Guerra arabo-israeliana del 1948

conflitto (1947-1949), parte della questione arabo-israeliana

La guerra arabo-israeliana del 1948 (per gli israeliani מלחמת העצמאות, «Guerra d'indipendenza», per gli arabi al-Nakba, in arabo: النكبة‎, ossia «la catastrofe») è il conflitto, compreso nell'ambito del conflitto arabo-israeliano, che portò nel 1948 allo scontro tra la componente ebraica della Palestina e la componente arabo-palestinese della stessa regione, appoggiata quest'ultima dalle forze armate di diversi paesi arabi del Vicino Oriente, solidali nel tentativo d'impedire la nascita dello Stato d'Israele.

Guerra arabo-israeliana del 1948
parte del conflitto arabo-israeliano
Combattenti arabi davanti a un camion blindato in fiamme vicino alla città di Gerusalemme
Data30 novembre 1947–20 luglio 1949
LuogoMedio Oriente
Casus belliIstituzione dello Stato d'Israele
EsitoVittoria israeliana
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
Israele 29.677 (saliti a 115.000 nel marzo 1949)Egitto 10.000 saliti a 20.000
Iraq 5.000 saliti a 15-18.000
Siria 2.500-5.000
Giordania 6.000-12.000
Libano 1.000 saliti a 2.000[1]
Arabia Saudita 800-1.200
Sconosciuti
3.500-6.000
Perdite
6.373 (4.000 soldati e circa 2.400 civili)Sconosciute (tra le 5.000 e le 15.000)
Voci di guerre presenti su Wikipedia

I primi scontri armati erano iniziati subito dopo l'approvazione, il 29 novembre 1947, della Risoluzione 181, con cui l'Assemblea generale delle Nazioni Unite raccomandava l'adozione del piano di partizione elaborato dall'UNSCOP (comitato appositamente creato per determinare l'assetto dei territori ad ovest del Giordano una volta cessato il mandato britannico); fino al ritiro britannico, avvenuto il 14 maggio 1948, si trattò essenzialmente di una guerra civile tra ebrei e arabi di Palestina e il conflitto rimase essenzialmente a livello di guerriglia, anche in conseguenza della significativa presenza di forze britanniche.

Proprio alla partenza di queste ultime, gli ebrei proclamarono la nascita dello Stato di Israele, mentre truppe provenienti da Egitto, Transgiordania, Siria, Libano e Iraq, unitamente a corpi di spedizione minori provenienti da altri paesi arabi, penetrarono nella Palestina cisgiordana; si trattò sostanzialmente di una guerra convenzionale; gli scontri terminarono nei primi mesi del 1949 e al cessate il fuoco seguirono accordi armistiziali separati.

Contesto storicoModifica

Sul finire del XIX secolo il territorio della Palestina faceva parte dei vilayet (governatorati siriani dell'Impero ottomano) ed era a sua volta suddivisa in due sangiaccati (province ottomane) dove gli ebrei costituivano ormai una minoranza (circa ventiquattromila persone), integrata con le popolazioni autoctone.

Con l'appoggio del Regno Unito, che vedeva di buon occhio la possibilità di insediamenti nella zona di popolazioni provenienti dall'Europa, e la grande disponibilità economica di cui godevano alcuni settori delle comunità ebraiche, Theodor Herzl, fondatore del sionismo, organizzò il primo convegno sionista mondiale a Basilea nel 1897 e in esso furono poste le basi per il graduale trasferimento di ebrei in Palestina grazie all'acquisto da parte dell'Agenzia ebraica di terreni da assegnare a coloni ebrei provenienti dall'Europa e dalla Russia, per poter poi conseguire la necessaria maggioranza demografica e un sostanziale controllo dell'economia, che potessero giustificare la rivendicazione del diritto di dar vita a un'entità statuale che rappresentasse un rifugio per ebrei perseguitati.

Come risultato di questi nuovi flussi migratori, la popolazione arabo-palestinese iniziò a dar vita a movimenti nazionalistici che miravano a stroncare sul nascere quella che era considerata una vera e propria minaccia d'origine straniera.

Durante la prima guerra mondiale, con il coinvolgimento dell'Impero ottomano, molti ebrei si trasferirono da Russia ed Europa negli Stati Uniti. Con la Dichiarazione Balfour da parte del ministro degli esteri britannico, nel quadro della futura spartizione delle aree ottomane in caso di vittoria nel conflitto in atto, venne garantito al movimento sionista che sarebbe stato concesso alla componente ebraica (non tanto a quella locale, ma a quella attiva in Europa e nelle Americhe) di dar vita a una National Home ("casa nazionale", "un focolare nazionale") in Palestina, specificando che non dovevano comunque essere danneggiati "i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina".

Contemporaneamente i britannici promisero alla popolazione già presente in Palestina che, una volta sconfitto l'Impero ottomano, a loro sarebbe stata garantita l'autodeterminazione. Oltre a questo il ministro plenipotenziario del Regno Unito Sir Henry MacMahon, alto commissario in Egitto, aveva promesso nel 1915 allo sceriffo della La Mecca al-Ḥusayn ibn Alī il riconoscimento agli arabi dei diritti all'autodeterminazione e all'indipendenza in cambio della loro partecipazione agli sforzi bellici antiottomani e la creazione di uno stato arabo dai confini non definiti con precisione, ma che avrebbe inglobato all'incirca tutto il territorio compreso fra Egitto e Persia, compresa parte della Palestina. Nel 1916, precedentemente alla dichiarazione di Balfour ma dopo gli accordi tra Henry MacMahon e Ḥusayn ibn Āli, poi disconosciuti e ritenuti frutto di fraintendimento, il Regno Unito e la Francia, con gli accordi Sykes-Picot, inizialmente tenuti segreti, avevano deciso che l'area della Palestina sarebbe stata assegnata ad un'amministrazione internazionale, mentre quella ad est (all'incirca l'attuale Giordania) avrebbe visto la nascita di una nazione araba.

Con la fine della guerra mondiale e i successivi accordi di Sanremo del 1920, si optò per l'autorizzazione, da parte della Società delle Nazioni, di mandati da affidare al Regno Unito e alla Francia, necessari in teoria per educare alla "democrazia liberale" le popolazioni del disciolto Impero ottomano, prima di concedere loro la completa indipendenza in epoca non determinata. Il mandato britannico divenne operativo completamente nel 1923, anche se l'Esercito di Sua Maestà occupava e controllava completamente il territorio fin dal 1917.

Se la reazione delle popolazioni arabe (musulmane e cristiane) a tali progetti fu vivace e del tutto improntata all'ostilità, diverso fu invece l'atteggiamento del movimento sionista che, forte delle precedenti promesse fattegli, considerò il Mandato britannico della Palestina il primo passo per la futura realizzazione di uno stato ebraico. Sotto questo mandato l'immigrazione ebraica nella zona subì un'accelerazione, anche in forme illegali (soprattutto dopo le restrizioni poste con il Libro Bianco del 1939).

