiettivo più pratico cioè il distinguersi dagli altri. La virtus si trasmetteva di padre in figlio e i discendenti di uomini con virtus avevano l'obbligo di seguire le orme dei propri padri e dimostrare essi stessi di avere virtus. Poi a partire dal I secolo a.C. si avrà la concezione che la virtus non è una virtù ereditaria ma anche un civis novum può ottenerla con le sue gesta e superare le gesta degli antenati.

Gravitas modifica
Lo stesso argomento in dettaglio: Gravitas.

Gravitas, non deve essere confusa con la parola moderna gravità, ha rappresentato il valore della dignità, auto-controllo [27]. Di fronte alle avversità, una "buon" romano deve avere una facciata di imperturbatà di fronte alle avversità. Mito e storia romana rafforzati da questo valore raccontano storie di figure come Gaio Mucio Scevola [28]. Alla fondazione della Repubblica, il re etrusco Lars Porsenna, che ha assediato la città di Roma, e con la città in crisi, Scaevola ha tentato di assassinare Porsenna. Tuttavia, Scaevola non è stato catturato. Quando il re ha minacciato Scaevola di tortura, se non rispondere alle sue domande su Roma, Scaevola posto la sua mano destra in un incendio e che vi terrà con grande gravitas( auto-controllo), raccontano che il re visto il valore di Scevola rinunciò a Roma. La gravitas che Scaevola come vista sopra non solo gli valse il nome Scevola ( "mancino"), ma anche contribui a convincere Porsenna a non attaccare i Romani strabiliato dalla loro resistenza. Dunque la gravitas implica un atteggiamento serio calibrato come richiedono le circostanze senza nessun eccesso. Questo vale per il periodo arcaico e in parte repubblicano. Invece per l'età imperiale la gravitas appare molto meno negli scrittie dove se ne parla il concetto è cambiato dal periodo precedente dove adesso viene a configurarsi come gioconda gentile e dolce ovvero la capacità di adattamente del cortigiano o del cliens che ha degli atteggiamenti e fa qualsiasi cosa per ottenere il favore del patrono o del principe.

Altri valori della romanità modifica

Oltre ai valori fondamentali dei mores gli imperatori con le loro decisioni stabilivano quali erano i valori da rispettare per una comunità migliore. Dall'altra però anche gli autori latini: retori, storici, eruditi, giuristi, ecc. dicevano la loro su quali valori e buoni costumi basandosi molto sulla tradizione e i periodi precedenti senza trascurare però la nuova situazione della civitas dove vivevano. Ovvero facevano un identikit del bonus civis e si crearono perciò tantissimi valori bisogna comunque sottolineare che molti di questi anche quelli precedenti sono compenetranti e correlati gli uni con gli altri:

Dignitas modifica

La dignitas è il valore della dignità e prestigio della situazione di cittadino romano e alla considerazione di ciò da parte degli altri. Questo però riguard la parte esterna del prestigio ciòè il rispetto degli altri in senso esterno e non interno come l' auctoritas.Dignitas è uno dei risultati finali volti a visualizzare i valori dell'ideale romano e il servizio dello Stato nelle forme di primato, posizione militare e magistrature. Dignitas è stato il valore della reputazione, onore e di stima. Così, un romano che mostrasse loro Gravitas, Constantia, Fides, Pietas e altri valori, sarebbe diventato un romano in possesso di Dignitas tra i loro coetanei. Allo stesso modo, attraverso questo percorso, un romano potrebbe guadagnare auctoritas ( "il prestigio e il rispetto") [32].

Auctoritas modifica
Lo stesso argomento in dettaglio: Auctoritas.

L'Auctoritas è il valore del prestigio e della fiducia che un uomo in possesso di questo valore dà, all'inizio collegato alla religione significava far accrescere, aiutare altri. in un secondo periodo quando è diventato un valore tipicamente laico individua l'affidabilità, l'ascendente cioè la sua capacità di inflenzare gli altri (soprattutto in ambito oratorio). Questo secondo stato consiste in un equilibrio tra potere politico e prestigio sociale, la credibilità la responsabilità personale. Cicerone, invece la considera un insieme di Dignitas e Virtus. L'Auctoritas in questo caso è una forma altissima di potere che non si ricollega necessariamente al potere politico ma esercità la costrizione o il comando tramite la forza di persuasione grazie al proprio carisma. L'Auctoritas implica una serie di diritti e doveri da chi ne èè insignito per esempio l'attribuire cariche pubbliche o tenere fede ai propri impegni presi. La figura che storicamente se ne avvicina è Ottaviano Augusto dove l'imperatore non esercità la sua autorità tanto per i poteri che ha ma saper dar un ordine senza imporlo convincendo i propri sottoposti e avendo rispetto per le istituzioni pubbliche.

Gloria modifica

La Gloria è la fama che si ottiene dopo aver fatto azioni valorose, perciò strettamente collegata alla virtus, per non essere inferiore agli antenati. Elemento ce caratterizza la società aristocratica all'inizio ma poi anche il civis novum. Si può anche esprimere come riconoscimento e lode da parte della comunità. Anche la Gloria in un primo momento viene ritenuta trasmittibile di padre in figlio e solo successivamente ritenuta da conquistarsi con le proprie gesta.

Urbanitas e Rusticitas modifica

Urbanitas indica il buon gusto e lo spirito naturali privi di eccessi dell'uomo elegante una sorta di bon ton romano. Successivamente va in contrapposizione ai valori romani per influenza greca poiché viene invece a delineare la raffinatezza in cerca di lusso e a chi voleva apparire per forza alla moda in contrapposizione alla Rusticitas e all' Industia, ovvero chi si accontentava della vita semplice rustica della campagna dedita al lavoro.

Humanitas modifica

Humanitas è il valore che ci contraddistingue dagli animali e dalle belve feroci e agli esseri primitivi ovvero il valore della comprensione e della benevolenza della cultura del buon gusto e dell'eleganza. Humanitas relativo non al ruolo di cittadino o militare ma che riguarda la persona in se stessa. l'Humanitas a un certo punto si fa però sempre più elitaria ovvero riguardante i ceti aristocratici che con la loro educazione superiore tentano di affinarla e è:disponibilità, indulgenza, mitezza, dolcezza, moderazione. Nel periodo imperiale questo valore verrà meno anche poiché ritenuto un atteggiamento della aristocrazia di educazione superiore. Viene così a identificarsi nel periodo imperiale una nuova Humanitas popolare che indica ffidabilità, gentilezza e buon caratere senza implicare l'educazione superiore.

Clementia modifica

La Clementia è il valore della clemenza cioè moderare l'animo nei confronti della sconfitto senza esercitare vendetta oppure nella dolcezza del superiore che guarda le pene dell'inferiore e ha pietà. E' correlata alla benevolentia o alla Magnitudo animi. È il comportamento di un uomo che detiene il potere in una determinata situazione ma non si fa dominare dall'ira e dalla crudeltà ma dalla benevolenza vincendo gli impulsi negativi: rapporto per esempio del buon paterfamilias nei confronti dei figli alieni iuris o del buon romano verso i vinti. Bisogna fare una precisazione però poiché scondo Cicerone bisogna essere clementi contro chi si arrende e si sottomette ma spietati con chi invece si ribella: gli hostes. Questa è una caratteristica che si denota da parte dei Romani nei confronti delle popolazioni vinte soprattutto quando l'impero si estenderà in maggior misura concedendo anche agli stranieri posizioni di rilievo nella politica romana.

Pax modifica
Resti del Foro della Pace

Esistevano all'epoca romana due valori inerenti la Pax: La Pax animi ovvero la serenità e tranquillità del singolo individuo e la Pax dello stato. Questo secondo valore inerente lo stato è più complesso, infatti viene messo in rilevanza solo a partire dall'età augustea poich si denota che con la pax avviene anche il benessere e il buon sviluppo dello stato che con le guerre non c'era stato. Da qui viene a configurarsi come valore poiché dalla pax deriva l'impero e la situazione di sicurezza del singolo cittadino che non si vede più minacciato da guerre e può vivere serenamente. Gia Cesare aveva dedicato templi alla dea Pace nel 49 a.C. poiché si era resoconto dell'importanza per un popolo essere in pace questa via fu poi proseguita da Augusto che ne introdusse il culto a Roma con l' Ara Pacis un altare dedicato alla dea Pace alla fine delle campagne militari in Spagna e lo stesso imperatore Valentiniano farà costruire il Tempio della Pace. In realtà anche precedentemente nell'età regia assumeva una certa rilevanza lo stesso Numa Pompilio voleva che il tempio di Giano fosse aperto in periodo di guerra e chiuso in quelli i pace. Molti poeti insistono sulla pace come portatrice di fertilità e benessere e portatrice di valori sempre positivi.

Amicitia modifica

L'Amicitia nell'idealistica romana non intende semplicemente il nostro concetto di amicizia ma in senso più ampio il legame di alleanza che ci può essere tra due nazioni o il rapporto tra patronus e cliens. L'amicitia è vista come valore volto a perseguire comuni interessi. Il termine amicitia però si avvicina anche al nostro termine amicizia soprattutto nel II secolo d.C. collegato a amicus e amor. Lo stesso cliente del patronus veniva definito amico anche se c'era una differenza di trattamento tra clienti più intimi e quelli considerati diciamo meno amici infatti c'erano varie categorie di amicizia in questo caso, in realtà chiamare amicus il cliens era semplicemente un fenomeno di cortesia poteva benissimo chiedere o far imporre di essere salutato con tutti gli onori del caso.

Otium modifica
Lo stesso argomento in dettaglio: Otium.

Se per il modello di cittadino arcaico l'Otium significa assenza di occupazione da parte sua ovvero da parte del cittadino-soldato che o coltivava o guerreggiava, in età repubblicana viene a identificarsia grandi linee da Cicerone con la mancanza di attività. Con l'influenza greca però che vede invece l'otium come riposo dalle attività quotidiane nei confronti dello stato volto a studio intellettuale, da questo nasce in un secondo momento lo sforzo di Cicerone di vedere l'otium come attività positiva (poiché i romani ricordiamo hanno una tradizione di popolo industrioso) con delle differenze da quello greco. Infatti in nel caso romano viene visto come tranquillità dell'esistenza privata dedicata a attività intellettuali tipo letteratura e filosofia. Cicerone vede l'otium come attività anche politica volta a migliorare la città. Nella tarda repubblica si individuano due otium: otium luxuriosum dedito a occupazioni di nessuna utilità o vergognose e otium tranquillum sereno e imperturbato del saggio che lavora intellettualmente.

Simplicitas modifica

È il concetto di vivere secondo le origini in maniera semplice tipico dell'età arcaica, nell'età repubblicana assumerà un notevole valore poiché questo stesso valore verrà visto anche come espone così a grossi rischi poiché pone il soggetto a non stare attento ai pericoli soprattutto nell'età imperiale piena di giochi di potere e di personaggi ipocriti co me afferma Seneca. Così nell'età imperiale il valore della simplicitas assume un nuovo valore di atteggiamento spontaneo, rilassato esercitandola però con misura cioè adattandosi alla nuova epoca dove la simplicitas non basta più se non si vuole incorrere nel biasimo e nel disprezzo.lo stesso Marziale parla di prudens simplicitas poiché non è più adatto ai tempi imperiali pieni di doppi giochi.

Ambitiosa morte modifica

Sarebbe il valore del suicidio poich i romani lo consideravano una forma di morte nobile piuttosto che una vita vissuta senza dignità. È un gesto considerato molto rilevante sia politicamente che pubblicamente che trova molta approvazione nella cultura romana. Nel periodo imperiale poi questo atteggiamento diventa molto rilevante e quasi di moda per protesta contro i tiranni imperiali l'archetipo del suicida è Catone Uticense in protesta allo strapotere di Cesare, oppure il suicidio di Petronio che muore discutendo con gli amici quasi si fosse addormentato oppure ancora il suicidio di Seneca, ma ce ne sono molti altri.

