Historia naturale, e morale delle Indie
Titolo originaleHistoria natural y moral de las Indias: en que se tratan las cosas notables del cielo, y elementos, metales, plantas y animales dellas y los ritos y ceremonias, leyes y gouierno y guerras de los Indios
AutoreJosé de Acosta, Giovanni Paolo Gallucci
1ª ed. italiana1596
Editio princepsSiviglia, 1590
Generesaggio
Sottogenerestoria, antropologia
Lingua originalespagnolo

La Historia naturale, e morale delle Indie (originale Historia natural y moral de las Indias: en que se tratan las cosas notables del cielo, y elementos, metales, plantas y animales dellas y los ritos y ceremonias, leyes y gouierno y guerras de los Indios) è un libro pubblicato nel 1591 dallo scrittore e gesuita spagnolo José de Acosta. La prima edizione in italiano risale al 1596, pubblicata a Venezia dall'editore Bernardo Basa, tradotta dall'astronomo e traduttore Giovanni Paolo Gallucci.

Contesto storico

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L'autore dell'opera, José de Acosta, nasce nel 1540. Dopo essere entrato nella Compagnia di Gesù all'età di 15 anni chiede di essere inviato in missione nel Nuovo Mondo. Vivrà per 17 anni in Perù e in Messico, dove svolgerà attività di insegnante, predicatore, missionario e scienziato (citare). Una volta tornato in Europa decide di scrivere e pubblicare le sue conoscenze acquisite sul continente Americano. Il testo più popolare in tal senso fu indubbiamente la Historia natural y moral de las Indias, pubblicata nel 1590 a Siviglia.

La formazione intellettuale di Acosta è di tipo umanista, impartitagli prima all’Università de Alcala de Henares e successivamente tra i gesuiti. Tra gli autori fondamentali figurano naturalmente Aristotele, sul cui pensiero si fonda gran parte dell’umanesimo gesuita, in particolare opere come il De caelo e il Meteorologica. Era familiare con la Naturalis historia di Plinio il Vecchio e con tutti i più importanti geografi romani. In materia di teologia, Lattanzio, poi San Girolamo e Sant’Agostino[1].

Nonostante il nutrito rispetto nei confronti dei grandi intellettuali classici, Acosta dimostra di preferire il racconto dell’esperienza all’autorità dei padri della Chiesa. Aristotele dava maggior importanza e significato all’osservazione diretta e all’esperienza piuttosto che alle fantasie della ragione[2] e dunque “per i gesuiti, studiare Aristotele significava adottare un punto di vista critico e analitico sul mondo”[3].

Per comprendere meglio come si configurava il rapporto tra scienza e religione nelle azioni e nelle idee di José de Acosta è bene ripassare come la Chiesa cattolica rinascimentale concepisse il funzionamento della natura. La creazione divina era considerata un organismo perfetto e lo scopo dello scienziato era quello di scoprire le leggi che la governassero, le leggi erano una conferma del perfetto ordine divino e richiamava l’eccellenza e la perfezione del creatore. Acosta, seguendo questo profilo, non faceva altro che osservare, trarre conclusioni logiche al fine di riconoscere i nessi tra causa ed effetto: scienza e religione erano di conseguenza due ambiti complementari e non conflittuali[4], la prima era funzionale al disvelamento del piano divino.

D’altronde la sua formazione gesuita ha rafforzato la sua concezione dello strumento retorico, ripresa da Cicerone; così che la forza della persuasione potesse soppiantare quella militare del dominio[5].

Contenuto

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La Historia non solo si distingue per la sua portata enciclopedica, ma anche per la sua sensibilità culturale. Acosta esplora i costumi, le religioni e le pratiche quotidiane delle popolazioni indigene con minuziosità e rigore, cercando di comprendere e rispettare le diversità culturali. Le sue osservazioni scientifiche, che vanno dalla flora e fauna alle peculiarità geografiche, si intrecciano con riflessioni etiche e teologiche, dando vita a un racconto originale della natura e dei costumi del Nuovo Mondo. L'opera di Acosta, seppur pionieristica in senso scientifico, conserva uno scheletro teleologico ben delineato, per cui Dio è causa originale e finale[6].

Tuttavia, va riconosciuto il merito di rappresentare un ponte tra due mondi, un tentativo di mediare e comprendere la complessità delle civiltà americane nel contesto dell'espansione europea, segnando così un capitolo significativo nell'incontro tra diverse culture e visioni del mondo.

