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Sandbox Claudio Gioseffi
Modifica in corso: Voce in creazione su Eresie e Inquisizione a Vicenza

La città di Vicenza e il suo territorio hanno una ricca storia di tradizione e cultura religiosa ...

Secoli VI-VII modifica

Il periodo dello Scisma dei Tre Capitoli modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Ducato di Vicenza e Ducato di Vicenza § Gli edifici religiosi.

Il periodo iniziale della dominazione longobarda nel Veneto rappresentò il momento in cui si contrapposero culture differenti - che solo nell’VIII secolo si sarebbero parzialmente integrate - caratterizzate anche dalla diversità di confessione religiosa.

Pochi anni prima dell'invasione - avvenuta nel 568-569 - l’imperatore bizantino Giustianiano, per non scontentare i monofisiti ancora numerosi anche dopo il concilio di Calcedonia nelle regioni orientali dell’impero, con un proprio editto aveva condannato alcuni scritti (capitoli) di tre teologi[1], che a Calcedonia avevano goduto di grande autorevolezza.

Molti vescovi dell'Italia Settentrionale - tra i quali quelli di Milano e di Aquileia - non avevano voluto subire questa imposizione e il loro dissenso si era acuito ai tempi del papa Pelagio I, il quale non solo aveva accettato l'editto, ma aveva indirizzato un'epistola al generale bizantino Narsete - che però non volle però obbedire alla richiesta – invitandolo a ridurre la ribellione con la forza.

A quel punto il Patriarcato di Aquileia si rese gerarchicamente indipendente e i vescovi elessero patriarca Paolino I per sottolineare la loro autonomia. Aquileia non riconobbe più l'autorità del papa e contestò vigorosamente fino alla rottura - da cui il nome Scisma dei Tre Capitoli - il suo atteggiamento, che riteneva ondivago sulla questione dei tre teologi condannati, in quanto non contrastava l'ingerenza del potere dell'imperatore bizantino nelle questioni dottrinarie.

Al tempo della loro migrazione in Italia nel 568-69, i Longobardi erano cristiani di confessione ariana, una fede che si sovrapponeva in modo superficiale a un substrato di tradizioni pagane ben radicate e di valori che costituivano l'identità del gruppo etnico. Quando arrivarono, preceduti dalla fama di popolo feroce, Paolino trasferì la sua sede e le reliquie a Grado (Aquileia Nova), rimasta sotto la sovranità bizantina come il resto della fascia costiera. La maggior parte delle città dell’interno e le relative diocesi vennero invece conglobate nel nuovo regno.

Dopo la morte di Paolino, il sinodo di Aquileia-Grado elesse nel 571 Elia, anch’egli convinto tricapitolino, cioè contrario agli orientamenti dell’imperatore e del papa. Il Patriarcato era tutto con lui: come ribadì un sinodo convocato a Grado nel 579, la Chiesa tricapitolina rimaneva rigorosamente calcedoniana, manteneva il credo niceno-costantinopolitano, non professava alcuna eresia cristologica e venerava Maria come "Madre di Dio". Nel 579 il nuovo papa, Pelagio II, concesse ad Elia la metropolia sulle Venezie e sull'Istria per tentare di ricomporre lo scisma, che però aveva un grande seguito popolare; il successore di Elia, Severo, allora convocò nel 590 un sinodo a Marano Lagunare, al quale parteciparono circa 15 vescovi - tra cui Oronzio primo vescovo di Vicenza, come ricorda Paolo Diacono[2] - in cui le città più orientali della Regio, in contrasto con Aquileia e con tutte le altre che intendevano perseverare nella posizione tricapitolina in separazione da Roma, si attestarono su posizioni vicine al papa.

Così nel 606, alla morte di Severo, il Patriarcato si divise in due sedi, Aquileia e Grado. Ad Aquileia venne nominato il patriarca Giovanni, tricapitolino, con il sostegno dei Longobardi; a Grado, alla cui sede venne riservata la giurisdizione sui territori sotto la dominazione bizantina, fu nominato il patriarca Candidiano, cattolico, sostenuto dall'esarca.