Altri valori ancora modifica

  • abstinentia: disinteresse, onestà, integrità morale. Designa l’atteggiamento disinteressato, specialmente dell’amministratore nei confronti della cosa pubblica
  • Aequitas:È il sentimento che ispira l'eguaglianza e lagiustizia soprattutto in ambito giuridico esempi ne fa Ulpiano descrivendo la vera giustizia
  • Benignitas:bontà benevolenza correlato sia con l' Humanitas sia con la Clementia
  • Concordia:concordia, accordo, armonia all'inizio era considerato all'infuori della sfera politica ma poi con l'influsso greco viene a assumere importanza sia per la sfera politica che filosofica
  • consilium: saggezza, ponderazione, capacità di deliberare. La parola, ricca di implicazioni, appare come uno dei valori della più antica latinità, e indica la riflessione condotta con calma e in piena indipendenza di giudizio.
  • Constantia: fermezza, costanza, tenacia, forza d’animo, coerenza. La parola in sè designa la salda perseveranza, la stabilità di un comportamento e di una virtù etico-politica tipicamente romana. Questo valore accoppiati con gravitas ha svolto un grande ruolo nella storia e nel successo del popolo romano. Constantia permetteva di tenere i Romani cocentrati e attivi nei momenti di grande turbolenza e devastante sconfitta, come ad esempio la campagna di Annibale Barca [29], in pochè parole il valore del non arrenderi mai
  • Cultus: è l'osservanza obbligata e la corretta esecuzione delle rituali alla divinità. Le pratiche religiose romane sono state orientate verso la corretta esecuzione di riti non l'etica e la morale della persona. Gli dei sono lieti se i riti vengono fatti con attenzione dai romani e perciò questi sperano di ottenere un favorire con l'esecuzione di sacrifici e di altre formule rituali quando fatte in maniera corretta [23].
  • decorum: decoro, decenza ciò che si addice a una determinata persona su certi aspetti simile alla Nobilitas
  • disciplina: disciplina, educazione, formazione civile e militare del cittadino. Disciplina è per il romano fondamento indispensabile dello Stato, che si mostra con rigidezza militare in tutti i campi della vita.
  • exemplum: esempio, modello.È il valore costituito da un’azione gloriosa compiuta da un antenato, che si ha il dovere di imitare e moltiplicare.
  • fides: lealtà, affidabilità. È un concetto complesso, che riassume l’essenza della moralità romana.
  • Honor: onore cioè la posizione onorifica dopo un dato gesto legato alla virtus e alla gloria
  • industria: attività, operosità. Il termine designa il valore che spinge l’uomo politico alla zelante collaborazione nell’ambito dello Stato.
  • Libertas: libertà. atteggiamento libero fuori dagli artifici che fronteggia con fermezza qualsiasi situazione esterna. Tipico dell'aristocrazia
  • Magnitudo animi: grandezza d'animo, magnanimità designa l'atteggiamento distaccato e grandioso con cui il cittadino (soprattutto il nobile) che invece di comportandosi pavoneggiandosi e disinteressato e tranquillo nei rapporti con gli altri.
  • nobilitas: rappresenta in senso astratto l’aspirazione ad essere degni delle virtù degli antenati.
  • Pudor: pudore, moralità delinea la riservatezza del cittadino romano che preferisce parlare di certe cose in privato piuttosto che in pubblico oltre a designare la castità e la disgnità, in correlazione anche con la modestia
  • Religio: Religio non è "religione" nel senso moderno della parola. Religio è legato al verbo latino religare ( "legare"). Nella mente religio romana ha rappresentato un legame tra la divinità e i mortali. Questo legame è più il rispetto e l'obbligo di soggezione (di superstizione), ed è collegata alla pratiche religiose e le usanze dei Romani [21]. i Romani sia gli uomini che le donne dovrebbero essere consapevoli di questi legami e per onorare la divinità attraverso le osservanze religiose, nel tentativo di mantenere una pax deorum ( "la pace degli dèi"). In conformità con il sostantivo, l'aggettivo religiosus un'esaltazione della pratica religiosa, fino al punto di superstizione. Secondo i Romani la religio è considerata come una parte necessaria della vita, in modo da mantenere l'ordine e la normalità nella comunità o in misura maggiore, nel mondo. La motivazione alla base di queste osservanze non è moralmente fondata sui valori moderni giudaico-cristiani, ma invece sono basati su appagamento degli dei e l'aspettativa di premi. Per garantire una vittoria si fa la promessa di un tempio a una divinità, o nella speranza di alleviare le difficoltà, i membri della comunità di fanno sacrifici. Livio implica questa necessità nella sua descrizione della cattura della dea Giunone (sotto forma di statua) da Veio [22]. Livio rileva che si è contro la religio degli Etruschi se si tocca la statua a meno che non si sia un membro del sacerdozio o lo si diventi per eredità. I soldati romani a loro volta, sono puliti, se non onorano la dea e chiedono quando vengono a Roma. Questo non è legato alla pietas e la sua moralità intrinseca, ma invece è stato correlato al concetto di cultus

Voci correlate modifica

Note modifica

  1. ^ Mos Maiorum," Brill Online
  2. ^ Fest. 146 traduzione in Istituzioni di diritto romano pag 29.
  3. ^ Sesto Pomponio, De origine iuris fragmentum I, 1, Gaio, Istituzioni di Gaio, I, 1.
  4. ^ Roma arcaica e le ultime scoperte archeologiche, Aspetti di vita quotidiana nella Roma arcaica : dalle origini all'eta monarchica
  5. ^ Lineamenti di storia del diritto romano
  6. ^ Sesto Pomponio, De origine iuris fragmentum I, 5
  7. ^ Dionigi d'Alicarnasso, Antichità Romane, II, 24, 1
  8. ^ ""Lupercalia,"O.C.D. pg 892
  9. ^ "Manus," Berger. pg 577
  10. ^ Enchiridion, Paragrafo 1 riga 3
  11. ^ Enchiridion, Paragrafo 2 riga 10
  12. ^ Istituzioni di diritto romano pgg 32-33
  13. ^ Suetonius, De Claris Rhetoribus, i.
  14. ^ "Penates," O.C.D. pg 1135
  15. ^ Frase tradotta dal Bellum Poenicus di Nevio
  16. ^ Frase tradotta dal Annales di Ennio
  17. ^ Storia e testi della letteratura latina vol. 1 pag 205
  18. ^ Frase tadotta dal Praecepta ad filium di Catone
  19. ^ Frase trdotta dal Praecepta ad filium di Catone
  20. ^ Frase tradotta dal Noctae Atticae di Gellio 11,5.
  21. ^ Frase tradotta dal Noctae Atticae di Gellio 11,5.
  22. ^ Livio, Ab Urbe Condita, I, 21, 4.
  23. ^ Marco Tullio Cicerone, De inventione, 2, 66
  24. ^ Marco Tullio Cicerone, De re publica, 6, 16
  25. ^ Virgilio, Eneide, 9, 493

Collegamenti esterni modifica

Fonti modifica

Bibliografia modifica

  • Adkins, L. and Adkins, R. Dictionary of Roman Religion. New York: Oxford University Press, 2000.
  • Berger, Adolph. Encyclopedic Dictionary of Roman Law. Philadelphia: The American Philosophical Society, 1991.
  • Brill’s New Pauly. Antiquity volumes edited by: Huber Cancik and Helmuth Schneider. Brill, 2008 Brill Online.
  • Oxford Classical Dictionary. 3rd Revised Ed. New York: Oxford University Press, 2003.
  • Stambaugh, John E. The Ancient Roman City. Baltimore: The John’s Hopkins University Press, 1988.
  • Ward, A., Heichelheim, F., Yeo, C. A History of the Roman People. 4th Ed. New Jersey: Prentice Hall, 2003.
  • Sesto Pomponio, Pomponii de origine juris fragmentum, recogn. et adnotatione critica instruxit F. Osannus, 1848, ISBN.
  • Riccardo Orestano, I fatti di normazione nell'esperienza romana arcaica, Torino, 1967, pp. 280 p, ISBN.
  • Talamanca Mario, Istituzioni di diritto romano, Giuffré, 1989, ISBN.
  • De Francisci, Primordia civitatis, ISBN.
  • Bernhard Linke et Michael Stemmler, Mos maiorum : Untersuchungen zu den Formen der Identitätsstiftung und Stabilisierung in der Römischen Republik, Stuttgart : F. Steiner, 2000, 219 pages, ISBN 3515076603 (br.) ;
  • Hans Rech, Mos maiorum. Wesen und Wirkg der Tradition in Rom, Lengerich i. W., 1936.
  • Carla Fayer, Aspetti di vita quotidiana nella Roma arcaica : dalle origini all'eta monarchica - Roma : L'Erma di Bretschneider, 1982. - 317 p.
  • Roma arcaica e le recenti scoperte archeologiche : giornate di studio in onore di U. Coli, Firenze, 29-30 maggio 1979. - Milano : Giuffre, 1980. - VIII,
  • Gennaro Franciosi, Famiglia e persone in Roma antica : dall'eta arcaica al principato - 3. ed. - Torino : G. Giappichelli, 1995!. - 256 p
  • Federico D'Ippolito, Giuristi e sapienti in Roma arcaica - Roma [ecc.] : Laterza, 1986. - 121 p.
  • Francesco Sini, Documenti sacerdotali di Roma antica - Sassari : Libreria Dessì editrice.
  • La religione romana arcaica / Georges Dumezil ; con una appendice su La religione degli etruschi ; edizione italiana e traduzione a cura di Furio Jesi. - Milano : Rizzoli, c1977. - 614 p. ;
  • Diritto e costume nella societa primitiva / Bronislaw Malinowski ; introduzione di Antonio Colajanni. - Roma : Newton Compton, 1972. - 166 p. : ill. ;
  • Campanini, Carboni, NOMEN - Il nuovissimo Campanini Carboni. Latino Italiano - Italiano Latino, Torino, Paravia, 2003, ISBN 88-395-5150-6.
  • Gian Biagio Conte- Emilio Pianezzola, Storia e testi della letteratura latina, Le Monnier, 2003 , 3 volumi

I valori della romanità modifica

Storia modifica

I mores maiorum, espressione che identifica i mores più antichi, sono derivati dai costumi delle tribù che si unirono e formarono Roma. In questa prima fase erano solo i mores maiorum a identificarsi col diritto romano, e costituivano il modo in cui gli appartenenti alla comunità dovevano comportarsi: questi modelli di comportamento derivavano da secoli di usanze precedenti dei pagi. Se all'inizio si basavano sul comportamento delle gentes e delle familiae del periodo precivico, poi essi furono man mano raccolti dai sacerdoti che li tennero vivi tramandandoli oralmente. Alcuni studiosi [1] però ritengono che questi furono anche scritti da qualche. Infatti nel decemvirato del 451-450 a.C. fu redatta la legge delle XII Tavole che secondo i frammenti pervenutici risulta troppo elaborata per essere stata fatta in soli due anni partendo da semplici leggi non scritte (i mores) ricordati a memoria dai sacerdoti (anche se probabilmente parte di esse desunti dalle leges regiae che hanno fatto da memoria per i mores). L'interpretatio delle XII Tavole era affidata ancora ai pontefici. Anche se costituita di leggi rivelate l'interpretatio dei sacerdoti non avendo questi la preparazione tecnico-giurisprudenziale non si pùo parlare di vero è proprio diritto ma di interpretatio pontificium di massime dei mores. Solo con i giuristi laici e con la loro l'interpretatio prudentium cominceranno a creare vero e proprio diritto (dalla cui opera scaturiranno il Ius civile, ius gentium, ius praetorium). I mores anche in questo periodo saranno comunque vigenti, almeno prima del formarsi del ius civile, negli ambiti che le XII Tavole non toccavano. I mores però si esauriranno e nel mondo romano resterà una tavola di valori che verrà presa di esempio nel periodo repubblicano e nell'imperiale. I

legislazione e esecuzione modifica

legislazione modifica

Dal periodo protostorico e precivico alle rivelazioni del rex modifica

In un primo momento i mores non dovettero avere una legislazione ma nella Roma precivica dovevano essere semplicemente azioni che la comunità effettuava normalmente. Nell'VIII secolo a.C. (probabilmente anche prima) i sacerdoti cominciarono a raccogliere tramite forma orale (anche se alcuni studiosi sostengono che probablmente fossero scritte in tavolette da cui nacque la legge delle XII tavole) questi usi tenendoli segreti. In questo periodo erano gli unici detentori delle conoscenze giuridiche, il loro compito era di rivelare questi usi al soggetto che li richiedesse, sempre segretamente, ma non si limitavano a rivelarli ma a interpretarli come ritennero più consono e è questa interpretazione (vedi interpretatio)che veniva rivelata al richiedente. In pratica dicevano come il soggetto, che richiedeva il loro aiuto, doveva comportarsi correttamente per conseguire il proprio interesse o come difendersi correttamente da un diritto altrui: poichè nel diritto di quel epoca c'era un forte formalismo e si dovevano rispettare certi gesti e parole se no non risultava valido il negozio che si voleva porre in essere o far valere un proprio diritto. Nell'età regia il compito di rivelazione era affidato al rex e al Pontifex Maximus sia insieme che separatamente.

