Nizariti

setta degli assassini
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I Nizariti sono la principale setta degli ismailiti, una corrente dell'islam sciita, seguaci dell'Aga Khan, conosciuti in passato anche come Setta degli Assassini oppure semplicemente Assassini, particolarmente attivi tra l'XI ed il XIV secolo in Vicino Oriente come seguaci di Hasan.

Calligramma ismailita col nome di ʿAlī, a forma di leone, adottato come simbolo dai nizariti

L'inizio della loro attività si ebbe in Persia e in Siria a partire dall'XI secolo, in seguito ad un'importante scissione della corrente ismailita e proseguita in modo più organizzato nel 1094 grazie a Ḥasan-i Ṣabbāḥ, detto "il Vecchio della Montagna" (o anche "Veglio della Montagna", in realtà "capo della Montagna", dalla confusione del significato dell'arabo shaykh, che vuol dire sia "vecchio" sia "capo"), la cui roccaforte fu Alamūt, nel nord della Persia, fra Teheran e il mar Caspio. Alla fine del Medioevo questa setta scomparve, praticamente sommersa dal ramo principale dell'Ismailismo.

Tra le caratteristiche più note del movimento si ricorda la completa e assoluta sottomissione dei seguaci al loro capo carismatico. Il loro principio fondamentale della sottomissione all'autorità rivelata spiega la devozione che essi nutrivano verso i loro maestri, ritenuti figure a metà strada tra il semi-divino e semi-umano.[1]

Etimologia

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Il termine assassini si fa derivare dal sostantivo arabo al-Hashīshiyyūn, "coloro che sono dediti all'hashish"[2] anche se alcune teorie spiegano che il termine derivi in realtà da heyssessini che significherebbe "seguaci di Hasan",[3] oppure da 'asan (guardia).[4] La parola italiana "assassino" deriverebbe dalla pratica in uso di questa setta di ricorrere, per l'affermazione della loro politica, a omicidi politici mirati (specialmente contro i sunniti selgiuchidi e ayyubidi).

Gli inizi con Ḥasan b. al-Ṣabbāḥ

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Un'immagine del Vicino Oriente nel periodo delle crociate; si nota l'area controllata dai Nizariti, tra il Sultanato dei Selgiuchidi, la contea di Tripoli e il principato di Antiochia (in bianco).

All'inizio i membri poi definiti "Nizariti" erano gli adepti dell'Ismailismo in Iran, cioè una setta sciita minoritaria in un paese allora sunnita. Sotto la guida del loro capo carismatico, Ḥasan-i Ṣabbāḥ, gli ismailiti nel 1090 presero il controllo del forte di Alamūt ed estesero la propria influenza fino alla Siria.

Gli adepti erano inquadrati nei vari gradi della setta, da novizio a Gran Maestro, secondo il livello di istruzione, di affidabilità e di coraggio, seguendo un piano intensivo di indottrinamento e addestramento fisico.

Ḥasan terrorizzava i nemici con omicidi individuali: membri della setta erano inviati, singolarmente o a piccoli gruppi, con la missione di uccidere una persona importante. Le esecuzioni, per impressionare di più, erano condotte in pubblico, nelle moschee, preferibilmente il venerdì, giorno sacro dell'Islam. Di solito gli Assassini (fidāʾī) erano uccisi sul fatto. La serenità con cui si lasciavano massacrare fece pensare ai contemporanei che fossero drogati con hashish, donde l'appellativo di hashīshiyyūn o hashashīn (= mangiatori d'erba, cioè di hashish).

Nel 1094, alla morte dell'Imām fatimida del Cairo, al-Mustanṣir bi-llāh, si aprì una guerra civile tra i due figli Nizār e al-Mustaʿlī per la successione. Ḥasan si schierò con il fatimide Nizār, ma i partigiani di quest'ultimo furono sconfitti in Egitto: fu la rottura tra gli ismailiti di Alamūt e tutti gli altri (da qui il termine Nizariti, da Nizāriyya). Sotto il severo governo di Ḥasan comunque i Nizariti prosperarono.

I turchi selgiuchidi, che regnavano sull'Iran, l'Iraq e parte della Siria (all'epoca in gran parte sunniti[5]), costituivano tuttavia una minaccia costante. Essi intrapresero diverse campagne militari contro i Nizariti, ma senza grandi successi. Per reazione Ḥasan aprì la campagna di esecuzioni mirate contro capi politici e militari. Una delle prime vittime fu il visir dei sultani selgiuchidi Niẓām al-Mulk, nel 1092.

Circa un secolo dopo, durante la terza crociata, membri della setta degli Assassini cercarono di assassinare anche Saladino, all'assedio di Aleppo (22 maggio 1176).

