Metropolia del Montenegro e del Litorale

eparchia della Chiesa ortodossa serba

La metropolia del Montenegro e del Litorale (in serbo e montenegrino: Митрополија црногорско-приморска, Mitropolija crnogorsko-primorska) è un'eparchia (diocesi) della Chiesa ortodossa serba, la più grande di quelle comprese nel territorio del Montenegro. Fondata nel 1219 da san Sava come eparchia di Zeta,[1] ha continuato a esistere senza interruzioni fino al tempo presente, rimanendo una delle diocesi più importanti della Chiesa serba.[2] L'attuale metropolita è il vescovo Joanikije Mićović.

Metropolia del Montenegro e del Litorale
Митрополија црногорско-приморска
Chiesa ortodossa serba
 
Stemma della diocesi
 
MetropolitaJoanikije Mićović
 
Parrocchie85 (8 vicariati)
 
Erezione1219
Ritobizantino
CattedraleResurrezione di Cristo
Sito webmitropolija.com
 

Storia modifica

Fondazione e primo periodo (1219–1346) modifica

Nel 1219, dopo aver ottenuto l'autocefalia dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e la conferma dall'imperatore bizantino, Sava della dinastia Nemanjić, primo arcivescovo dell'autocefala Chiesa ortodossa serba, organizzò il territorio sotto la propria giurisdizione ecclesiastica in nove eparchie. Una di queste fu l'eparchia di Zeta (comprendente la metà meridionale dell'attuale Montenegro e il nord dell'attuale Albania). La sede del vescovo di Zeta fu posta a Prevlaka, presso il Monastero di San Michele Arcangelo (vicino l'attuale Teodo), e il suo primo vescovo fu Ilarion, discepolo di san Sava.[1][3][4]

Elevazione a metropolia sotto il Patriarcato (1346–1496) modifica

 
Resti dell'originale monastero di Cettigne con la nuova cappella

Quando fu proclamato il patriarcato serbo di Peć nel 1346, l'eparchia di Zeta fu tra le varie diocesi che vennero elevate al rango onorario di metropolia per decreto dell'assemblea comune di Stato e Chiesa convocata a Skopje dall'imperatore serbo Stefan Dušan.[5][6]

Dopo la dissoluzione dell'Impero serbo nel 1371, la Zeta fu governata dal casato dei Balšići e nel 1421 fu integrata nel Despotato di Serbia.[7] Sempre in questo periodo, la Repubblica di Venezia conquistò gradualmente le regioni costiere della Zeta, comprese le città di Cattaro, Budua, Antivari e Dulcigno.[8] L'avanzata veneziana comportò conseguenze dirette per la metropolia di Zeta: nel 1452 i veneziani distrussero il monastero di Prevlaka per facilitare il loro progetto di progressiva conversione dei locali fedeli ortodossi al cattolicesimo.[9] Da allora, la metropolia cambiò sede diverse volte, trasferendosi prima nel monastero di San Marco di Budua, poi nel monastero di Ostros, nel monastero di San Nicola di Vranjina (isola nel lago di Scutari), nel monastero di San Nicola di Obod (l'attuale Rijeka Crnojevića) e infine a Cettigne, dove il principe Ivan Crnojević di Zeta fece costruire il monastero di Cettigne nel 1484.[10]

 
L'Octoechos di Cettigne (1494)

Dalla fine del XV secolo, le aree montuose della Zeta divennero note come Crna Gora (Serbian: Црна Гора), ossia Montagna Nera, da cui "Montenegro".[11] Nel 1493, il figlio e successore di Ivan, il principe Đurađ Crnojević (1490-1496), stabilì una stamperia a Cettigne, gestita da Makarije Ieromonaco, che produsse il primo libro stampato in tutte le terre slave meridionali: si trattava dell'"Octoechos di Cettigne", una traduzione serbo-slavonica dall'originale greco di un libro liturgico ancora oggi in uso nei riti quotidiani della locale Chiesa ortodossa.[12] Nel 1496, tutta la Zeta cadde sotto il dominio ottomano.[13]