Il titolo, che è una traduzione letterale dallo spagnolo “Historia natural y moral de las Indias” ci da l’opportunità di cogliere degli aspetti fondamentali. Gli aggettivi naturale e morale dividono in due parti l’opera di Acosta, suddivisa in sette Libri. Se nei primi quattro libri l’autore tratta l’ambiente americano in tutte le sue espressioni naturali: clima, geografia, territorio, biologia, botanica. Negli ultimi tre libri si dedica alla descrizione analitica delle popolazioni Amerindie, dei loro usi, costumi, della loro idolatria (da cui l’aggettivo morale) e della loro storia. Inoltre con Las Indias autori come Acosta si riferivano sia alle indie orientali che quelle occidentali e nel racconto di Acosta non mancano riferimenti totalizzanti e globali alla natura dell’impero spagnolo, includendo spesso nel racconto i possedimenti dell’estremo oriente[7], assicurando al lettore non di rado paragoni e comparazioni tra le diverse aree geografiche del mondo allora conosciute e documentate.

Se i primi due libri cercano di smascherare l’ignoranza e le false convinzioni dei dotti dell’antichità sul nuovo mondo, i restanti libri sono ordinati secondo una sorta di gerarchia universale della materia. Il terzo Libro rimanda alla concezione degli elementi terrestri (aria, acqua, terra, fuoco) di Aristotele, la cui filosofia era stata riportata in auge in Europa in larga misura proprio dai missionari gesuiti[8]. Se nel libro Quarto disquisisce sui corpi complessi (piante, minerali, animali), i restanti tre libri descrivono gli animali razionali, cioè gli uomini; in cima alla gerarchia naturale.

Queste righe scritte da Acosta prendono a pieno titolo elementi della finzione narrativa; l’intenzione è quella di catturare l’attenzione e la curiosità del lettore sulla scia della popolarità dei romanzi cavallereschi (libros de caballerìas) di quel periodo[9]. Nelle descrizioni di Acosta, in particolare quelle sugli Indiani, troviamo numerosi tratti riconducibili alla finzione letteraria come pathos, avventura, dramma; ciò avrebbe spinto più volentieri il pubblico ad acquistare il volume[10].

Anche le fitte descrizioni grafiche, che troviamo anche nei capitoli riguardanti le sostanze naturali, servono allo scopo di far immergere quanto più possibile il lettore. Qui Acosta scrive a proposito delle proprietà dell’argento vivo, nel capitolo X del Libro quarto:


“Questo metallo tiene grandi, et maravigliose proprietadi. ‘...’ Io ne ho visto l’esperienza, et forsi avvenne da questo, perche l’Argento vivo naturalmente rode subito l’Oro, et lo nasconde in se. Questa è la più importante proprietade, c’habbia, che con maraviglioso effetto si unisse con l’Oro”[11]


Tale modalità di marcare l’incanto suscitato dall’oggetto analizzato è una strategia necessaria che un descrittore del Nuovo Mondo è portato a utilizzare per essere considerato affidabile dai propri lettori e modulare il giusto tono comunicativo[1]. Inoltre, come nell’esempio riportato sopra, Acosta insiste frequentemente sulla veridicità di quanto raccontato, evidenziando come, di ciò che descrive, lui ne ha avuto esperienza, diretta o indiretta.

[1] F. D. Pino-Díaz, La Historia Natural y Moral de las Indias como género: orden y génesis literaria de la obra de Acosta, in “Histórica”, 24(2), (2000), p. 300

Per concludere, sempre a proposito degli Amerindi, è bene sottolineare come alla fine del settimo libro, dove discorre ampiamente delle varie fasi storiche delle nazioni indiane (Inca e Mexica), non manca di rimarcare ancora una volta la necessità di raccontare le vicende dei popoli indigeni. Il ricorso frequente a questi avvertimenti nel testo è dovuto alla preoccupazione ricorrente che gli europei possano trovare poco interessanti e di poca rilevanza le vicende del Nuovo Mondo.

La Historia di Acosta in tal senso è, oltre che pioniere di un genere letterario nuovo di cronaca delle Indie, può essere considerato come un esempio di quel valido contributo al sapere scientifico, da parte degli spagnoli in Età Moderna, in passato poco considerato dalla storiografia che ha relegato spagnoli, portoghesi (ma anche italiani) “sulla soglia della modernità”[1].

[1] A. Romano, op. cit., p. 26

Significato di Historia

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Acosta infatti, inventa la locuzione Storia naturale e morale che meglio si adattava agli obiettivi e alle prerogative dei missionari gesuiti, i quali dovendo lavorare in ottica di conversione degli indigeni, necessitavano una paradigma più rigido per qualificare le loro credenze e riti[12]. Trascurando per un attimo il fine utilitaristico dell’opera, il termine Historia non richiamava lo stesso significato che le diamo noi contemporanei.

Aristotele definiva Historia come una determinata fase della conoscenza, traducibile come “indagine”, precedente all’episteme, il quale definiva il ragionamento filosofico che avrebbe portato alla causa finale del fenomeno o dell’oggetto indagato[13]. Quest’ultimo poteva essere ugualmente una pianta, come le imprese di un sovrano, senza distinzioni. La conoscenza oggetto della Historia era dunque non dimostrativa e considerata, successivamente dalla Scolastica, una strada verso la conoscenza inferiore alla quella proposta dalla philosophia e dalla scientia.

