Utente:DerfelDiCadarn87/Matrimonio in Giappone

Una coppia di sposi giapponese

Il matrimonio in Giappone è un istituto giuridico-sociale che si pone alla base della famiglia giapponese. Le coppie sono legalmente sposate una volta modificato il proprio stato coniugale sul registro familiare, senza la necessità di una cerimonia. La maggior parte delle cerimonie nuziali si svolge secondo le tradizioni shintoiste o nelle cappelle secondo le tradizioni matrimoniali cristiane.

Per lunghi tratti della storia giapponese i matrimoni combinati hanno rappresentato la norma. Dal secondo dopoguerra in poi, la distinzione tra questi ultimi e i matrimoni convenzionali (in cui le parti decidono di sposarsi di comune accordo, senza alcuna interferenza esterna) è diventata sempre più labile man mano che l'immagine del matrimonio è stata influenzata dalle idee occidentali di amore romantico.

L'istituzione del matrimonio in Giappone è radicalmente cambiata nel corso della storia. Le usanze giapponesi si adattarono prima al confucianesimo cinese durante l'epoca medievale e poi ai concetti occidentali di individualismo, uguaglianza di genere, amore romantico e famiglia nucleare durante l'era moderna. Usi e costumi una volta esclusivi dell'aristocrazia si diffusero rapidamente tra la gente comune una volta che la popolazione divenne sempre più civilizzata.

Periodo Nara (710-794)

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Durante il periodo Nara, secondo la legislazione amministrativa e penale riguardante il matrimonio e il divorzio contenuta nel Codice Yōrō (in vigore dal 757), il matrimonio era con tutta probabilità di tipo matrilocale, e costituiva dunque un'istituzione non compatibile con il paradigma confuciano della famiglia patriarcale cinese, da cui la società giapponese trasse grande ispirazione nel corso dei secoli successivi.[1] È possibile comunque la compresenza di una discendenza patrilineare e matrilineare, dove l'individuo ereditava aspetti diversi da padre e madre (per esempio quelli politici dal primo e quelli rituali dalla seconda, o viceversa).[2]

Periodo Heian (794-1185)

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Yūgiri, il figlio di Genji, legge una lettera. Le forme di corteggiamento tipiche della società Heian, così come gli intrighi amorosi e le tresche, sono ben rappresentati nella letteratura del periodo.

Il periodo Heian della storia giapponese segnò il culmine della sua epoca classica, quando la grande corte imperiale si stabilì a Heian-kyō (la moderna Kyoto) portando con sé la propria cultura e le proprie tradizioni. La società Heian era organizzata secondo un elaborato sistema gerarchico e lo scopo del matrimonio era quello di mettere al mondo eredi del migliore lignaggio possibile. Non si trattava di un evento cerimoniale né necessariamente destinato a perdurare nel tempo.[3] Tra gli aristocratici il corteggiamento consisteva in scambi di lettere e poesie che duravano mesi o anni prima dell'effettivo incontro. Se un uomo vedeva la stessa donna per almeno tre notti, essi erano considerati ufficialmente sposati e i genitori della moglie organizzavano un banchetto in onore della coppia. Gli appartenenti alle classi inferiori erano invece soliti impegnarsi in matrimoni duraturi con un unico partner, e alla sposa era permesso entrare a far parte della nuova famiglia, al fine di garantire la legittimità della prole. I nobili di alto rango talvolta possedevano diverse mogli o concubine. Alle mogli dei nobili era permesso rimanere nella casa paterna e la paternità del marito era riconosciuta con la presentazione formale di un dono.[4]

Periodo Edo (1600-1868)