Dominazione ottomana (1496–1697) modifica

Dopo il 1496, l'eparchia di Cettigne (divenuta ormai la sua sede definitiva), così come le altre diocesi della Chiesa ortodossa serba, continuò a esistere sotto il nuovo governo ottomano. Aveva giurisdizione diocesana sulla vecchia Zeta, ora nota come Vecchio Montenegro, estendendosi sui territori compresi tra Bjelopavlići e Podgorica fino al fiume Bojana e comprendendo anche alcuni territori dell'Erzegovina tra Grahovo e Čevo.[14][15][16]

Durante il XVI e il XVII secolo, i vescovi di Cettigne, divenuti signori de facto del Montenegro, condussero una resistenza armata contro i turchi in diverse occasioni con un discreto successo e, sebbene gli ottomani controllassero nominalmente sul sangiaccato del Montenegro, le zone montuose del Montenegro non furono mai del tutto assoggettate. Per sostenere la loro lotta armata, i montenegrini si allearono spesso con i veneziani. All'inizio del XVII secolo, la resistenza montenegrina affrontò e sconfisse le truppe ottomane in due importanti battaglie presso Lješkopolje (nel 1603 e nel 1613) sotto il comando del metropolita Rufim Njeguš. L'intero territorio della metropolia fu devastato durante la guerra di Morea e nel 1692 il vecchio monastero di Cettigne fu distrutto.[17]

Principato vescovile (1697-1852) modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Principato vescovile del Montenegro.
 
Il metropolita Petar I, canonizzato come Pietro di Cettigne

Nel 1697 fu eletto nuovo metropolita Danilo Petrović-Njegoš (1697-1735), capostipite di una lunga serie di vescovi provenienti dalla famiglia Petrović-Njegoš che resero l'eparchia di fatto ereditaria per un secolo e mezzo.[18] Il metropolita Danilo, figura estremamente carismatica e rispettata sia come guida religiosa che come capo politico, riuscì a concentrare su di sé sia il potere spirituale sia quello temporale, istituendo una ierocrazia. Egli divenne il primo principe vescovo del Vecchio Montenegro e continuò a opporsi all'Impero ottomano e a mantenere i tradizionali legami con la Repubblica di Venezia. Stabilì inoltre un legame diretto con l'Impero russo, dal quale ricevette aiuti finanziari e protezione politica.[19][20]

I successori Sava II (1735-1750, 1766-1781) e Vasilije (1750-1766) portarono avanti la medesima politica, mantenendosi in equilibrio tra le influenze ottomane, veneziane e russe.[21][22] Dopo il breve mandato di Arsenije Plamenac (1781-1784), diverse nuove politiche furono introdotte dal metropolita Petar I (1784-1830),[23] che diede inizio all'unificazione tra il Vecchio Montenegro e la Brda,[24][25] processo che fu completato da suo successore Petar II Petrović-Njegoš (1830-1851).[26] A differenza di tutti i suoi predecessori, che furono ordinati dall'esarca della Chiesa serba (il patriarca di Peć, fino al 1766,[18] poi il metropolita di Karlovci nella monarchia asburgica[27]), Petar II ricevette la consacrazione dal Santissimo Sinodo della Chiesa ortodossa russa nel 1833, dando inizio a una consuetudine che proseguì fino al 1885.[28] Grande riformatore dell'amministrazione dello Stato, Petar II gettò le fondamenta per la separazione tra potere temporale e spirituale,[29] che fu pienamente implementata dopo la sua morte dal suo successore Danilo Petrović-Njegoš,[30] che si proclamò principe del Montenegro, rinunciando al ruolo spirituale di metropolita del Montenegro.[31][32]

Sotto la monarchia montenegrina (1852–1918) modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Principato del Montenegro e Regno del Montenegro.
 