Secondo la relazione dell'UNSCOP del 1947, l'andamento della popolazione in Palestina era stato il seguente:[2]

Anno Musulmani Ebrei Cristiani Altro Totale
1922 486.177 83.790 71.464 7617 649.048
1931 493.147 174.606 88.907 10.101 766.761
1941 906.551 474.102 125.413 12.881 1.518.947
1946 1.076.783 608.225 145.063 15.488 1.845.559

Altre stime si discostano leggermente da queste valutazioni. Secondo uno studio di Sergio Della Pergola[3] che basa i suoi dati su una precedente pubblicazione di Roberto Bachi (The Population of Israel, Jerusalem, Hebrew University, 1977) e sulle informazioni pubblicate dall'Israel Central Bureau of Statistics: Palestinian Central Bureau of Statistics, la popolazione nel periodo sarebbe stata così composta (cifre approssimate in migliaia):

Anno Ebrei Cristiani Musulmani Totale
1890 43 57 432 532
1914 94 70 525 689
1922 84 71 589 752
1931 175 89 760 1.033
1947 630 143 1.181 1.970

La Jewish Virtual Library, citando altri studi (Israel in the Middle East: Documents and Readings on Society, Politics, and Foreign Relations, Pre-1948 to the Present, a cura di Itamar Rabinovich e Jehuda Reinharz, ISBN 978-0-87451-962-4), stima il seguente andamento[4] (cifre approssimate in migliaia):

Anno Ebrei Non ebrei Totale
1882 24 276 300
1918 60 600 660
1931 175 861 1036
1936 384 983 1367
1946 543 1267 1810

In tutti i casi, comunque, le stime sono concordi nell'evidenziare un elevato aumento della popolazione ebraica dopo l'inizio del mandato.

Numerose furono le dimostrazioni di protesta da parte della popolazione araba locale, che spesso sfociarono in veri e propri scontri a tre fra l'esercito britannico, i residenti arabi e i gruppi armati dei coloni ebrei in un crescendo di assalti a villaggi e insediamenti e conseguenti rappresaglie. Nell'ambito di questi scontri nacque l'Haganah, un'organizzazione paramilitare ebraica avente lo scopo di proteggere i kibbutz ebraici e i loro abitanti dagli attacchi arabi e respingere gli aggressori. Dall'Haganah nel 1936 si separò l'ala politicamente più a destra, che dette vita all'Irgun, e da quest'ultima si separò a sua volta nel 1940 il Lehi (poi chiamato "Banda Stern"), gruppo che agli scopi originali affiancò l'uso di atti terroristici sia contro la popolazione araba che contro le forze britanniche.

Spesso gli attriti non erano dovuti all'immigrazione in sé ma ai criteri di assegnazione delle terre: gran parte della popolazione locale, secondo il diritto britannico, non era proprietaria dei terreni ma solo delle piante coltivatevi; di conseguenza molti di essi, benché lavorati da contadini arabi, furono acquistati dai coloni ebrei o dall'Agenzia Ebraica (o a affidati a uno dei due). Tutto ciò, unitamente al divieto di cessione o subaffitto ai non ebrei, di fatto toglieva un'importante fonte di sostentamento a numerosi insediamenti arabi preesistenti.

Il 14 agosto 1929 ebbero luogo i primi scontri generalizzati nel paese, dopo che alcuni gruppi di sionisti marciarono presso il Muro del pianto di Gerusalemme rivendicando a nome dei coloni ebrei l'esclusiva proprietà della Città Santa e dei suoi luoghi sacri; a seguito di questa manifestazione iniziarono a circolare voci su scontri in cui i sionisti avrebbero picchiato i residenti arabi della zona e offeso il profeta Maometto. Come risposta il Consiglio Supremo Islamico organizzò una contromarcia e il corteo, una volta arrivato al Muro, bruciò le pagine di alcuni libri di preghiere ebraiche. Nella settimana gli scontri continuarono e, infiammati dalla morte di un colono ebreo e dalle voci, poi rivelatesi false, sulla morte di due arabi per mano di alcuni ebrei, si ampliarono fino a comprendere tutta la Palestina.

Il 20 agosto l'Haganah offrì la propria protezione alla popolazione ebraica di Hebron (circa seicento persone su un totale di diciassettemila), la quale rifiutò contando sui buoni rapporti che si erano instaurati negli anni con la popolazione araba e i suoi rappresentanti. Il 24 agosto gli scontri però raggiunsero la città, dove furono uccisi quasi settanta ebrei, altri cinquantotto furono feriti, alcune decine fuggirono dalla città e quattrocentotrentacinque trovarono rifugio nelle case dei loro vicini arabi, per poi fuggire dalla città nei giorni successivi. Alla fine di tutti gli scontri si contarono centotrentatré morti e trecentotrentanove feriti tra gli ebrei, quasi tutti causati dai conflitti con la popolazione araba (quasi settanta solo a Hebron), mentre tra gli arabi i morti furono centosedici e i feriti duecentotrentadue, per la maggioranza dovuti a scontri con le forze britanniche.

Una commissione britannica giudicò e condannò i sospettati di stragi e rappresaglie ed emise condanne a morte per diciassette arabi e due ebrei, commutate poi in prigione a vita, tranne quelle di tre arabi, che furono impiccati. La commissione condannò fermamente gli attacchi iniziali della popolazione araba contro i coloni ebraici e le loro proprietà, giustificò le rappresaglie da parte dei coloni ebrei contro gli insediamenti arabi come una legittima difesa dagli attacchi subiti e vide nel timore della creazione di uno stato ebraico la causa di questi attacchi, timore che, per rassicurare la popolazione araba, venne pubblicamente giudicato infondato. Oltre a questo, la commissione raccomandò al governo di riconsiderare le proprie politiche sull'immigrazione ebraica e sulla vendita di terra ai coloni, portando l'anno successivo alla creazione di una commissione apposita guidata da Sir John Hope Simpson. Questa seconda commissione confermò ufficialmente l'esistenza di suddetti problemi e mise in guardia il governo sui rischi per la stabilità della regione nel caso di un loro aggravarsi, sostenendo inoltre che, dati i metodi di coltura dei coloni e quelli tradizionali della popolazione araba, non erano rimaste più terre fertili libere da assegnare a nuovi immigrati ebrei.

La politica di Londra tuttavia non mutò, nonostante vi fossero state nel frattempo varie condanne da parte della Società delle Nazioni, e la situazione precipitò portando allo scoppio di una guerra civile durata tre anni. Le iniziali richieste della popolazione araba di indire elezioni, mettere fine al mandato e bloccare completamente l'immigrazione ebraica ebbero come risultato solo una dura repressione e gli scontri divennero sempre più violenti, causando cinquemila morti tra la popolazione araba, quattrocento tra quella ebraica e duecento tra i britannici.

