Collezione Vandeneynden

raccolta di opere d'arte
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La collezione Vandeneynden o Van den Eynde era una collezione di opere d'arte nata e appartenuta alla nobile famiglia fiamminga dei Vandeneynden (o Van den Eynden o anche Van den Eynde o, ancora, Vandeneyde), ricchi mercanti attivi a Napoli nel XVII secolo.[1]

Lo stemma dei Vandeneynden con le tre anatre (in fiammingo eynden significa per l'appunto "anatre")

La raccolta nacque nel corso del Seicento tra Roma e Napoli rispettivamente con i fratelli Ferdinand e Jan Vandeneynden, per poi proseguire unicamente nel ramo napoletano per il tramite del figlio di quest'ultimo, Ferdinando, I marchese di Castelnuovo, fin quando la collezione non fu smembrata e dispersa tra svariate collezioni private d'Europa intorno ai primi dell'Ottocento.[1]

Assieme alla collezione di Gaspar Roomer (da cui fu ereditato un cospicuo numero di opere d'arte), alla collezione d'Avalos e a quella Filomarino, fu una delle più ricche e prestigiose raccolte d'arte della Napoli del Seicento.

Storia modifica

La famiglia Vandeneynden: i fratelli Jan e Ferdinand modifica

La famiglia Vandeneynden stabilì i suoi legami con la città di Napoli a partire dal 1611-1612 allorquando Jan, un mercante fiammingo estremamente facoltoso giunto a Napoli da Anversa, divenne uno degli uomini più ricchi della città mediante il commercio con le Fiandre e la sua attività di banchiere.[2][3] Jan divenne contemporaneamente proprietario di una delle più grandi collezioni d'arte presenti in città e, con molta probabilità, di tutto il regno napoletano.[4]

Il fratello di Jan, Ferdinand Vandeneynden, non si stabilì mai a Napoli, ma passando per Venezia e Genova fu invece particolarmente attivo a Roma dal 1626, anno in cui si stabilì in città trovando fortuna nel commercio anche di opere d'arte.[1] I Vandeneynden erano imparentati con importanti artisti olandesi come Jode, Lucas, Jan de Wael, Jan Brueghel il Vecchio, di gli ultimi due era cognato, e di conseguenza Jan Brueghel il Giovane e Cornelis de Wael,[5][6] che erano nello nipoti proprio di Ferdinand.[7][8]

Alla morte di Ferdinand questi fu sepolto nel 1630 nella chiesa di Santa Maria dell'Anima, la cui tomba monumentale, scolpita da François Duquesnoy, ebbe particolari elogi sia dagli artisti contemporanei sia da quelli posteriori (Rubens in particolare ne apprezzò particolarmente i due putti scolpiti),[7][9] parte della sua collezione passò in eredità al fratello Jan.[10] Quest'ultimo intanto trovò successo finanziario a Napoli grazie anche al sodalizio con il socio connazionale e amico in affari Gaspar Roomer, attivo a Napoli dal 1616, con cui a partire dal 1636 avviò un'impresa attiva negli scambi commerciali di merci, tessuti, materie prime e anche opere d'arte, dalle Fiandre alla penisola italiana, nonché prestiti economici e noleggio di navi per lo Stato spagnolo e per il vicereame.[1][11][12]

 
Il palazzo Zevallos a via Toledo, che diventerà poi dei Vandeneynden e successivamente dei Colonna di Stigliano

Tra il 1659 e il 1663 Jan era in forte espansione economica: perfezionò quindi l'acquisto dell'attuale palazzo Zevallos, di proprietà della famiglia spagnola Francesco Ceballos, con il cui padre, Giovanni, era in rapporti lavorativi, essendone il procuratore,[11][13][14] e successivamente al 1663 avviò importanti lavori di abbellimento degli interni, curati da Bonaventura Presti, che scolpì anche lo stemma di famiglia sopra il portale d'ingresso.[12] Sempre sotto la guida del Presti avviò inoltre i lavori alla cappella gentilizia (oggi distrutta) che acquistò nella chiesa di Sant'Anna di Palazzo.[12]

