Battaglia di Khalkhin Gol
parte della Guerra di confine sovietico-giapponese
Data11 maggio - 16 settembre 1939
LuogoKhalkhyn Gol (Mongolia)
EsitoVittoria sovietica e mongola
Schieramenti
Bandiera dell'Unione Sovietica Unione Sovietica
Alleati:
Bandiera della Mongolia Mongolia
Bandiera del Giappone Giappone
Alleati:
Bandiera del Manciukuò Manciukuò
Comandanti
Effettivi
57.000 uomini
500 carri armati
250 aerei (I-16)[1]
75.000 uomini
135 carri armati
250 aerei(Ki-27e A5M)[1]
Perdite
Unione Sovietica:
7.974 morti
15.521 feriti[2]
Mongolia: 274 morti[3]
Fonti giapponesi:
8.440 morti
8.766 feriti
Fonti sovietiche:
60.000 tra morti e feriti
3.000 prigionieri[4]
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Le battaglie di Khalkhin Gol, Incidente di Nomonhan, (in russo Бои на Халхин-Голе?, in mongolico Халхын голын байлдаан, in giapponese ノモンハン事件 Nomon-Han Jiken;) furono dei conflitti decisivi tra forze dell'esercito giapponese e dell'Armata Rossa, supportate da truppe mongole, avvenuti durante la guerra di confine sovietico-giapponese nel 1939. Gli scontri prendono il nome dal fiume Khalkha che divideva il campo di battaglia.

Fu combattuto presso Nomonhan (nome giapponese - in cinese: Nomenkan, 諾蒙坎: "nuòméngkǎn" - "nuòménkǎn"), un piccolo centro sito su un pianoro semidesertico a 900 km a nord–est di Pechino, e poco a sud della città di Manzhouli, vicino il confine tra la provincia cinese della Mongolia Interna, al tempo occupata dall'esercito imperiale, e la Repubblica di Mongolia, stato formalmente indipendente, ma all'epoca retto da un governo rivoluzionario filosovietico e di fatto satellite dell'Unione Sovietica, che vi aveva dislocato diverse unità dell'Armata Rossa.

La battaglia si risolse in una completa disfatta dell'esercito nipponico, del tutto privo di mezzi corazzati all'altezza di quelli avversari.La battaglia decisiva per terminare lo scontro è denominata in Giappone come Incidente di Nomonhan, dove i nipponici subirono un'analoga debacle sempre ad opera dei sovietici, che misero in campo il maggior quantitativo di mezzi corazzati fino allora utilizzati; prodromo questo delle battaglie che videro i corazzati russi arrestare prima e ricacciare poi (a Stalingrado e presso Kursk) l'invasione nazista. Al contempo venne evidenziata la drammatica deficienza di artiglierie semoventi e carri armati efficienti in seno all'esercito nipponico, la carenza di tattiche adeguate al loro impiego e la limitatezza del livello produttivo dell'industria giapponese.

Antefatti modifica

Nel 1938 il generale sovietico Georgij Konstantinovič Žukov fu inviato in Estremo Oriente, al comando del 1º Gruppo d'Armate Sovietico in Mongolia per organizzare e condurre la guerra di frontiera contro i giapponesi, esplosa il 10 maggio 1939 con la violazione del confine giapponese da parte di truppe mongole, impegnati nella zona con l'Armata del Kwantung. Dopo un periodo di scontri di frontiera combattuti senza che avvenisse una formale dichiarazione di guerra, le scaramucce si estesero ad un conflitto vero e proprio, che si protrasse per 129 giorni, con l'impiego da parte dei giapponesi di circa 80.000 uomini, 180 carri armati e 450 aerei.

La battaglia modifica

Žukov, dopo aver ottenuto rinforzi il 15 agosto 1939 passò all'offensiva con 57.000 uomini, 550 carri armati e 450 autoblindo, ordinando quello che a prima vista sembrò un convenzionale attacco frontale. Invece di lanciare tutte le sue forze all'assalto tenne di riserva due brigate di carri armati, che successivamente riuscirono ad accerchiare le forze nemiche (inizialmente forti di 38.000 uomini, poi cresciuti fino a 75.000) avanzando ai lati del fronte principale. L'intera 6ª armata giapponese (che poteva contare su 34 carri medi Tipo 89 da 10 tonnellate, 4 Tipo 97 Chi-Ha con cannone da 47 mm, 35 carri leggeri Tipo 95 Ha-Go da 7,7 tonnellate e con cannone da 37 mm, 10 tankette Tipo 94, 4 tankette Tipo 97 Te-Ke con cannone da 37 mm ed altri 50 blindati), circondata e senza più rifornimenti, catturati anch'essi dalle forze corazzate sovietiche, si vide costretta ad arrendersi dopo pochi giorni.

Perdite modifica

I sovietici lamentarono 7.974 morti e 15.251 feriti. Più incerte le perdite giapponesi. Secondo le fonti nipponiche i caduti furono 8.440 e i feriti 8.766, mentre stime sovietiche parlano di 60.000 tra morti e feriti e 3.000 prigionieri.

Conseguenze modifica

Per questa operazione Žukov ottenne il titolo di Eroe dell'Unione Sovietica. Questa battaglia rimase poco conosciuta al di fuori dell'Unione Sovietica, visto che il 1º settembre era iniziata in Europa la seconda guerra mondiale. Anche l'uso innovativo dei carri armati non venne studiato in Occidente, lasciando il campo libero alla blitzkrieg tedesca, utilizzata con il massimo dell'effetto sorpresa contro Polonia e Francia.