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Nel Giappone pre-moderno, il matrimonio era inestricabile dallo ie (? traducibile come "gruppo familiare"[5]), l'unità di base della società secondo cui la famiglia aveva la precedenza sui desideri individuali, in cui i concetti di pietà filiale e stratificazione sociale tipici del confucianesimo erano tenuti in grande considerazione.[6] La famiglia, piuttosto che l'individuo, era infatti considerata l'elemento collante che avrebbe garantito la sopravvivenza all'interno del sistema sociale;[7] la scelta di rimanere celibe, e di non perpetuare così il nome di famiglia, era quindi considerata uno dei più grandi crimini che un uomo potesse commettere.[8] L'organizzazione del matrimonio spettava di norma al capofamiglia, dotato di potere decisionale quasi assoluto su moglie e figli, e qualunque rimostranza da parte di uno degli interessati in un contratto coniugale era considerata inopportuna. La proprietà era dote dell'intero nucleo famigliare e il figlio maggiore era designato come unico erede della famiglia. In assenza di eredi maschi, all'interno dello ie poteva rientrare anche il genero, o qualsiasi estraneo che avesse anche solo un minimo grado di parentela, al quale veniva dato il cognome della famiglia. Questo avveniva anche anche nel caso in cui i figli maschi non fossero ritenuti degni di perpetuare il nome di famiglia.[9] La donna, una volta entrata nella nuova famiglia,[10] aveva il dovere di onorare, più di quanto non facesse con i genitori, i propri suoceri, obbedire e servire il marito, mostrarsi accondiscendente e premurosa, e donare degli eredi alla propria casata.[11]

 
Un matrimonio in Giappone in un'illustrazione del 1867

Il matrimonio era limitato alle famiglie di pari condizione sociale (分限?, bungen) e la scelta del partner risultava essere un processo meticoloso e di cruciale importanza per il futuro della famiglia. Anche se l'etica confuciana incoraggiava le persone a sposarsi al di fuori del proprio gruppo, limitare la ricerca all'interno della comunità locale rimaneva il modo più semplice per assicurarsi un buon partito. Circa un matrimonio su cinque nel Giappone pre-moderno avveniva tra famiglie già relazionate tra loro.[3] Le comunità estranee come i Burakumin non potevano sposarsi al di fuori della loro casta e la discriminazione matrimoniale continuò anche dopo che un decreto del 1871 ebbe abolito il sistema delle caste, anche durante il XX secolo.

Lo scopo del matrimonio durante il periodo Edo era quello di formare alleanze tra famiglie, togliere a queste l'onere delle figlie a carico, perpetuare la propria stirpe e, soprattutto per le classi inferiori, aggiungere nuovi membri alla forza lavoro della famiglia.[12] La totale sottomissione della donna nei confronti del marito e dei suoceri era la chiave di volta che teneva in piedi l'intero sistema sociale giapponese e veniva considerato l'unico modo per dare pace e stabilità al Paese, benché fosse noto il totale sacrificio delle donne a questo tipo di gerarchia.[11] Gli stessi mariti erano incoraggiati ad anteporre i bisogni dei genitori e dei figli a quelli della moglie.[12]

L'amore romantico (愛情?, aijō) giocava una parte insignificante nei matrimoni dell'epoca, poiché l'attaccamento emotivo veniva percepito come sintomo di immoralità e indecenza.[13] Un proverbio del tempo recita: «coloro che stanno insieme nelle passione rimangono insieme nelle lacrime».[14] Per gli uomini la gratificazione sessuale era considerata un atto distinto dai rapporti coniugali con la moglie, dove lo scopo era la procreazione. Il concubinaggio e la prostituzione erano assai diffusi, pubblici e relativamente accettati, fino a che il turbamento sociale della restaurazione Meiji non pose fine alla società feudale in Giappone.[15]

Restaurazione Meiji e modernizzazione (1868-1912)

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Rappresentazione del matrimonio tra il principe Yoshihito e la principessa Sadako, 1900