Vicenza quindi, che aveva sempre mantenuto forti legami con Aquileia, per tutto il primo secolo di dominio longobardo rimase salda nella sua fede a connotazione tricapitolina. Non è documentata la costruzione di alcuna chiesa ariana nella città o nel territorio e non risulta in alcun modo che i vicentini aderissero al credo dei vincitori.

Lo scisma, inizialmente favorito dai longobardi in opposizione a Bisanzio e a Roma, fu risolto dai longobardi stessi. Nelle seconda metà del VII secolo essi gradualmente si convertirono al cattolicesimo e si avvicinarono al papa. Dopo la battaglia di Coronate del 689, nella quale il re cattolico Cuniperto sbaragliò l’ariano duca dell'Austria longobarda Alachis - che era appoggiato anche da molti romanici aderenti allo scisma tricapitolino - la confessione cattolica si impose definitivamente sui dissidenti. Nel 698 Cuniperto convocò un sinodo a Pavia in cui i vescovi cattolici e tricapitolini, tra cui Pietro I, Patriarca di Aquileia, ricomposero "nello spirito di Calcedonia" la loro comunione dottrinaria e gerarchica.

Così maturò un nuovo clima culturale, testimoniato da una serie di elementi, quali il rinnovamento decorativo di chiese e di palazzi - anche se a Vicenza le testimonianze della Rinascenza liutprandea sono scarsissime) - l'abbandono dell'uso dei corredi funerari, la commistione dei nomi, per cui molti longobardi assunsero nomi di tradizione romana e cristiana e i romani presero nomi germanici, la condivisione della medesima lingua[3], tutto a dimostrazione che si stava affievolendo il senso identitario della stirpe.

Secoli XII-XIV: Il Basso Medioevo modifica

Una diversa religiosità modifica

A partire dal XII secolo nell’Italia centro-settentrionale si ebbero notevoli cambiamenti della vita cittadina che influirono sulla sfera religiosa. Nacquero i liberi comuni che si svincolarono dalla signoria dei vescovi, si formò un nuovo ceto sociale, la borghesia, che per esigenze di viaggi e di commerci ebbe l’opportunità di incontrare altre culture e rivendicò una maggiore libertà di pensiero, anche in materia di fede.

Cambiò quindi il modello di vita ideale per il cristiano, che non fu non più quello del monaco che si ritirava dal mondo per costruire la civitas Dei, ma quello dell’uomo che accettava il mondo per comprenderlo e trasformarlo. Il latino, divenuto ormai incomprensibile alla generalità, venne sempre più relegato alla sfera giuridica ed ecclesiastica e questo fatto, se allontanava la gente dai riti, anch’essi sempre più incomprensibili, dall’altra faceva nascere nuove esigenze. Rispetto ai secoli precedenti, la religiosità popolare trovò forme diverse per esprimersi, dotate di maggiore interiorità. Messa in secondo piano l’iconografia di origine bizantina che equiparava Cristo ad un re, ora si poneva nelle chiese il crocefisso – particolarmente caro ai francescani - e si meditava su Gesù uomo e sofferente. La figura della donna veniva rivalutata, insieme con quella di Maria, elaborata dalla spiritualità di Bernardo di Chiaravalle, che assumeva le vesti della madre dolce e della donna ideale[4].

Un po’ dappertutto sorsero movimenti, più o meno ortodossi, il cui punto di riferimento era il modello della chiesa delle origini, così com’era descritto nelle Scritture, di cui si voleva la traduzione in lingua volgare. In alcuni casi essi trovarono la risposta in forme di vita comunitaria, come gli Umiliati e i Valdesi che praticavano la semplicità di vita, la messa in comune dei beni, la preghiera, l’ascolto e la predicazione della parola di Dio. Altri invece manifestarono, talora in forme violente come la Pataria, il loro dissenso verso il crescente potere, anche temporale, del papa e dei vescovi e il loro stile di vita, che si riteneva essersi troppo allontanato dalla povertà evangelica.

Era l’ambiente favorevole per la rapidissima crescita e la diffusione degli Ordini mendicanti: i frati, preparati nello studio dei testi sacri, capaci di esprimerne i contenuti in un linguaggio corrente concreto e adeguato alla vita quotidiana, rigorosi nel proprio stile di vita – tutte qualità in cui il clero diocesano era invece carente – infiammavano le folle esortandole alla penitenza e alla sequela del Cristo.