Dopo tre tentativi falliti di ripartizione delle terre in due stati indipendenti (Gerusalemme e la regione limitrofa però sarebbero rimasti sotto il controllo britannico) e terminata la rivolta, il Regno Unito, con il Libro Bianco del 1939, decise di imporre un limite all'immigrazione, ottenendo però solo un brusco aumento degli arrivi clandestini (anche a causa delle persecuzioni che gli ebrei avevano cominciato a subire da parte della Germania nazista a partire dal 1933). Londra vietò inoltre l'ulteriore acquisto di terre da parte dei coloni ebrei, promettendo di rinunciare al suo mandato entro il 1949 e prospettando per quella data la fondazione di un unico stato di etnia mista arabo-ebraica. Ciò indusse, di conseguenza, gli ebrei di Palestina e le organizzazioni sioniste a cercare negli Stati Uniti quello che fino ad allora aveva concesso loro l'Impero britannico.

Intanto, se da un lato alcuni palestinesi arabi si erano affidati agli atti terroristici come estrema forma di lotta contro una presenza che veniva considerata quella di un occupante straniero, un ricorso più sistematico al terrorismo fu perseguito dalle organizzazioni militanti sioniste, che organizzarono gruppi militari, come l'Haganah e il Palmach, e paramilitari, come l'Irgun e il più estremista Lehi, che si occupavano di intimidire l'elemento arabo o di attaccare i militari e i diplomatici britannici causando diverse centinaia di morti.

Con la seconda guerra mondiale i gruppi ebraici (con l'esclusione della Banda Stern che cercò, senza ottenerla, l'alleanza con le forze naziste in chiave antibritannica), si schierarono con gli Alleati. Molti gruppi arabi, invece, guardarono con interesse all'Asse nella speranza che una sua vittoria sarebbe servita a liberarli dalla presenza britannica.

Agli inizi del 1947 il Regno Unito, provato dal conflitto appena terminato e da una serie di sanguinosi attentati, tra cui quello all'Hotel King David di Gerusalemme (organizzato dai futuri primi ministri israeliani Menachem Begin e David Ben Gurion, anche se quest'ultimo cambiò idea prima che l'attentato fosse compiuto, temendo troppe vittime tra i civili), e quello all'Ambasciata britannica a Roma, decise di rimettere il Mandato palestinese nelle mani delle Nazioni Unite. L'ONU dovette affrontare una situazione che, dopo trent'anni di controllo britannico, era diventata pressoché ingestibile, visto che oramai la popolazione ebraica costituiva un terzo dei residenti in Palestina, anche se possedeva solo il 7% circa del territorio contro il 50% della popolazione araba; la parte restante era in mano al governo britannico. [2] Archiviato il 29 ottobre 2008 in Internet Archive.

Il 15 maggio 1947 fu fondata la UNSCOP (United Nations Special Committee on Palestine), comprendente undici stati (Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, Paesi Bassi, Perù, Svezia, Uruguay, India, Iran, Jugoslavia, Australia), da cui erano esclusi i paesi più influenti, allo scopo di permettere una maggiore neutralità. Sette membri della commissione (Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, Paesi Bassi, Perù, Svezia e Uruguay) votarono a favore della soluzione con due stati divisi con Gerusalemme sotto controllo internazionale; tre, invece, per un unico stato federale (India, Iran, Jugoslavia); una si astenne (Australia). Il problema chiave che l'ONU si pose in quel periodo fu se i rifugiati europei scampati alle persecuzioni naziste dovessero essere ricollegati in qualche modo alla situazione in Palestina. Nella sua relazione[2] la UNSCOP si interrogò su come accontentare entrambe le fazioni, giungendo alla conclusione che soddisfare le pur motivate richieste di entrambi era "manifestamente impossibile", ma che era anche "indifendibile" accettare di appoggiare solo una delle due posizioni.

Il 29 novembre 1947 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò quindi un piano, la Risoluzione dell'Assemblea Generale n. 181, per risolvere il conflitto arabo-ebraico, dividendo il Mandato britannico sulla Palestina in due stati, uno ebraico e l'altro arabo; a favore votarono trentatré paesi (Australia, Belgio, Bolivia, Brasile, Bielorussia, Canada, Costa Rica, Cecoslovacchia, Danimarca, Repubblica Dominicana, Ecuador, Francia, Guatemala, Haiti, Islanda, Liberia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Nicaragua, Norvegia, Panama, Paraguay, Perù, Filippine, Polonia, Svezia, Sudafrica, Ucraina, USA, URSS, Uruguay, Venezuela), contro tredici (Afghanistan, Cuba, Egitto, Grecia, India, Iran, Iraq, Libano, Pakistan, Arabia Saudita, Siria, Turchia, Yemen), dieci si astennero (Argentina, Cile, Cina, Colombia, El Salvador, Etiopia, Honduras, Messico, Regno Unito, Jugoslavia) e uno era assente alla votazione (Thailandia). I paesi arabi fecero ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia sostenendo la non competenza dell'Assemblea delle Nazioni Unite nel decidere la ripartizione di un territorio andando contro la volontà della maggioranza dei suoi residenti, ma il ricorso fu respinto.

 
Voti favorevoli (verde scuro), contrari (marrone), astenuti (giallo chiaro), assenti (rosso) e favorevoli in passato (verde chiaro) alla risoluzione 181

Secondo il piano, lo stato ebraico avrebbe compreso tre sezioni principali collegate da incroci extraterritoriali; lo stato arabo, invece, avrebbe goduto anche di un'enclave a Giaffa. In considerazione della sua importanza religiosa, l'area di Gerusalemme, compresa Betlemme, avrebbe fatto parte di una zona internazionale amministrata dall'ONU. Nel decidere su come spartire il territorio, per evitare possibili rappresaglie da parte della popolazione araba, la UNSCOP considerò anche la necessità di radunare tutte le zone dove i coloni ebraici erano presenti in numero significativo (seppur spesso in minoranza [3]) nel futuro territorio ebraico, aggiungendovi diverse zone disabitate, per la maggior parte desertiche, per un 56℅ complessivo della superficie, in previsione di una massiccia immigrazione dall'Europa una volta abolite le limitazioni imposte dal governo britannico nel 1939.

La situazione sarebbe dunque stata ([4] Archiviato il 18 marzo 2009 in Internet Archive.):

Territorio Popolazione araba % Arabi Popolazione ebraica % Ebrei Popolazione Totale
Stato arabo 725.000 99% 10.000 1% 735.000
Stato ebraico 407.000 45% 498.000 55% 905.000
Zona internazionale 105.000 51% 100.000 49% 205.000
Totale 1.237.000 67% 608.000 33% 1.845.000
Fonte: Report of UNSCOP - 1947

(oltre a questo era presente una popolazione beduina di novantamila persone nel territorio destinato agli ebrei).

Le reazioni alla risoluzione dell'ONU furono diverse. Da parte ebraica tanto la popolazione quanto la maggior parte dei gruppi e l'Agenzia Ebraica la accettarono, pur lamentando la non continuità territoriale tra le varie aree loro assegnate (solo i gruppi più estremisti, come l'Irgun e la Banda Stern la rifiutarono, essendo questi contrari alla presenza di uno stato arabo in quella che veniva definita "la Grande Israele" e al controllo internazionale di Gerusalemme). Da parte araba, invece, il rifiuto fu generalizzato: alcuni gruppi rigettarono totalmente l'ipotesi della creazione di uno stato ebraico; altri criticarono le modalità di spartizione del territorio, che ritenevano avrebbero isolato lo stato arabo, non lasciandogli sbocchi sul Mar Rosso e sul Mar di Galilea, quest'ultimo la principale risorsa idrica della zona; altri ancora erano contrari perché alla minoranza ebraica (un terzo della popolazione totale) veniva assegnata la maggioranza del territorio (la commissione dell'ONU aveva preso quella decisione in virtù della prevedibile immigrazione di massa dall'Europa dei reduci delle persecuzioni della Germania nazista).