Tra i principali scontri fra corazzati del conflitto va ricordata l'azione del 2 luglio 1939, quando i giapponesi attaccarono la 9ª brigata motocorazzata sovietica, perdendo 42 dei loro 73 carri, falcidiati soprattutto dai cannoni anti-carro sovietici da 45 mm. Anche i sovietici persero comunque diversi mezzi, in particolare 32 carri BT e 35 autoblindo.

Aerei modifica

Note modifica

  1. ^ a b Grigori Shtern
  2. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Rus_edition
  3. ^ Baabar (1999), p. 389
  4. ^ Glantz, David M.; and House, Jonathan. When Titans Clashed: How the Red Army Stopped Hitler. Lawrence, KS: UP of Kansas, 1995. ISBN 0-7006-0899-0 p. 14.

Voci correlate modifica

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Categoria:Storia della Russia

Battaglia di Nomonhan - Khalkhin Gol
parte della Guerra di confine sovietico-giapponese
 
Le commissioni sovietica e giapponese riunite sul luogo della battaglia per stipulare l'armistizio
Data11 maggio - 16 settembre 1939
LuogoPianoro di Nomonhan - Cina
EsitoVittoria tattica dell'Unione Sovietica
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
57.000 uomini
500 carri armati
250 aerei[1]
38.000 uomini (inizialmente)
135 carri armati
250 aerei[1]
Perdite
Unione Sovietica:
7.974 morti
15.251 feriti ed invalidi[2]
Mongolia:
274 morti[3][4]
Archivio governativo nipponico:
8.440 morti
8.766 feriti ed invalidi

Fonti ufficiali sovietiche:
60.000 tra uccisi, feriti ed invalidi
3.000 prigionieri[5]
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L'incidente di Nomonhan (in giapponese: ノモンハン事件 "Nomonhan jiken") fu uno scontro sanguinoso, seppur poco noto, avvenuto tra l'Impero giapponese e l'URSS tra il maggio ed il settembre 1939. Fu combattuto presso Nomonhan (nome giapponese - in cinese: Nomenkan, 諾蒙坎(諾門坎: "nuòméngkǎn" - "nuòménkǎn"), un piccolo centro sito su un pianoro semidesertico a 900 km a nord–est di Pechino, e poco a sud della città di Manzhouli, vicino il confine tra la provincia cinese della Mongolia Interna, al tempo occupata dall'esercito imperiale, e la Repubblica di Mongolia, stato formalmente indipendente, ma all'epoca retto da un governo rivoluzionario filosovietico e di fatto satellite dell'Unione Sovietica, che vi aveva dislocato diverse unità dell'Armata Rossa.

La battaglia si risolse in una completa disfatta dell'esercito nipponico, del tutto privo di mezzi corazzati all'altezza di quelli avversari. Il Giappone subì un'analoga debacle nella contemporanea battaglia di Khalkhin Gol sempre ad opera dei sovietici, che misero in campo il maggior quantitativo di mezzi corazzati fino allora utilizzati; prodromo questo delle battaglie che videro i corazzati russi arrestare prima e ricacciare poi (a Stalingrado e presso Kursk) l'invasione nazista. Al contempo venne evidenziata la drammatica deficienza di artiglierie semoventi e carri armati efficienti in seno all'esercito nipponico, la carenza di tattiche adeguate al loro impiego e la limitatezza del livello produttivo dell'industria giapponese.

Antefatti modifica

Tra il Giappone e la Russia zarista (futura Unione Sovietica), le relazioni furono sempre molto tese per le mire che entrambe le nazioni avevano in Corea e Cina nordorientale, tanto che l'impero nipponico attaccò nel 1904 senza dichiarazione di guerra lo stato moscovita, infliggendogli inaspettate sconfitte sia a terra (battaglia di Mukden, Assedio di Port Arthur) sia in mare (battaglia di Tsushima). Durante la Rivoluzione d'ottobre e anche negli anni della guerra civile tra bolscevichi e menscevichi appoggiati dall'Intesa, il Giappone approfittò della convulsa situazione arrivando a occupare militarmente la regione compresa tra il Lago Bajkal e l'Oceano Pacifico.

 
I rappresentanti russi (a sinistra) e quelli nipponici (a destra) a Portsmouth nel 1905, per firmare l'omonima pace che porrà fine alla guerra russo-giapponese

Il Giappone appoggiò comunque i secessionisti della Repubblica dell'Estremo Oriente (Dal'ne Vostokčnaia Respublika) reazionari e fedeli allo Csar fino a che non cadde nelle mani dell'Armata Rossa il 25 ottobre 1922 e divenne parte integrante della Federazione Russa il 15 novembre. Tentò inoltre di annettere ai possedimenti coreani l'area dell'Amur Krai e sostenne il Governo provvisorio di Priamur, l'ultima zona franca delle forze bianche nel Distretto di Ayano-Maysky sul litorale del Pacifico, dove il generale Anatoly Pepelyayev resistette con le sue truppe fino alla capitolazione del 17 giugno 1923: simili interventi impedirono l'instaurazione di rapporti diplomatici tra i due paesi. Alla Conferenza navale di Washington del 1922 il Giappone, ormai una delle principali potenze assieme a Gran Bretagna, Italia, Francia e Stati Uniti, acconsentì a ridurre il tonnellaggio complessivo della propria marina militare, a ritirarsi dalla Cina e dalla Siberia, ottenendo così clausole commerciali favorevoli da parte degli Stati Uniti.