In questo contesto Jan riuscì a mettere in campo un'ascesa sociale che fece in modo da posizionare la famiglia Vandeneynden tra gli alti ranghi dell'aristocrazia partenopea, riuscendo a combinare anche i matrimoni dei suoi quattro figli (un maschio e tre femmine) con personalità della nobiltà locale.[1][15] Le tre figlie femmine, Caterina, Teresa e Giovanna, si sposarono rispettivamente con il nobile nolano Mario Mastrilli, nel 1654, con Gregorio Gallo de Velasco, consigliere spagnolo e con Giovanni de Gennaro, nobile napoletano.[12]

Per il suo unico figlio maschio, Ferdinando, Jan acquistò un titolo nobiliare, quello di marchese di Castelnuovo,[2][3] mentre il matrimonio gli fu combinato con Olimpia Piccolomini, membro della famiglia aristocratica di origine senese-romana.[12] Alla morte di Jan avvenuta nel 1671 tutti i beni familiari furono ereditati da Ferdinando, che fu di fatto l'unico continuatore della dinastia Vandeneynden.[1]

Le commissioni artistiche modifica

Con Ferdinando si conclusero i lavori di restauro del palazzo in via Toledo avviati dal padre e si diede l'incarico di costruire, tra il 1671 e il 1674, la monumentale villa sul Vomero, progettata anch'essa dall'architetto Bonaventura Presti che di fatto assunse il ruolo di architetto di casa Vandeneynden, mentre nel salone centrale fu richiesta la decorazione con affreschi di Luca Giordano.[16][17]

Non si sa per certo a chi tra Jan e Ferdinando spettasse la titolarità delle singole commesse riguardanti le opere della collezione. Di certo si sa che a Jan, uomo d'affari e mecenate attivo nello "spostare" opere fiamminghe in terra italiana e viceversa, spettano le commesse avviate intorno agli anni '40 del Seicento ad autori fiamminghi (Rubens e Van Dyck) e per lo più classicisti di ambito romano (Andrea Sacchi, Poussin, Romanelli, Vouet e altri).[18] A Ferdinando, invece, uomo attento all'arte e di cultura particolarmente apprezzato dai salotti della città, si deve con ogni probabilità l'ingresso nella raccolta Vandeneynden di una serie di quadri di pittori attivi a Roma in particolare appartenenti alla corrente neoveneta e formazione bolognese, come Annibale Carracci (individuato tra l'altro nella Scena comica con bambino in maschera oggi al Fitzwilliam Museum di Cambridge e in un'altra tela, poi assegnata a Francesco Albani, con la Madonna in gloria con santi, oggi nella basilica dell’Incoronata Madre del Buonconsiglio di Napoli).[18]

 
Banchetto di Erode, Mattia Preti

Con Ferdinando la collezione ebbe un notevole arricchimento di opere anche di estrazione napoletana, alcune dei maggiori autori del barocco locale.[18] Ferdinando riuscì a stabilire infatti forti legami lavorativi sia con Luca Giordano sia con Mattia Preti, i quali assunsero in una posizione di pittori di casa Vandeneynden, ricevendo entrambi numerose commissioni (circa una decina a testa).[18]

Il pittore calabrese, che ebbe elogi dal marchese Ferdinando per una sua Nozze di Cana ammirata in casa dell'amico connazionale e socio in affari (suo ma in particolar modo di suo padre Jan) Gaspar Roomer, eseguì per il Vandeneynden diverse opere, tra cui il Banchetto di Erode, compiuto su modello di quello di Rubens, che all'epoca era anch'esso in casa Roomer, il San Giovanni Battista che rimprovera Erode, la Decollazione di san Giovanni Battista, il Martirio di san Bartolomeo, una Predica di Erode, un Cristo e l'adultera e un Ricco Epulone.[19]

L'acquisizione di alcuni quadri della collezione di Gaspar Roomer (1674) modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Collezione di Gaspar Roomer.

Uno sviluppo massiccio della collezione di Ferdinando, in termini sia quantitativi sia qualitativi, si ebbe grazie al lascito di Gaspar Roomer,[3][18][20] morto nel 1674, che diede in eredità alla famiglia Vandeneynden una esigua parte della sua collezione di dipinti.[11] La parte di opere della collezione Roomer confluita in quella Vandeneynden, in origine particolarmente corposa, forse la più notevole della città che contava più di mille dipinti,[1] all'epoca anche più prestigiosa di quella Vandeneynden, si componeva di un catalogo di tele che contava venti quadri, i quali si andarono ad aggiungere ad altri cinquanta donati in precedenza.[1][21]