Nel Regno Unito il piano suscitò accese reazioni da parte di alcuni laburisti. Thomas Reid, membro di una delle commissioni britanniche, che nel decennio precedente aveva operato in Palestina, affermò in un lungo discorso in parlamento:

«È uno schema iniquo [...] Non credo alle favole sull'America, sull'onnipotente dollaro, e tutto il resto. Gli americani sono un nobile popolo e sono più idealisti della maggior parte delle nazioni del mondo. Ma ho una critica da fare all'America in questa occasione, o perlomeno ai delegati americani all'ONU. Quale è il motivo? Siamo franchi. Uno dei motivi principali è che gli ebrei hanno un ruolo decisivo nella elezione del Presidente. Io dico che la principale ragione di questa proposta malvagia dell'O.N.U. è che i partiti politici in America, o le loro organizzazioni, sono parzialmente alla mercé elettorale degli ebrei.[5]»

Il Regno Unito si astenne dal votare e rifiutò apertamente di seguire le raccomandazioni del piano, che riteneva si sarebbe rivelato inaccettabile per entrambe le parti, e annunciò che avrebbe terminato il proprio mandato il 15 maggio 1948.

Fasi della guerraModifica

Prima fase: 29 novembre 1947 - 1º aprile 1948Modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra civile del 1947-1948 nella Palestina mandataria.

Il giorno seguente l'adozione da parte delle Nazioni Unite della Risoluzione 181, sette ebrei furono uccisi da arabi in Palestina in tre separati incidenti: alle 8 di mattino, in quello che fu poi considerato il giorno inaugurale della guerra del 1948,[6] tre arabi attaccarono un bus che da Netanya andava a Gerusalemme, uccidendo cinque passeggeri ebrei. Mezz'ora dopo un secondo bus attaccato lasciò un passeggero morto. Più avanti nella giornata un uomo di venticinque anni fu colpito a morte a Giaffa,[7] dove voci incontrollate parlavano di attacchi di ebrei ad arabi.[8]

Prigionieri arabi tentarono anche di aggredire ebrei nella prigione di San Giovanni d'Acri, ma furono respinti dai guardiani. A Gerusalemme il Supremo Comitato Arabo proclamò uno sciopero generale di tre giorni, da giovedì 2 dicembre, che doveva essere seguìto da dimostrazioni di massa dopo la preghiera del venerdì. La decisione del Comitato includeva otto risoluzioni, l'ultima delle quali chiedeva al governo britannico di "cedere immediatamente la Palestina alla sua popolazione araba".[9] Il 2 dicembre una folla razziò e bruciò botteghe e negozi nel quartiere commerciale ebraico a Gerusalemme, senza che le forze britanniche vi si opponessero. Dall'avvio dello sciopero in poi gli scontri fra arabi ed ebrei si moltiplicarono e l'11 dicembre il corrispondente da Gerusalemme di The Times stimò che almeno 130 persone erano morte, «...circa settanta delle quali ebree, cinquanta arabe e, fra le restanti, tre soldati e un poliziotto britannici»[10].

Mentre l'impegno britannico in Palestina volgeva al termine, attacchi alle forze di Londra da parte dell'Irgun e del Lehi aumentarono, sicché i britannici divennero riluttanti e intervennero in maniera via via più inconsistente. Due disertori britannici, Eddie Brown, un capitano della polizia che accusava l'Irgun di avergli ucciso il fratello, e Peter Madison, un caporale dell'esercito, sono noti per aver partecipato all'attacco dinamitardo a bordo di un'autovettura contro il Palestine Post del 1º febbraio e contro un gruppo di persone che transitava lungo la commerciale Ben-Yehuda Street il 22 febbraio.[11] Disertori britannici combatterono anche nelle formazioni miliziane ebraiche; la maggioranza con l'Ottava Brigata Corazzata di Yitzhak Sadeh insieme a Moshe Dayan. Allo stesso tempo la violenza crebbe sempre più da parte dei due contendenti, impegnati in azioni di cecchinaggio, incursioni e bombardamenti che costarono la vita a numerose persone d'ambo gli schieramenti. Fra il 30 novembre 1947 e il 1º febbraio 1948 427 arabi, 381 ebrei e 46 britannici furono uccisi e 1035 arabi, 725 ebrei e 135 britannici furono feriti. Nel marzo del 1948 soltanto, 271 ebrei e 257 arabi furono uccisi.[12]

Col passare dei mesi dalla decisione della spartizione, forze sempre più organizzate s'impegnarono in azioni di crescente violenza. La Legione araba attaccò un convoglio di autobus di civili ebrei a Beit Nabala il 14 dicembre, e il 18 dicembre le forze dell'Haganah, forse muovendo dalle loro posizioni fortificate dei kibbutz e del Palmach, aggredirono il villaggio di al-Khisas. Tre settimane più tardi le prime milizie irregolari arabe giunsero in Palestina e la leadership araba cominciò a organizzare i palestinesi per la guerriglia contro le forze ebraiche.

Il gruppo maggiore fu costituito da una formazione di volontari, l'Esercito Arabo di Liberazione, creato dalla Lega Araba e comandato dal nazionalista arabo Fawzī al-Qawuqjī. In gennaio e febbraio forze irregolari arabe attaccarono comunità ebraiche nel nord della Palestina ma senza conseguire sostanziali successi. Gli arabi concentrarono i loro sforzi nel tagliare le vie di comunicazione fra le città ebraiche e il loro circondario in aree a popolazione mista. Alla fine di marzo gli arabi tagliarono del tutto la vitale strada che univa Tel Aviv a Gerusalemme, dove viveva un sesto circa della popolazione ebraica palestinese. L'Haganah si approvvigionò di armi provenienti dalla Cecoslovacchia (si veda Operazione Balak). L'Yishuv cominciò a lavorare su un piano chiamato "Piano Dalet" (ossia "Piano D").

Ufficialmente il Piano Dalet prevedeva solo la difesa dei confini del futuro stato israeliano e la neutralizzazione delle basi dei possibili oppositori (era comunque esplicitamente prevista, tra le varie possibilità, la distruzione degli insediamenti arabi di difficile controllo), fossero questi interni al confine o oltre. Alcuni studiosi, principalmente tra quelli filopalestinesi (ma a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta anche alcuni "nuovi storici" israeliani),[13] ritengono che al di là degli scopi ufficialmente dichiarati, il Piano D fu impiegato come giustificazione, da parte dei gruppi più estremisti, per la realizzazione di veri e propri massacri, come quello avvenuto a Deir Yassin, senza che le forze ebraiche moderate potessero intervenire per evitarli. Queste azioni, secondo alcuni storici, sarebbero state anche impiegate come forma di "pressione psicologica" per convincere i palestinesi ad abbandonare spontaneamente i loro insediamenti sul territorio assegnato allo Stato di Israele.[14][15][16][17]

Seconda fase: 1º aprile 1948-15 maggio 1948Modifica

Le forze ebraiche dimostrarono di essere militarmente più forti di quanto gli arabi si attendessero e da maggio le loro unità attaccarono città e villaggi arabi, specialmente quelli che controllavano le strade per isolare le popolazioni ebraiche. La strada per Gerusalemme era bloccata da combattenti arabi posizionati nei villaggi ai bordi della stessa. La città di Gerusalemme era sotto assedio da parte degli arabi. Numerosi convogli di camion che portavano cibo e altri rifornimenti alla città assediata vennero attaccati.