Durante il periodo Meiji i matrimoni combinati resi popolari dalle classi più abbienti andarono a sostituire gradatamente le usanze in auge nelle comunità rurali. La rapida urbanizzazione e industrializzazione spinsero sempre più persone a trasferirsi nelle grandi città, portando a un ridimensionamento della vita contadina. Tra il 1872 e i primi anni del Novecento l'istruzione pubblica divenne praticamente universale, e le scuole continuavano a sottolineare l'importanza del concetto tradizionale di pietà filiale, in primo luogo verso la nazione, poi verso la famiglia e, infine, verso i propri interessi privati. Il matrimonio sotto la Costituzione Meiji richiedeva l'autorizzazione del capofamiglia (articolo 750) e dei genitori per gli uomini sotto i 30 anni e per le donne al di sotto dei 25 anni (articolo 772).[16] I matrimoni tra giapponesi e stranieri non furono legalizzati prima del 14 marzo 1873,[17] una data che oggi coincide con il White Day.

 
Il miai in una stampa di Suzuki Harunobu

Nell'ambito dei matrimoni combinati prese sempre più piede la pratica del miai (見合い? lett. "guardarsi l'un l'altro"), dove due persone libere da legami sentimentali venivano fatte incontrare affinché prendessero in considerazione la possibilità di sposarsi. Nata come usanza samurai nel periodo Edo, agli inizi del XX secolo il miai veniva descritto come «un incontro formale in cui gli amanti potevano vedersi, talvolta persino parlarsi e così discutere delle proprie virtù».[18] I membri della giovane coppia avevano comunque poca o nessuna voce in capitolo nell'organizzazione del matrimonio. Quest'ultima era affidata a un mediatore specializzato (仲人?, nakōdo), che si assumeva l'onere e la responsabilità di comunicare ai genitori l'eventuale rifiuto o la conclusione positiva dell'accordo. I genitori avevano anche il potere di richiamare i figli presso la propria abitazione se non soddisfatti dell'esito del matrimonio.[19]

Durante questo periodo il corteggiamento divenne consuetudine sempre più rara. I ragazzi e le ragazze erano separati nelle scuole, nelle sale cinematografiche e nei ritrovi sociali. I colleghi che intraprendevano una relazione romantica rischiavano il licenziamento e per le coppie in viaggio durante la seconda guerra mondiale era previsto l'arresto. I genitori talvolta organizzavano un matrimonio combinato per legittimare le relazioni amorose dei figli, ma spesso esse terminavano con una forzata separazione e in casi estremi con il suicidio.[20] L'amore era ritenuto un segno di debolezza mentale e morale[21] e inessenziale al matrimonio. Il barone Hozumi, che aveva studiato all'estero, propose di inserire l'assenza di amore tra i possibili motivi di divorzio, ma la mozione non venne accolta durante la stesura della Costituzione Meiji del 1898.[22]

 
Rappresentazione di una cerimonia nuziale degli inizi del XX secolo

Il matrimonio, come altre istituzioni sociali dell'epoca, sottolineava l'inferiorità subordinata delle donne agli uomini. Le donne era tenute, come figlie, a obbedire al padre, come mogli al marito, come vedove ai loro figli. La castità della donna all'interno del matrimonio rappresentava una virtù importante, e una legge che non venne abrogata fino al 1908 permetteva al marito di uccidere moglie e amante se colti a commettere adulterio. La prostituzione femminile sopravvisse all'intromissione ricorrente degli ideali puritani nella sessualità storicamente meno restrittiva del Giappone.[23]

Le leggi sul divorzio divennero più eque nel tempo. Sebbene non esistano fonti che chiariscano da un punto di vista legale la normativa in materia di matrimonio e di divorzio nelle epoche posteriori al periodo Nara, è risaputo che durante il periodo Edo il marito poteva ripudiare la moglie con una semplice comunicazione scritta (三行半?, mikudarihan, lett. "tre righi e mezzo"), mentre l'unica alternativa della moglie era di rifugiarsi per due anni in un monastero femminile, dopo i quali avrebbe potuto fare ritorno dalla propria famiglia.[24] Durante il periodo Meiji vennero mantenuti i motivi per cui un uomo avrebbe potuto chiedere il divorzio dalla moglie già presenti nel Codice Yōrō: sterilità, adulterio, disobbedienza ai genitori, loquacità, furto, gelosia e malattie gravi. Anche la donna tuttavia, accompagnata da un parente stretto, poteva chiedere il divorzio in caso di abbandono, libertinaggio, incarceramento o malattia del marito. La costituzione del 1898 stabilì inoltre il principio del reciproco consenso, ma è possibile che per le donne si trattasse il più delle volte di un consenso forzato almeno fino all'inizio del XX secolo, quando queste iniziarono gradualmente ad avere accesso all'istruzione e a essere economicamente indipendenti.[25] La lotta per i diritti al divorzio segnò l'inizio del femminismo in Giappone.