Ḥasan-i Ṣabbāḥ morì ad Alamūt nel 1124. Gli succedette il suo luogotenente Kiya Buzurg-Ummid (Grande speranza) e poi il figlio di quest'ultimo, Muḥammad I, nel 1138. La lotta contro i Selgiuchidi proseguì in modo intermittente, con altri omicidi, tra cui quello del califfo abbaside al-Mustarshid nel 1135, e poco dopo di suo figlio al-Rashid nel 1136.

La "Grande risurrezione"

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Nel 1162 Hasan II succedette a suo padre Muḥammad I e rivoluzionò totalmente le idee religiose dei Nizariti. Durante il Ramadan del 1164 annunciò, nel nome dell'Imam nascosto, la Resurrezione (qiyāma) e abrogò la Legge islamica, particolarmente per quanto riguardava il divieto di bere vino e per l'obbligo di osservare il digiuno. Il suo regno fu breve: fu assassinato 18 mesi dopo da un oppositore della nuova dottrina.

Suo figlio Muḥammad II consolidò la nuova fede, giungendo a proclamarsi discendente diretto di Nizār, cosa che avrebbe fatto di lui un Imām.

Gli Imam nizariti dall'XI al XIII secolo

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anni di regno Imam Regioni
1094 - 1100 Ḥasan-i Ṣabbāḥ Persia
1100 - 1124 Ḥasan-i Ṣabbāḥ Persia e Siria
1124 - 1138 Khoja Buzurg-ummīd I Roudbar Persia e Siria
1138 - 1162 Muhammad I Persia e Siria
1162 - 1166 al-Khand Hasan II Persia e Siria
1166 - 1210 Muḥammad II Persia e Siria
1210 - 1221 Jalal al-Din Hasan III Persia e Siria
1221 - 1255 'Ala' al-Din Muhammad III Persia e Siria
1255 - 1256 Khur-Shāh Rukn al-Dīn Gur Shah Persia e Siria
1256 - 1273 al-Kahf Siria

Il declino

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna mongola contro i Nizariti.

In Iran, dopo il regno dell'instabile e violento imām Muhammad III fino al 1255, suo figlio Khur-Shāh si trovò a fronteggiare un nemico temibile: l'armata mongola guidata da Hulagu Khan, nipote di Gengis Khan, lanciata alla conquista del Vicino e Medio Oriente.

Nonostante diversi infruttuosi tentativi di assassinio, le truppe di Hulagu assediarono il castello dove Khur-Shāh si era rifugiato ed egli finì per arrendersi, morendo lungo la via per la Mongolia. Malgrado una sporadica resistenza gli altri castelli caddero o deposero le armi. Alamūt fu raso al suolo e la sua preziosa biblioteca andò distrutta. Molti nizariti furono massacrati, compresa tutta la famiglia dell'Imām, tranne un figlio di Khur-Shāh che si riuscì a portare al sicuro per garantire la successione dell'Imām.

I discendenti

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Poco si sa della storia dei Nizariti nel periodo che seguì le distruzioni e i massacri mongoli. Ciò che restava della comunità si disperse in gruppi isolati e tentò di sopravvivere quasi mimetizzandosi, sotto la costante minaccia di persecuzione da parte dei musulmani ortodossi.

Nel XV secolo il movimento conobbe una certa ripresa, insediandosi ad Anjudan, nell'Iran centrale. Da qui missionari furono inviati in India ed in Asia centrale. I nuovi convertiti indiani presero il nome di Khoja.

Negli anni trenta del XIX secolo Ḥasan ʿAlī Shāh, Imām discendente della lunga successione di Imām ismailiti e nizariti, ricevette il titolo di Aga Khan dallo Scià d'Iran. Costretto a lasciare l'Iran per ragioni politiche, Ḥasan ʿAlī si installò in India. I Khoja dell'India furono così costretti dall'Impero britannico a riconoscerlo come loro Imām, cosa che essi fecero fino all'indipendenza.

La comunità ismailita è guidata da Karim Aga Khan IV (nato nel 1936).

Note sui Nizariti

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Condizionamento psicologico

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Come scritto tra le ipotesi etimologiche, le cronache ostili al movimento descrivevano gli Assassini come drogati che utilizzavano l'hashish, per affrontare le missioni senza paura, inibendo i sensi. Quest'immagine dell'Assassino non trova però conferme del tutto convincenti. Hasan era infatti un musulmano austero, che certamente non avrebbe permesso l'uso di sostanze stupefacenti in sua presenza né, tantomeno, durante una missione. Il suo zelo è dimostrato anche da alcuni racconti curiosi, che vedono il Gran Maestro degli Assassini mandare a morte due dei suoi figli, uno dei quali per essersi ubriacato.

L'hashish e l'oppio non sarebbero stati assunti comunque solo per scopi militari. Venivano usati soprattutto a scopi religiosi, durante cerimonie nelle quali si cercava la verità divina o i sensi nascosti della vita attraverso l'estasi. Durante queste cerimonie essi affermavano di cogliere il potere dei testi sacri e di poter contattare i jinn.