Nell'Operazione Nachshon l'Haganah proseguì i suoi attacchi ai combattenti arabi mischiati con i civili e aprì temporaneamente la strada per Gerusalemme (20 aprile). Alcuni di questi villaggi lungo la strada per la città vennero attaccati e demoliti e la popolazione fu costretta a fuggire lasciando, di conseguenza, quelle zone libere per la successiva colonizzazione da parte della popolazione ebraica.

Il 9 aprile ebbe luogo il massacro di Deir Yassin (un villaggio arabo ufficialmente neutrale nel conflitto, che aveva stretto un patto di non aggressione con l'Haganah), compiuto dalle forze dell'Irgun e del Lehi, guidate dal futuro primo ministro israeliano Menachem Begin, che provocò circa centosette morti, quasi tutti civili, e l'abbandono del villaggio da parte della restante popolazione (circa settecentocinquanta persone). Il massacro ebbe una grande eco nell'opinione pubblica e fu anche denunciato dal futuro primo ministro (successivo 14 maggio) Ben-Gurion. Milstein sostiene che il partito di sinistra Mapai e David Ben-Gurion sfruttarono il massacro di Deir Yassin per bloccare il tentativo in atto di accordo politico e di governo con l'ala destra dei revisionisti, associati con l'Irgun e il Lehi.[18]

Il massacro di Deir Yassin provocò il panico tra la popolazione araba e gran parte di essa fuggì, mentre ciò poteva aver avvantaggiato le forze ebraiche, che incontrarono minor resistenza nei villaggi spopolati. L'accaduto infiammò però l'opinione pubblica dei paesi arabi fornendo ad essi ulteriori motivi per inviare truppe regolari a combattere. Come rappresaglia per la strage quattro giorni dopo, il 13 aprile, gli arabi compirono anch'essi un massacro, quello di un convoglio medico che viaggiava verso l'ospedale di Hadassah. Circa settantasette tra medici, infermieri e altri civili ebrei furono uccisi.

Per porre fine all'assedio le forze ebraiche, guidate dal colonnello dell'esercito statunitense David Marcus, costruirono la Strada di Birmania (dal nome della strada costruita dagli Alleati tra Birmania e Cina durante la seconda guerra mondiale), una strada tortuosa lungo le impervie montagne che portano a Gerusalemme. La Strada di Birmania permise alle forze ebraiche di liberare la città dall'assedio arabo il 9 giugno, pochi giorni prima che le Nazioni Unite negoziassero un cessate il fuoco.

Nel frattempo una frenetica attività diplomatica si svolse tra tutte le parti in causa. Il 10 maggio Golda Meir rappresentò lo Yishuv nell'ultimo di una lunga serie di incontri clandestini tra i sionisti e re ʿAbd Allāh della Transgiordania. Mentre per mesi c'era stato un tacito accordo tra sionisti e Transgiordania per impedire l'istituzione di uno stato palestinese, con la Transgiordania ad occupare le aree arabe, all'incontro del 10 maggio ʿAbd Allāh offrì alla leadership dello Yishuv solo l'autonomia all'interno di un regno hashemita ampliato. Ciò era inaccettabile per la leadership ebraica.

Nonostante ciò, con una sola eccezione, l'esercito transgiordano si astenne nella guerra successiva dall'attaccare le aree ebraiche designate della regione palestinese. Il 13 maggio la Lega Araba si riunì e concordò l'invio di truppe regolari in Palestina allo scadere del mandato britannico. ʿAbd Allāh di Transgiordania venne nominato comandante in capo delle armate arabe, ma i vari eserciti arabi rimasero ampiamente scoordinati per tutto il corso della guerra.

Terza fase: 14 maggio 1948-11 giugno 1948Modifica

 
Attacchi tra il 15 maggio e il 10 giugno 1948

Il Mandato britannico sulla Palestina scadeva il 15 maggio, ma i comandi ebraici condotti dal futuro primo ministro David Ben-Gurion dichiararono l'indipendenza il 14 maggio. Lo Stato d'Israele si proclamò nazione indipendente e fu rapidamente riconosciuto dall'Unione Sovietica, dagli Stati Uniti e dalle altre nazioni che sedevano in quella che, all'epoca, era la neonata Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Nei pochi giorni successivi, approssimativamente mille soldati libanesi, mille siriani, cinquemila iracheni e diecimila egiziani invasero il neocostituito stato. Quattromila soldati transgiordani invasero il cosiddetto Corpus separatum, la regione cioè che comprendeva Gerusalemme e i suoi dintorni, come pure le aree indicate come parte dello stato arabo dal Piano di partizione delle Nazioni Unite. Essi furono aiutati da corpi di volontari dell'Arabia Saudita, della Libia e dello Yemen.

In un cablogramma ufficiale[19] del Segretario generale della Lega degli Stati Arabi al suo omologo dell'ONU del 15 maggio 1948, gli stati arabi pubblicamente proclamarono il loro intento di creare uno "Stato unitario di Palestina" al posto dei due stati uno ebraico e l'altro arabo, previsti dal piano dell'ONU. Essi reclamarono che questi ultimi non erano validi perché ad essi si opponeva la maggioranza degli arabi palestinesi, e confermarono che l'assenza di un'autorità legale rendeva necessario intervenire per proteggere le vite e le proprietà arabe.[20]

Israele, gli USA e l'URSS definirono l'ingresso degli stati arabi in Palestina un'aggressione illegittima. Il segretario generale dell'ONU Trygve Lie lo descrisse come "la prima aggressione armata che il mondo abbia mai visto dalla fine della seconda guerra mondiale". La Cina, invece, sostenne con decisione le rivendicazioni arabe. Entrambe le parti nei mesi seguenti incrementarono il numero di truppe mobilitate, ma il vantaggio d'Israele crebbe continuamente come risultato del coinvolgimento progressivo dell'intera società israeliana, accresciuta dall'afflusso mensile di circa diecimilatrecento immigrati.