La vera svolta nella politica estera giapponese negli anni interbellici si era avuta con il cosiddetto "Memorandum Tanaka", redatto dal generale che era stato primo ministro dal 1927 al 1929. Ma la crisi economica iniziata nel 1929 spazzò via i governi liberali nipponici e diede forza agli estremisti militaristi ultranazionalisti. In seguito agli incidenti del 15 maggio 1932, culminati con l'omicidio del Primo Ministro Inukai Tsuyoshi, costoro raggiunsero la maggioranza dei seggi in Parlamento: poterono quindi vietare il diritto di sciopero e mettere fuori legge il Partito Comunista Giapponese assieme ai sindacati. Nel febbraio 1936 venne addirittura sospesa la costituzione ed instaurata una dittatura o reggenza militare; tutta la vita civile dei giapponesi, fin dall'infanzia, venne letteralmente militarizzata.

I contrasti tra Giappone ed Unione Sovietica in Cina modifica

Le premesse per l'inevitabilità di un confronto armato tra i due contendenti erano evidenti vista l'evoluzione politica del Giappone, che aveva messo in atto una vasta politica imperialista ai danni della Cina postbellica, frammentata e scossa dalla seconda metà degli anni '20 dalla guerra civile tra i nazionalisti di Chiang Kai-Shek e i comunisti guidati, tra gli altri, da Mao Tse-Tung. L'esercito nipponico aveva intrapreso entusiasticamente tale modo di operare, provocando ad arte una serie di "incidenti" di confine, così da avere il pretesto per violare la sovranità degli Stati vicini: il più famoso avvenne a Mukden nel settembre 1931 e comportò l'occupazione della Manciuria; l'avvenimento destò preoccupazione in Unione sovietica, che iniziò ad armare e sostenere economicamente i comunisti cinesi, attivi nella guerriglia contro l'invasore nipponico grazie anche all'ubicazione di alcune loro aree (Mongolia Interna, la stessa Manciuria, diverse regioni della Cina centrale) ma poco sostenuti dalle altre forze del continente.[6]

Intanto una serie di attentati contro le personalità giapponesi giudicate troppo liberali eliminò dall'apparato politico e burocratico la corrente nipponica propensa a un atteggiamento meno aggressivo, facendo pesare tutta l'influenza dei militari sul governo di Tokyo per costringerlo a impegnarsi a fondo in Cina.[7] Il brusco voltafaccia autoritario del Giappone lo poneva in rotta di collisione anche con gli Stati Uniti (detentori di importanti interessi economici in Cina), la Francia, la Gran Bretagna (confinando indirettamente con le loro colonie in Estremo Oriente) e l'Unione sovietica, con la quale esisteva una lunga frontiera in corrispondenza della Manciuria.[8]

Cronologia dell'espansione nipponica modifica

Cronologicamente i fatti più salienti delle campagne belliche nipponiche in territorio cinese, causa prima tra l'altro dell'entrata del Giappone nella Seconda guerra mondiale, furono i seguenti.

  • Il già citato incidente di Mukden, avvenuto il 18 settembre 1931 a seguito del quale fu invasa la Manciuria. L'anno dopo fu trasformata nel Manciukuò, uno stato fantoccio eretto ad Impero nel 1934 e nominalmente governato da Pu Yi (l'ultimo sovrano cinese), deposto all'avvento della repubblica il 12 febbraio 1912.
  • Durante gennaio e febbraio del 1932 fu organizzato un primo intervento militare a Shanghai, avanzando il pretesto di boicottaggio dei prodotti giapponesi. Portata avanti subito dopo l'occupazione della Manciuria, l'operazione aveva lo scopo di saggiare l'intensità della reazione cinese.
  • Nel 1933 il Giappone occupò la provincia del Jehol a sud della Manciuria, e nel 1937 sorte analoga ebbe la provincia di Chahar: in entrambi i territori si tentò di instaurare stati fantoccio sul modello mancese. L'avanzata nipponica allungò però la frontiera con l'URSS a 3.000 miglia, rendendola difficile da presidiare per tutte e due le parti; a ciò si aggiungeva una forte tensione politica, perché alcuni tratti non erano riconosciuti ufficialmente. Infine, fattore positivo per i giapponesi, l'esercito era arrivato a minacciare in maniera diretta l'entroterra della colonia britannica di Hong Kong.
  • Un altro scontro clamoroso fu quello avvenuto presso la periferia di Pechino tra il 7 e l'8 luglio 1937, facendo scoppiare la seconda guerra sino-giapponese. L'intervento massiccio in Cina fu sostenuto dal primo ministro Senjuro Hayashi (1936-1937), ufficializzando così uno stato di guerra che durava de facto da cinque anni, ma la nuova aggressione provocò una grave tensione tra Tokyo e Washington. Nel giugno del 1937 Hayashi venne sostituito dal principe Fumimaro Konoe di tendenze moderate, ma il suo governo fu piuttosto ondivago, alternando periodi di distensione a momenti di irrigidimento. Fu proprio durante il suo mandato che si verificò l'episodio più crudo e saliente della guerra, quando tra il 13 dicembre 1937 ed il 28 febbraio 1938 i soldati nipponici trucidarono barbaramente almeno 300.000 civili inermi: i bambini venivano passati a fil di spada, i prigionieri decapitati, sepolti vivi o annegati, le donne violentate e poi sventrate sebbene gravide. A tutt'oggi i rapporti tra i due paesi sono ancora avvelenati da questa atrocità.[9]
     
    I possedimenti dell'impero nipponico in Cina e nel Pacifico nei tardi anni trenta: è ben visibile l'enorme frontiera in comune con l'URSS

Le tensioni in ambito politico modifica

In contemporanea all'avventura bellicista giapponese sul suolo cinese, i vertici sovietici erano preoccupati dal mutare dello scenario politico nipponico e internazionale.