Età regia:I mores e il bisogno di un diritto certo, i mores e le leges regiae modifica

A un certo punto però i mores non furono più sufficenti in quanto il popolo romano richiedeva un diritto più sicuro e non incerto come i mores come attesta l'Enchiridion di Pomponio:

(LA)

«Iniquae initio civitatis nostrae populus sine lege certa, sine iure certo primum agere instituit:omniaque manu a regibus gubernabantur

(IT)

«e certamente il popolo all’inizio della nostra città (Roma) decise di agire senza legge stabile, senza diritto stabile: tutto era governato dai re con il loro potere.»

poi più avanti ci parla di leggi regie emanate dai re della tradizione:

(LA)

«Et ita lege quasdam et ipse curiatas ad populum tulit:tulerunt et sequentes reges. Quae omnes conscriptae ex stant in libro Sexti Papirii, qui fuit illis temporibus, quibus Superbus Demarati Corinthii filius ex principalibus viris.»

(IT)

«Così egli (Romolo) propose al popolo alcune leggi curiate (ovvero le leges regie secondo gli studiosi): altre ne proposero i re successivi. Tutte queste leggi si trovano scritte insieme nel libro di Sesto Papirio, che visse nella stessa epoca in cui visse il superbo figlio di Demarato di Corinto, (per citare uno) fra gli uomini più illustri.»

Siccome nell'età regia poteva rivelare i mores interpretati anche il rex sicuramente era a conoscenza dei mores, dall'altra anche il Pontifex Maximus contribuiva all'emanazione delle leges regiae alcuni studiosi ritengono che alcune di queste siano in realtà mores resi in atto normativo regio o almeno in parte, di conseguenza anche questo sarebbe da ritenere un sistema di emanazione di mores (se pur indiretto).

Lo stesso argomento in dettaglio: Lex regia e Rex (Roma antica).

Dalla fine dell'età regia a prima dell'emanazione delle XII Tavole modifica

Con la cacciata dei Tarquini si conclude l'età regia e l'unico diritto ritorna a essere le rivelazioni e l'interpretazione dei soli Pontefici dei mores. Però in questo periodo che durerà circa 50 anni la plebe comincia già più a sospettare che i Pontefici interpretino solo per i loro gusti a discapito degli stessi plebei.

Emanazione delle XII Tavole e conseguente interpretazione pontificale modifica

Lo stesso argomento in dettaglio: XII Tavole e Interpretatio.

Nella prima metà del V secolo a.C. la plebe ormai sospettava che le interpretazioni del Pontefice Massimo fossero a favore dei Patrizi e a danno dei plebei finò a cui si giunse al punto di rottura. Alcune fonti ci raccontano tra cui Livio e Dionigi d'Alicarnasso che a partire dal 462 a.C. si creò un movimento plebeo il cui fine era un regolamento scritto che ottennero circa nel 450 a.C. grazie a un decemvirato legislativo durato due anni che aveva il compito di elaborare in massime il diritto esistente fino a ora perciò soprattutto di mores (secondo alcuni studiosi anche tramite leges regiae che hanno fatto da memorizzazioni dei mores). Poi siccome queste non erano di facile lettura la loro interpretatio era comunque lasciata ai Pontefici tenuta ancora segreta perciò da ritenere sempre rientrante come interpretatio di mores almeno sino a quando Tiberio Coruncanio non la renderà pubblica e comincerà un interpretazione laica creando vero e proprio diritto ovvero la creazione del Ius Civile. D'altra parte però le XII Tavole erano un'opera che non poteva riguardare e non riguardava tutti i rami del diritto perciò dove non arrivavano le XII Tavole venivano utilizzati e rivelati i mores[4]

Sanzionamento modifica

La non osservanza dei mores da parte di un soggetto prevedeva diverse conseguenze. Nel periodo precivico e antico era la stessa comunità che garantiva l'osservanza di riti o per caso se un soggetto (pater familias) doveva chiedere il tributo a un altro soggetto che avessa commesso un danno al primo, il pater familias richiedente del tributo era messo in grado di ottenerlo nei confronti del colpevole dalla stessa comunità (per es. il colpevole di un delitto non poteva porre resistenza per opporsi all'eventuale pena poichè la stessa comunità gli impediva di agire). Siccome i mores venivano definite come espressione corretta di vedere la vita secondo gli antichi si deve ritenere possibile che per i mores soprattutto quelli investiti di una maggior auctoritas dovesse esserci una conseguenza simile all'infamia ,l'ignominia o anche pene capitali da parte del soggetto che non rispettasse questi mores. Se invece il mores riguardava il poter utilizzare un diritto o porre in essere un negozio questo non era considerato valido (anche se c'era un semplice errore di gesti o parole, per es. Gaio ci dice che un soggetto che diceva vites invece di arbores come era previsto anche questo semplice errore recava nullità al negozio). Se per esempio il mores riguardava determinate azioni criminali tipo un delitto o l'adulterio il soggetto in questione nella maggior parte dei casi andava incontro a pena di tipo religioso-pagano esempio era l'essere messo a sacrificio di una divinità, il supplicium more maiorum, o la poena cullei. Anche per esempio attirare il malocchio su qualcuno se in un primo tempo non veniva sanzionato, di sicuro nel periodo delle XII tavole si riccorreva a pesanti sanzioni.

I soggetti che potevano utilizzare i mores modifica

Non tutti le persone potevano essere titolari di situazioni giuridiche soggettive soprattutto nell'età più antica di Roma dove un diritto poteva essere fatto valere solo da un soggetto libero (non schiavo), sui iuris e che avesse la cittadinanza romana cioè nella maggior parte dei casi i pater familias.

Cosa rappresentano i mores nei vari periodi della società romana modifica

Periodo precivico, antico, repubblicano prima dell'emanazione delle XII Tavole modifica

Nel periodo precivico antico e in parte in quello repubblicano i mores rappresentavano gli usi dell'intera collettività o per meglio dire come essa concepiva il dover vivere ovvero rispettando questi usi che i padri (gli avi) avevano utilizzato a suo tempo e che i pontefici avevano memorizzato. Proprio la loro antichità attribuiva maggior auctoritas a questi costumi e per questo veniva visto come il modo migliore di interpretare la vita. In un primo periodo costituiscono una tavola di regolamenti non scritti che possiamo definire simile a una costituzione romana non scritta derivante da secoli di usanze ritenute protetrici delle forze dell'occulto e consoni al volere delle forze soprannaturali e degli dei.

Quali sono i mores in questo periodo modifica

Tra i mores identificabili di questo periodo si possono nominare quelli volti a regolare la legis actio sacramentum in rem (forse anche in personam) ma soprattutto identificabili con l'istituto della traditio, come veniva percepito a quei tempi. L'istituto del matrimonio previsto con confarreatio e molti riti di tipo religioso come i Lupercalia o gli auguri con i loro Auspici

Dall'emanazione delle XII Tavole al ius civile modifica

In questo periodo i mores concepiti ancora come costumi degli avi venivano seguiti nelle materie dove non potevano arrivare le XII Tavole e il Ius Civile in particolare oltre al ius gentium e al ius honorarium. In questo caso però i mores vengono visti perciò a livello di consuetudini utilizzati in ambiti dove non vigesse il diritto anche se rimarranno comunque sempre più carichi della loro auctoritas e con le consuete caratteristiche magico-religiose-formaliche. D'altra parte c'è lo sviluppo delle consuetuedini dove nemmeno i mores erano vigenti.

bassa repubblica e età imperiale modifica

In questo periodo i mores non vengono più utilizzati come costumi da seguire ormai completamente o quasi sostituiti dalle varie lex (lex data, lex rogata, plebiscita, costituzioni imperiali, senatoconsulti appartenenti al ius civile e gli editti dei magistrati appartenenti al ius honorarium). In questo frangente i mores assumono una caratteristica di ideologia, soprattutto nell'età imperiale, cioè rappresentano in senso ampio non più dei singoli costumi da seguire ma vengono visti nel loro complesso come rappresentanti di virtù che si devono avere per far del bene alla comunità romana. Questa ideologia sarà sconfessata da alcuni come Cicerone o Catone il censore che vedono nei mores qualcosa di troppo rigido e superato non più appliabile nella loro realtà più duttile (si pensi appunto alla malleabilità e applicabilità più ampia del ius gentium e del ius pretorium rispetto alla rigidezza del periodo antico). Gli imperatori (come Aurelio) d'altra parte utilizzeranno i mores come strumento propagandistico per esaltare al massimo delle specifiche virtù che saranno la base dei valori romani in questa età. A questo proposito si affermava che il fondamento dei mores maiorum fosse basato su cinque virtù fondamentali appunto:

  1. Fides:la fedeltà, la lealtà, la fede, la fiducia e reciprocità tra i cittadini
  2. Pietas: la pietà, la devozione, il patriottismo, il dazio;
  3. Majestas: sensazione di superiorità di appartenenza a un popolo eletto, Majestys
  4. Virtus:qualità peculiari dei cittadini romani, il coraggio, l'attività politica e militare
  5. Gravitas: tutte le regole di condotta del romano tradizionale rispetto per la tradizione, la serietà, la dignità, l'autorità;



Ma come vedremo in dettaglio dai mores scaturirono plurimi valori.

I mores e i loro valori modifica

La differenza tra mos e consuetudo modifica

Negli studi sul diritto romano fino al XX secolo, generalmente i termini mos e consuetudo vengono considerati sinonimi, e in realtà anche alcune fonti di epoca romana si comportano allo stesso modo. Recentemente però gli storici, sulla traccia di altre fonti, tendono a non associare i due termini insieme e a individuare invece una differenza, lieve ma non del tutto trascurabile. I mores infatti sono usi e costumi (e per certi versi anche consuetudini) conseguiti per ottenere il bene dell'intera comunità e caratterizzati prima da elementi magico-pagani poi dall'intervento sacerdotale: i sacerdoti, con le rivelazioni dei mores, conferirono a questi il classico carattere giuridico-religioso. Le consuetudines invece sono usi e costumi che il popolo segue passivamente come abitudine non caratterizzate da nessun intervento di memorizzazione sacerdotale: si tratta di atteggiamenti non derivanti da usi antichi ma di più recente fattura. Nell'epoca di Costantino le consuetudines non possono andare contro la ratio (i principi fissati dai giuristi), cosa che invece possono fare le leggi; nel periodo giustinianeo invece possono andare contro la ratio, come le leggi, ma non possono abrogare queste ultime se in contrasto.