Danilo Petrović Njegoš, ultimo principe vescovo e primo principe secolare del Montenegro

Il principe Danilo I (1852-1860) riorganizzò lo Stato montenegrino e modernizzò l'amministrazione diocesana dell'eparchia, il cui primo leader esclusivamente spirituale fu Nikanor Ivanović, eletto nel 1858.[31] Nikanor fu poi deposto ed esiliato nel 1860 dal nuovo principe Nicola I (1860-1918) che pose l'amministrazione ecclesiastica sotto stretto controllo dello Stato.[33] Nel 1878 il Principato del Montenegro fu riconosciuto come uno stato indipendente dalla comunità internazionale e il suo territorio fu espanso con l'annessione della Vecchia Erzegovina e di altre aree limitrofe.[34][35] I nuovi territori, fino ad allora parte della metropolia dell'Erzegovina con sede a Mostar (all'epoca ancora sotto il controllo ottomano), furono riorganizzati in una nuova diocesi, l'eparchia della Zaclumia e della Rascia, con sede a Nikšić. Una comune provincia ecclesiastica non fu creata fino al 1904, durante l'episcopato di Mitrofan Ban (1884-1920), quando fu istituito un Santo Sinodo, formato dai due vescovi del territorio montenegrino,[33][36] che non fu tuttavia convocato fino al 1908 a causa della lunga sede vacante di Nikšić.[37]

Durante il lungo regno del principe e (dal 1910) re Nicola I, che era un patriota e nazionalista serbo,[38] una delle crescenti aspirazioni del suo governo fu non solo l'ottenimento per la propria dinastia del trono di Serbia, ma anche la restaurazione dell'antico patriarcato serbo di Peć.[39] In occasione dell'elevazione del Montenegro a regno nel 1910,[40] il primo ministro montenegrino, Lazar Tomanović, affermò: "La metropolia di Cettigne è l'unica tra le sedi episcopali di San Sava che si è preservata senza interruzioni fino a oggi, e perciò ne costituisce il legittimo trono in quanto discendente del Patriarcato di Peć".[41] Queste aspirazioni furono rafforzate dopo la liberazione di Peć durante la vittoriosa campagna di espansione del territorio del Montenegro del 1912.[42] L'anno successivo le nuove regioni annesse furono scorporate dall'eparchia di Zaclumia e Rascia per creare la nuova eparchia di Peć. Questa nuova diocesi entrò nel Santo Sinodo montenegrino, adesso composto da tre vescovi.[43]

In Jugoslavia (1918–2006) modifica

Periodo monarchico e seconda guerra mondiale (1918–1944) modifica

Al termine della prima guerra mondiale, il Regno del Montenegro fu unito al Regno di Serbia il 26 novembre 1918 per decreto della neoeletta Assemblea di Podgorica[44] e poco dopo, il 1º dicembre dello stesso anno, fu creato il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, poi noto dal 1929 come Regno di Jugoslavia.[45] L'unificazione politica e nazionale fu portata avanti dalla dinastia Karađorđević, che aveva prevalso sui Petrović–Njegoš, esiliandoli, nella lunga rivalità per il controllo del trono della Serbia unita.[46]

L'unificazione politica fu seguita dall'unificazione di tutte le giurisdizioni ortodosse all'interno dei confini del nuovo stato. La decisione di includere le diocesi del Montenegro nel processo di unione ecclesiastica fu presa il 29 dicembre 1918 dal Santo Sinodo, composto dai tre vescovi montenegrini Mitrofan Ban di Cettigne, Kirilo Mitrović di Nikšić e Gavrilo Dožić di Peć. In quel giorno il Sinodo, riunito a Cettigne, accettò all'unanimità la seguente dichiarazione: "L'indipendente Santa Chiesa serbo-ortodossa nel Montenegro si unirà con l'autocefala Chiesa ortodossa nel Regno di Serbia".[47] L'anno successivo ebbe inizio l'effettivo processo di unificazione ecclesiastica. Tra il 24 e il 28 maggio 1919, si tenne a Belgrado una conferenza di tutti i vescovi ortodossi del nuovo stato, presieduta dal metropolita Mitrofan Ban del Montenegro, che fu anche eletto presidente del nuovo Sinodo Centrale.[48] Sotto la sua guida, il Sinodo preparò la proclamazione finale dell'unificazione della Chiesa, promulgata il 12 settembre 1920. La creazione di una Chiesa ortodossa serba unita fu confermata anche dal re Alessandro I.[49]