Forze israeliane nel 1948
Forza iniziale 29.677
4 giugno 40.825
17 luglio 63.586
7 ottobre 88.033
28 ottobre 92.275
2 dicembre 106.900
23 dicembre 107.652
30 dicembre 108.300

(Fonte: Ahron Bregman, 2002, p. 24, che cita il Diario della guerra di Ben-Gurion)

Il 26 maggio 1948 le Forze di Difesa Israeliane (FDI) furono ufficialmente istituite e l'Haganah, il Palmach e l'Irgun furono assorbiti dall'esercito del nuovo stato ebraico. Man mano che la guerra proseguiva le FDI riuscirono a mettere in campo più truppe delle forze arabe. Dal luglio 1948, le FDI avevano sessantatremila combattenti; dall'inizio della primavera del 1949, centoquindicimila. Gli eserciti arabi avevano una forza stimata in quarantamila uomini nel luglio 1948, saliti a cinquantacinquemila nell'ottobre del 1948, e poco di più nella primavera del 1949.

Tutte le risorse aeree ebraiche furono poste sotto il controllo dello Sherut Avir (servizio aereo noto come SA) nel novembre del 1947 e le operazioni aeree cominciarono il mese dopo da un piccolo aeroporto nei sobborghi di Tel Aviv, chiamato Sde Dov, con la prima azione di supporto terrestre che ebbe luogo il 17 dicembre. Lo Squadrone Galilea fu formato a Yavniel nel marzo 1948 e lo Squadrone Negev fu creato a Nir-Am in aprile. Il 10 maggio, allorché l'SA registrava la sua prima perdita in combattimento, vi erano tre unità aeree, uno stato maggiore dell'aeronautica, impianti di manutenzione e logistica operativi. Allo scoppio della guerra, il 15 maggio, l'SA divenne l'Aviazione Militare Israeliana ("Israeli Air Force", IAF, in ebraico: זרוע האוויר והחלל, Zroa HaAvir VeHaḤalal, lett. "Arma dell'Aria e dello Spazio"), ma durante le primissime settimane di guerra, non fu in grado di affrontare le forze aeree arabe, che impiegavano T-6 Texan, Supermarine Spitfire, C-47 e Avro Anson modificati ("Arab Ansons"), tant'è vero che la maggior parte delle perdite arabe fu il risultato delle azioni della RAF britannica in risposta alle incursioni arabe sulle basi aeree del Regno Unito[21] presso Haifa il 22 maggio, nel corso delle quali cinque Spitfire egiziani furono abbattuti.

Fu anche nel corso di questo periodo che il bilancio della supremazia aerea cominciò a virare a favore dell'aviazione militare israeliana grazie all'acquisto di venticinque Avia S-199 dalla Cecoslovacchia, il primo dei quali arrivò in Israele il 20 maggio (si trattava di derivati dell'aereo tedesco Messerschmitt Bf 109, particolarmente utili come contrapposizione agli Spitfire egiziani). La prima incursione su una capitale araba avvenne nella notte tra il 31 maggio e il 1º giugno, quando tre aerei israeliani bombardarono Amman.[22] Le FDI acquisirono la superiorità aerea nell'autunno del 1948, nonché quella della potenza di fuoco e dell'addestramento del personale, gran parte del quale aveva partecipato ad azioni militari nella seconda guerra mondiale.[23]

La prima missione delle FDI fu quella di resistere agli eserciti arabi e di impedire loro di distruggere i principali insediamenti ebraici fin quando non fossero giunti rinforzi e nuove armi. Il combattimento più pesante lo si ebbe a Gerusalemme e sulla strada Gerusalemme-Tel Aviv fra la Legione Araba transgiordana e le forze israeliane. Re Abd Allāh di Giordania ordinò a Glubb Pascià, il comandante della Legione Araba, di entrare a Gerusalemme il 17 maggio e si ebbero pesanti combattimenti casa per casa fra il 19 e il 28 maggio, con la Legione Araba che riuscì ad espellere le forze israeliane dai quartieri arabi di Gerusalemme, come pure dal quartiere ebraico della Città Vecchia. Le truppe irachene fallirono invece nei loro attacchi agli insediamenti ebraici (la battaglia più importante ebbe luogo a Mishmar Haemek), e presero posizione difensiva attorno a Jenin, Nablus e Tulkarm.

A nord, l'esercito siriano fu bloccato nel kibbutz di Degania dagli occupanti solo grazie a dell'armamento leggero. Un carro armato messo fuori uso da una bomba Molotov era ancora presente all'interno del kibbutz. Più tardi un bombardamento d'artiglieria con cannoni del XIX secolo sistemati alla meglio condusse al ritiro dei siriani dal kibbutz.

Nel corso dei successivi mesi l'esercito siriano fu respinto e così pure gli irregolari palestinesi e l'Esercito Arabo di Liberazione (Arab Liberation Army, ALA). A sud, un attacco egiziano riuscì a penetrare le difese di numerosi kibbutzim israeliani, ma con pesanti perdite. Questo attacco fu bloccato vicino ad Ashdod. Le forze armate israeliane riuscirono non solo a mantenere il controllo militare dei territori ebraici loro assegnati dal piano dell'ONU, ma ad ampliarlo nelle aree teoricamente attribuite agli arabi.

Prima tregua: 11 giugno 1948-8 luglio 1948Modifica

L'ONU proclamò una tregua il 29 maggio, che entrò in vigore l'11 giugno e sarebbe terminata 28 giorni dopo. Il cessate il fuoco fu sorvegliato dal mediatore delle Nazioni Unite Folke Bernadotte. Un embargo di armi fu dichiarato con l'intenzione che nessuna delle parti potesse trarre vantaggi dalla tregua. Al termine di essa, Folke Bernadotte presentò un nuovo piano di partizione che avrebbe assegnato la Galilea, la regione più settentrionale della Palestina, agli ebrei e il Negev, la regione più meridionale, agli arabi. Entrambe le parti contendenti lo respinsero. L'8 luglio le forze armate egiziane ripresero le operazioni di guerra, riaccendendo in tal modo i combattimenti.

Quarta fase: 8 luglio 1948-18 luglio 1948Modifica

I dieci giorni, a metà dell'estate, fra le due tregue furono dominati in larga misura dall'offensiva israeliana e dall'atteggiamento difensivo della parte araba. L'Operazione Dani fu la più rilevante e mirò a mettere in sicurezza e ad allargare il corridoio fra Gerusalemme e Tel Aviv, conquistando le cittadine lungo il tragitto anzidetto di Lidda (poi chiamata Lod) e di Ramle. I residenti di Lidda e Ramle, circa cinquantamila palestinesi, furono obbligati dagli israeliani ad abbandonare le città dando luogo a quello che sarebbe stato il più ampio esodo di popolazioni di tutto il conflitto.

In un secondo momento le posizioni fortificate di Latrun, dominanti Gerusalemme e la città di Ramallah, furono ugualmente conquistate dagli israeliani. Questo secondo piano fu la cosiddetta Operazione Dekel, il cui fine era quello di conquistare la Bassa Galilea, inclusa Nazareth. Il terzo piano, al quale furono destinate scarse risorse, fu invece l'Operazione Kedem, per assicurarsi la Città Vecchia di Gerusalemme.[24]

Operazione DaniModifica

Lidda fu essenzialmente difesa dall'esercito transgiordano, ma anche le milizie palestinesi e l'Esercito Arabo di Liberazione furono presenti. La città fu attaccata da nord via Majdal al-Sadiq e al-Muzayri'a, e da est via Khulda, al-Qubab, Jimzu e Danyal. Per colpirla furono anche impiegati per la prima volta dei bombardieri. L'11 luglio 1948 le forze israeliane presero la città e il giorno dopo conquistarono anche Ramle. Il 15 e il 16 luglio attaccarono Latrun ma non riuscirono ad occuparla. Le sferrarono un secondo disperato attacco il 18 luglio tramite unità della Brigata Yiftach, dotata di veicoli corazzati che comprendevano due carri armati Cromwell, ma anche questa volta senza successo. Fu dichiarata una seconda tregua il 18 luglio, ma gli israeliani perseverarono nei loro tentativi di conquista fino al 20 luglio.