Note modifica

  1. ^ Lineamenti di storia del diritto romano pag 19-25(da controllare)
  2. ^ Enchiridion, Paragrafo 1 riga 3
  3. ^ Enchiridion, Paragrafo 2 riga 10
  4. ^ Istituzioni di diritto romano pgg 32-33

Collegamenti esterni modifica

Bibliografia modifica

  • Adkins, L. and Adkins, R. Dictionary of Roman Religion. New York: Oxford University Press, 2000.
  • Berger, Adolph. Encyclopedic Dictionary of Roman Law. Philadelphia: The American Philosophical Society, 1991.
  • Brill’s New Pauly. Antiquity volumes edited by: Huber Cancik and Helmuth Schneider. Brill, 2008 Brill Online.
  • Oxford Classical Dictionary. 3rd Revised Ed. New York: Oxford University Press, 2003.
  • Stambaugh, John E. The Ancient Roman City. Baltimore: The John’s Hopkins University Press, 1988.
  • Ward, A., Heichelheim, F., Yeo, C. A History of the Roman People. 4th Ed. New Jersey: Prentice Hall, 2003.
  • Sesto Pomponio, Pomponii de origine juris fragmentum, recogn. et adnotatione critica instruxit F. Osannus, 1848, ISBN.
  • Riccardo Orestano, I fatti di normazione nell'esperienza romana arcaica, Torino, 1967, pp. 280 p, ISBN.
  • Talamanca Mario, Istituzioni di diritto romano, Giuffré, 1989, ISBN.
  • De Francisci, Primordia civitatis, ISBN.
  • Bernhard Linke et Michael Stemmler, Mos maiorum : Untersuchungen zu den Formen der Identitätsstiftung und Stabilisierung in der Römischen Republik, Stuttgart : F. Steiner, 2000, 219 pages, ISBN 3515076603 (br.) ;
  • Hans Rech, Mos maiorum. Wesen und Wirkg der Tradition in Rom, Lengerich i. W., 1936.
  • Carla Fayer, Aspetti di vita quotidiana nella Roma arcaica : dalle origini all'eta monarchica - Roma : L'Erma di Bretschneider, 1982. - 317 p.
  • Roma arcaica e le recenti scoperte archeologiche : giornate di studio in onore di U. Coli, Firenze, 29-30 maggio 1979. - Milano : Giuffre, 1980. - VIII,
  • Gennaro Franciosi, Famiglia e persone in Roma antica : dall'eta arcaica al principato - 3. ed. - Torino : G. Giappichelli, 1995!. - 256 p
  • Federico D'Ippolito, Giuristi e sapienti in Roma arcaica - Roma [ecc.] : Laterza, 1986. - 121 p.
  • Francesco Sini, Documenti sacerdotali di Roma antica - Sassari : Libreria Dessì editrice.
  • La religione romana arcaica / Georges Dumezil ; con una appendice su La religione degli etruschi ; edizione italiana e traduzione a cura di Furio Jesi. - Milano : Rizzoli, c1977. - 614 p. ;
  • Diritto e costume nella societa primitiva / Bronislaw Malinowski ; introduzione di Antonio Colajanni. - Roma : Newton Compton, 1972. - 166 p. : ill. ;
  • Campanini, Carboni, NOMEN - Il nuovissimo Campanini Carboni. Latino Italiano - Italiano Latino, Torino, Paravia, 2003, ISBN 88-395-5150-6.
  • Gian Biagio Conte- Emilio Pianezzola, Storia e testi della letteratura latina, Le Monnier, 2003 , 3 volumi

Fonti primarie modifica

Catone il Censore: quello pervenuto del de moribus tramite gellio: Praeterea ex eodem libro Catonis haec etiam sparsim et intercise commeminimus: "Vestiri" inquit "in foro honeste mos erat, domi quod satis erat. Equos carius quam coquos emebant. Poeticae artis honos non erat. Si quis in ea re studebat aut sese ad convivia adplicabat, "crassator" vocabatur".

6. Illa quoque ex eodem libro praeclarae veritatis sententia est: "Nam vita" inquit "humana prope uti ferrum est. Si exerceas, conteritur; si non exerceas, tamen robigo interficit. Item homines exercendo videmus conteri; si nihil exerceas, inertia atque torpedo plus detrimenti facit quam exercitio".

Parti iniziali di: Istituzioni di Gaio De Origine iuris fragmentum di Pomponio

Di Cicerone: Antologia De Officis Cato maior del senectute Laelius de Amicitia

Autori in forse: Panerio Plauto Terenzio Opere e Autori in forse: Retorica ad Herennium Oratoria di Quintilliano

sicuri: 

Nerazio e da Celso e Giuliano Digesto

Parte non compresa nella voce a cui devo fare taglia e cuci modifica

Storia modifica

Nei primi secoli dalla nascita di Roma fondamento del diritto romano (ius) fu considerata la tradizione. Da principio non vi erano leggi scritte, ma soltanto una coscienza collettiva e ogni ramo della vita quotidiana era regolato da una prassi universalmente accettata, secondo le usanze degli antenati. Il mos maiorum, che letteralmente significa "costumi e tradizioni degli antichi" era quell’insieme di norme di origine consuetudinaria, che venivano generalmente osservate dal popolo in virtù della loro derivazione da antiche tradizioni, talmente remote che non si conosce l’origine.

Il diritto consuetudinario può avere due forme: mos e ius. Il mos non serve ad esprimere la realtà giuridica, bensì la conformità di un comportamento ad una tradizione. Lo ius invece, secondo i galli, indicava il diritto e si intendeva qualcosa di autoritario e formale. Tuttavia alla legge si ricorreva solo eccezionalmente ed essa era considerata un mezzo per intervenire sulle tradizioni e cambiarle quando queste si rivelavano inique, dannose o inadeguate alle nuove esigenze della collettività. Il mos maiorum costituiva gli elementi fondamentali del sistema giuridico romano arcaico, almeno fino all’emanazione delle leggi delle dodici tavole. Era considerato un patrimonio di valori e di tradizioni che costituiva il fondamento della loro cultura e della loro civiltà, la base dello stato romano.

Essere fedeli al mos maiorum significava riconoscersi membri di uno stesso popolo, avvertire i vincoli di continuità col proprio passato e col proprio futuro, sentirsi parte di un tutto. I costumi e le usanze rendevano pienamente cives il romano che le seguiva con rispetto ed erano simbolo di integrità morale e fierezza dell’essere cittadino romano. Il concetto prioritario fu la particolare concezione dello Stato, inteso non come una società creata per dare benessere ai singoli cittadini, ma un patrimonio ideale e materiale che apparteneva a tutti: la res publica.

Il bene comune era più importante del bene individuale ed ogni cittadino si sentiva in dovere di contribuire personalmente alla grandezza della res publica, assolvendo ad un preciso dovere morale. Cardine fondamentale di questo sistema di valori è infatti l’assoluta preminenza dello Stato, della collettività sul singolo cittadino: questa è l’ottica dalla quale va esaminato qualunque valore e comportamento. Così, ad esempio, non era tanto il coraggio in sè ad essere apprezzato, ma il coraggio che veniva dimostrato nell’interesse e per la salvezza dello Stato. I mores riguardavano essenzialmente la fedeltà allo Stato e ai suoi principi, l’attaccamento alle tradizioni religiose e culturali, il raggiungimento delle virtù civili e personali.

Ad esempio erano considerate virtù:

  • abstinentia: disinteresse, onestà, integrità morale. Designa l’atteggiamento disinteressato, specialmente dell’amministratore nei confronti della cosa pubblica
  • consilium: saggezza, ponderazione, capacità di deliberare. La parola, ricca di implicazioni, appare come uno dei valori della più antica latinità, e indica la riflessione condotta con calma e in piena indipendenza di giudizio.
  • constantia: fermezza, costanza, tenacia, forza d’animo, coerenza. La parola in sè designa la salda perseveranza, la stabilità di un comportamento e di una virtù etico-politica tipicamente romana.
  • disciplina: disciplina, educazione, formazione civile e militare del cittadino. Disciplina è per il romano fondamento indispensabile dello Stato, che si mostra con rigidezza militare in tutti i campi della vita.
  • exemplum: esempio, modello.E’ il valore costituito da un’azione gloriosa compiuta da un antenato, che si ha il dovere di imitare e moltiplicare.
  • fides: lealtà, affidabilità. E’ un concetto complesso, che riassume l’essenza della moralità romana.
  • fortitudo: fortezza, coraggio, valore. Era la prima virtù dell’antica Roma .
  • gravitas:maestà, serietà.
  • industria: attività, operosità. Il termine designa il valore che spinge l’uomo politico alla zelante collaborazione nell’ambito dello Stato.
  • nobilitas: rappresenta in senso astratto l’aspirazione ad essere degni delle virtù degli antenati.
  • pietas: è con la virtus militaris uno dei valori fondamentali della romanità. E’ il rispetto per gli obblighi e i doveri che ci legano agli altri, per esempio alla patria, ai genitori, agli amici.

Sono a tal proposito illuminanti le parole dell’imperatore Marco Aurelio:

«Pensa in ogni momento che sei un romano ed un uomo e che devi eseguire ciò che hai tra le mani con dignità coscienziosa e sincera, con benevolenza e libertà e giustizia.»

Traspaiono qui gli antichi ideali romani della virtus, della gravitas e della iustitia. Marco Aurelio sentiva il dovere di mettere tutte le sue energie al servizio del tutto, di subordinare ogni suo sentimento ed azione all’interesse del tutto.

Ma nei secoli, con l’espansione territoriale, la struttura delle relazioni sociali e della cultura romana subirono profondi sconvolgimenti: il contatto con la civiltà greca generò nel popolo romano un cambiamento. Da una parte si desiderava rinnovare i costumi rurali romani (mos maiorum) introducendo usanze e conoscenze provenienti dall’Oriente (si pensi alla filosofia, alla scienza), ma questo generò anche una decadenza dei valori morali, testimoniata dalla diffusione di costumi moralmente discutibili persino oggi.

Questo provocò una forte resistenza da parte degli ambienti più conservatori, che si scagliarono contro le culture extra-romane, accusate di corruzione dei costumi, di indecenza, di immoralità e di sacrilegio. Catone il Censore lottò accanitamente contro l’ellenizzazione del modo di vivere romano , a favore del ripristino del più antico mos maiorum, che aveva permesso al popolo romano di rimanere unito di fronte alle avversità, di sconfiggere ogni sorta di nemico. Aveva paura che la cultura greca divenisse portatrice di valori che minassero le basi sociali e l’assetto raggiunto dalla repubblica. La morale tradizionale era necessaria per mantenere immutata la repubblica. Con il passare dei secoli e con l’influenza delle usanze di nuove popolazioni, le tradizioni del mos maiorum si dispersero a favore della nuova cultura cristiana e delle esotiche usanze ellenistico-orientali.

sviluppo e evoluzione modifica

Bibliografia modifica

Collegamenti esterni modifica

Versione voce inglese modifica

Mos Maiorum, literally translated as the “custom of the fathers/ancestors,” is the core concept of Roman traditionalism[1]. The mos maiorum (pl. mores maiorum), was an unwritten code from which the Romans derived their societal norms. These customs were distinct from the laws that would be recorded in writing. Because positive law regulated few aspects in Roman daily life, traditional customs, by virtue of the auctoritas maiorum (“prestige or respect of the ancestors”), shaped most of Roman behavior.

Sources of the Mos Maiorum modifica

The mos maiorum was the result of centuries of development before the Romans developed written records. Customs were created early in Rome’s history as they were needed to serve specific functions in the society. However, the significance of traditional practices and archaic rituals fell from the collective consciousness. The Lupercalia, for example, a festival celebrated in Rome every February 15th[2], was misunderstood by the time of Augustus in the late 1st century BCE. In some instances the relevancy of certain practices simply ebbed from society, such as the practice of confarreatio marriages[3]. These archaic marriages were all but abandoned because of the rigidity of the union. Despite the fading understanding or relevancy of some of these customs the importance of the mores maiorum in Roman was never in danger of suffering the same fate.

The Romans used the auctoritas maiorum to validate the developments occurred as their society progressed. Suetonius recounts an edict of the censors from 92 BCE, which states, “all new that is done contrary to the usage and the customs of our ancestors, seems not to be right.” [4] This statement reflects the fierce conservatism which was a hallmark of Roman Society. The mos maiorum as a collection of complex norms provided not only justification for tradition, but while retaining their fierce conservatism, it also provided a means to adjust when difficulties demanded such action. Whereas ius gave individuals their rights, they reflected the interests of the state and society. In a patriarchical society, dominated by an aristocracy, the mores were interpreted and adapted to serve the needs of the aristocracy. The patria postestas reflects this use of the mores. The potestas of the father allowed him complete control over his household, including slaves, his wife and his children[5]. Mores justified the place of the eldest male of the family and his power over life and death. Conversely, the mores also adjusted to kept the potestas of the father in check by limiting the father’s power to unjustly punish or even kill his family members, until he had properly consulted a consilium. [6]

Politics modifica

Participation in public life in ancient Rome was a dominant part of most male citizens’ lives. Public life included politics, military, law and also priesthoods. In politics, the cursus honorum became the standard track of offices. The observance of this track was considered conventional; however, there were deviations from cursus. Lucius Appuleius Saturninus and Gaius Servilius Glaucia, in association with Gaius Marius and his legislations and elections, broke tradition by seeking consecutive tribuneships. Gaius Marius himself broke the accepted traditions of the Roman elite. Not only was Marius a highly successful novus homo, but he was also elected to an unprecedented seven consulships. These figures contrast sharply to the career of Cicero, who followed the cursus honorum strictly and maintained a great deal of support for the interests of the aristocracy and the ancestral values they guarded. Cicero achieved most of his fame from his oratory skills, acting as defender and prosecutor in the courts.