La storia naturale in età antica aveva come modello la colossale opera di Plinio il Vecchio, ma nel Rinascimento il termine Historia assunse lineamenti di campo più ristretti. L’opera dell’umanista italiano Polidoro Virgilio, De Inventoribus, pubblicata nel 1499, si rifà largamente, per i temi trattati, alla Naturalis historia di Plinio ma l’autore non considerava la storia naturale una vera disciplina, in quanto il suo campo d'indagine era ancora ristretto alle attività e alle vicende umane[14].

Nella metà del XVI secolo si assistette ad un cambiamento. Se Aristotele aveva trattato, nella Historia animalium, l’argomento dal punto di vista filosofico; autori e naturalisti come Conrad Gessner e Leonhart Fuchs, rispettivamente nella Historia plantarum et vires del 1541 e nel De historia stirpium commentarii insignes del 1542 adottarono una metodologia descrittiva, lontana dalla trattazione filosofica, e coloro i quali intendevano disquisire di filosofia iniziarono a trascurare il termine Historia nel titolo[15]. In ultima analisi, la storia naturale in pieno Rinascimento inizia ad avviarsi come una disciplina, non più come singolo procedimento di indagine. Fuchs inoltre attribuiva alla Historia un duplice significato: essa poteva intendere una descrizione singola o l’opera che contenesse tali descrizioni. Quest’ultime non comprendevano solo un’esposizione delle caratteristiche primarie di una pianta o di una erba ma anche le sue proprietà mediche[16]. Tali proprietà costituiscono un sostanziale valore nel quarto libro dell’opera di Acosta, in cui il resoconto delle caratteristiche di determinate piante, frutti o fiori del Messico e del Perù include quasi sempre le loro qualità terapeutiche e curative.

Edizione italiana

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L'opera ha ottenuto un notevole successo commerciale, tanto da essere stata tradotta in almeno 6 lingue europee[17], compresa l'italiano. La prima edizione italiana compare a Venezia nel 1596, pubblicata dall’editore Bernardo Basa, all’insegna del Sole, la cui marca, rappresentante un sole che scaccia le nuvole, è ben presente sul frontespizio dell’opera. Sono state identificate ben 53 copie di questa edizione dallo Universal Short Title Catalogue, presenti nei cataloghi di altrettante biblioteche europee e americane[18].

L’originalità di questa traduzione risiede nella dedica, esposta in ben otto facciate, scritta dal traduttore e curatore Giovanni Paolo Gallucci a tale Giovan Martino Marchese. È ipotizzabile che tale dedica servisse allo scopo di convincere il Marchese della validità dell’opera affinché quest’ultimo acquistasse un certo numero di copie dell’edizione, per distribuirla e conservarla nelle numerose collezioni librarie da lui possedute. Gallucci si riferisce al Marchese assumendo un tono servile, con espressione lodevoli e frasi adulatorie:

“a me se non erro, e non credo errare, pare di vederla superare l’humana conditione, e divenire un Heroe, un Semideo. Che figliuolanza si deve aspettare da lei? Non saprei certo ritrovar parole con le quali io spiegassi in carta, quello che in questa parte io sento, e per questo mi bisogna quì tacere per non dir meno delle lodi sue, di quello, che mi converrebbe, non potendo la mia penna salir tanto alto….. Non sia dunque molesto, e grave a V.S. molto Illust. che questo mio libro se ne vada per lo mondo col fronte fregiato del suo onoratissimo nome, et che se ne stia fra le altre sue cose più care ne i suoi honoratissimi palagi, conservandomi nel numero dei suoi affetionatissimi servitori.”[19]

Un particolare interessante presente nell’edizione italiana è rappresentato da una nota del traduttore, collocata alla fine del quinto Libro, il primo in cui Acosta discute dei costumi e della religione degli indiani:

“Non paia strano all’Auttore di questa Historia, nemeno à chi l’hà letta nella lingua Spagnuola, che in questo quinto libro manchino molte cose scritte, da lui, che si legono nello Spagnuolo, perche così è piacciuto ai superiori, c’hanno ordine di vedere le cose, che si stampano, ai quali non solo siamo sforzati obedire; ma dobbiamo obedir volontieri”[20]

Qui Gallucci non spiega il motivo di questa forma di censura voluta dall’editore ma suggerisce l’eventualità che questa traduzione non rispecchi la totalità del significato del lavoro originale, che presentava caratteristiche di forma uniche, come il nome stesso dell’opera.