  • Nel 1932 il partito comunista in Giappone era stato messo al bando, allarmando Mosca circa un'involuzione in senso autoritario e filofascista della politica interna nipponica.
  • L'anno successivo i rapporti con gli Stati Uniti erano rimasti ad uno stato di sviluppo embrionale perché l'Unione Sovietica non vedeva di buon occhio le relazioni tra questi e l'impero nipponico, proprio quando il Giappone (prima nazione a farlo) era uscito dalla Società delle Nazioni in seguito alla pubblicazione del Rapporto Lytton che denunciava l'illegalità dell'azione nipponica in Manciuria, sia pure in ritardo. La diffidenza verso gli statunitensi si accentuò tra il 1935 e il 1936 a causa della denuncia giapponese delle decisioni prese alla conferenza di Washington sia in ambito navale (limiti al tonnellaggio della marina imperiale) sia nei confronti della Cina (principio della "porta aperta"). Ciò significava che il Giappone si accingeva a varare una grande flotta da guerra, destando non poche preoccupazioni negli ambienti politico-militari di Washington e Londra, e che era pronto a regolare la partita con la Cina una volta per tutte, andando a ledere gli interessi di quelle potenze che volevano salvaguardare la libertà di commercio e il mantenimento dell'equilibrio geopolitico in Asia, Unione Sovietica in primis.
  • Nel febbraio 1936 si verificarono un colpo di Stato e un nuovo putsch militare, al quale sfuggì miracolosamente il primo ministro Keisuke Okada (1934-1936), mentre il precedente primo ministro Shishaku Saitō Makoto (1932-1934) fu ucciso.
  • Il governo del primo ministro Fumimaro Konoe rimasto in carica dal giugno 1937 al 1939 non fu capace di frenare l'alto comando delle forze armate, sempre più dominato da elementi estremisti, pur non condividendo pienamente gli ambiziosi e arrischiati piani della casta militare. La deriva autoritaria, la sterzata apertamente militarista del Giappone, la sua intromissione negli affari interni della Mongolia (il secondo paese comunista di allora e da un ventennio giacente nell'orbita sovietica) acuirono le ostilità con Stalin.
  • Nel novembre del 1936, il governo di Tokyo aveva aderito al patto Anticomintern con la Germania e l'Italia, schierandosi apertamente in senso antisovietico; nel settembre 1940 il Giappone giungerà a stipulare con le potenze dell'Asse Roma-Berlino il cosiddetto Patto Tripartito. L'adesione dell'impero nipponico a un'alleanza militare con esplicita funzione anticomunista ed antisovietica, non poteva non preludere, presto o tardi, a un'entrata nel conflitto a fianco di Hitler e Mussolini.
  • Nello stesso periodo era stata inoltrata la richiesta di basi militari in Indocina che fu forzosamente accettata dal governo collaborazionista francese di Vichy, formatosi dopo la sconfitta patita dalla Francia ad opera del Terzo Reich.
  • In questa prospettiva il ministro degli esteri Yōsuke Matsuoka s'illuse di potere assicurare la neutralità dell'URSS firmando, il 13 aprile 1941, un trattato con il ministro sovietico Vjačeslav Michajlovič Molotov ("patto nippo-sovietico di non aggressione"). L'accordo con l'URSS era anche frutto della disillusione patita dal Giappone nei confronti dell'analogo accordo stipulato dalla Germania, il patto Molotov-Ribbentrop, ma anche a Stalin poteva tornar comodo trattare con i giapponesi: la sua intuizione si rivelerà azzeccata nel dicembre 1941, quando le armate siberiane verranno inviate sul fronte europeo proprio contro i nazisti alle porte di Mosca.

Prime schermaglie modifica

Nomonhan è un piccolo villaggio appena ad occidente del fiume Holsten che nasce dal lago Abutara e scorre in direzione nord-ovest vicino la Manciuria per poi attraversare il confine mongolo dopo pochi chilometri appena. Il fiume percorre poi solo un piccolo tratto in territorio cinese in direzione nordovest-sudest in quanto ritorna in territorio mongolo, dove confluisce quale immissario nel fiume Halha, noto anche come Khalkhin Gol. Lo sconfinamento delle truppe nipponiche di stanza in Manciuria all'interno della parte orientale della Mongolia fu del tutto intenzionale, anche a seguito degli scontri non conclusivi che nel 1938 avevano visto i giapponesi guerreggiare coi sovietici nella battaglia del Lago Chasan, nella battaglia del Fiume Tumen–Ula e nella Battaglia delle colline del Changkufeng: i combattimenti si erano svolti al confine tra la colonia giapponese della Corea del Nord e la "Provincia marittima dei fiumi Amur ed Ussuri" in territorio sovietico, circa 110 km a sud dell'importante porto militare di Vladivostok.