Law was closely tied to the cursus honorum and the magistracies that a citizen might hope to achieve. The upper class, having more knowledge of the law and of oration (as both were customary parts of their education), would fulfill the roles of prosecution, defender, and even judges. These roles were traditional duties for the upper class, who could shoulder the responsibility. Although a great deal of responsibilities lay in civilian life, as was common around the ancient world, Romans were also expected to serve in the military.

Military modifica

The mos of the military had been that citizen soldiers were fielded for the sake of specific threats the interests of the entire state, but after Marius they are professional soldiers, allied to their general. The Roman army was originally comprised of the upper class, as they were the only members of society that could bear cost of armor and absence from work. The custom for Roman males was to join the army and obtain glory in service to the state, and when not need for a war or other conflict, to lay down arms and return to civic life. However, Gaius Marius reformed the military to include the capite censi and made the troops under his command loyal to him before the state.

Religious Tradition modifica

Unlike modern western religion, the Romans did not segregate religious practices and service to the state. Instead, the Romans maintained the practice of their Indo-European ancestors of leaving priesthoods tied to the state. The Collegium Pontificum consisted of different cults that had an appointed priest, who could simultaneously hold a political and/or military position. In the private home Romans would also have regular worship to the Penates, which were the gods of the inner home[7]. The Lares are also common fixtures in Roman private religion, in addition to the Roman anthropomorphic figures. They are guardian spirits, who vary in the specificities of their roles, depending on their manifestations. As the lares Augusti, they were they guardian spirits of the emperor. Common epithets include lares compitales, who were the guardians of the crossroads and lares familiaris, who were the guardians of the household.

Patrons and Clients modifica

Another major facet of Roman tradition is the patronus and cliens (patron and client) relationship. This is the relationship that commonly occurred between plebeians and patricians, where in return for the protection of the patronus, the cliens offered services until the debt was returned or longer. Later in Roman history, after Augustus’ rise to princeps, more of the population falls into the clienthood of the imperator until eventually all do.

The Changing Roles of the Mores modifica

Along with the change in patron-client relations, the place of the mos maiorum changes under the principate. Before Augustus, the place of the mores had been related, but separate from that of laws and regulations; however, a shift toward legalizing the romanticized ideals of the ancestral traditions occurs. Under Augustus and his moral reforms, the place of the mores maiorum becomes subject to the will of the emperor, though they survive until the reign of Justinian.

Cornerstones of the Mores Maiorum modifica

All aspects of life, including both the public and private arenas, were immeasurably influenced by the mores that had been established over centuries. Some of the components deserve special attention because of their importance in the greater picture of the mores maiorum.

Fides modifica

The Latin word fides has multiple meanings; however, these meanings are all based around similar principles: truth, faith, honesty, and trustworthiness. It can be seen in use with other words to create terms such as bonae fidei (“in good faith”) or fidem habere (“to be credible”, or more literally “to have trustworthiness”). In Roman law, fides was extremely important. As in all ancient cultures, verbal contracts were very common in Roman daily life, and so good faith allows business transactions to be made with greater confidence. If this good faith were betrayed, then a legal case could be made for the offended person[8].

As the Roman goddess, Fides represented a cult that was very old in the city of Rome. She was the goddess of good faith and presided over verbal contracts[9]. She was depicted as an old woman and was considered older than Jupiter [10]. Her temple is dated from around 254 BCE[11] and was located on the Capitoline Hill in Rome, near the Temple of Jupiter. According to Livy [12], the legendary second king of Rome, Numa Pompilius, founded her cult. Livy goes into details of the worship of Fides in his history of Rome. Her rituals were performed by the flamines maiores, who were the priests of the ancestors. These priests brought the shrine of Fides in a covered carriage drawn by a pair of horses to the place of celebration. Since Fides was considered to dwell in the right hand of a man, she was represented during the Roman Empire on coins with a pair of covered hands, to symbolize the credibility of the emperor and the legions[13]. The covering of the hands reflected the worship of Fides, where the man performing the sacrifice would cover his hands to the fingers to religiously preserve Fides[14].


Pietas modifica

Pietas is not the equivalent of the modern derivative “piety.” Pietas was the Roman attitude of dutiful respect towards the gods, fatherland, parents and other kinsmen. The term incorporated a sense of moral duty, not merely the observance of rituals (this is covered by the term cultus). Thus, pietas required the maintenance of relationships with those listed above in a moral and dutiful manner[15]. According to Cicero, “pietas is justice towards the gods,” [16] and as such demanded more of the observer than mere sacrifice and correct ritual performance, but also the inner devotion and righteousness of the individual. Pietas could be displayed in numerous ways. For example, Julius Caesar displayed pietas during his life by beginning in 52 BCE and dedicating in 48 BCE, after the battle of Pharsalus, a temple to Venus Genetrix. The temple was dedicated to Venus as the mother of Aeneas and thus the ancestor of the Julii (the gens of Julius Caesar). Augustus, after the death of Marcus Antonius and with Marcus Aemilius Lepidus out of the way[17] (these two men are Augustus’ co-triumvirs in the Second Triumvirate), built a Temple of Caesar in order to honor his adoptive father. Some Romans, because of their role as pious individuals, adopted the cognomen Pius. The emperor Antoninus Pius received this addition to his name because of his role in convincing the senate to deify his adoptive father, the emperor Hadrian, and for the pietas he showed toward his elderly biological father in public.

Such was the importance of pietas that according to Livy[18], it received a temple dedicated in 181 BCE. Similar to other abstract concepts in Roman culture, Pietas appeared often in anthropomorphic form, and was sometimes accompanied by a stork (a symbol of filial piety) [19]. She was adopted by Augustus as Pietas Augusta to display his own pietas, as can be seen on coins from the period[20].

Religio and Cultus modifica

Religio was not “religion” in the modern sense of the word. Religio is related to Latin verb religare (“to bind”). In the Roman mind religio represented a tie between the gods and mortals. This bond is more in the respect of awe and obligation (out of superstition), and is related to the religious practices and customs of the Romans[21]. Roman men and women were expected to be aware of these ties and to honor the gods through religious observances in an attempt to maintain a pax deorum (“peace of the gods”). In accordance with the noun, the adjective religiosus meant an exaggeration of religious practice to the point of superstition. The Romans regarded religio as a necessary part of life, so as to keep order and normalcy in the community or to a greater extent, the world. The motivation behind these observances is not morally based as modern Judeo-Christian values are, but instead are based around appeasement of the gods and expectancy of rewards. To guarantee a victory a general would promise a temple to a deity, or in hopes of alleviating hardship, community members would make sacrifices. Livy implies this necessity in his description of the capture of the goddess Juno (in statue form) from Veii [22]. Livy notes that it was against the religio of the Etruscans to touch the statue unless a member of the hereditary priesthood. The Roman soldiers in turn are cleaned, robed and then ask the goddess if she would come to Rome. This was not tied to pietas and its inherent morality, but instead it was the related to the concept of cultus.

Cultus was the obligated observance and correct performance of rituals to the gods. Romans religious practices were oriented towards the correct performance of rituals not the ethics and morals of person. The gods were pleased by the attention to their rites and thus Romans hoped to gain favor by performing sacrifices and other ritual formulae in the correct manner[23].


Disciplina modifica

In Latin, the word disciplina is related to education, training, discipline and self-control. This military nature of the Roman society explains a great deal the importance of this characteristic, and perhaps because of their military inclination, also shows itself in daily life of the Romans. In his Philippicae against Marcus Antonius, Cicero maligns the character of Marcus Antonius, portraying the triumvir as man without self-control[24], showing the importance of the characteristic by emphasizing Marcus Antonius’ lack of discipline[25].

Disciplina as a goddess was used as propaganda tool, especially under the empire. In inscriptions she is referred to as the discipline of the emperor in relation to his role over the legions. This is why inscriptions and dedications are known from locations such as England and North Africa. Under the emperor Hadrian, these dedications are made and coins are minted to help secure the minds of border legions[26].


Gravitas and Constantia modifica

Gravitas, not to be confused with the modern word gravity, represented the value of dignified, self-control[27]. In the face of adversity, a “good” Roman was to display an unperturbed façade. Roman myth and history reinforced this value by recounting tales of figures such as Gaius Mucius Scaevola [28]. At the founding of the Republic, the Etruscan king Lars Porsenna was laying siege to the city of Rome, and with city in dire straits, Scaevola attempted to assassinate Porsenna. However, Scaevola failed and was caught. When the king threatened torture if Scaevola did not answer his questions about Rome, Scaevola placed his right hand in a fire and held it there with great gravitas, telling the king that there were more in Rome just like himself. The gravitas that Scaevola displayed not only earned him the name Scaevola (“left-handed”), but also helped convince Porsenna of the Romans’ resiliency.

While gravitas was dignified self-control, constantia was steadiness or perseverance. This value coupled with gravitas played no small role in the history and success of the Roman people. Constantia allowed the Romans to hold fast in times of great turmoil and devastating defeat, such as the campaign of Hannibal Barca [29].


Virtus modifica

Virtus is derived from the Latin word vir (“man”) and encompasses what constituted the ideal of the true Roman male[30]. Multiple aspects are covered by this term. The poet Gaius Lucilius discusses virtus in some of his work, saying that it is virtus for a man to know what is good, evil, useless, shameful, or dishonorable[31].


Dignitas and Auctoritas modifica

Dignitas and auctoritas were the end result of displaying the values of the ideal Roman and the service of the state in the forms of priesthoods, military positions, and magistracies. Dignitas was reputation for worth, honor and esteem. Thus, a Roman who displayed their gravitas, constantia, fides, pietas and other values becoming a Roman would possess dignitas among their peers. Similarly, through this path, a Roman could earn auctoritas (“prestige and respect”) [32].

See a more complete list of Roman virtues.

Notes modifica

  1. ^ "Mos Maiorum," Brill Online. [1]
  2. ^ ""Lupercalia,"O.C.D. pg 892
  3. ^ "Manus," Berger. pg 577
  4. ^ Suetonius, De Claris Rhetoribus, i.
  5. ^ "Mores," Brill Online [2]
  6. ^ Seneca, De Clemetia, i.15.6-6, i.16.1
  7. ^ "Penates," O.C.D. pg 1135
  8. ^ “Bona fides,” Berger. pg 374
  9. ^ Adkins. pg 78
  10. ^ Adkins. pg 78
  11. ^ Ziolkowski, “Temples”
  12. ^ Ab Urbe Condita. i. 21
  13. ^ “Fides,” O.C.D. pg 595
  14. ^ Ab Urbe Condita. i. 21
  15. ^ Adkins. p. 180
  16. ^ De Natura Deorum. 1.116
  17. ^ Stambaugh. pg 50
  18. ^ Ab Urbe Condita. xxxx. 34
  19. ^ “Pietas,” O.C.D. p. 1182
  20. ^ Adkins. p.180
  21. ^ Adkins. pg 190
  22. ^ Ab Urbe Condita. v. 23
  23. ^ Adkins. pg 55
  24. ^ Phillipicae. II
  25. ^ see Plutarch’s Antony, for further characterization of Antonius.
  26. ^ Adkins. p. 63
  27. ^ Ward. p. 58
  28. ^ Ab Urbe Condita. ii. 12
  29. ^ Ab Urbe Condita. xxii. 58. See also Ogilvie’s Commentary on Livy 1-5.
  30. ^ Ward. p. 57
  31. ^ Ward. p. 57
  32. ^ Ward. p. 58

References modifica

Adkins, L. and Adkins, R. Dictionary of Roman Religion. New York: Oxford University Press, 2000.

Berger, Adolph. Encyclopedic Dictionary of Roman Law. Philadelphia: The American Philosophical Society, 1991.

Brill’s New Pauly. Antiquity volumes edited by: Huber Cancik and Helmuth Schneider. Brill, 2008 Brill Online.