Secondo dopoguerra (dal 1945 a oggi)

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L'imperatore Hirohito con la moglie Kōjun e i loro figli nel 1941

Dopo la seconda guerra mondiale, con la ratifica della nuova della Costituzione del 1947 venne garantita l'uguaglianza tra i sessi esplicitamente in relazione al matrimonio: «Il matrimonio sarà basato unicamente sul consenso reciproco di entrambi gli sposi e sarà mantenuto attraverso una mutua collaborazione, sulla base di eguali diritti per il marito e per la moglie. Le leggi riguardanti la scelta del coniuge, i diritti di proprietà, l'eredità, la scelta del domicilio, il divorzio e altre questioni relative al matrimonio e alla famiglia saranno formulate ispirandosi ai principi della dignità individuale e dell'eguaglianza fondamentale dei sessi».[26]

Sotto l'influenza delle autorità di occupazione alleate la società giapponese iniziò una graduale transizione verso un modello convenzionale più occidentale, con l'abolizione del sistema ie e una profonda rivisitazione del concetto di autorità patriarcale. Sebbene ogni nucleo famigliare fosse tenuto ancora a indicare un capofamiglia nel proprio registro famigliare, esso non aveva più alcuna prerogativa legale sugli altri membri della famiglia. La scelta del capofamiglia poteva inoltre ricadere sia sull'uomo sia sulla donna. Il diritto all'eredità venne allargato a tutti i figli legittimi, maschi e femmine, mettendo fine alla successione primogenitura e portando a un ridimensionamento dell'importanza del lignaggio. Le donne conquistarono il diritto di voto e la possibilità di chiedere il divorzio per l'infedeltà del marito. Anche l'ideologia nazionalista e i valori confuciani tipici del periodo Meiji scomparvero dai programmi didattici scolastici.[27]

 
Pranzo in una famiglia giapponese degli anni cinquanta

Emersero inoltre nuove tendenze demografiche, come l'aumento considerevole dell'età media del primo matrimonio, una minore differenza di età tra i coniugi, il concepimento dei figli nei primi anni di matrimonio e un basso tasso di divorzialità.[28] L'occupazione a vita divenne la norma per i lavoratori giapponesi, soprattutto durante il boom economico degli anni cinquanta, sessanta e settanta. L'ideologia della classe media fece emergere un modello familiare di genere con sfere sociali ben definite: un marito impiegato nel settore terziario che si occupa del sostentamento economico della famiglia, una casalinga deputata all'educazione dei bambini e dei figli totalmente dediti all'istruzione.[29] Una migliore sanità e alimentazione significarono un rapido aumento dell'aspettativa di vita, e le politiche governative incoraggiarono la formazione di sansedai kazoku (三世代家族? "famiglie di tre generazioni") per contrastare il drastico invecchiamento della società.[30]

I matrimoni organizzati rimasero la norma nei primi anni del dopoguerra, anche se i decenni successivi videro un costante aumento del numero dei matrimoni per amore (恋愛?, ren'ai). Negli anni tale distinzione è diventata sempre più labile: i genitori consultano quasi sempre i figli prima di "organizzare" un matrimonio, e molti giovani chiedono al proprio datore di lavoro o insegnante di fungere da mediatore all'inizio di una relazione sentimentale.[29] In età contemporanea solo una coppia sposata su venti descrive la loro unione come combinata e un corteggiamento di molti anni è diventato la norma anche per le relazioni che iniziano con un miai. Tre coppie su cinque si incontrano sul posto di lavoro o attraverso amici o fratelli.[31]