La battaglia propriamente detta fu combattuta in due fasi:

  • la prima fase, detta "battaglia di Nomonhan" si svolse ai confini tra la Mongolia e la Mongolia Interna cinese tra l'11 maggio ed il 25 luglio 1939, e vide i giapponesi lanciare una serie di sterili attacchi alle posizioni sovietiche, prontamente respinti;
  • la seconda fase, o "battaglia del fiume Khalkhin Gol" si svolse in territorio della Mongolia, lungo le rive dell'omonimo fiume, dal 24 agosto al 16 settembre 1939: dopo un'iniziale avanzata nipponica in territorio mongolo, i sovietici contrattaccarono con artiglieria e mezzi corazzati in quantità facendo a pezzi le linee avversarie. In quest'occasione, le retrovie nipponiche vennero letteralmente martellate dai razzi lanciati dalle Katjuša, che erano al loro battesimo del fuoco.

Le fasi dello scontro modifica

 
Soldati giapponesi nella zona del fiume Khalkhin Gol; da notare l'equipaggiamento anti-gas e la DP 28 catturata (in basso a sinistra)

Al fine di poter impegnare in battaglia i mongoli e l'URSS, i giapponesi presero a pretesto l'indeterminazione dei confini tra la Manciuria cinese e la Mongolia. Secondo i cartografi nipponici, la frontiera internazionale coincideva con il corso del fiume Khalkhin Gol, mentre, per i sovietici, essa correva diversi chilometri più ad est, tra il corso d'acqua ed il villaggio di Nomonhan. Già nei mesi di gennaio e febbraio 1939 l'esercito aveva condotto fugaci incursioni atte a sondare l'entità delle truppe russo-mongole, oltre a verificare la fattibilità di un contrattacco. Si ebbero diversi morti, feriti e prigionieri tra le file sovietiche, tanto che Stalin in persona, a marzo, parlando all'Ottavo Congresso del PCUS aveva affermato che ogni altra successiva penetrazione sarebbe stata energicamente respinta. Ai primi di maggio iniziarono le scaramucce tra le truppe confinarie dei due contendenti.

Fase della battaglia di Nomonhan modifica

L'11 maggio reparti nippo-mancesi, per un totale di 300 uomini circa, attraversarono il confine reclamato dall'URSS con l'appoggio di una cinquantina di aerei e assaltarono i presidi di frontiera sovietici di stanza a Nomonhan-Burda Obo, circa 13-15 chilometri a est del Khalkhin Gol; un distaccamento di cavalleria mongolo-sovietico accorso in aiuto fu respinto oltre il corso del fiume. Data la momentanea superiorità numerica, l'attacco giapponese ebbe buon esito. Il Ministro degli Esteri sovietico Molotov informò l'ambasciatore giapponese a Mosca che "... la pazienza era giunta al limite", ammonimento ripetuto il 31 maggio sempre da Molotov davanti al Soviet Supremo.

 
Membri della cavalleria mongola con armi sovietiche

Nel contempo da Tamsyk Bulak erano affluite riserve equipaggiate di artiglieria leggera e pesante, autoblinde, carri armati leggeri e medi; inoltre venne dispiegata una formazione di circa 100 velivoli. Dopo una settimana di accaniti combattimenti quotidiani, la superiorità tattica dei sovietici iniziò a farsi sentire e i giapponesi furono costretti ad indietreggiare.

Forze e disposizioni dei due schieramenti modifica

L'area coinvolta nelle operazioni era costituita approssimativamente da un quadrilatero: a est era limitato dalla frontiera mongolo-mancese (caratterizzata da profonde gole, declivi di 15-30° o addirittura di 45°). Ad ovest era delimitato dal fiume Khalkhin Gol, largo 130 metri, profondo 3.50 metri e con una corrente di 8 metri al secondo; le sue rive erano caratterizzate da pantani che si stendevano a perdita d'occhio.

L'Armata Rossa si era concentrata tra i fiumi Khalkhin Gol e Chailastyn Gol, quasi perpendicolari tra loro. Le truppe mongolo-sovietiche erano disposte sull'argine orientale del Khalkhin-Gol e su entrambe le rive dell'altro fiume, distribuite su una lunghezza di circa 20 chilometri. Erano comandante dal generale Yakov Smushkevich e contavano 700 soldati di fanteria, 260 di cavalleria, 58 mitragliatrici, 14 cannoni da 76 mm, 6 cannoni anticarro e 39 autoblinde. Il 22 maggio anche l'esercito del Kwantung, preso in contropiede, inviò altre truppe nel settore, pari a due divisioni di fanteria motorizzata e a due reggimenti di cavalleria. In totale i comandanti nipponici Michitarō Komatsubara e Yasuoka Masaomi potevano allineare 2.576 soldati supportati da 75 mitragliatrici, 8 cannoni da campagna, 10 pezzi anticarro, un carro armato e 68 autoblinde.