L'hashish era infatti la chiave di volta mistica e della pratica spirituale nel sufismo e dei dervisci, usata per sopportare le lunghissime sedute di meditazione e per sperimentare, nell'alterazione delle facoltà mentali, il kif, la felicità e il riscatto eterno attesi dal credente.

Etimologia

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Nella tradizione, il termine "assassino", che designa anche la setta, deriverebbe da hashish. In effetti, in arabo "mangiatori di hashish" si dice ḥashshāshīn o ḥashāshīn (حَشَّاشِين o حشاشين).

Questa ipotesi etimologica è tuttavia contestata da alcuni arabisti e da alcuni scrittori, come Amin Maalouf, che nel suo romanzo Il manoscritto di Samarcanda ne dà un'etimologia diversa e certamente meno evocatrice, facendolo derivare da asās, che significa "basi, fondamenti", in riferimento alla ricerca dei principi "fondamentali" cari agli adepti della setta.

Un'altra ipotesi vedrebbe l'origine del termine dalla parola araba assās, che significa “guardiano”. Secondo un'ultima versione, invece, l'origine del termine sarebbe da attribuire alla storpiatura del nome del suo fondatore Hasan Ibn Sabbah.

Simboli

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La moderna bandiera Nizārī Ismā'īlī. I Nizariti del periodo di Alamut usavano una bandiera verde, e successivamente una rossa.

I fatimidi adottarono il verde (in lingua araba akhdar) come colore del loro stendardo, che simboleggiava la loro devozione ad ʿAlī. Quando Ḥasan-i Ṣabbāḥ conquistò Alamut, si dice che avesse issato uno stendardo verde sulla fortezza. In seguito alla distruzione di Alamut, gli ismailiti issarono bandiere verdi e rosse sopra le tombe dei loro Imam. Il verde e il rosso sono stati combinati nella bandiera ismailita del XIX secolo.

I fatimidi usavano anche uno stendardo bianco con intarsi d'oro, e gli imam califfi spesso indossavano il bianco con l'oro, come fanno oggi gli imam ismailiti.

L'eptagramma, una stella a sette punte, è spesso usato dagli ismailiti.

I Nizariti nella cultura di massa

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  1. ^ Assassini in “Enciclopedia Italiana” – Treccani
  2. ^ Si veda Bernard Lewis, The Assassins: a Radical Sect of Islam, Oxford University Press, 1967, pp. 30-31.
  3. ^ Haha Lung, La setta degli assassini. Tecniche e segreti., Edizioni Mediterranee, 2011.
  4. ^ Michele Bernardini e Donatella Guida, I Mongoli. Espansione, Imperi, Eredità., Torino, Einaudi, 2012, p. 85, ISBN 978-88-06-20596-6.
  5. ^ La sciitizzazione della Persia avverrà, forzatamente, solo nel XVI secolo con la dinastia safavide.

Bibliografia

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  • 1833: Joseph Von Hammer-Purgstall scrive una Histoire de l'ordre des Assassins de sa fondation à sa chute.
  • 1896: Alfred Jarry scrive un dialogo intitolato Le vieux de la montagne sull'incontro fra Marco Polo, Gengis Khan et Hasan-Alaodin.
  • 1938: Vladimir Bartol'd fa di Ḥasan-i Ṣabbāḥ uno dei personaggi principali del suo romanzo Alamūt.
  • Marshall G.S Hodgson, L'ordine degli assassini, Milano, Adelphi, 1955.
  • 1983: Le crociate viste dagli arabi (SEI, 2001. ISBN 88-05-05900-5) è il titolo di un'opera di Amin Maalouf che utilizza le note dei cronisti arabi dell'epoca per fornire un punto di vista inusuale in Occidente sulle crociate.
  • Bernard Lewis: Gli Assassini, Milano, A. Mondadori, 1992, ISBN 88-04-35401-1 (trad. dell'originale The Assassins: a Radical Sect in Islam, Londra, Weidenfeld and Nicolson, 1967, apparso in Francia nel 1984 come Les assassins, Terrorisme et politique dans l'islam médiéval, Éditions Complexe).Il saggio contesta il legame tra il termine assassino e l'hashish. Maxime Rodinson, nella sua introduzione, critica per suo conto la tesi sostenuta dall'autore sulla natura rivoluzionaria di questo movimento.
  • 1988: Amin Maalouf, Il manoscritto di Samarcanda (romanzo).
  • 2004: Pio Filippani-Ronconi, Ismaeliti ed "Assassini", Rimini, Il Cerchio, 2004.
  • 2013: AA.VV., L'anello invisibile, Arktos Edizioni, il libro ipotizza, tramite una fantasiosa analisi storica e delle dottrine esoteriche, l'esistenza di rapporti tra Ḥasan-i Ṣabbāḥ, i Templari e il tantrismo.

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