Il ruolo dei vescovi a Vicenza modifica

 
Statua (a destra) del vescovo Giovanni Cacciafronte, ucciso nel 1184 da una congiura di nobili, all'esterno dell'abside della Cattedrale di Santa Maria Annunciata (in origine la statua era collocata in una propria edicola).

Finché durarono l'alleanza e la sintonia e tra il vescovo e l'imperatore, l'organizzazione ecclesiastica sembrò solida. Ma dopo che il vescovo Enrico nel 1122 - e i suoi successori dopo di lui - si avvicinarono al papato, che combatteva l'impero per la questione delle investiture, il loro potere sulla città declinò rapidamente. Si formò il partito a loro contrario, capeggiato dal conte; intorno al 1140 si costituì il Comune, che in pochi anni si affrancò dalla loro tutela. I vescovi furono combattuti, derubati senza scrupolo e talvolta persino uccisi – come accadde a Cacciafronte e a Pistore – dai loro oppositori, se non dai loro stessi vassalli. Strangolati dai debiti, vescovi e canonici caddero nelle mani degli usurai[5]. In una lettera del 1213 papa Innocenzo III definiva la Chiesa vicentina "una nave a pezzi".

Eresie e repressione modifica

Vi furono però anche forme di dissenso che volevano creare una chiesa alternativa. Già alla fine del XII secolo Vicenza era diventata un centro importante dei Catari. All’inizio del Duecento, un cronista disse che Vicenza era piena di eretici.

Nel 1184 Lucio III emanò a Verona la decretale Ad abolendam diversarum haeresium pravitatem - con la quale venivano scomunicati tutta una serie di movimenti del dissenso, considerati eretici, e contro di essi veniva istituito il procedimento inquisitorio la cui gestione era affidata ai vescovi[6]. Ma per alcuni decenni ancora, a Vicenza come in buona parte dell’Italia settentrionale, la repressione fu piuttosto debole, per vari motivi.

Anzitutto a quel tempo le definizioni dogmatiche non erano così nette ed anzi i movimenti che criticavano o miravano alla riforma della Chiesa affermavano tutti la propria conformità al Vangelo e i loro aderenti si definivano buoni cristiani.

In secondo luogo, perché la repressione fosse efficace, l’autorità religiosa avrebbe dovuto avvalersi della collaborazione di quella civile, ma gli organi cittadini - in tempi difficili di lotte tra fazioni o contro l’imperatore - non volevano inimicarsi i dissenzienti, spesso esponenti di famiglie signorili di buon livello culturale o mercanti che viaggiando erano entrati in contatto con diverse idee e diverse forme di spiritualità.

La stessa appartenenza religiosa era influenzata dalla scelta di campo tra guelfi e ghibellini. L'aristocrazia di Vicenza era in buona parte ghibellina, e così Ezzelino III da Romano, signore della città dal 1237 al 1259; ma anche alcuni vescovi simpatizzavano per l’imperatore: ancora nel 1239 si registra l’episodio dell’inerzia da parte del vescovo Manfredo de' Pii nei confronti di Federico II che, nonostante la scomunica comminatagli dal papa, era entrato in cattedrale durante la celebrazione della messa.

L'azione repressiva divenne molto più incisiva ed efficace sotto il pontificato di Innocenzo III che, tra l'altro, con la decretale Vergentis in senium del 1199 qualificò l'eresia come crimine di lesa maestà, cioè un reato che sovvertiva l'ordine sociale e perciò doveva essere represso dall'autorità civile. Gli eretici avrebbero dovuto essere privati di ogni diritto civile e politico e i loro beni confiscati. Infine con Gregorio IX nel 1233 fu stabilità la condanna al rogo per gli eretici impenitenti e vennero istituiti i tribunali dell'Inquisizione, sottratti ai vescovi ed affidati ai frati degli Ordini mendicanti, dipendenti direttamente dal papa[7].

La Chiesa catara di Vicenza modifica

Agli inizi del XIII secolo la Chiesa catara contava a Vicenza e a Bassano circa 100 Perfetti[8] (il che significa che i semplici credenti e i simpatizzanti erano molti di più), praticava un dualismo tipico della Sclavonia, dove aveva soggiornato ed era stato consacrato il suo vescovo Nicola da Vicenza; gli succedette nel 1214-1215 suo 'figlio maggiore', il nobile vicentino Pietro Gallo[9].