Dati demografici

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Secondo il censimento del 2010 il 58,9% della popolazione adulta giapponese è sposata, il 13,9% delle donne e il 3,1% degli uomini è vedovo, e il 5,9% delle donne e il 3,8% degli uomini è divorziato.[32] Il numero annuale di matrimoni è diminuito a partire dai primi anni 1970, mentre i divorzi hanno mostrato una tendenza generale al rialzo.[33]

Matrimonio e fertilità

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Il declino del matrimonio in Giappone, dove sempre più persone decidono di sposarsi il più tardi possibile o non sposarsi affatto, è visto come una delle principali cause della diminuzione del tasso di natalità e dell'invecchiamento del paese.[33][34][35] Anche se il tasso di fecondità totale è continuato a calare dagli anni settanta del XX secolo[36] (fino al minimo storico di 1,26 del 2005[37]), le statistiche di nascita per le donne sposate sono rimaste abbastanza costanti (a circa 2,1) e la maggior parte delle coppie sposate ha due o più figli.[38] Fattori economici come le spese che comportano la crescita di un figlio, lo scarso equilibrio tra vita e lavoro e spazi abitativi sempre più ridotti sono i motivi più comuni per i quali le giovani madri (sotto i 34 anni) riescono ad avere meno bambini di quanti desiderati. Il numero di coppie senza figli o con un solo figlio è aumentato dal 2002 (fino al 23,3% nel 2010), anche se il desiderio di costruire famiglie più grandi rimane immutato.[39] A causa di tabù sociali, pressioni legali e problemi finanziari soltanto il 2% delle nascite avviene fuori dal matrimonio (rispetto al 30-60% dell'Europa e del Nord America).[40] Metà delle madri single giapponesi vive sotto la soglia della povertà, tra le percentuali più alte tra i paesi OCSE.[41]