  1. ^ Theodore Hornberger, Acosta’s “Historia Natural y Moral de las Indias": A guide to the source and the growth of the american scientific tradition, in Studies in English, vol. 19, n. 1, 1939, p. 143.
  2. ^ Thayne R. Ford, Stranger in a Foreign Land: Jose de Acosta’s Scientific Realizations in Sixteenth-Century Peru, in The Sixteenth Century Journal, vol. 29, n. 1, 1998, p. 23.
  3. ^ Thayne R. Ford, Stranger in a Foreign Land: Jose de Acosta’s Scientific Realizations in Sixteenth-Century Peru, in The Sixteenth Century Journal, vol. 29, n. 1, 1998, p. 23.
  4. ^ Sabine Anagnostou, Jesuits in Spanish America: Contributions to the Exploration of the American Materia Medica, in Pharmacy in History, vol. 47, n. 1, 2005, p. 6.
  5. ^ (EN) Mauro José Caraccioli, José De Acosta and the ends of Empire, in Writing the New World: The Politics of Natural History in the Early Spanish Empire, University Press of Florida, 2021, p. 104, ISBN 978-1683401681.
  6. ^ Daniel T. Reff, Review of "Natural and Moral History of the Indies", by J. de Acosta, in Anthropological Quarterly, vol. 3, n. 76, 2003, p. 546.
  7. ^ (EN) John M. Headley, Spain’s Asian Presence, 1565-1590: Structures and Aspirations, in The Hispanic American Historical Review, vol. 4, n. 75, 1995, p. 644.
  8. ^ (EN) Thayne R. Ford, Stranger in a Foreign Land: Jose de Acosta’s Scientific Realizations in Sixteenth-Century Peru, in The Sixteenth Century Journal, vol. 1, n. 29, 1998, p. 22.
  9. ^ (EN) Augustus Pallotta, The New World and Italian Readers of the Spanish Historie in the Sixteenth Century., in Italica, vol. 3, n. 69, 1992, p. 352.
  10. ^ (EN) Augustus Pallotta, The New World and Italian Readers of the Spanish Historie in the Sixteenth Century., in Italica, vol. 3, n. 69, 1992, p. 352.
  11. ^ José de Acosta, Historia Naturale e Morale delle Indie. Nouamente tradotta della lingua spagnuola nella italiana da Gio. Paolo Galucci salodiano accademico veneto, traduzione di Giovanni Paolo Gallucci, Venezia, Bernardo Basa, all'insegna del Sole, 1596, p. 69.
  12. ^ Antonella Romano, Impressioni di Cina: saperi europei e inglobamento del mondo (secoli 16.-17), 1ª ed., Roma, Viella, 2020, p. 104, ISBN 9788833132327.
  13. ^ (EN) Gianna Pomata e Nancy Gillian Siriasi, Introduction, in Historia: Empiricism and Erudition in Early Modern Europe, Cambridge, The MIT Press, 2005, p. 8, ISBN 978-0262162296.
  14. ^ (EN) Brian W. Ogilvie, Natural History, Ethics and Physico-Theology, in Gianna Pomata e Nancy Gillian Siriasi, Historia: Empricism and Erudition in Early Modern Europe, Cambridge, The MIT Press, 2005, p. 77, ISBN 978-0262162296.
  15. ^ (EN) Brian W. Ogilvie, Natural History, Ethics, and Physico-Theology, in Gianna Pomata e Nancy Gillian Siriasi, Historia: Empiricism and Erudition in Early Modern Europe, Cambridge, The MIT Press, 2005, pp. 80-81, ISBN 978-0262162296.
  16. ^ (EN) Brian W. Ogilvie, Natural History, Ethics, and Physico-Theology, in Gianna Pomata e Nancy Gillian Siriasi, Historia: Empiricism and Erudition in Early Modern Europe, Cambridge, The MIT Press, 2005, pp. 80-81, ISBN 978-0262162296.
  17. ^ Theodore Hornberger, Acosta’s “Historia Natural y Moral de las Indias:” A guide to the source and the growth of the american scientific tradition., in Studies in English, vol. 19, 1939, p. 141.
  18. ^ USTC - Edition - No. 807737, su ustc.ac.uk.
  19. ^ José de Acosta, Historia Naturale e Morale delle Indie. Nouamente tradotta della lingua spagnuola nella italiana da Gio. Paolo Galucci salodiano accademico veneto., traduzione di Giovanni Paolo Gallucci, Venezia, Bernardo Basa, all'insegna del Sole, 1596.
  20. ^ José de Acosta, Historia Naturale e Morale delle Indie. Nouamente tradotta della lingua spagnuola nella italiana da Gio. Paolo Galucci salodiano accademico veneto., traduzione di Giovanni Paolo Gallucci, Venezia, Bernardo Basa, all'insegna del Sole, 1596, p. 124.


Bibliografia

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Voci correlate

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Collegamenti esterni

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