All'anziano metropolita Mitrofan succedette nell'autunno 1920 Gavrilo Dožić.[50] Nel 1931 seguendo le disposizioni della nuova costituzione della Chiesa ortodossa serba, l'eparchia di Zaclumia e Rascia fu abolita e il suo territorio fu incorporato sotto la giurisdizione di Cettigne. Allo stesso modo, fu abolita l'eparchia di Cattaro e Ragusa e i suoi ex-territori attorno alle Bocche di Cattaro furono uniti all'eparchia montenegrina, che assunse la denominazione di metropolia del Montenegro e del Litorale. Nel 1938 il metropolita Gavrilo fu eletto patriarca serbo e venne sostituito nella sede montenegrina da Joanikije Lipovac.[51]

 
Il metropolita Joanikije Lipovac, giustiziato dai partigiani jugoslavi come collaboratore degli occupanti nazi-fascisti. È stato riconosciuto come ieromartire dalla Chiesa ortodossa serba e canonizzato nel 2001

Durante la seconda guerra mondiale, la Jugoslavia fu occupata dalle potenze dell'Asse nel 1941 e il territorio montenegrino fu riorganizzato nel governatorato italiano del Montenegro (1941-1943), seguito dall'occupazione tedesca del Montenegro (1943-1944). La metropolia fu gravemente danneggiata dall'occupazione e più di cento tra sacerdoti e altri membri del clero persero la vita nel conflitto.[52] Durante questo periodo, il fascista montenegrino Sekula Drljević tentò di ristabilire un Regno del Montenegro indipendente come stato satellite dell'Italia fascista e della Germania nazista, ma il suo progetto naufragò per mancanza di sostegno popolare, e anzi i suoi tentativi furono apertamente contrastati dall'insurrezione del 13 luglio 1941, che ebbe il supporto di fazioni provenienti dall'intero spettro politico.[53][54] Il metropolita Joanikije tuttavia collaborò da vicino con diversi movimenti di estrema destra (come i cetnici) e si propose più volte come mediatore per conto degli ufficiali italiani e tedeschi del Montenegro occupato, attirandosi l'ostilità dei partigiani jugoslavi di sinistra. Per questo nel 1944, quando i comunisti jugoslavi presero il potere, cercò fuggire dal paese ma fu arrestato e giustiziato senza processo nel 1945. Nel 2001, fu canonizzato come ieromartire dalla Chiesa ortodossa serba.[55]

Periodo comunista e dissoluzione della Jugoslavia (1944–2006) modifica

Sotto il Jugoslavia comunista (1944-1992), fu istituita un Repubblica montenegrina distinta e separata da quella serba.[56] La metropolia subì una costante repressione da parte del nuovo regime, specialmente nei suoi primi anni. Il governo comunista esercitava pressioni dirette sul clero per eliminare ogni forma di anticomunismo[57] e molte proprietà ecclesiastiche furono confiscate, alcune in accordo le nuove disposizioni legali, altre illegalmente o con la forza. Molte chiese e anche alcuni monasteri minori furono chiusi e le loro strutture convertite in stazioni di polizia o magazzini.[58] Nel 1954, il metropolita Arsenije Bradvarević (1947-1960) fu arrestato, processato e condannato come nemico del regime; fu incarcerato fino al 1958 e tenuto agli arresti domiciliari fino alla sua morte nel 1960.[59][60] Gli succedette Danilo Dajković (1961-1990), le cui attività furono allo stesso modo strettamente monitorate dalle autorità statali.[61][62] Tra il 1970 e il 1972, il regime comunista demolì la chiesa del monte Lovćen, dedicata a San Pietro di Cettigne, e profanò la tomba del metropolita Petar II Petrović-Njegoš che vi era sepolto, erigendo al suo posto un mausoleo secolare.[63][64]

Nel 1990, Amfilohije Radović fu eletto nuovo metropolita. A quel punto, il regime comunista in Jugoslavia stava collassando e nello stesso anno si tennero le prime elezioni democratiche in Montenegro. Nel 1992 fu costituita la Repubblica Federale di Jugoslavia, formata da Montenegro e Serbia. Con la nuova costituzione del Montenegro, la libertà di culto fu ripristinata. A questi cambiamenti politici seguì un periodo di rinascita per la Chiesa.[65] Il numero di preti, monaci e suore, così come il numero dei fedeli, aumentò notevolmente e molti monasteri e chiese parrocchiali furono ricostruiti o riaperti: dai soli 10 monasteri con circa 20 fra monaci e suore del 1991, si è passati ai 30 monasteri attivi con oltre 160 monaci e suore odierni;[66] il numero di parroci è passato dai 20 del 1991 agli oltre 60 attuali.[67] Nel 2001, l'amministrazione diocesana del territorio è stata riorganizzata e alcune regioni settentrionali e occidentali sono state separate dalla metropolia per costituire la nuova eparchia di Budimlja e Nikšić.[68][69]

