Impegno sociale modifica

Già durante il 1800, il pensiero di Alessandro Rossi risultava moderno, in quanto come industriale agì anche al di fuori dei cancelli della fabbrica e dimostrò un largo coinvolgimento nella vita sociale dei propri operai.[1] Grande spazio nella sua visione sociologica fu dato alla tutela della salute e della vita degli operai che lavoravano nelle sue attività, in base anche all'educazione al rispetto del padre Francesco Rossi. Quest’ultimo ritenne già ai suoi tempi di dover fornire fornelli e stanze dedicate a riscaldare il cibo nelle fabbriche, dove gli operai che venivano da lontano potevano ripararsi dalle intemperie e mangiare un pasto caldo.[1]

Fu inoltre grazie al padre che potè seguire, già dai 17 anni, il lavoro sul campo al fianco dei propri dipendenti e iniziare a creare quelle idee di modernità industriale che sarebbero state la sua fortuna.[1] Questa vicinanza lo portò inoltre a considerare i punti di vista di chi aveva meno risorse e a cercare di migliorare significativamente le loro condizioni di vita. I suoi numerosi viaggi all'estero gli permisero di sperimentare diverse culture e di aprire la mente a nuovi modi di pensare, sfruttando al meglio la sua grande fame di sapere.[1]

Fu in gioventù uno studente metodico e avido di novità, spaziando dall'architettura alla letteratura degli illuministi francesi, dalla sociologia di Jean Jacques Rousseau all'economia di Adam Smith. Non tralasciò lo studio di arti più pratiche come l'agricoltura e il commercio riesaminando i testi di Sully e Colbert.[1]

Il suo pensiero sociale fu influenzato anche dagli avvenimenti e dalle condizioni dei lavoratori del suo tempo, soprattutto riguardo le prime associazioni sindacali tessili in Francia, dalle Trade Unions dei minatori in Inghilterra e dei Cavalieri del Lavoro in Irlanda.[1]

Un punto in particolare emerge dal suo pensiero: che il dissidio tra capitale e lavoro sia una questione da valutare attentamente e che la meccanicizzazione arrivi a considerare l'operaio come parte dell'ingranaggio industriale e non come individuo.

«I nostri operai sono troppo abbandonati a se stessi, alle loro povertà e alla loro ignoranza...Siamo noi padroni responsabili della loro vita morale: noi dobbiamo educare e mutare la loro vita, farne vita civile di uomini e di lavoratori[1]»

Alfabetizzazione modifica

Nel pensiero e nell'azione di Alessandro Rossi, è necessario evidenziare alcuni aspetti fondamentali: “il dovere, da parte dell'azienda, di corrispondere formazione”, “il senso di rivalutazione della figura dell'operaio” (basti pensare al "Monumento al Tessitore") e “l'importanza data all'istruzione” sia dell'età prescolari (Asilo Rossi) sia quella industriale e tecnica. Tutte queste opere educative si rivolgevano all'evoluzione della persona attraverso l'istruzione [2]. Alessandro Rossi contribuì in modo fondamentale all'alfabetizzazione della popolazione, coinvolgendo tutte le età. Egli allargò la considerazione del problema formativo dall'istruzione ad ogni ordine e grado, con particolare attenzione a quella primaria e alla formazione professionale. Il Lanificio Rossi organizzò intorno agli stabilimenti una rete di scuole, con lo scopo principale di costituire un educandato operajo[3]. Per realizzare tale fine:

  • fu impartita ai figli degli operai un'istruzione relativamente completa, per rispondere ai nuovi programmi governativi dopo l'unificazione d'Italia del 1861;
  • le scuole si sostituirono ai genitori, impegnati nelle fabbriche, occupandosi dell'educazione fisica e morale dei loro figli, in modo che crescessero sani, onesti e utili. Infatti lo scopo ultimo era quello di preparare e formare esperti giovanotti che avrebbero lavorato in fabbriche, officine e negozi della città, onorando e amando il proprio lavoro.[3]
 
Piccoli alunni dell'Asilo Rossi

Partendo dalla prima infanzia, nel 1872 venne costruito un asilo-scuola nel Nuovo quartiere in fase di urbanizzazione. Questa nuova edificazione fu possibile grazie alla sollecitazione dell'amministrazione comunale di Schio da parte di Alessandro Rossi, il quale voleva potenziare le strutture scolastiche e prese le redini dei lavori di costruzione. Questa nuova struttura venne inaugurata e donata al Comune nel 1876.[3]