Oxford Classical Dictionary. 3rd Revised Ed. New York: Oxford University Press, 2003.

Stambaugh, John E. The Ancient Roman City. Baltimore: The John’s Hopkins University Press, 1988.

Ward, A., Heichelheim, F., Yeo, C. A History of the Roman People. 4th Ed. New Jersey: Prentice Hall, 2003. Template:Ancient Roman topics it:Mos maiorum

Traduzione modifica

Mos maiorum, letteralmente tradotto come "costumi dei padri / antenati", è il nucleo è della tradizione romana [1] parte dei quali già presenti nel periodo protostorico delle tribu stanziate nel territorio laziale e vicini. Il mos maiorum (pl. mores maiorum), è stato un codice non scritto da cui i romani loro derivati norme sociali a cui doveva rispondere l'intera comunità. Questi stati distinti dalle leggi che erano registrati per iscritto. I mores nella storia di Roma furono parte fondamentale nei primi tre secoli della Storia di Roma parte di essi furono tradotti anche in leges regiae poi alcune tradotte nel 450 a.C. circa nelle XII tavole ma ancora fenomeno in parte a se stante risulta perurare perfino al periodo del principato. Questi erano parificate per importanza alle leges del periodo repubblicano e del principato (ritevesti di importanza nell'epoca di Giustiniano anche se ormai poco seguiti) e erano più importanti delle stesse consuetuini infatti queste ultime se contrarie ai mores non erano ritenuti validi, i mores maiorum regolalavano alcuni aspetti della vita quotidiana in età romana, questi costumi tradizionali erano seguiti soprattutto poichè investiti della virtù del auctoritas maiorum ( "prestigio o il rispetto degli antenati") dal quale deriva la maggior parte del comportamento dei romani.

Fonti di Mos maiorum modifica

Il mos maiorum era il risultato di secoli di sviluppo prima che i romani sviluppassero una documentazione scritta. Questi costumi furono creati nei primi mesi della storia di Roma e sono stati necessari per adattarsi meglio alle funzioni specifiche della società. Tuttavia, l'importanza di pratiche tradizionali e rituali arcaiche deriva dalla coscienza collettiva. Il Lupercalia, per esempio, era una festa celebrata ogni 15 del mese di febbraio a Roma. [2], fraintesa al tempo di Augusto nel I secolo a.C. In alcuni casi la pertinenza di alcune pratiche semplicemente ebbed da parte della società, come la pratica di confarreatio matrimoni [3]. Questi matrimoni sono stati tutti arcaico, ma abbandonato a causa della rigidità del sindacato. Nonostante la dissolvenza comprensione o di pertinenza di alcuni di questi doganali l'importanza della mores maiorum in età romana non è mai stato in pericolo di subire lo stesso destino.

I Romani la auctoritas maiorum utilizzati per convalidare gli sviluppi avvenuti nel loro società progredita. Svetonio racconta un editto di censura dal 92 aC, in cui si afferma, "tutti i nuovi che si fa in contrasto con l'uso e le usanze dei nostri antenati, non sembra essere giusto." [4] Questa dichiarazione rispecchia il forte conservatorismo che è stato un segno distintivo della società romana. Il mos maiorum come un insieme di complesse norme previste giustificazione non solo per tradizione, ma, pur mantenendo la loro feroce conservatorismo, è previsto anche un mezzo per regolare difficoltà quando richiesto tale azione. Considerando che ha ius persone dei loro diritti, che riflette gli interessi dello Stato e della società. In una società patriarchical, dominato da una aristocrazia, i costumi sono stati interpretati e adattato a soddisfare le esigenze della aristocrazia. La patria postestas riflette questo uso del costume. La potestas del padre consentito il controllo completo su di lui la sua famiglia, compresi gli schiavi, la moglie ei suoi figli [5]. Mores giustificato il posto del più anziano di sesso maschile della famiglia e il suo potere sulla vita e sulla morte. Al contrario, il costume anche tenuti ad adeguare la potestas del padre nel cercare il padre, limitando il potere di punire ingiustamente o addirittura uccidere i suoi familiari, fino a che egli aveva consultato un consilium correttamente. [6]

Politica modifica

Partecipazione alla vita pubblica a Roma è stata una posizione dominante da parte della maggior parte dei cittadini di sesso maschile 'vita. Vita pubblica, inclusa la politica, militare, il diritto e anche priesthoods. In politica, il cursus honorum è diventato lo standard traccia di uffici. L'osservanza di questo brano è stato considerato convenzionale, tuttavia, vi sono state deviazioni dal cursus. Lucio Appuleius Saturnino e Gaio Servilio Glaucia, in associazione con Gaius Marius e la sua legislazione e delle elezioni, ha rotto la tradizione cercando tribuneships consecutivi. Gaius Marius si ruppe il accettato di tradizioni romane élite. Non solo è stato un successo Marius Novus homo, ma è anche stato eletto a uno senza precedenti sette consulships. Queste cifre nettamente contrario alla carriera di Cicerone, che ha seguito il cursus honorum e rigorosamente mantenuto un forte sostegno per gli interessi della nobiltà e la loro valori ancestrali custodito. Cicerone realizzato la maggior parte della sua fama della sua abilità oratoria, in qualità di difensore e procuratore in giudizio.

Legge è stata strettamente legata al cursus honorum e le magistrature che un cittadino possa sperare di raggiungere. La classe superiore, con più conoscenza della legge e di collaborazione (in quanto entrambe le parti erano abituali della loro educazione), che soddisfano i ruoli di azione penale, difensore, e persino giudici. Questi ruoli erano tradizionali funzioni di classe superiore, che potrebbe assumersi la responsabilità. Benché una grande quantità di responsabilità laicale nella vita civile, come è comune intorno al mondo antico, i romani sono stati previsti anche per il servizio militare.

Militare modifica

La mos dei militari che erano stati cittadino soldati sono stati schierati per il bene di minacce specifiche degli interessi di tutta la situazione, ma dopo Marius sono soldati professionisti, ai loro alleati generale. L'esercito romano era originariamente composto di classe superiore, in quanto erano gli unici membri della società che potrebbe avere dei costi di armatura e di assenza dal lavoro. L'usanza romana per i maschi è stato quello di unire l'esercito e ottenere gloria in servizio allo Stato, e quando non necessità di una guerra o di altri conflitti, a stabilire le armi e tornare alla vita civile. Tuttavia, Gaius Marius riforma militare per includere il capite Censi e ha reso le truppe sotto il suo comando a lui fedeli, prima dello Stato.

Tradizione religiosa modifica

A differenza di religione occidentale moderno, i romani non separare le pratiche religiose e di servizio allo Stato. Invece, i Romani mantenuta la pratica dei loro antenati indo-europea di lasciare priesthoods legata allo Stato. Il Collegium Pontificum consisteva dei diversi culti che avevano uno nominato sacerdote, che potrebbe simultaneamente in possesso di un politico e / o posizione militare. In casa privata Romani avrebbe anche regolare Penates al culto, che erano le divinità della casa interiore [7]. Il Lares sono anche comune infissi in privato la religione romana, oltre al romano figure antropomorfe. Essi sono spiriti custode, che variano a seconda delle specificità dei loro ruoli, a seconda delle loro manifestazioni. Come il Lares Augusti, erano gli spiriti dei loro custode l'imperatore. Comune epiteti comprendono Lares compitales, che erano i custodi del crocevia e Lares familiaris, che erano i custodi del nucleo familiare.

Patrocini e Clienti modifica

Un altro importante aspetto della tradizione romana è il patronus e cliens (patrono e client) rapporto. Questo è il rapporto che comunemente si è verificato tra plebeians e patrizi, dove in cambio per la protezione del patronus, il cliens servizi offerti fino a quando il debito è stato restituito o più. Più tardi nella storia romana, dopo Augusto 'luogo a princeps, più della popolazione rientra nella clienthood del Imperator, fino alla fine tutti fanno.

Il ruolo del Mores modifica

Insieme con il cambiamento di patrono-relazioni con la clientela, il luogo del mos maiorum cambiamenti sotto il principato. Prima di Augusto, il luogo di costume erano stati legati, ma distinto da quello delle leggi e dei regolamenti; tuttavia, il passaggio verso la legalizzazione del romanticized ideali tradizioni ancestrali si verifica. Sotto Augusto e la sua morale, le riforme, il luogo di mores maiorum diventa soggetto alla volontà del l'imperatore, anche se sopravvivono fino al regno di Giustiniano.

Le basi del Mores maiorum modifica

Tutti gli aspetti della vita, compreso il loro arene pubbliche e private, sono stati immensamente influenzato dal costume che era stata stabilita nel corso dei secoli. Alcuni dei componenti meritano una particolare attenzione a causa della loro importanza nel quadro della maggiore mores maiorum.

Fides modifica

La parola latina fides ha più significati, ma questi significati sono tutti basati su principi simili: la verità, la fede, l'onestà e affidabilità. Esso può essere visto in uso con altre parole per creare termini come bonae fidei ( "in buona fede") o fidem habere ( "per essere credibili", o più letteralmente "avere fiducia"). Nel diritto romano, fides è stato estremamente importante. Come in tutte le culture antiche, i contratti verbali sono stati molto comune nella vita quotidiana romana, e così buona fede permette transazioni commerciali per essere fatto con maggiore fiducia. Se questa buona fede sono stati traditi, quindi una causa potrebbe essere fatto per la persona offesa [8].

Come la dea romana, Fides ha rappresentato un culto che era molto vecchio, nella città di Roma. Era la dea della buona fede e presieduto verbale contratti [9]. E 'stata descritta come una vecchia donna, ed è stato ritenuto di età superiore a Giove [10]. Il suo tempio è datata intorno al 254 aC da [11] e si trova sul colle Capitolino di Roma, vicino al Tempio di Giove. Secondo Livio [12], secondo il leggendario re di Roma, Numa Pompilius, fonda il suo culto. Livio va nei dettagli del culto di Fides nella sua storia di Roma. I suoi rituali sono stati effettuati dalla flamines maiores, che erano i sacerdoti della antenati. Questi sacerdoti hanno proposto il santuario di Fides in un carro trainato coperti da una coppia di cavalli al luogo di celebrazione. Dal momento che è stato considerato Fides ad abitare nella mano destra di un uomo, è stata rappresentata durante l'Impero Romano su monete con un paio di mani coperte, a simboleggiare la credibilità delle legioni imperatore e il [13]. La copertura delle mani riflette il culto di Fides, in cui l'uomo esegue il sacrificio di coprire le sue mani per le dita per preservare Fides religioso [14].


Pietas modifica

Pietas non è l'equivalente del moderno derivato "pietà". La Pietas era l'atteggiamento romano del dovuto rispetto verso gli dei, la patria, i genitori e altri parenti. L'accezione del termine comprendeva anche un senso di dovere morale, non solo la mera osservanza dei riti (il cui termine corrispondente è cultus). Di conseguenza la pietas esigeva il mantenimento delle relazioni con quelli sopra elencati rispettosamente e moralmente parlando [15]. Secondo Cicerone, "pietas è la giustizia verso gli dei," [16] e, come tale, ha chiesto più di un osservatore non puramente rituali di sacrificio e di corretta esecuzione, ma anche la devozione e rettitudine interiore della persona. Pietas potrebbero essere visualizzati in molti modi. Ad esempio, Giulio Cesare pietas mostrate durante la sua vita a partire dal 52 aC e dedicato al 48 aC, dopo la battaglia di Pharsalus, un tempio a Venere Genitrice. Il tempio è stato dedicato a Venere, come la madre di Enea e quindi l'antenato del Julii (gens di Giulio Cesare). Augusto, dopo la morte di Marco Antonio e Marco Emilio Lepido fuori del modo in cui [17] (questi due uomini sono Augusto 'co-triumvirs nel secondo triumvirato), ha costruito un tempio di Cesare, al fine di onorare il suo padre adottivo. Alcuni romani, a causa del loro ruolo di pii cittadini, ha adottato il cognomen Pio. L'imperatore Antoninus Pius ricevuto questa aggiunta al suo nome a causa del suo ruolo nel convincere il Senato a divinizzare il suo padre adottivo, l'imperatore Adriano, e per la pietas ha mostrato verso il suo padre biologico anziani in pubblico.