Questa Chiesa ricevette un primo colpo durante la breve campagna di predicazione e di persecuzione di Giovanni da Schio nel 1233, che riuscì a far mandare sul rogo 60 eretici[10]. Si rafforzò invece durante la signoria di Ezzelino III, tanto che egli fu accusato - uno dei motivi che il papa addusse per indire la crociata contro di lui - di essere eretico e protettore di eretici, ma fu quasi debellata al tempo del vescovo Bartolomeo di Breganze, che affrontò i catari in dibattiti pubblici, riuscendo a farne convertire molti - tra cui Geremia arcivescovo cataro di tutta la Marca e forse il vescovo Viviano Boglo - e a mandarne un'altra decina sul rogo, tra cui i diaconi Olderico de Marola e Tolomeo[11].

In seguito, le azioni decisive che estinsero del tutto la Chiesa catara a Vicenza furono l'attività della locale Inquisizione durante il periodo della soggezione a Padova e quella politica e militare delle signorie guelfe. Nel 1276 i fratelli Mastino e Alberto della Scala espugnarono con le loro truppe la rocca di Sirmione, dove si erano asserragliati numerosi Perfetti insieme ai vescovi catari di Desenzano e Bagnolo San Vito; i prigionieri furono portati a Verona dove 166 di loro furono bruciati il 13 febbraio 1278, con l’aggiunta di un’altra quarantina di dissidenti.

L'Inquisizione nel XIII secolo modifica

L'inefficienza nel reprimere l'eresia aveva indotto papa Gregorio IX ad inviare ripetutamente dei cardinali come legati papali nell’Italia per spingere all’intervento contro i catari le autorità religiose e civili. Poiché questo problema presente in tutto l’impero non si risolveva, alla fine il papa per combattere il dissenso si affidò agli Ordini mendicanti, che dipendevano non dai vescovi ma direttamente da lui, dotandoli di adeguati strumenti coercitivi.

Nella Marca di Verona l’ufficio inquisitoriale fu tenuto inizialmente dai domenicani e nel 1254 passò ai Frati Minori, che lo esercitarono fino al 1308 quando, in seguito a due severe inchieste papali contro di loro, ritornò ai domenicani. Quasi sicuramente ci fu anche a Vicenza un ufficio stabile e probabilmente un inquisitore vicario - incarico che spesso preludeva a quello del pieno ufficio - che curava l’amministrazione dei beni confiscati, accoglieva le confessioni degli eretici e svolgeva anche altre funzioni.

Secondo la normativa del tempo, le spese per l’indagine e per il processo dovevano essere coperte dall’inquisitore e per questo, tra le pene comminate, furono numerose quelle pecuniarie e le confische di beni di eretici defunti, mentre rarissime furono le esecuzioni capitali e le condanne al carcere. Soprattutto alla fine del Duecento si ebbero in città molti processi postumi contro famiglie ricche e potenti, nel periodo in cui furono inquisitori dei frati padovani, nominati dal ministro provinciale Bartolomeo Mascara da Padova (12891299), che spendevano indebitamente una parte delle entrate per usi personali e favori a parenti.

Nelle due severe inchieste papali del 1302 e del 1308 i giudici speciali inviati da Bonifacio VIII e da Clemente V raccolsero abbondanti dati sulla gestione economica, conservati a Roma nelle Collectoriae dell'Archivio Segreto Vaticano, mentre i verbali dei processi tenuti nelle sedi locali scomparvero quasi tutti nel corso dei secoli. Per questo motivo si conoscono meglio le confische e le vendite dei beni degli eretici fatte da questi inquisitori che la loro attività processuale vera e propria.