I dipinti che traslarono dalla collezione Roomer includevano capolavori assoluti della pittura barocca europea,[22] come il Sileno ebbro di Ribera,oggi a Capodimonte, il Banchetto di Erode di Rubens, oggi a Edimburgo, la Sacra famiglia di Nicolas Poussin, oggi a New York, il Riposo durante la fuga in Egitto di Aniello Falcone, che nello specifico fu donato da Roomer alla moglie di Ferdinando, Olinda (o Olimpia) Piccolomini, il Sacrificio di Mosè di Massimo Stanzione, le due scene di martirio di Mattia Preti, quelli di san Paolo e san Pietro, e le Nozze di Cana dello stesso autore.[1]

Nel testamento redatto dal Roomer l'anno prima di morire questi dava il consenso all'amico Ferdinando di potersi scegliere prima della sua scomparsa un numero di cinquanta tele dalla sua collezione; pertanto il fatto che, al momento della morte di Gaspar, nel suo inventario post-mortem non figurassero né il Sileno ebbro né il Banchetto di Erode, lascia presupporre che il Vandeneynden abbia scelto già prima della scomparsa del socio di accaparrarsi proprio i due dipinti che probabilmente erano i più prestigiosi della collezione Roomer.[23]

La morte di Ferdinando (1678) modifica

Ferdinando Vandeneynden, che era di salute cagionevole, morì di tisi il 3 luglio 1678,[21] pertanto la collezione fu dapprima ereditata dalla moglie Olinda Piccolomini, poiché le tre figlie erano ancora bambine, e poi successivamente (nel 1688, in occasione delle loro nozze) frazionata tra loro, Giovanna (1672-1716), Elisabetta (1674-1743) e Caterina (affetta da un'infermità mentale che la portò a una prematura scomparsa nei primi anni del Settecento).[3]

L'inventario del 1688 modifica

Contestualmente alle nozze di due delle tre figlie avvenute nel 1688, Luca Giordano fu incaricato di redigere l'inventario dei beni che furono di Ferdinando Vandeneynden per distribuirlo come dote nunziali: suddiviso in tre sezioni, il catalogo registra un numero elevatissimo di pezzi di proprietà tra mobilia, oggetti, arti minori e circa trecento dipinti.[18]

 
Villa Carafa Belvedere al Vomero, già Villa Vandeneynden. Morto Ferdinando la villa fu ereditata dalla figlia Elisabetta prendendo cosi il nome del marito Carlo Carafa, fatto sposo nel 1688.

L'inventario menziona, in maniera talvolta approssimativa per quei dipinti di provenienza fiamminga che il Giordano probabilmente poco conosceva, opere di Leonard Bramer, Giacinto Brandi, Jan van Boeckhorst, Gerard van der Bos, Jan Brueghel il Vecchio, Viviano Codazzi, Jacques Duyvelant, Annibale Carracci, Guercino, David de Haen, Pieter van Laer, Jan Miel, Cornelius van Poelenburch, Cornelis Schut, Goffredo Wals, Caravaggio, Bartolomeo Passante, Mattia Preti, Pieter Paul Rubens, Carlo Saraceni, Massimo Stanzione, Jusepe de Ribera, Luca Giordano, Van Dyck, Simon Vouet, Pieter de Witte, numerose nature morte di Paolo Porpora, Luca Forte e Abraham Brueghel, e paesaggi e battaglie di altri maestri, come Salvator Rosa e Aniello Falcone.[18]

 
Cristo nell'orto, Caravaggio, collezione privata di Roma (secondo parte della critica di possibile provenienza Vandeneynden)[24][25]

L'elenco del Giordano risulta particolarmente importante perché da questo si evince anche il valore in termini economici riconosciuto ad ogni singolo quadro.[18] In termini assoluti i dipinti di maggior valore erano, in ordine decrescente, quello di Rubens, il Banchetto di Erode, stimato per 2.000 ducati, il Sileno ebbro, del Ribera, valutato 1.000 ducati, la Madonna col Bambino in gloria con i santi Andrea, Pietro, Paolo e Francesco d'Assisi assegnata ad Annibale Carracci (poi in tempi moderni ricondotta a Francesco Albani), valutata 800 ducati, la Fuga in Egitto di Nicolas Poussin, stimata per 500 ducati, le tre tele ascritte alla mano di Caravaggio, la Flagellazione, l'Incoronazione di spine e il Cristo nell'orto, le prime due non identificate con i dipinti autografi oggi noti del Merisi, la terza viene identificata da una parte della critica con tra quelle già in collezione Mattei e attualmente in raccolta privata,[24] anche se la tesi è controversa,[25] valutate 400 ducati ciascuna, mentre il Banchetto di Erode di Mattia Preti fu stimato per 200 ducati.[18]