Nell'asilo aziendale, costruito in seguito per venire incontro ai suoi operai, il regolamento stabiliva che il vestiario, l'alimentazione e l'assistenza in generale, fossero a carico del Lanificio Rossi. Inoltre la madre interveniva per l'allattamento, ad ore prefissate.[3]

Per quanto riguarda l'istruzione della scuola primaria, nel 1873, Rossi avviò l'edificazione di due scuole elementari, una femminile e una maschile. L'anno successivo, le due scuole vennero riunite in un unico stabile, ma in due ali separate: nel 1874 fu attiva l'ala maschile e nel 1875 quella femminile. L'edificio accoglieva bambini dai 7 agli 11 anni, i quali venivano istruiti con gli insegnamenti primari previsti, aggiungendo delle lezioni pratiche, differenziate per genere: alle femmine venivano insegnati i lavori donneschi, mentre ai maschi i lavori di fabbrica.[3]

Per ridurre il tasso di analfabetismo nella popolazione adulta inoltre Rossi organizzò dei corsi serali e dei corsi di preparazione professionale interni al Lanificio, convinto che solo con l'istruzione i suoi operai, la comunità e la sua azienda potessero fiorire. Dal 1866 al 1872 gli operai analfabeti maschi si ridussero dal 65% al 22%, mentre le operaie dal 85% al 35%. A partire dal 1871, i proprietari di ciascuna fabbrica si occuparono dell'istruzione operaia, utilizzando registri e tabelle, come era solito fare con i prodotti industriali. Inoltre, vennero offerti premi di profitto e orari speciali a chi frequentava i corsi e aveva un rendimento scolastico equiparato a quello lavorativo.[3]

«Il capitale pone come un fattore indispensabile, accanto alle spese generali, l'impianto e lo sviluppo delle istituzioni operaie. Queste cominciano dal bambino raccolto di giorno nell'asilo dell'infanzia (elemento di incivilimento per le madri e di attrazione per i padri) per accompagnarlo prima alla scuola elementare coll'educazione morale, cogli esercizi ginnastici e poi, via via più o meno rudimentale, a quella serale e tecnica. E mentre il Mutuo Soccorso, la Cassa fitti famigliarizzano l'operaio alla previdenza, le Biblioteche popolari ne aumentano l'istruzione; gli esercizi drammatici e musicali ingentiliscono lo spirito; i bagni pubblici, l'infermeria curano la salute, e la vecchiaia ripara in pace nella casetta e nell'orto o in proprietà o vitalizi che per gli uomini del lavoro prepara il Nuovo quartiere[3]»

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Il 1° novembre 1878 venne anche inaugurata la Scuola Industriale di Vicenza, situata nei Chiostri di S. Corona. Questa scuola fu strutturata a convitto con annessi studio e officina, con obbligo di dimora per gli studenti iscritti alla scuola. Allo scoppio della prima guerra mondiale, la scuola fu trasferita a Roma, poiché Vicenza era troppo vicina al fronte. Quando la guerra finì, la scuola fu riaperta a Vicenza , ma il numero di iscrizioni aumentava sempre di più, così fu necessario togliere il convitto, e trasformarla in una scuola diurna. All'interno di questa scuola si diplomò anche Federico Faggin, inventore del primo microprocessore[4].

Fabbrica e società modifica

A differenza di altri poli industriali dell'epoca a Schio non venne rilevato un peggioramento delle condizioni sanitarie della popolazione dovuto al lavoro in fabbrica, con la significativa diminuzione della disoccupazione, della mancanza di cibo e della povertà. Furono inoltre combattute con buoni risultati le malattie infettive infantili e le malattie lavoro correlate (respiratorie, circolatorie e nervose) grazie anche alle istituzioni mutualistiche e assistenziali volute da Alessandro Rossi. Rimanevano comunque un'alta mortalità infantile (in linea con le statistiche del tempo) e vi furono casi di tisi e tubercolosi dovuti alle condizioni lavorative (gli sbalzi di temperatura tra le varie sale di lavoro erano notevoli) e alle scarse norme igieniche nelle case operaie.[3]

 
Regolamento interno Lanificio Rossi 1873

Per tutelare l'ordine ed evitare problemi sociali la vita di fabbrica era regolata da rigide norme comportamentali che gli operai dovevano seguire per non incorrere in sanzioni economiche. Orario di entrata ed uscita dal lavoro erano molto rigidi per tutti i dipendenti, erano pretesi atteggiamenti corretti e pulizia della propria postazione e anche i comportamenti al di fuori della fabbrica erano motivo di valutazione della moralità del soggetto, a volte inscindibile dal rendimento lavorativo. Gravi mancanze erano considerate le ingiurie e i litigi, il linguaggio scurrile e i comportamenti contro la legge.[3]