  1. ^ Mazzei, 1970, pp. 53-73 e Sekiguchi, 2003, pp. 27-46 citati in Migliore, 2016, p. 191.
  2. ^ Kurihara, 2012 citato in Migliore, 2016, p. 191.
  3. ^ a b (EN) Society - Marriage in Japan, su Japan Reference, 4 marzo 2013. URL consultato il 5 ottobre 2017.
  4. ^ Kurihara, 1999.
  5. ^ Il termine può essere tradotto come "casa", "dimora" o anche "famiglia", ma è il suo significato è molto più complesso di quanto queste parole implichino. Vedi Sugimoto, 2010, p. 157.
  6. ^ Hendry, 2010, pp. 14-15.
  7. ^ Iwasawa, 1998, p. 233.
  8. ^ Hozumi, 1901, pp. 48-49 citato in Hendry, 2010, p. 18.
  9. ^ «A ereditare è uno solo, e può essere anche un estraneo 'adottato' dalla famiglia. I confini tra parente e non parente risultano pertanto artificiosi; anche una famiglia che sembri basata sui legami di sangue può infatti comprendere estranei semplicemente connotati da un grado di parentela. Chiunque può essere reclutato oppure escluso dallo ie.» in MacFarlane, 2010, p. 97.
  10. ^ In giapponese i kanji di "donna" (?, onna) e ie (?) formano la parola "moglie" (?, yome), mentre la parola giapponese per "matrimonio" (嫁入り?, yomeiri) significa letteralmente "ingresso della moglie" o "ingresso della donna nello ie". Vedi Hendry, 2010, p. 16.
  11. ^ a b Corona, 1990, pp. 83-85.
  12. ^ a b Hendry, 2010, p. 18.
  13. ^ «It is very clear that we do not marry for love. If a man is know to have broken this rule, we look upon him as a mean fellow, and sadly lacking in morality. Public sentiment places love for a woman very low in the scale of morals. [...] We place love and brutal attachment on the same plane.» in Tamura, 1893, pp. 2-3.
  14. ^ Hendry, 2010, p. 19.
  15. ^ Hendry, 2010, pp. 19-21 e Fukutake, 1967, p. 44.
  16. ^ Hendry, 2010, pp. 14-17, 22-23.
  17. ^ (JA) 国際結婚の日(3月14日), su bunzo.jp. URL consultato il 23 febbraio 2020 (archiviato dall'url originale il 17 maggio 2009).
  18. ^ «[...] a meeting at which the lovers (if persons unknown to each other may be so styled) are allowed to see, sometimes even to speak to each other, and thus estimate each others' merits.» in Chamberlain, 1902, p. 309.
  19. ^ Hendry, 2010, pp. 18, 22-23 e Corona, 1990, pp. 70-73.
  20. ^ Hendry, 2010, pp. 24-25.
  21. ^ Kawashima, 1954, p. 143 e segg.
  22. ^ West, 2011, p. 183.
  23. ^ Hendry, 2010, p. 20.
  24. ^ «[...] a partire dai primi anni del periodo Edo la donna poteva ottenere il divorzio rifugiandosi in uno dei "monasteri per il taglio del legame karmico" (縁切寺?, enkiridera), detti anche "monasteri in cui rifugiarsi" (駆け込み寺?, kakekomidera). [...] Il bakufu decise di limitare tale diritto di asilo a due soli monasteri femminili, il Tōkei-ji di Kamakura e il Manpuku-ji del villaggio di Tokugawa nella provincia di Kōzuke (attuale prefettura di Gunma). La donna [...] alla fine del periodo era libera di tornare nella sua famiglia di origine, perché il monastero le aveva concesso il "divorzio per legge del monastero" (寺法離縁?, jihō rien), regolarmente riconosciuto dall'autorità del bakufu.» in Migliore, 2016, pp. 196-197.
  25. ^ Hendry, 2010, pp. 21-22 e Migliore, 2016, pp. 196-197.
  26. ^ Articolo 24 della Costituzione del Giappone in Paolo Biscaretti di Ruffia (a cura di), Costituzioni straniere contemporanee, vol. 1, 4ª ed., Milano, Giuffrè, 1985, ISBN 9788814004780.
  27. ^ Hendry, 2010, pp. 26-28 e Kelly, 1993, pp. 208-210.
  28. ^ Coleman, 1983, pp. 183-214.
  29. ^ a b Schirokauer, Brown, Lurie e Gay, 2012, pp. 609-611.
  30. ^ Kelly, 1993, pp. 208-210.
  31. ^ National Institute of Population and Social Security Research, 2011b, pp. 2-4.
  32. ^ Population and Households of Japan, 2010, p. 33 (tabella 3-1).
  33. ^ a b Statistical Handbook of Japan, 2017, pp. 18-19.
  34. ^ La crisi dei matrimoni in Asia, in Il Post, 19 agosto 2011. URL consultato il 25 ottobre 2017.
  35. ^ (EN) Why the Japanese are having so few babies, in The Economist, 24 luglio 2014. URL consultato il 25 ottobre 2017.
  36. ^ Statistical Handbook of Japan, 2017, p. 16.
  37. ^ Dopo 6 anni, torna a crescere il tasso di natalità, su asianews.it, 2 gennaio 2007. URL consultato il 25 ottobre 2017.
  38. ^ National Institute of Population and Social Security Research, 2011b, pp. 7-8.
  39. ^ National Institute of Population and Social Security Research, 2011b, pp. 9-14.
  40. ^ (EN) Share of births outside of marriage (PDF), Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, 2016. URL consultato il 25 ottobre 2017.
  41. ^ (EN) Half of single-mother households in Japan below poverty line, among worst in OECD rankings, in Asahi Shinbun, 9 settembre 2014. URL consultato il 25 ottobre 2017 (archiviato dall'url originale il 20 ottobre 2014).

Bibliografia

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Storia e società

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Dati demografici e statistiche

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Voci correlate

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