La prima inchiesta, affidata da Bonifacio VIII il 12 giugno 1302 a Guido di Neuville, vescovo di Saintes, relativa a sei inquisitori francescani della provincia veneta, fu provocata dalla denuncia del vescovo di Padova e degli ambasciatori del Comune. Fra Boninsegna da Trento e fra Pietrobuono da Padova furono incarcerati, gli altri sospesi. Dai dati raccolti risultò tra l'altro che fra Boninsegna aveva incassato nel 1300-1301 a Vicenza 25.524 lire di piccoli veneti di entrate (pari a 7.900 fiorini d'oro) e ne aveva versate al Comune soltanto 1.000. Il papa assegnò allora l'ufficio di Padova e Vicenza ai domenicani; dai pochi atti rimasti, si sa che fra Boninsegna fu condannato a pagare 250 fiorini d'oro alla Camera Apostolica[12].

Quantunque gli inquisitori di origine padovana venissero accusati dalle loro vittime e censurati dal papa, sembra che all'epoca fossero ben accetti ai contemporanei, che anche nel periodo delle ricorrenti malversazioni continuarono a lasciare loro donativi nei testamenti, a collaborare con loro a livello istituzionale e talvolta perfino li difesero dalle fondate accuse di abusi amministrativi. Lo stesso comune di Vicenza, in quel periodo praticamente sottomesso a Padova, fu collaborativo e destinò un terzo del ricavato dei beni confiscati alla costruzione dell'imponente chiesa francescana di San Lorenzo.

Secoli XV-XVIII: L'età della Repubblica Veneta modifica

La religiosità a Vicenza nel XV e XVI secolo modifica

I movimenti protestanti a Vicenza modifica

 
Villa Trissino a Cricoli, uno dei ritrovi dei membri delle famiglie nobili filotedesche su cui avevano presa le idee della riforma protestante.

Nel secondo quarto del XVI secolo le idee della riforma protestante - provenienti soprattutto dall'area tedesca e svizzera - si diffusero abbastanza rapidamente anche a Vicenza, dove trovarono molti disposti ad accoglierle, insofferenti dei comportamenti ecclesiastici e sinceramente desiderosi di una riforma in senso evangelico. La diffusione di queste idee interessò strati sociali diversi a seconda dei canali che seguì e delle diverse sensibilità che incontrò.

Così sulla famiglie nobili filotedesche ebbe maggior presa la confessione luterana, mentre la borghesia cittadina fu più sensibile al calvinismo zwingliano. Per un certo tempo però queste due componenti si ritrovarono assieme, partecipando a compagnie - o accademie private - che si riunivano spesso in casa Pigafetta o nella villa dei Trissino a Cricoli[13]. Più volte venne segnalato a Venezia e a Roma che le adesioni al protestantesimo erano in continua crescita - si parlava di centinaia di aderenti - durante l'episcopato di Niccolò Ridolfi, peraltro sempre assente dalla città.

Nonostante le denunce, il procedimento di inquisizione fu tardivo e la repressione molto blanda, cosicché praticamente tutti gli appartenenti ai ceti superiori poterono allontanarsi portandosi dietro i capitali. Venezia, che aveva notevoli interessi commerciali con la Germania, non voleva scontentare troppo i principi d'oltralpe, ferendoli nei sentimenti religiosi. Tra i fuorusciti, i calvinisti Giovan Battista Trento che si stabilì a Ginevra, Alessandro Trissino e Odoardo Thiene. Il movimento calvinista vicentino, sia degli esuli sia di quelli che erano rimasti in patria, si esaurì abbastanza presto nell'indifferentismo o nel conformismo religioso[14].

Ben più forte e radicale fu invece il movimento anabattista. Portato dai contadini trentino-tirolesi ribelli che, fuggiti nel 1526, si erano rifugiati prevalentemente nella zona di Bassano e di Cittadella, l'anabattismo si diffuse prevalentemente tra gli artigiani della città[15]. Esso aveva connotazioni sociali e comunitarie, sul modello dei Fratelli Hutteriti, che in Moravia praticavano su base volontaria il comunismo dei beni sia di produzione sia di consumo. Gli anabattisti erano organizzati in gruppi di studio o cenacoli, che però vennero turbati da divergenze dottrinali: l'indirizzo prevalente, concordato nel sinodo di Venezia del 1550, arrivò a conclusioni antitrinitarie, con la negazione della divinità di Cristo. Questa impostazione aprì la porta alla negazione di ogni dogma e persino delle regole comunitarie sino ad allora accettate.