Seguiva questo gruppo di tele un restante cospicuo numero di dipinti appartenuti a Luca Giordano, di cui un Apollo e Marsia valutato 100 ducati (non identificabile con la versione oggi al Museo di Capodimonte)[26][27] e la Nascita di Venere valutata 300, ancora a Mattia Preti, di cui le tre tele con le storie del Battista e la Crocifissione di san Pietro, valutate 200 ducati cadauna, nonché a Guercino, di cui la Samaritana al pozzo del valore di 100 ducati, Massimo Stanzione, di cui il Lot e le figlie valutato 200 ducati, e Andrea Vaccaro, anch'egli molto presente nelle raccolte Vandeneynden con circa venti dipinti.[18] I suddetti autori vedevano le loro opere con una valutazione che oscillava dai 50 ai 300 ducati.[18] Un altro cospicuo numero era invece formato da pittori per lo più fiamminghi, mentre altre tele ancora costituivano copie da Guido Reni e Tiziano, valutate dai 10 ai 50 ducati.[18]

Non tutte le opere presenti nell'inventario redatto da Giordano sono state tuttavia opportunamente identificate oggi; molte di queste infatti, seppur dettagliate nella descrizione scenica, non sono state ancora rintracciate e pertanto risultano di ignota ubicazione se non addirittura scomparse.[18]

 
Lo scudo di palazzo Zevallos dopo il lascito a Giovanna, figlia di Ferdinando. Nella metà di sinistra è lo stemma dei Colonna (la colonna), a destra quello Vandeneynden (le tre papere).

La collezione frazionata tra le famiglie Colonna di Stigliano e Carafa di Belvedere (1688) modifica

Due delle tre figlie di Vandeneynden, Giovanna ed Elisabetta, sposarono nel 1688 (la prima a febbraio, la seconda ad aprile) gli eredi di due delle più potenti famiglie italiane, rispettivamente i Colonna e i Carafa, mentre la terza, Caterina, con problemi di salute mentale, rimase sotto la custodia della madre Olinda Piccolomini fino alla morte.[1]

Fu proprio in occasione dei matrimoni di Elisabetta e Caterina che le eredità genitoriali vennero "sbloccate", infatti alle due sorelle andarono la maggior parte dei pezzi della collezione, mentre Caterina ricevette solo una parte marginale della stessa.[28]

Giovanna sposò Giuliano Colonna di Stigliano, I principe di Sonnino, a cui venne dato in eredità palazzo Zevallos (che divenne Colonna), dove almeno fino al 1783 era ancora registrato in situ il Sileno ebbro di Ribera[23] (mentre sul finire del Settecento è già nelle collezioni reali napoletane del palazzo Francavilla) ed il Cristo nell'orto del Caravaggio (oggi secondo parte della critica identificabile con quello in collezione privata romana) mentre Elisabetta sposò Carlo Carafa, III principe di Belvedere, VI marchese di Anzi e signore di Trivigno, a cui venne dato invece la villa al Vomero, che divenne appunto Carafa, dove fino al 1833 era registrata la tela del Banchetto di Erode di Rubens.[2][3]

Una volta morta prematuramente Caterina, i suoi pochi pezzi ereditati (tra cui i due ovali di Salvator Rosa con scene di paesaggi e soldati), furono suddivisi tra Elisabetta e Giovanna.[1]

La collezione Vandeneynden fu di fatto una delle rare (tra quelle napoletane) che non confluì interamente (per il tramite dei viceré che si avvicendavano a Napoli) nelle raccolte reali di Spagna. Una volta frazionatasi, col tempo i beni delle confluiti nelle famiglie Colonna e Carafa si dispersero tra le gallerie private d'Europa, perdendo definitivamente la sua integrità.[1] L'ultimo inventario Colonna di Stigliano del 1796, redatto alla morte di Marcantonio, registra nel palazzo di via Toledo ancora svariati pezzi che furono della famiglia fiamminga, dei quali poi si perderanno le tracce dopo i moti rivoluzionari del 1799.