Combattimenti iniziali modifica

 
Carri armati BT mimetizzati sul fronte mongolo

A partire dal 22 maggio la battaglia si trascinò in una logorante guerra di posizione, fino a che i giapponesi lanciarono un'offensiva nelle prime ore del 28 maggio, introdotta dal bombardamento delle linee avversarie operato da 40 apparecchi. I sovietici, dal canto loro, si trovavano in una situazione difficile a causa della morfologia del territorio, ricco di paludi, acquitrini e sabbie mobili, che impediva di utilizzare in massa i carri armati dei quali possedevano un gran numero. All'alba l'assalto della fanteria motorizzata fu contenuto dal fuoco dei cannoni da 76 mm, rapidamente ridislocati sull'argine orientale del fiume; al centro, invece, i giapponesi riuscirono a respingere i sovietici grazie anche al costante appoggio dell'aviazione. A pomeriggio inoltrato, un contrattacco lanciato dai russi ottenne scarsi risultati poiché la cooperazione delle autoblinde con le artiglierie disponibili era stata assai difettosa.

La battaglia raggiunse il culmine tra il 28 e il 29 maggio, quando le truppe mongolo-sovietiche, precedute da un intenso fuoco d'artiglieria pesante, si gettarono di nuovo all'offensiva, riuscendo a respingere i giapponesi di circa 800 metri nel settore nord-orientale. Il saliente che venne a crearsi era però sviluppato su un fronte troppo allungato, poco profondo, e soprattutto scarsamente coperto ai fianchi, ma i soldati dell'Armata Rossa ressero in quanto i contrattacchi giapponesi avvenivano sul medesimo territorio paludoso che bloccava i corazzati sovietici. Durante il mese di giugno, entrambi i contendenti guerreggiarono a distanza mediante incursioni aeree continuando ad ammassare uomini e mezzi. All'inizio di luglio i giapponesi schieravano altre due divisioni di fanteria motorizzata ed diversi reparti di cavalleria per un totale di 24.700 soldati, 170 cannoni, 130 carri armati leggeri e circa 250 aerei.

 
Resti di un velivolo giapponese abbattuto durante la battaglia

I comandanti Komatsubara e Masaomi pianificarono di accerchiare e distruggere le truppe avversarie sull'argine orientale del Khalkhin Gol, mettendo definitivamente fuori uso la temibile artiglieria pesante sovietica. L'ala destra del maggior generale Kobayashi fu dunque dotata di tutti i carri armati e le autoblindo presenti, oltre a reparti di fanteria motorizzata: lo spiegamento di forze doveva scendere da nord-est e attraversare il Khalkhin Gol, impadronirsi dell'altura chiamata Bain-Tsagan sulla riva ovest e mutare la direttrice d'avanzata volgendo a sud, in modo da tagliare la ritirata alle truppe mongolo-sovietiche.

Oltre al vantaggio di avere linee di comunicazione più corte, i giapponesi potevano anche valersi di ferrovie efficienti e di due buone strade che andavano da Hailar al luogo dello scontro, mentre per i sovietici la logistica era molto problematica; il rifornimento era poi complicato dalle deficienze del sistema ferroviario: la più vicina stazione si trovava a Borziya, a circa 600 chilometri dalla zona di operazioni. Nonostante ciò, lo schieramento sovietico ammontava a 11.000 uomini, con 186 carri armati pesanti e 266 autoblinde. Venne accorciato anche il fronte, lungo 20 km: Smushkevich optò per mantenere solo una testa di ponte ben difesa sulla riva orientale del Khalkhin Gol, contro la quale si sarebbe inevitabilmente riversato l'assalto.

L'offensiva nipponica modifica

 
Truppe del Sol Levante attraversano il Khalkhin Gol su piccole imbarcazioni

I giapponesi attaccarono nella notte tra il 2 ed il 3 luglio riuscendo a sloggiare la testa di ponte sovietica, ma presto i carri armati incapparono nel tiro dell'artiglieria pesante che distrusse circa 80 mezzi corazzati. Nonostante questo scacco, i giapponesi proseguirono le operazioni: nella notte del 3 luglio varcarono il fiume e conquistarono la collina di Bain-Tsagan, dove appostarono i cannoni anticarro per respingere possibili puntate dei blindati avversari. Si ritrovarono però di fronte i soldati che avevano ricostituito la testa di ponte prima epurata, che sferrarono immediatamente una serie di contrattacchi con carri armati e autoblinde per mettere in sicurezza le alture, ma le velleità sovietiche vennero frustrate dall'artiglieria controcarro nipponica.

Tra il 3 ed il 4 luglio le opposte formazioni aeree si scatenarono sul campo di battaglia, ma alla fine i comandanti nipponici constatarono l'impossibilità di mantenere le posizioni raggiunte: durante il ripiegamento le truppe giapponesi furono tallonate dai corazzati sovietici che imprudentemente le inseguirono fin sulle rive del Khalkhin Gol, impantanandosi nella melma. I giapponesi non avevano saputo usare efficacemente i loro carri armati e per circa due settimane i contendenti si affrontarono in sanguinosi corpo a corpo tra le paludi del fiume senza che il massacro portasse a risultati tangibili. La tregua del 22 luglio permise ai soldati imperiali di costruire una linea fortificata sulla riva est del fiume; i sovietici approfittarono della calma per rafforzare la loro la testa di ponte sulla medesima riva. I combattimenti ripresero con uno sbarramento dell'artiglieria nipponica iniziato all'alba del 23 luglio. Due giorni più tardi, comunque, le esauste e logore truppe giapponesi sospesero l'attacco.

Fase della battaglia del Khalkhin Gol modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Khalkhin Gol.