La costruzione del Giardino Jacquard, adiacente alla Fabbrica Alta, fu funzionale anche al benessere fisico e psicologico degli operai, che poterono beneficiare di momenti all'aria aperta nelle pause di lavoro e di un luogo ricreativo facilmente accessibile. Il lavoro minorile fu oggetto di attenzione e dal 1877 non vennero più accettati lavoratori al di sotto dei 12 anni e senza regolare vaccinazione. Fino al compimento dei 18 anni il salario veniva consegnato direttamente ai genitori per il sostentamento della famiglia.[3]

Per sostenere la vita sociale furono istituite anche molte attività extra lavorative come la biblioteca circolante, ricca di volumi donati da Rossi, gruppi di teatro, attività religiose e giornate tematiche organizzate dalla Direzione per gli operai. Nacque nel 1877 anche un Circolo Operaio per riunioni e intrattenimenti, anche se le conferenze e i ritrovi di stampo socialista non erano ben visti per paura di scioperi e richieste a favore dei diritti dei lavoratori.[1]

Perno della rivoluzione sociale rossiana fu la famiglia, individuata come funzionale al progetto di industrializzazione. Molti furono i trasferimenti dalle campagne e interi nuclei familiari vennero impiegati nelle fabbriche e nelle istituzioni di Alessandro Rossi, seguiti nella formazione scolastica e per i quali vennero costruite numerose opere architettoniche (giardini, teatri e chiese). Era suo scopo infatti quello di creare un modello di famiglia operaia che fosse dedito al lavoro e moralmente retto, assumendo spesso per questo madre, padre e figli che risiedevano poi nel Quartiere operaio e portavano avanti un'idea comunitaria favorevole alla crescita industriale.[1]

Nella visione di Alessandro Rossi sussiste una tendenza al paternalismo, per rafforzare la sua figura e l'idea di lui come un padre benevolo e autorevole.[1]

 
Alessandro Rossi negli anni Novanta del XIX sec.

Se la figura maschile venne favorita e supportata nell'istruzione, per la donna invece il ruolo fu ancora quello della produttrice e della madre di famiglia. Il lavoro femminile ebbe diversi picchi negli anni ma fu sempre molto alto e presente (nel 1888 si contano 800 donne su 1000 operai), senza per questo migliorare di molto la qualità della vita delle operaie. L'attenzione infatti sembra fosse principalmente per i figli e per i futuri operai, dando alle madri un salario molto inferiore e in linea con la concezione maschilista del tempo.[3] La dote delle ragazze in età da marito fu comunque una preoccupazione del Rossi e molte furono le donazioni per sostenere le giovani coppie. Le madri potevano poi assentarsi dal lavoro per allattare i propri figli e le istituzioni scolastiche come l'Asilo di maternità furono un grande aiuto nella gestione familiare.[3]

Vita nel nuovo quartiere modifica

Nel 1872 Alessandro Rossi si avvalse, come per altre realizzazioni, dell'opera dell'architetto Antonio Caregaro Negrin per la costruzione di un nuovo quartiere che ospitasse i suoi operai e che permettesse loro di abitare vicino al luogo di lavoro, diventando proprietari di un immobile con contratto a riscatto.[5]

Il progetto del Negrin colpisce subito per l'immediata evocazione della città giardino; si presenta come uno dei grandi giardini da lui progettati in precedenza, in cui, all'interno delle aiuole, trovano sistemazione più abitazioni con giardino e orto ben disegnati. Le abitazioni, distinte per quattro classi si differenziavano principalmente per gli standard edilizi, per le rifiniture interne ed esterne e per i servizi offerti. Da precisare poi, che le case di fattura più pregiata si trovavano lungo il viale principale (attuale via Maraschin) e poi a scalare verso il torrente, dove erano collocate quelle di quarta classe. I servizi si trovavano nella piazza centrale. Altra zona di concentrazione era l'angolo sud-est, mentre tra il torrente e la zona edificata venne realizzata una zona verde. Il nucleo dei servizi comprendeva ristorante, birreria, caffè-lettura, ginnastica e vendita commestibili per complessivi 12 servizi di quartiere, mentre i servizi a scala urbana erano bagni e lavanderia, asilo di maternità e teatro.[5]