Elenco delle opere di sicura identificazione (non esaustiva) modifica

 
Cristo e la samaritana al pozzo, Guercino
 
Resurrezione di Lazzaro, Mattia Preti
 
San Giovanni Battista che rimprovera Erode, Mattia Preti
 
Lot e le figlie, Massimo Stanzione

Elenco delle opere non identificate (non esaustiva) modifica

Di seguito un elenco delle opere catalogate da Luca Giordano nel suo inventario del 1688, con anche il riporto del valore stimato del dipinto, che tuttavia non sono state identificate in nessuna delle tele oggi note riguardanti gli autori interessati.

Francesco Albani
Jacopo Bassano
  • Incoronazione di spine[35]
Paris Bordon
  • Banchetto di Erode[36]
Abraham Brueghel
  • Natura morta con frutti e fiori[37]
Caravaggio
  • Flagellazione di Cristo[38]
  • Incoronazione di spine[38]
Annibale Carracci
  • San Sebastiano[29]
  • Paesaggio con figure e lago[34]
Bernardo Cavallino
  • Santa Margherita e il drago[39]
Jacques Courtois
  • Quattro scene di Battaglie[40]
Aniello Falcone
Giacomo Farelli
  • Fuga in Egitto[29]
  • Strage degli innocenti[41]
Orazio Gentileschi
  • Giuditta e Oloferne[37]
Luca Giordano
  • Crocifissione di sant'Andrea[42]
  • Venere e Diana[29]
Grechetto
  • Paesaggio con animali[34]
Guercino
  • Cleopatra e il serpente[43]
  • San Pietro in carcere[44]
Jacopo Palma
Paolo Porpora
  • Natura morta con fiori e frutta[34]
  • Natura morta con fiori e frutta[36]
Nicolas Poussin
  • Poesia in tre figure
  • Sant'Agata[37]
  • Baccanale[45]
  • Scena con putti[46]
Mattia Preti
  • Ricco Epulone[47]
  • Giobbe nel letamaio[48]
  • Predica nel deserto[49]
  • Cristo e l'adultera[50]
Jusepe de Ribera
  • San Paolo[51]
  • San Sebastiano curato dalle pie donne[29]
Salvator Rosa
Pieter Paul Rubens
  • Mosè con il serpente alla croce[53]
Giovan Battista Ruoppolo
  • Natura morta con fiori e frutta[29]
Andrea Sacchi
  • Madonna che lava i piedi a Gesù[29]
Carlo Sellitto
  • Incoronazione di spine[33]
Tintoretto
Tiziano
  • Cristo portacroce[29]
Andrea Vaccaro
  • Quattro tele con le Virtù[54]
  • Decollazione del Battista[37]
  • Nascita di Cristo[52]
  • Vergine, Gesù, sant'Anna e san Giovanni[55]
  • Natività di Cristo con pastori[37]
  • Madonna del Rosario[37]
  • Caino e Abele[56]
  • Adorazione dei magi[37]
Antoon Van Dyck
  • Ritratto di uomo con baffi[52]
  • Ritratto[52]
Perin del Vaga
  • Madonna col Bambino e san Giovannino[41]
Paolo Veronese
  • Battesimo di san Giovanni Battista[29]
Cornelis de Wael
  • Quattro scene di Battaglie[57]

Albero genealogico degli eredi della collezione modifica

Segue un sommario albero genealogico degli eredi della collezione Vandeneynden (o van den Eynde), dove sono evidenziati in grassetto gli esponenti della famiglia che hanno ereditato, custodito o che comunque sono risultati influenti nelle dinamiche inerenti alla collezione d'arte. Per semplicità, il cognome Vandeneynden viene abbreviato a "V.".