Tale è stata l'importanza della pietas che, in base alle Livio [18], ha ricevuto un tempio dedicato nel 181 aC. Analogamente agli altri concetti astratti nella cultura romana, pietas apparso spesso in forma antropomorfa, e talvolta è stato accompagnato da una cicogna (il simbolo della pietà filiale) [19]. Essa è stata adottata da Augusto come pietas Augusta per visualizzare la sua pietas, come si può vedere su monete del periodo [20].

Religio e Cultus modifica

Religio non è "religione" nel senso moderno della parola. Religio è legato al verbo latino religare ( "legare"). Nella mente religio romana ha rappresentato un legame tra la divinità e mortali. Questo legame è più il rispetto e l'obbligo di soggezione (di superstizione), ed è collegata alla pratiche religiose e le usanze dei Romani [21]. Romana sono stati gli uomini e le donne dovrebbero essere consapevoli di questi legami e per onorare la divinità attraverso osservanze religiose, nel tentativo di mantenere una pax deorum ( "la pace degli dèi"). In conformità con il sostantivo, l'aggettivo religiosus un'esagerazione dire della pratica religiosa, fino al punto di superstizione. I Romani religio considerata come una parte necessaria della vita, in modo da mantenere l'ordine e la normalità nella comunità o in misura maggiore, il mondo. La motivazione alla base di queste osservanze non è moralmente fondata moderna giudaico-cristiana dei valori, ma invece sono basati su appagamento degli dei e l'aspettativa di premi. Per garantire una vittoria sarebbe una promessa di un tempio di una divinità, o nella speranza di alleviare le difficoltà, i membri della comunità di fare sacrifici. Livio implica questa necessità nella sua descrizione della cattura della dea Giunone (sotto forma di statua) da Veio [22]. Livio rileva che si è contro la religio degli Etruschi per toccare la statua a meno che un membro del sacerdozio ereditaria. I soldati romani a loro volta, sono puliti, robed e poi chiedere alla dea se fosse venuto a Roma. Questo non è stato legato alla pietas e la sua moralità intrinseca, ma invece è stato correlato al concetto di cultus.

Cultus è stata obbligata l'osservanza e la corretta esecuzione delle rituali alla divinità. Romani pratiche religiose sono state orientate verso la corretta esecuzione di riti non l'etica e la morale della persona. Gli dei sono stati lieti di attenzione da parte del loro riti romani e quindi spera di ottenere da favorire l'esecuzione di sacrifici e di altre formule rituali in modo corretto [23].


Disciplina modifica

In latino, la parola è legato alla disciplina l'istruzione, la formazione, la disciplina e di auto-controllo. Questa natura militare della società romana, spiega la grande importanza di questa caratteristica, e forse a causa della loro inclinazione militari, si mostra anche nella vita quotidiana dei Romani. Nel suo Philippicae contro Marco Antonio, Cicerone maligns il personaggio di Marco Antonio, raffigurante la triumvir come uomo senza auto-controllo [24], mostrando l'importanza delle caratteristiche da sottolineare Marcus Antonius' la mancanza di disciplina [25].

Disciplina come una dea è stata utilizzata come strumento di propaganda, specialmente sotto l'impero. In iscrizioni è denominato "la disciplina del l'imperatore in relazione al suo ruolo nel legioni. Questo è il motivo per cui le iscrizioni e le dediche sono noti da luoghi come l'Inghilterra e il Nord Africa. Sotto l'imperatore Adriano, dediche questi sono fatti e le monete sono state coniate per contribuire a garantire la mente legioni di frontiera [26].


Gravitas e Constantia modifica

Gravitas, non deve essere confusa con la parola moderna gravità, ha rappresentato il valore della dignità, auto-controllo [27]. Di fronte alle avversità, una "buona" romano è stato per visualizzare una imperturbati facciata. Mito e storia romana rafforzata da questo valore raccontare storie di figure come Gaio Mucius Scaevola [28]. Alla fondazione della Repubblica, il re etrusco Lars Porsenna, che è stato di assedio alla città di Roma, e con la città di Dire Straits, Scaevola tentato di assassinare Porsenna. Tuttavia, Scaevola e non è stato catturato. Quando il re Scaevola minacciato di tortura, se non rispondere alle sue domande su Roma, Scaevola posto la sua mano destra in un incendio e che vi terrà con grande gravitas, raccontando il re che non vi erano più a Roma, proprio come se stesso. La gravitas che Scaevola visualizzata non solo gli valse il nome Scaevola ( "mancino"), ma anche contribuito a convincere Porsenna dei Romani 'resilienza.

Mentre è stato gravitas dignitosa self-control, è stato Constantia costanza o perseveranza. Questo valore accoppiati con gravitas non ha svolto alcun ruolo nella piccola storia e il successo del popolo romano. Constantia permesso di tenere i Romani veloce nei momenti di grande turbolenza e devastante sconfitta, come ad esempio la campagna di Annibale Barca [29].


Virtus modifica

Virtus deriva dal termine latino vir ( "l'uomo") e comprende ciò che costituiva l'ideale del vero maschio romano [30]. Molteplici sono gli aspetti oggetto di questo termine. Il poeta Gaio Lucilio discute virtus in alcuni dei suoi lavori, dicendo che è virtus per un uomo di sapere ciò che è bene, il male, inutile, vergognoso, o disonorevole [31].

Dignitas e Auctoritas Dignitas auctoritas e sono stati il risultato finale di visualizzare i valori del ideale romano e il servizio dello Stato nelle forme di priesthoods, posizioni militari, e magistrature. Dignitas è stato per un valore di reputazione, onore e di stima. Così, un romano che mostrate loro gravitas, Constantia, fides, pietas e di altri valori, diventando un romano sarebbe in possesso di Dignitas tra i loro coetanei. Allo stesso modo, attraverso questo percorso, un romano potrebbe guadagnare auctoritas ( "il prestigio e il rispetto") [32].


sono usi o costumi che vengono seguiti nell'epoca antica di Roma soprattutto nell'epoca più arcaica: sono rivelazioni da parte del collegio sacerdotale prima e del Pontifex Maximus poi fino a essere opera di giuristi laici dell'epoca la quale comunità chiede il loro parere per sapere quali gesti e parole devono utilizzare per la risoluzione delle controversie. Mentre nell'epoca più arcaica non sono scritti, essi poi vengono espressi almeno in parte nelle XII tavole all'incirca nel 450 a.C.. La loro interpretatio sarà affidata comunque ai Pontefici solo dopo Tiberio Coruncanio (254 a.C.) passeranno di mano ai giuristi laici dell'epoca, saranno presenti fino al periodo classico e in un certo senso anche in quello di Giustiniano traslandosi definitivamente verso le consuetudini.

Versione Francese modifica

Le mos majorum, littéralement « mœurs des anciens » ou « coutumes des ancêtres », désigne dans la Rome antique le mode de vie et le système des valeurs ancestrales. Il est souvent pris comme une référence, et est à opposer au spectacle de la décadence du temps présent.

Ce sont les traditions ancestrales, un code non écrit de lois et de conduite, une sorte de constitution romaine.

De grandes figures politiques telles que Caton l'Ancien tentent sans succès de rétablir les vertus traditionnelles romaines, fondées sur le travail, la fidélité à la patrie, la frugalité, le refus de l'oisiveté, mais ils ne sont pas écoutés. Le cri de Cicéron, O tempora ! O mores (Quelle époque ! Quels mœurs !), prononcé il est vrai dans d'autres circonstances, ramène à cette interrogation quotidienne des Romains.

Auguste, lors de la mise en place du Principat, va s'attacher à restaurer les valeurs traditionnelles romaines par différentes lois, sur les mœurs par exemple, ou en redonnant vie à certains rites religieux tombés en désuétude.

Les cinq fondements du mos majorum sont :

  1. fides : fidelité, loyauté, foi ; confiance et réciprocité entre deux citoyens
  2. pietas : piété, dévotion, patriotisme, devoir ;
  3. majestas: sentiment de supériorité naturelle d'appartenance à un peuple élu, majestée
  4. virtus : qualité propre au citoyen romain,courage, activité politique
  5. gravitas : ensemble des règles de conduite du romain traditionnel, respect de la tradition, sérieux, dignité, autorité ;


Bibliographie modifica

Traduzione Ultima modifica

Origini del Mos Maiorum modifica

Il mos maiorum è il risultato di secoli di scoperte su ciò che accadeva prima che i romani sviluppassero reperti scritti. Le pratiche rituali nacquero presto nella storia romana, poichè si sentiva la necessità di avere funzioni specifiche nella società. Comunque, il significato delle pratiche tradizionali e dei rituali arcaici getta le sue radici nelle consuetudini collettive. I Lupercalia, per esempio, un'antica festività celebrata a Roma ogni ogni 15 Febbraio [1], è rimasta sconosciuta fino ai tempi di Augusto, nel tardo Primo Secolo Avanti Cristo. In alcuni casi la rilevanza di tali pratiche veniva sminuita dalla società, come per la pratica del matrimonio confarreatio[2]. Queste arcaiche pratiche di matrimonio sono state successivamente abbandonate a causa della rigidità dell'unione stabilita dal matrimonio. Nonostante la progressiva perdità di rilevanza di queste pratiche, l'importanza del mores maiorum non ha mai rischiato di fare la stessa fine.

I Romani utilizzavano l'auctoritas maiorum per convalidare gli sviluppi, affinchè la loro società si sviluppasse. Gaio Svetonio Tranquillo racconta di un editto di censura del 92 a.C., che dichiarava, “tutte le novità fatte contrariamente alle usanze e alle tradizioni dei nostri antenati, non devono essere considerate giuste.” [3] Questo editto riflette il forte conservatorismo che era un marchio di fabbrica della società Romana. Il mos maiorum è praticamente una collezione di complesse norme usate non solo come espedienti per mantenere legami con la tradizione antica, ma, considerato il forte conservatorismo dei Romani, ma fungeva anche da mezzo a cui far riferimento per risolvere i problemi più difficili. Mentre ius trattava di diritti individuali, essi riflettevano l'interesse allo stato e alla società. In una società patriarcale, dominata dall'aristocrazia, i costumi erano interpretati per servire i bisogni dell'aristocrazia. La patria potestà riflette quest'uso dei costumi. La potesta del padre constentiva ad esso il controllo completo su schiavi, moglie e figli. [4]. Il Mores giustificava la posizione dell'uomo maschio più vecchio e il suo comando fino alla fine della sua vita. Contrariamente, il mores limitava la potestà del padre per controllare la sua forza ed evitare che egli punisse eccessivamente o uccidesse mebri della sua famiglia, il tutto se egli aveva consultato correttamente un consilium. [5]

Politiche modifica

La partecipazione nella vita pubblica era parte dominante della vita del cittadino maschio nella Roma antica. La vita pubblica comprendeva politica, esercito, legge e anche sacerdozio. Nella politica, il cursus honorum divenne la procedura standard di attribuzione delle cariche The observance of this track was considered conventional; however, there were deviations from cursus. Lucius Appuleius Saturninus e Gaius Servilius Glaucia, in associazione con Gaius Marius la sua legislazione e le elezioni, ruppe la tradizione cercando il consenso dei Tribuna della plevetribuni. Mario stesso smise di accettare la tradizione dell'elite romana. Mario non fu solo un homo novus di gran successo, ma fu eletto 7 volte console, cosa mai accaduta prima. Queste figure contrastano fortemente con la carriera di Cicero, che seguì severamente il cursus honorum e mantenne una gran coerenza nel sostenere gli interessi dell'aristocrazia e i valori ancestrali da essa salvaguardati. Cicero ottenne molta della sua fama dalla sua abilità di oratore, lavorando come difensore e Pubblico Ministero nelle corti.

La legge (il diritto) era legata strettamente al cursus honorum e alle magistrature che un cittadino poteva sperare di ottenere. La classe superiore, avendo più conoscenze su legge ed orazione (poichè erano concetti primari dell'educazione), would fulfill the roles of prosecution, defender, and even judges. These roles were traditional duties for the upper class, who could shoulder the responsibility. Although a great deal of responsibilities lay in civilian life, as was common around the ancient world, Romans were also expected to serve in the military (trad. da rivedere :Ricoprirebbe i ruoli di pubblico ministero, avvocato della difesa e persino di giudici. Questi ruoli erano doveri tradizionali per il patriziato, che poteva accollarsi tale responsabilità . Per quanto gran parte della responsabilità ricadesse nella vita da civili, come era normale nel mondo antico, era previsto che i Romani prestassero servizio nell'esercito).