 
Progetto del "Nuovo Quartiere" di Schio (1872) di A. C. Negrin

Alessandro Rossi era spesso presente nel quartiere e oltre che in fabbrica, faceva regolarmente visita alle scuole e alle strutture ricreative. Era infatti usuale vederlo all'interno della scuola serale a seguire le lezioni dei propri operai e la mattina salutare i piccoli dell'asilo che entravano nell'edificio, chiamandoli per nome e portando loro piccoli doni.[1]

L’operaio veniva favorito fin dalla sua assunzione in fabbrica con la possibilità di acquistare a riscatto un’abitazione nel Quartiere operaio, che aveva specifici accorgimenti atti a tutelare il benessere della famiglia che vi avrebbe abitato. Ogni casa, anche quelle di classe più semplice, infatti era esternamente diversa per colore, per dimensione e decorazione per evitare un’eccessiva sensazione di omologazione e possedeva uno spazio verde di proprietà, un servizio igienico (cosa rara al tempo), un sottotetto ed una cantina. Importante per Rossi era tutelare le radici rurali delle famiglie che si trasferivano dalle campagne e dare loro la possibilità di avere un piccolo pezzo di orto dove coltivare i propri ortaggi e facilitare il proprio sostentamento alimentare.[5]

L'acquisto era regolato da norme precise e nella stesura dei contratti di vendita, Rossi si rifà alle già sperimentate esperienze in altri paesi europei in particolar modo all'esperienza del quartiere “Gladbach” di Verviers.[5]

Le clausole del contratto erano le seguenti: l'acquirente diveniva proprietario della casa non appena aveva versato un terzo del prezzo precedentemente stabilito;alla firma del contratto il locatario doveva versare un terzo dell'importo totale e annualmente una quota che fosse almeno pari a un dodicesimo del prezzo stesso, oltre all'interesse del 6% sul capitale non ancora versato; i versamenti erano mensili, inoltre,il proprietario non doveva eseguire cambiamenti senza il consenso della società ed era vietato subaffittare l'abitazione.

 
Progetto del "Nuovo Quartiere" di Schio (1896), di A. C. Negrin

Confronto tra il progettato e il realizzato [6] modifica

Ia Classe IIa Classe IIIaClasse
Progetto 1872 Realizzato 1897 Progetto 1872 Realizzato 1897 Progetto 1872 Realizzato 1897
Area (mq) 36.926 36.326 11.327 17.74 43.778 31.415
Edificato 6377 3824 1974 1816 7397 5508
Abitazioni 42 24 19 26 78 136
mq per abitazione 151,8 159,3 103,9 69,8 94,9 40,5

Bibliografia modifica

  • Istituto Tecnico Industriale Statale Alessandro Rossi, Storia e storie dell'istituto Rossi, Racconti di protagonisti, Vicenza, 2003.
  • G.L. Fontana(a cura di), Schio e Alessandro Rossi. Imprenditorialità, politica, cultura e paesaggi del secolo Ottocento, Edizioni di storia e letteratura Roma 1986.
  • Ferruccia Cappi Bentivoglia, Alessandro Rossi e i suoi tempi, Editore Barbera, Firenze 1955
  • Antonia Munarini (a cura di), Grazie Alessandro, 2016, Schio

Voci correlate modifica

Note modifica

  1. ^ a b c d e f g h i j k Ferruccia Cappi Bentivegna, Alessandro Rossi e i suoi tempi, Firenze, Edizioni Barbera, 1955.
  2. ^ Istituto Tecnico Industriale Statale Alessandro Rossi, Storia e storie dell'istituto Rossi, Racconti di protagonisti, Vicenza, 2003.
  3. ^ a b c d e f g h i j k l G.L Fontana, Schio e Alessandro Rossi: imprenditorialità, politica, cultura e paesaggi sociali del secondo Ottocento, Edizioni di storia e letteratura, 1986.
  4. ^ Antonia Munarini (a cura di), Grazie Alessandro, Schio, 2016.
  5. ^ a b c d (a cura di) G.L. Fontana, Schio e Alessandro Rossi. Imprenditorialità, politica, cultura e paesaggi del secolo Ottocento,, Roma, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1986.
  6. ^ (a cura di) G.L. Fontana, Edizioni di storia e letteratura Roma 1986., Schio e Alessandro Rossi. Imprenditorialità, politica, cultura e paesaggi del secolo Ottocento,, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1986, p. 352.