Operazione DekelModifica

Mentre l'Operazione Dani procedeva al centro, nel nord si attuava l'Operazione Dekel. Nazaret fu presa il 16 luglio e al momento dell'entrata in vigore della seconda tregua l'intera Bassa Galilea dalla baia di Haifa al Lago Kinneret era stata conquistata dagli israeliani.

Operazione KedemModifica

Originariamente l'operazione doveva scattare l'8 luglio, immediatamente dopo la prima tregua, e essere attuata dall'Irgun e dalla Banda Stern, ma fu rinviata da David Shaltiel, forse perché non credeva nelle loro capacità dopo il fallimento di conquista di Deir Yassin senza l'aiuto dell'Haganah. Le forze dell'Irgun, comandate da Yehuda Lapidot (Nimrod), dovevano aprirsi un varco alla Porta Nuova. Il Lehi doveva distruggere il muro che si stendeva dalla Porta Nuova alla Porta di Giaffa e il battaglione Beit Hiron doveva colpire dal Monte Zion.

Era previsto che la battaglia iniziasse alle 20,00 del venerdì 16 luglio, che era già sabato per gli ebrei, con la conseguente applicazione delle relative disposizioni religiose, un giorno prima del secondo cessate il fuoco. Il piano registrò problemi seri fin dalle sue prime battute e fu posposto dapprima alle 23,00 e poi alla mezzanotte. Non fu prima delle 2,30 di notte che la battaglia cominciò. Gli appartenenti all'Irgun tentarono d'infrangere il blocco alla Porta Nuova ma le altre forze ebraiche in campo fallirono il loro obiettivo. Alle 5,45 del mattino, Shaltiel ordinò una ritirata e la fine delle ostilità.

Seconda tregua: 18 luglio 1948-15 ottobre 1948Modifica

Alle 19,00 del 18 luglio entrò in vigore la seconda tregua del conflitto, dopo intensi sforzi diplomatici condotti dall'ONU.

Il 16 settembre Folke Bernadotte propose una nuova partizione per la Palestina in base alla quale la Transgiordania avrebbe annesso le aree arabe, inclusi il Negev, al-Ramla e Lydda, lo stato ebraico avrebbe inglobato l'intera Galilea, Gerusalemme avrebbe avuto un'amministrazione internazionale e i rifugiati avrebbero potuto tornare alle loro terre d'origine o essere indennizzati. Anche questo nuovo piano fu però respinto da entrambe le parti in causa.

Il giorno dopo Bernadotte fu assassinato dalla Banda Stern e il suo vice, lo statunitense Ralph Bunche, lo rimpiazzò.

Quinta fase: 15 ottobre 1948-20 luglio 1949Modifica

Operazioni israelianeModifica

 
Soldati israeliani attaccano Sa'sa' durante l'operazione Hiram

Tra il 15 ottobre 1948 e il 20 luglio 1949 Israele lanciò una serie di operazioni militari per respingere gli eserciti arabi e rendere sicure le sue frontiere.

 
Battaglie d'ottobre in quella che da Israele è considerata la sua "guerra d'indipendenza"

Il 24 ottobre fu lanciata l'Operazione Hiram, che fu un successo completo e con la quale gli israeliani conquistarono l'intera Alta Galilea, respingendo l'Armata di Liberazione Araba e l'esercito libanese in Libano, avanzando addirittura di cinque miglia all'interno del Libano, in direzione del fiume Leonte.

Il 15 ottobre si passò all'Operazione Yoav nel Negev settentrionale. L'obiettivo era quello di inserire un cuneo fra le forze egiziane lungo la costa palestinese e la strada Beersheba-Hebron-Gerusalemme per conquistare infine l'intero Negev. Condotta dal comandante del Fronte Meridionale, Yigal Allon, anche questa azione ottenne i risultati sperati, perché disordinò i ranghi dell'esercito egiziano e forzò le truppe del Cairo a ritirarsi sia dal Negev settentrionale che dalle cittadine di Beersheba e Ashdod. Il 22 ottobre, infine, un commando di sommozzatori della marina israeliana affondò la nave egiziana Amīr Fārūq.

Il 22 dicembre fu la volta dell'Operazione Horev, chiamata anche "Operazione Ayin", grazie alla quale l'intero Negev fu sgombrato dalla presenza egiziana, minaccia per le comunità ebraiche meridionali. Gli israeliani avanzarono a Nitzana e nella Penisola del Sinai e circondarono l'esercito egiziano nella Striscia di Gaza costringendolo a ritirarsi e ad accettare il cessate il fuoco. Per gli israeliani fu una vittoria decisiva perché il 7 gennaio fu raggiunto un accordo di tregua. Le forze israeliane, su pressioni internazionali, evacuarono poi il Sinai e Gaza.

Il 5 marzo prese il via l'Operazione Uvda. Il 10 marzo gli israeliani giunsero a Umm Rashrash, dove più tardi sarà costruita la città di Eilat, e la conquistarono senza dover combattere (presero parte alle operazioni la Brigata Negev e la Brigata Golani). Dai vincitori fu innalzato un vessillo artigianale realizzato con l'inchiostro ("The Ink Flag") che reclamava Umm Rashrash come parte d'Israele.

Risoluzione dell'ONU n. 194Modifica

Nel dicembre 1948 l'Assemblea Generale dell'ONU approvò la Risoluzione 194 che dichiarava, fra l'altro, che nel contesto di un accordo generale di pace "ai rifugiati che avessero voluto tornare alle proprie case e vivere in pace coi loro vicini, sarebbe stato permesso di farlo" e che "sarebbe stato pagato l'indennizzo per le proprietà di quanti avessero scelto di non tornare". La risoluzione dava mandato inoltre di creare una commissione di conciliazione dell'ONU. Tuttavia le parti coinvolte non fecero alcun progresso nella sua applicazione e il problema dei rifugiati palestinesi rimase.