Campo militare modifica

Il mos del militare stabiliva che i soldati cittadini venivano obbligati all'arruolamento tramite minacce riguardanti lo stato intero, ma dopo Mario entrarono in vigore i soldati professionisti, alleati dei loro generali. L' esercito romano era originariamente costituito da persone della classe superiore, poichè essi erano gli unici membri della società che potevano permettersi i costi economici delle armi ed assenze dal lavoro giornaliero. La speranza degli uomini romani era di unirsi all'esercito ed ottenere gloria a servizio dello stato, e quando non erano impegnati in battaglie o guerre, riponevano le armi e si dedicavano alla vita civile. Comunque, Gaio Mario riformò l'esercito per includere capite censi e sottomettere le truppe al suo controllo prima ancora che a quello dello stato.

Tradizione religiosa modifica

Unlike modern western religion, the Romans did not segregate religious practices and service to the state. Instead, the Romans maintained the practice of their Indo-European ancestors of leaving priesthoods tied to the state. The Collegium Pontificum consisted of different cults that had an appointed priest, who could simultaneously hold a political and/or military position. In the private home Romans would also have regular worship to the Penates, which were the gods of the inner home[6]. The Lares are also common fixtures in Roman private religion, in addition to the Roman anthropomorphic figures. They are guardian spirits, who vary in the specificities of their roles, depending on their manifestations. As the lares Augusti, they were they guardian spirits of the emperor. Common epithets include lares compitales, who were the guardians of the crossroads and lares familiaris, who were the guardians of the household.

Patronato and Clientela modifica

Another major facet of Roman tradition is the patronus and cliens (patron and client) relationship. This is the relationship that commonly occurred between plebeians and patricians, where in return for the protection of the patronus, the cliens offered services until the debt was returned or longer. Later in Roman history, after Augustus’ rise to princeps, more of the population falls into the clienthood of the imperator until eventually all do.

The Changing Roles of the Mores modifica

Along with the change in patron-client relations, the place of the mos maiorum changes under the principate. Before Augustus, the place of the mores had been related, but separate from that of laws and regulations; however, a shift toward legalizing the romanticized ideals of the ancestral traditions occurs. Under Augustus and his moral reforms, the place of the mores maiorum becomes subject to the will of the emperor, though they survive until the reign of Justinian.

Cornerstones of the Mores Maiorum modifica

All aspects of life, including both the public and private arenas, were immeasurably influenced by the mores that had been established over centuries. Some of the components deserve special attention because of their importance in the greater picture of the mores maiorum.

Fides modifica

The Latin word fides has multiple meanings; however, these meanings are all based around similar principles: truth, faith, honesty, and trustworthiness. It can be seen in use with other words to create terms such as bonae fidei (“in good faith”) or fidem habere (“to be credible”, or more literally “to have trustworthiness”). In Roman law, fides was extremely important. As in all ancient cultures, verbal contracts were very common in Roman daily life, and so good faith allows business transactions to be made with greater confidence. If this good faith were betrayed, then a legal case could be made for the offended person[7].

As the Roman goddess, Fides represented a cult that was very old in the city of Rome. She was the goddess of good faith and presided over verbal contracts[8]. She was depicted as an old woman and was considered older than Jupiter [9]. Her temple is dated from around 254 BCE[10] and was located on the Capitoline Hill in Rome, near the Temple of Jupiter. According to Livy [11], the legendary second king of Rome, Numa Pompilius, founded her cult. Livy goes into details of the worship of Fides in his history of Rome. Her rituals were performed by the flamines maiores, who were the priests of the ancestors. These priests brought the shrine of Fides in a covered carriage drawn by a pair of horses to the place of celebration. Since Fides was considered to dwell in the right hand of a man, she was represented during the Roman Empire on coins with a pair of covered hands, to symbolize the credibility of the emperor and the legions[12]. The covering of the hands reflected the worship of Fides, where the man performing the sacrifice would cover his hands to the fingers to religiously preserve Fides[13].


Pietas modifica

Pietas is not the equivalent of the modern derivative “piety.” Pietas was the Roman attitude of dutiful respect towards the gods, fatherland, parents and other kinsmen. The term incorporated a sense of moral duty, not merely the observance of rituals (this is covered by the term cultus). Thus, pietas required the maintenance of relationships with those listed above in a moral and dutiful manner[14]. According to Cicero, “pietas is justice towards the gods,” [15] and as such demanded more of the observer than mere sacrifice and correct ritual performance, but also the inner devotion and righteousness of the individual. Pietas could be displayed in numerous ways. For example, Julius Caesar displayed pietas during his life by beginning in 52 BCE and dedicating in 48 BCE, after the battle of Pharsalus, a temple to Venus Genetrix. The temple was dedicated to Venus as the mother of Aeneas and thus the ancestor of the Julii (the gens of Julius Caesar). Augustus, after the death of Marcus Antonius and with Marcus Aemilius Lepidus out of the way[16] (these two men are Augustus’ co-triumvirs in the Second Triumvirate), built a Temple of Caesar in order to honor his adoptive father. Some Romans, because of their role as pious individuals, adopted the cognomen Pius. The emperor Antoninus Pius received this addition to his name because of his role in convincing the senate to deify his adoptive father, the emperor Hadrian, and for the pietas he showed toward his elderly biological father in public.

Such was the importance of pietas that according to Livy[17], it received a temple dedicated in 181 BCE. Similar to other abstract concepts in Roman culture, Pietas appeared often in anthropomorphic form, and was sometimes accompanied by a stork (a symbol of filial piety) [18]. She was adopted by Augustus as Pietas Augusta to display his own pietas, as can be seen on coins from the period[19].

Religio and Cultus modifica

Religio was not “religion” in the modern sense of the word. Religio is related to Latin verb religare (“to bind”). In the Roman mind religio represented a tie between the gods and mortals. This bond is more in the respect of awe and obligation (out of superstition), and is related to the religious practices and customs of the Romans[20]. Roman men and women were expected to be aware of these ties and to honor the gods through religious observances in an attempt to maintain a pax deorum (“peace of the gods”). In accordance with the noun, the adjective religiosus meant an exaggeration of religious practice to the point of superstition. The Romans regarded religio as a necessary part of life, so as to keep order and normalcy in the community or to a greater extent, the world. The motivation behind these observances is not morally based as modern Judeo-Christian values are, but instead are based around appeasement of the gods and expectancy of rewards. To guarantee a victory a general would promise a temple to a deity, or in hopes of alleviating hardship, community members would make sacrifices. Livy implies this necessity in his description of the capture of the goddess Juno (in statue form) from Veii [21]. Livy notes that it was against the religio of the Etruscans to touch the statue unless a member of the hereditary priesthood. The Roman soldiers in turn are cleaned, robed and then ask the goddess if she would come to Rome. This was not tied to pietas and its inherent morality, but instead it was the related to the concept of cultus.

Cultus was the obligated observance and correct performance of rituals to the gods. Romans religious practices were oriented towards the correct performance of rituals not the ethics and morals of person. The gods were pleased by the attention to their rites and thus Romans hoped to gain favor by performing sacrifices and other ritual formulae in the correct manner[22].


Disciplina modifica

In Latin, the word disciplina is related to education, training, discipline and self-control. This military nature of the Roman society explains a great deal the importance of this characteristic, and perhaps because of their military inclination, also shows itself in daily life of the Romans. In his Philippicae against Marcus Antonius, Cicero maligns the character of Marcus Antonius, portraying the triumvir as man without self-control[23], showing the importance of the characteristic by emphasizing Marcus Antonius’ lack of discipline[24].

Disciplina as a goddess was used as propaganda tool, especially under the empire. In inscriptions she is referred to as the discipline of the emperor in relation to his role over the legions. This is why inscriptions and dedications are known from locations such as England and North Africa. Under the emperor Hadrian, these dedications are made and coins are minted to help secure the minds of border legions[25].


Gravitas and Constantia modifica

Gravitas, not to be confused with the modern word gravity, represented the value of dignified, self-control[26]. In the face of adversity, a “good” Roman was to display an unperturbed façade. Roman myth and history reinforced this value by recounting tales of figures such as Gaius Mucius Scaevola [27]. At the founding of the Republic, the Etruscan king Lars Porsenna was laying siege to the city of Rome, and with city in dire straits, Scaevola attempted to assassinate Porsenna. However, Scaevola failed and was caught. When the king threatened torture if Scaevola did not answer his questions about Rome, Scaevola placed his right hand in a fire and held it there with great gravitas, telling the king that there were more in Rome just like himself. The gravitas that Scaevola displayed not only earned him the name Scaevola (“left-handed”), but also helped convince Porsenna of the Romans’ resiliency.

While gravitas was dignified self-control, constantia was steadiness or perseverance. This value coupled with gravitas played no small role in the history and success of the Roman people. Constantia allowed the Romans to hold fast in times of great turmoil and devastating defeat, such as the campaign of Hannibal Barca [28].


Virtus modifica

Virtus is derived from the Latin word vir (“man”) and encompasses what constituted the ideal of the true Roman male[29]. Multiple aspects are covered by this term. The poet Gaius Lucilius discusses virtus in some of his work, saying that it is virtus for a man to know what is good, evil, useless, shameful, or dishonorable[30].


Dignitas and Auctoritas modifica

Dignitas and auctoritas were the end result of displaying the values of the ideal Roman and the service of the state in the forms of priesthoods, military positions, and magistracies. Dignitas was reputation for worth, honor and esteem. Thus, a Roman who displayed their gravitas, constantia, fides, pietas and other values becoming a Roman would possess dignitas among their peers. Similarly, through this path, a Roman could earn auctoritas (“prestige and respect”) [31].

See a more complete list of Roman virtues.

Notes modifica

  1. ^ ""Lupercalia,"O.C.D. pg 892
  2. ^ "Manus," Berger. pg 577
  3. ^ Suetonius, De Claris Rhetoribus, i.
  4. ^ "Mores," Brill Online[3]
  5. ^ Seneca, De Clemetia, i.15.6-6, i.16.1
  6. ^ "Penates," O.C.D. pg 1135
  7. ^ “Bona fides,” Berger. pg 374
  8. ^ Adkins. pg 78
  9. ^ Adkins. pg 78
  10. ^ Ziolkowski, “Temples”
  11. ^ Ab Urbe Condita. i. 21
  12. ^ “Fides,” O.C.D. pg 595
  13. ^ Ab Urbe Condita. i. 21
  14. ^ Adkins. p. 180
  15. ^ De Natura Deorum. 1.116
  16. ^ Stambaugh. pg 50
  17. ^ Ab Urbe Condita. xxxx. 34
  18. ^ “Pietas,” O.C.D. p. 1182
  19. ^ Adkins. p.180
  20. ^ Adkins. pg 190
  21. ^ Ab Urbe Condita. v. 23
  22. ^ Adkins. pg 55
  23. ^ Phillipicae. II
  24. ^ see Plutarch’s Antony, for further characterization of Antonius.
  25. ^ Adkins. p. 63
  26. ^ Ward. p. 58
  27. ^ Ab Urbe Condita. ii. 12
  28. ^ Ab Urbe Condita. xxii. 58. See also Ogilvie’s Commentary on Livy 1-5.
  29. ^ Ward. p. 57
  30. ^ Ward. p. 57
  31. ^ Ward. p. 58

References modifica

Adkins, L. and Adkins, R. Dictionary of Roman Religion. New York: Oxford University Press, 2000.

Berger, Adolph. Encyclopedic Dictionary of Roman Law. Philadelphia: The American Philosophical Society, 1991.

Brill’s New Pauly. Antiquity volumes edited by: Huber Cancik and Helmuth Schneider. Brill, 2008 Brill Online.

Oxford Classical Dictionary. 3rd Revised Ed. New York: Oxford University Press, 2003.

Stambaugh, John E. The Ancient Roman City. Baltimore: The John’s Hopkins University Press, 1988.

Ward, A., Heichelheim, F., Yeo, C. A History of the Roman People. 4th Ed. New Jersey: Prentice Hall, 2003.