 Romhild V.
(?-?)
(sposato con Anna Pieters)
 
  
 Ferdinand V.
(1584-1630)
(mercante attivo esclusivamente a Roma)
Jan V.
(1590 ca.-1674)
(sposato con Elisabetta Salvatore, fu mercante di stoffe e socio in affari di Gaspar Roomer, fu l'iniziatore della collezione con opere fiamminghe e per lo più classiciste di ambito romano)
 
  
 Ferdinando V.
(?-1674)
(sposato con Olinda Piccolomini, fu il principale contributore della collezione a cui aggiunse circa 70 quadri della collezione Roomer donati da Gaspar, tra cui il Banchetto di Erode di Rubens e il Sileno ebbro di Ribera; alla sua morte trasferì la collezione alle tre figlie femmine)
...e altre tre sorelle
 
   
Giovanna V.
(1672-1716)
(ereditò circa metà collezione, tra cui il Sileno ebbro di Ribera, la Sacra Famiglia del Poussin e il Cristo nell'orto di Caravaggio, nonché il palazzo a via Toledo, che confluirono in dote al marito Giuliano Colonna di Stigliano, I principe di Sonnino)
Elisabetta V.
(1674-1743)
(ereditò circa metà collezione, tra cui il Banchetto di Erode di Rubens, e la villa al Vomero, che confluirono in dote al marito Carlo Carafa, III principe di Belvedere)
Caterina V.
(?-?)
(ereditò una piccola parte della collezione, la quale, affetta da un'infermità mentale che la portò a una prematura scomparsa nei primi anni del Settecento, fu ridistribuita tra le due sorelle)