Aeroplani britanniciModifica

A mezzogiorno del 7 gennaio 1949 quattro Spitfire FR 18 della RAF appartenenti al 208º squadrone, in volo di perlustrazione nell'area di Deir al-Balah, inavvertitamente sorvolarono un convoglio israeliano che era stato da poco attaccato dall'aviazione militare egiziana. I soldati delle forze israeliane spararono contro gli aerei e abbatterono uno degli velivoli britannici. I restanti tre aerei furono abbattuti da due Spitfire di pattuglia dell'aviazione israeliana condotti da Slick Goodlin e John McElroy, dei volontari provenienti rispettivamente dagli Stati Uniti e dal Canada. Più tardi in quella giornata quattro Spitfire della RAF appartenenti allo stesso squadrone, scortati da sette aerei Tempest dello squadrone nº 213 e da altri otto Tempest del 6º, alla ricerca degli aerei abbattuti del 208º, furono aggrediti da quattro Spitfire dell'aviazione israeliana e uno fu abbattuto, uccidendo il pilota David Tattersfield.[25] Un altro Tempest fu danneggiato da un velivolo israeliano pilotato da Ezer Weizman. L'ultimo scontro fra Israele e RAF nel corso del conflitto riguardò un Mosquito PR. 34 del 13º squadrone RAF in missione di perlustrazione topografica, che venne abbattuto il 20 novembre 1948 da un P-51, alla cui guida era l'israeliano Waine Peake.[26]

ConseguenzeModifica

Accordo di armistizio del 1949Modifica

 
Confronto tra i confini decisi dalla partizione ONU del 1947 e l'armistizio del 1949

Nel 1949 Israele firmò armistizi separati con l'Egitto il 24 febbraio, con il Libano il 23 marzo, con la Transgiordania il 3 aprile e con la Siria il 20 luglio, riuscendo a tracciare i propri confini, che compresero il 78 % della Palestina mandataria, il 50 % in più di quanto previsto dal Piano di partizione dell'ONU. Tali linee di cessate il fuoco divennero più tardi note come la Green Line ("Linea Verde"). La Striscia di Gaza e la Cisgiordania, invece, furono occupate rispettivamente da Egitto e Transgiordania.

PerditeModifica

Israele perse circa l'1 % della sua popolazione in guerra: seimilatrecentosettantatre persone. Quasi quattromila furono i militari e il resto civili.

Il numero esatto delle perdite arabe non è noto ma è stimato fra i cinquemila e i quindicimila morti.[27]

Conseguenze demograficheModifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Esodo palestinese del 1948.

Le Nazioni Unite stimarono che settecentoundicimila palestinesi, metà della popolazione araba della Palestina dell'epoca, fuggirono, emigrarono o furono obbligati a sgomberare durante il conflitto.[28] Questo "esilio" fu chiamato "al-Nakba" (in arabo: النكبة‎), lett. "la catastrofe".[29] Alcuni hanno rivelato che numerosi palestinesi seguitarono a credere che gli eserciti arabi avrebbero prevalso ed affermarono pertanto di voler tornare nelle loro terre d'origine.[30]

NoteModifica

  1. ^ Pollack, 2004; Sadeh, 1997
  2. ^ a b (EN) United Nations Special Committee on Palestine, Recommendations to the General Assembly, A/364, 3 September 1947 Archiviato il 25 gennaio 2009 in Internet Archive.
  3. ^ Sergio Della Pergola, Demography in Israel/Palestine: Trends, Prospects, Policy Implications Archiviato il 30 dicembre 2008 in Internet Archive.
  4. ^ (EN) Jewish and Non-Jewish Population of Palestine-Israel Archiviato il 18 gennaio 2017 in Internet Archive., dal sito della Jewish Virtual Library.
  5. ^ Hansard, Dec 11 1947
  6. ^ Benevisti, 2002, p. 101.
  7. ^ Gilbert, 1998, p. 155.
  8. ^ "7 Jews Murdered", The Palestine Post, 1º dicembre 1947, p. 1.
  9. ^ Palestine's Arabs Kill Seven Jews, Call 3-Day Strike, New York Times, 1º dicembre 1947, p. 1.
  10. ^ Fighting in Jerusalem, The Times, 12 dicembre 1947, p. 4; Issue 50942; col E.
  11. ^ Bowyer Bell, 1996, p. 268
  12. ^ (EN) [1], The 1948 War, dalla Jewish Virtual Library
  13. ^ Dominique Vidal, Le Péché originel d'Israël. L'expulsion des Palestiniens revisitée par les «nouveaux historiens» israéliens Archiviato il 24 luglio 2008 in Internet Archive. (Il Peccato originale d'Israele. L'espulsione dei Palestinesi rivisitata dai «nuovi storici» israeliani), da I seminari di Le Monde diplomatique, 8 marzo 2006, dal sito cartografareilpresente.org (titolo originale)
  14. ^ (EN) Plan Dalet, il testo del piano
  15. ^ (EN) Deir Yassin: The Conflict as Mass Psychosis, articolo sul massacro di Deir Yassin, con approfondimento su come questo viene usato dalla propaganda filoisraeliana e filopalestinese
  16. ^ Yoav Gelber, Palestine 1948, Appendix II - Propaganda as History: What Happened at Deir Yassin? Archiviato il 27 febbraio 2008 in Internet Archive.
  17. ^ (EN) A new history lesson in Israel, articolo dell' International Herald Tribune del 2 agosto 2007
  18. ^ Morris 2001, nota 208, p. 706
  19. ^ (EN) Testo originale su wikisource
  20. ^ 'The Origins and Evolution of the Palestine Problem: 1917-1988. Part II, 1947-1977 Archiviato il 26 maggio 2011 in Internet Archive..
  21. ^ Ramat David
  22. ^ Aloni, 2001, pp. 7-11
  23. ^ Morris, 2001, pp. 217-18
  24. ^ Mappa degli attacchi Archiviato il 14 aprile 2005 in Internet Archive.
  25. ^ Aloni, 2001, p. 22
  26. ^ Aloni, 2001, p. 18
  27. ^ Mid-Range Wars and Atrocities of the Twentieth Century
  28. ^ Rapporto Generale e Rapporto Supplementare della Commissione di Conciliazione dell'ONU per la Palestina, sul periodo 11 dicembre 1949 - 23 ottobre 1950 Archiviato il 3 giugno 2007 in Internet Archive., pubblicato dalla Commissione di Conciliazione dell'ONU, 23 ottobre 1950 (U.N. General Assembly Official Records, 5th Session, Supplement No. 18, Document A/1367/Rev. 1). La commissione asseriva che le stime erano state le più accurate possibili, "...per quanto le circostanze lo avevano permesso", e attribuiva che la stima più elevata fosse motivata, fra le altre cose, "...dal raddoppio delle tessere di razionamento, dall'incremento di persone che erano state deportate da aree diverse da quelle occupate da Israele e da persone che, per quanto non deportate, erano ridotte alla miseria."
  29. ^ (EN) Stern, Yoav. "Palestinian refugees, Israeli left-wingers mark Nakba" Archiviato il 23 luglio 2008 in Internet Archive., Ha'aretz, Tel Aviv, 13 May 2008; Nakba 60 Archiviato il 12 giugno 2008 in Internet Archive., BADIL Resource Center for Palestinian Residency and Refugee Rights; Cleveland, William L. A History of the Modern Middle East, Boulder, CO: Westview Press, 2004, p. 270 ISBN 978-0-8133-4047-0
  30. ^ "The Arab Refugees", New York Post, 30 novembre 1948 Reproduction.

Voci correlateModifica

Altri progettiModifica

Controllo di autoritàLCCN (ENsh85068706 · J9U (ENHE987007565403505171