Durante il mese di tregua, gli alti comandi sovietici furono capaci di individuare le manchevolezze del proprio dispositivo bellico a Nomonhan. Benché infatti fossero riusciti a difendere il fronte con una vittoria tattica in inferiorità numerica, molti indizi avevano rivelato la scarsa competenza del comando e una certa mancanza di coordinazione tra artiglierie, fanteria e corazzati. Si procedette dunque a un rapido cambio di comando, nominando capo dell'armata impegnata il generale Georgij Žukov, che aveva già fermato i giapponesi negli scontri del 1938; al contempo furono inviati sostanziosi rinforzi in modo da soverchiare le forze avversarie con rapporto di 2:1. Il nuovo comandante fece affluire ininterrottamente nuovi reparti e mezzi, in previsione delle piogge autunnali che trasformano le piste del luogo in impraticabili pantani di fango, poi dispiegò le sue numerose truppe accerchiando e annientando l'armata giapponese.

Note modifica

  1. ^ a b Grigoriy Shtern, su peoples.ru. URL consultato il 27 agosto 2012.
  2. ^ "Grif sekretnosti sniat': poteri Vooruzhennykh Sil SSSR v voynakh, boevykh deystviyakh i voennykh konfliktakh", pod oshchey redaktsiey G. F. Krivosheeva. (Moskva: Voennoe izd-vo, 1993, ISBN 5-203-01400-0). pp. 77-85.
  3. ^ Baabar (1999), p. 389
  4. ^ Dati provenienti anche dall'Archivio storico sovietico
  5. ^ Glantz, House1995, p. 14
  6. ^ Short2006
  7. ^ J. W. Hall1969
  8. ^ Roberts2007
  9. ^ Battaglia di Nomonhan su oxfordjournals.org, su hgs.oxfordjournals.org. URL consultato il 28 agosto 2012.

Bibliografia modifica

  • Philip Short, Mao: L'uomo, il rivoluzionario, il tiranno, Rizzoli, 2006, ISBN 978-88-17-00997-3.
  • George J. A. Roberts, Storia della Cina, Il Mulino, 2007, ISBN 978-88-15-11621-5.
  • J. W. Hall, L'impero giapponese, Feltrinelli, 1969.
  • David M. Glantz, Jonathan House, When Titans Clashed: How the Red Army Stopped Hitler, Lawrence, KS: UP of Kansas, 1995, ISBN 0-7006-0899-0.
  • F. Tamburini, Nomonhan 1939, «Storia Militare», n. 245, febbraio 2014.

Collegamenti esterni modifica

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L'anarchia e la questione della successione normanna modifica

 
Torre di Londra, costruita da Guglielmo il Conquistatore.

Goffredo mandò Matilda, sola, in Normandia, prima di tutto per una missione diplomatica affinché venisse riconosciuta duchessa di Normandia per sostituire Stefano. Comunque, Goffredo V non era molto lontano, a capo del suo esercito, e in breve si impossessò di numerose roccaforti nel sud della Normandia che non perse più.

Accadde poi che un nobile angioino, Roberto III di Sablé, insorse contro Goffredo V aprendo una breccia nella retroguardia costringendolo alla ritirata presso Anjou e pose fine alla rivolta. Quando Goffredo V tornò in Normandia nel settembre del 1136, la regione fu afflitta da combattimenti locali e violente lotte tra i baroni. Stefano non poteva recarsi in Normandia e quindi la situazione rimase caotica.

Goffredo aveva trovato nuovi alleati con la Contea di Vendôme e soprattutto il Ducato di Aquitania. A capo di un nuovo esercito e pronto per conquistare la Normandia, fu ferito e costretto a ritornare nuovamente ad Anjou. Oltre a questo, un'epidemia di diarrea afflisse il suo esercito. Orderico Vitale affermò: “Gli invasori dovettero correre a casa lasciando dietro di loro una scia di lerciume”.

Finalmente Stefano arrivò in Normandia nel 1137 e ristabilì l'ordine, ma aveva perso molta credibilità agli occhi di Roberto di Gloucester che sosteneva Goffredo. Goffredo ottenne il controllo delle roccaforti di Caen e Argentan senza resistenze ma ora doveva difendere i possedimenti di Roberto in Inghilterra dall'ira del re.

Nel 1139 Roberto e Matilda attraversarono la Manica, giungendo in Inghilterra mentre Goffredo premeva sulla Normandia. Stefano fu catturato nel febbraio del 1141 nella Battaglia di Lincoln, che causò il crollo della Normandia; Goffredo ora la controllava quasi completamente.

Precedentemente re Luigi VII di Francia aveva sposato Eleonora d'Aquitania, acquisendo il titolo di Duca d'Aquitania e aggiungendo il territorio ottenuto (1137) al suo dominio reale; così non aveva alcun interesse in un cambiamento della politica normanna, in quanto governava già vasti e potenti territori. Quando poi Goffredo V rinforzò il controllo della Normandia, Matilda subì delle sconfitte da parte degli alleati di Stefano. Roberto di Gloucester fu catturato a Winchester mentre copriva la ritirata di Matilda, che in seguito riscattò Roberto con Stefano.