Note modifica

  1. ^ a b c d e f g h i j k l Van der Sman e Porzio, pp. 13-24.
  2. ^ a b c Maria Grazia Lanzano, 6. Dai Coppola ai Lentini, su dizionariogallic.altervista.org, Dizionario Dialettale di Gallicchio. URL consultato il 1º giugno 2020.
  3. ^ a b c d e Ruotolo, pp. 5-55.
  4. ^ Cristina Trimarchi, Rubens, Van Dyck e Ribera: Tre grandi artisti in un'unica prestigiosa esposizione a Napoli, su classicult.it, Classicult. URL consultato il 23 agosto 2020.
  5. ^ Rubens, Van Dyck, Ribera: 36 capolari in mostra a Palazzo Zevallos, in Il Mattino, 5 dicembre 2018.
    «Stretti rapporti di parentela legavano la famiglia Vandeneynden a quelle di diversi artisti fiamminghi (i Brueghel, i de Wael, i de Jode)»
  6. ^ Mediterranean Masterpieces - This Collection Tells the Story of Naples Through Its Art, su amuse.vice.com, Vice Media. URL consultato il 22 agosto 2020.
  7. ^ a b Ferdinand van den Eynde, su rkd.nl, RKD. URL consultato il 22 agosto 2020.
  8. ^ A. De Waal, Geschichte des Geschlechtes De Waal, Görlitz, 1935, p. 146.
  9. ^ Epitaph of Ferdinand van den Eynde, su wga.hu, Web Gallery of Art. URL consultato il 1º giugno 2020.
  10. ^ Estelle Cecile Lingo, François Duquesnoy and the Greek Ideal, New Haven, Connecticut, Yale University Press, 2007, p. 74-78; 198.
  11. ^ a b c Van der Sman e Porzio, pp. 25-30.
  12. ^ a b c d e Van der Sman e Porzio, pp. 33-39.
  13. ^ Gallerie di Palazzo Zevallos Stigliano, Arte'm, 2014, ISBN 978-88-569-0432-1.
  14. ^ Donatella Mazzoleni, I palazzi di Napoli, Arsenale Editrice, 2007, ISBN 88-7743-269-1.
  15. ^ I figli in realtà erano cinque, il primogenito, che prese il nome dello zio, Ferdinand, tuttavia, morì prematuramente in tenera età.
  16. ^ Sergio Attanasio, La Villa Carafa di Belvedere al Vomero, Napoli SEN, 1985, pp. 1–110.
  17. ^ Antonio La Gala, Vomero. Storia e storie, Guida, 2004, pp. 5–150.
  18. ^ a b c d e f g h i j k l m Van der Sman e Porzio, pp. 51-77.
  19. ^ Nicola Spinosa, Mattia Preti. Tra Roma, Napoli e Malta, Electa, Napoli, 1999, p. 136, ISBN 978-8851001292
  20. ^ Stoesser, pp. 41-49.
  21. ^ a b Roger Ward Bissell, Artemisia Gentileschi and the Authority of Art, University Park, Pennsylvania, Pennsylvania State University Press, 1970, pp. 196–197.
  22. ^ A. Berision, Napoli nobilissima, Charlottesville, Virginia, University of Virginia, 1970, pp. 161–164.
  23. ^ a b c Van der Sman e Porzio, pp. 126-128.
  24. ^ a b c Caravaggio La Presa di Cristo. URL consultato il 18 ottobre 2023.
  25. ^ a b c Un'altra parte della critica ritiene questo assunto non attendibile, poiché il Cristo nell'orto del Caravaggio di che trattasi risulta nel 1753 ancora negli inventari Mattei.
  26. ^ O. Ferrari e G. Scavizzi, Luca Giordano. L'opera completa, Napoli, Electa, pp. 269-270.
  27. ^ a b La tela non è identificabile con la versione oggi al Museo di Capodimonte in quanto quest'ultima ha una storia una provenienza diversa, ben documentata da fonti storiche certe. Presumibilmente la tela Vandeneynden, che ha dimensioni congrue con quella di Napoli, può essere identificata con una sua replica del 1660 circa, leggermente più piccola, o con ancora un'altra versione oggi non nota.
  28. ^ Bernardo De Dominici, Fiorella Sricchia Santoro e Andrea Zezza, Vite de' pittori- Dominici, Paparo Edizioni, p. 772.
  29. ^ a b c d e f g h i j k l Valutato 200 ducati.
  30. ^ Valutato nell'inventario di Luca Giordano 20 ducati.
  31. ^ a b c Olio su tela ovale valutato 400 ducati, poi in collezione Genzano nel corso dell'800.
  32. ^ Valutata nell'inventario di Luca Giordano 300 ducati, parte della critica attribuisce la tela a quella della National Gallery di Londra, un'altra parte no.
  33. ^ a b Valutato nell'inventario di Luca Giordano 80 ducati.
  34. ^ a b c d e Valutato nell'inventario di Luca Giordano 150 ducati.
  35. ^ Valutato 300 ducati.
  36. ^ a b Valutato 400 ducati.
  37. ^ a b c d e f g h i j k Valutato 100 ducati.
  38. ^ a b Dipinto non identificato con nessuna delle opere autografe oggi note del Merisi.
  39. ^ Valutato 30 ducati.
  40. ^ Di cui due delle quattro tele valutate da 150 ducati.
  41. ^ a b Valutato 500 ducati.
  42. ^ Valutato 200 ducati, è escluso sia la versione dell'Alte Pinakothek di Monaco di Baviera.
  43. ^ Valutato 150 ducati.
  44. ^ Valutata 150 ducati, la tela non è identificabile con la versione attualmente al Museo del Prado di Madrid.
  45. ^ Valutato 40 ducati.
  46. ^ Valutato 600 ducati.
  47. ^ Valutato 350 ducati, l'ubicazione della tela non è nota: il dipinto non rispetta le caratteristiche delle due opere di questo soggetto conosciute del pittore, una a Barberini e l'altra di ubicazione ignota conosciuta tramite documenti fotografici.
  48. ^ Valutato 350 ducati, per dimensioni si esclude possa essere la tela di dei Musei Reali di Bruxelles.
  49. ^ Faceva coppia con il Banchetto di Erode di Toledo (Ohio), assieme alla quale furono valutate complessivamente 400 ducati.
  50. ^ Valutato 200 ducati, per dimensioni si esclude possa essere la tela di Kunsthaus a Zurigo.
  51. ^ Mezza figura del santo valutato 35 ducati.
  52. ^ a b c d Valutato 50 ducati.
  53. ^ Valutato 200 ducati, le due copie al Thure Gabriel Rudbeck di Stoccolma [57×71 cm] e in collezione privata a Dijon [53×75 cm] sono riconducibili per descrizione e dimensione alla versione già in collezione Vandeneynde.
  54. ^ Valutate 200 ducati ciascuna.
  55. ^ Valutato 60 ducati.
  56. ^ Valutato 70 ducati.
  57. ^ Valutate 200 ducati in totale. Una è probabilmente identificata con la Veduta costiera con vascelli olandesi

Bibliografia modifica

  • Renato Ruotolo, Mercanti-collezionisti fiamminghi a Napoli: Gaspare Roomer e i Vandeneynden, Massa Lubrense, Scarpati, 1982.
  • Alison Stoesser, Tra Rubens e van Dyck: i legami delle famiglie de Wael, Vandeneynden e Roomer, 2018.
  • G.J. Van der Sman e G. Porzio, La quadreria Vandeneynden - La collezione di un principe, A. Denunzio, 2018.

Voci correlate modifica