La comunità vicentina fu tradita nel 1551 da Pietro Manelfi, un anabattista pentito che - per cogliere l'opportunità del condono promesso da una bolla pontificia - decise di costituirsi e di rivelare i nomi e l'organizzazione dei confratelli. Di questi, alcuni furono catturati, altri si costituirono spontaneamente, altri ancora fuggirono oltralpe e poi in Moravia, dove ricostituirono le comunità. Su richiesta dell'Inquisizione veneziana il Consiglio dei Dieci, nel 1565, due di essi che si erano ostinatamente rifiutati di abiurare furono condannati a morte per annegamento. La comunità anabattista vicentina non fu distrutta del tutto, ma continuò per alcuni anni nella clandestinità, con un indirizzo vicino all'illuminismo religioso di Lelio Sozzini e di Matteo Gribaldi[16].

Note modifica

  1. ^ Teodoreto di Cirro, Iba di Edessa e Teodoro di Mopsuestia che, pur essendo stati accettati dal concilio di Calcedonia, erano accusati dai monofisiti di essere nestoriani
  2. ^ in Historia Langobardorum, III, 26
  3. ^ Azzara, 2002,  pp.104-105
  4. ^ Rapetti, 2009,  p. 225
  5. ^ Cracco, 2009Da Comune di famiglie a città satellite, pp.352-358
  6. ^ Rapetti, 2009,  pp. 158,163
  7. ^ Rapetti, 2009,  p. 166
  8. ^ Del Col, 2006,  p. 78
  9. ^ P. Marangon, Il pensiero ereticale nella Marca Trevigiana e a Venezia dal 1200 al 1350, Abano Terme, 1984.
  10. ^ Del Col, 2006,  p. 82, ma altri ritengono che si trattasse di oppositori politici accusati strumentalmente di eresia
  11. ^ Cracco, 2009Religione, chiesa, pietà, pp.512, 526-528
  12. ^ Del Col, 2006,  pp. 95-98, 145
  13. ^ Stella, 1988,  p. 204
  14. ^ Stella, 1988,  pp. 205-208
  15. ^ Stella, 1988,  p. 200
  16. ^ Stella, 1988,  pp. 208-219

Bibliografia modifica

Testi utilizzati
  • Federica Ambrosini, La Controriforma nel Veneto, in Storia del Veneto, Vol. 1: Dalle origini al Seicento, Bari, Laterza, 2004
  • Claudio Azzara e Anna Maria Rapetti, La Chiesa nel Medioevo, Bologna, Il Mulino, 2009, ISBN 978-88-15-13271-0
  • Giorgio Cracco, Tra Venezia e Terraferma, Roma, Viella editore, 2009, ISBN 978-88-8334-396-4
  • Andrea Del Col, L'Inquisizione in Italia dal XII al XXI secolo, Milano, Mondadori editore, 2006. ISBN 978-88-04-53433-4
  • Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, II, Dal Mille al Milletrecento, IVicenza, Accademia Olimpica, 1954
  • Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, III/1, Il Trecento Vicenza, Accademia Olimpica, 1958
  • Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, III/2, Dal 1404 al 1563 Vicenza, Accademia Olimpica, 1964
  • Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, IV/1, Dal 1563 al 1700, Vicenza, Accademia Olimpica, 1974
  • Giovanni Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina, IV/2, Dal 1563 al 1700, Vicenza, Accademia Olimpica, 1974
  • Giovanni Mantese, Organizzazione ecclesiastica e strutture religiose: dall'età tardo-romana al secolo XIX, in Storia di Vicenza, III, L'Età della Repubblica Veneta, Vicenza, Neri Pozza editore, 1988
  • Mauro Scremin, Per una storia della pietà popolare tra osservanza e trasgressione, in Storia di Vicenza, III, L'Età della Repubblica Veneta, Vicenza, Neri Pozza editore, 1988
  • Aldo Stella, Le minoranze religiose, in Storia di Vicenza, III, L'Età della Repubblica Veneta, Vicenza, Neri Pozza editore, 1988
  • Renato Zironda, Aspetti del clero secolare e regolare della Chiesa vicentina. Dal 1404 al 1563, in Storia di Vicenza, III, L'Età della Repubblica Veneta, Vicenza, Neri Pozza editore, 1988
Per approfondire

Voci correlate modifica