Nel 1142 Matilda supplicò Goffredo V di attraversare la Manica per assisterla, ma egli rifiutò, diventando invece più interessato alla Normandia. Dopo la conquista di Avranches, Mortain e Cherbourg, Goffredo V lanciò un attacco decisivo su Rouen, che fu occupata nel 1144. In seguito si autoproclamò Duca di Normandia e, in cambio della cessione di Gisors a Luigi VII, fu formalmente riconosciuto dal Re. Goffredo V, soddisfatto del suo nuovo ruolo in Normandia, non fece alcuno sforzo per aiutare Matilda in Inghilterra benché ella fosse sul punto di essere sconfitta. Elias, il fratello minore di Goffredo, sentiva di meritare la sua giusta parte e chiese La Maine per sé. Non era passato molto tempo dalla risoluzione di questa questione, che un altro nobile angioino si ribellò: Gerardo II di Berlay, recentemente nominato siniscalco di Poitou da Luigi VII, guidò una rivolta nel sud di Anjou contro Goffredo V.

Ascesa di Enrico e fondazione nominale dell'impero angioino modifica

 
Goffredo d'Angiò, chiamato anche Goffredo Plantageneto.

Stefano, senza mezzi, aveva rinunciato alle sue pretese riguardo alla Normandia, anche se Luigi VII aveva chiaramente riconosciuto Goffredo duca. Un'alleanza tra i due re era possibile, per la questione di Gerardo Berlay. Luigi VII accettò di riconoscere Enrico II Plantageneto come nuovo duca nel 1151 in cambio di concessioni nel Vexin normanno. La morte di Goffredo, a soli 38 anni, fece di Enrico Plantageneto il conte di Anjou nel 1151.

Secondo la storia raccontata da Guglielmo di Newburgh (intorno al 1190), Goffredo dichiarò che Enrico avrebbe dovuto cedere Anjou a uno dei suoi fratelli minori, chiamato anch'egli Goffredo, se avesse vinto la corona d'Inghilterra. Per costringere Enrico a fare un giuramento, Goffredo V aveva ordinato di essere lasciato senza sepoltura finché Enrico avrebbe dichiarato la rinuncia ad Anjou una volta a capo dell'Inghilterra.

 
Enrico II Plantageneto.

Nel marzo del 1152, Luigi VII e Eleonora d'Aquitania divorziarono, con il concilio di Beaugency, adducendo il pretesto di essere consanguinei, in quanto la relazione non funzionava bene. Eleonora venne lasciata duchessa di Aquitania ma sotto il controllo del Re, secondo le disposizioni del divorzio, e otto settimane dopo sposò Enrico Plantageneto che era meno imparentato con lei piuttosto che con Luigi VII.

Quando Enrico divenne dunque duca d'Aquitania e Guascogna era ovvio che non avrebbe lasciato Anjou a suo fratello, il che avrebbe dovuto significare la divisione della sua terra in due parti. Luigi VII organizzò una coalizione di tutti i nemici di Enrico, re Stefano d'Inghilterra e suo figlio Eustachio IV di Boulogne (marito della sorella di Luigi), Enrico il Liberale (promesso sposo della figlia di Eleonora), Roberto di Dreux (il fratello di Luigi) e infine Goffredo, che non aveva più speranza di ottenere Anjou.

Nel luglio del 1152 truppe capetingie attaccarono l'Aquitania mentre lo stesso Luigi VII, insieme ad Eustachio IV, Enrico di Champagne e Roberto di Dreux, attaccò la Normandia. Goffredo fece insorgere una rivolta ad Anjou, mentre Stefano attaccò i sudditi fedeli agli Angioini in Inghilterra. Numerosi nobili Anglo-Normanni cambiarono allora la loro fedeltà, sentendo il disastro imminente.

Enrico Plantageneto era sul punto di salpare per l'Inghilterra per proseguire la sua conquista, quando i suoi territori furono attaccati. Per prima cosa raggiunse Anjou e costrinse Goffredo alla resa, poi prese la decisione di salpare per l'Inghilterra nel gennaio del 1153 per incontrare Stefano. Fortunatamente Luigi VII si ammalò e dovette ritirarsi dal conflitto, mentre le difese di Enrico Plantageneto resistevano contro i nemici.

Dopo sette mesi di battaglie e truffe politiche, fallì nel tentativo di sbarazzarsi di re Stefano. Eustachio IV morì in misteriose circostanze, “colpito dall'ira di Dio”, e questa fu la goccia che fece traboccare il vaso, e Stefano rinunciò alla lotta per ratificare il Trattato di Winchester. Egli fece di Enrico Plantageneto il suo erede con la condizione che i possedimenti terrieri della sua famiglia fossero garantiti in Inghilterra e in Francia – queste erano le condizioni che Matilda aveva rifiutato dopo la vittoria a Lincoln.

Enrico Plantageneto divenne allora Enrico II d'Inghilterra nel dicembre del 1154. Successivamente la questione del suo giuramento su Anjou e su suo fratello Goffredo sorse ancora. Enrico II ricevette una dispensa da parte di Papa Adriano IV, adducendo il pretesto che il giuramento gli era stato imposto; Enrico II propose un risarcimento a Goffredo, a Rouen, nel 1156, ma quest'ultimo rifiutò e tornò ad Anjou per insorgere di nuovo contro Enrico II. Pur avendo Goffredo un solido diritto morale, la sua posizione era nonostante tutto molto debole. Luigi VII non interferì dal momento che Enrico II fece omaggio di vassallaggio al Re di Francia per la Normandia, Anjou e l'Aquitania. Enrico II represse la rivolta di Goffredo e dovette essere soddisfatto da una pensione annuale.

Categoria:Guerra nel 1939 Categoria:Battaglie della guerra russo-giapponese