Dall'indipendenza del Montenegro (2006–oggi) modifica

 
Joanikije Mićović, attuale metropolita

Nel maggio del 2006 si tenne un referendum per l'indipendenza, a seguito del quale il Montenegro divenne uno stato sovrano. Al contempo, il consiglio dei vescovi della Chiesa ortodossa serba decise di creare un consiglio dei vescovi regionale per il Montenegro, formato dai vescovi delle diocesi insistenti sul territorio del nuovo stato montenegrino, presieduto dal metropolita del Montenegro e del Litorale.[70] Nell'autunno del 2007, dato il deteriorarsi delle condizioni di salute dell'anziano patriarca serbo Pavle Stojčević, il metropolita Amflohije fu nominato amministratore del trono patriarcale dal Santo Sinodo della Chiesa ortodossa serba, posizione che mantenne anche dopo la morte di Pavle (avvenuta nel 2009) fino all'elezione del nuovo patriarca Irinej Gavrilović nel 2010.[71]

Dall'indipendenza del Montenegro nel 2006, i rapporti tra le autorità statali e la metropolia si sono progressivamente complicati. Il forte sostegno all'unionismo serbo-montenegrino del metropolita Amfilohije e di molti membri del clero diocesano, infatti, ha portato la metropolia a essere percepita come oppositrice della neoproclamata indipendenza del Montenegro e ha fatto spesso assumere alle dispute tra Stato e Chiesa una forte connotazione politica.[72] In risposta alle spinte unioniste della metropolia, un gruppo di nazionalisti montenegrini, già nel 1993, creò la Chiesa ortodossa montenegrina (autoproclamatasi autocefala), che non è tuttavia mai stata riconosciuta come canonica.[73][74]

Nel 2019, le relazioni con lo Stato si deteriorarono ulteriormente quando le autorità proposero una nuova legge sulle organizzazioni religiose che fu interpretata dalla Chiesa ortodossa serba come un tentativo di confiscare le proprietà ecclesiastiche. Seguirono numerose e prolungate manifestazioni molto partecipate in supporto della metropolia che si protrassero fino alle elezione dell'agosto 2020, nelle quali il Partito Democratico dei Socialisti del Montenegro, che aveva proposto la legge, è stato sconfitto.[75]

Il 5 settembre 2021, il nuovo vescovo della diocesi, Joanikije Mićović, che era già amministratore della metropolia dal 30 ottobre 2020, è stato insediato al monastero di Cettigne dal patriarca serbo Porfirije Perić. L'intenzione della Chiesa serba di tenere la cerimonia nello storico monastero dell'antica capitale montenegrina esacerbò le tensioni politiche ed etniche nel paese e generò violente proteste in città.[76][77][78]

Cronotassi di vescovi e metropoliti modifica

 
Ilarion Šišojević, primo vescovo di Zeta
 
Danilo I Šćepčev Petrović-Njegoš, primo principe vescovo del Montenegro
 
Il metropolita Gavrilo Dožić, poi divenuto patriarca serbo
 
Il metropolita Amfilohije Radović, morto nel 2020 durante la pandemia di COVID-19

Vescovi di Zeta modifica

Metropoliti di Zeta modifica

Metropoliti di Cettigne modifica

Principi vescovi del Montenegro modifica

Metropoliti del Montenegro modifica

Metropoliti del Montenegro e del Litorale modifica

Vescovi ausiliari modifica

 
Metodije Ostojić, il più recente vescovo ausiliare

Date le dimensioni e l'importanza dell'eparchia, i metropoliti del Montenegro hanno sovente fatto uso di un vescovo ausiliare per assisterli nella gestione diocesana. Questo vescovo è solito portare il titolo di un'antica sede episcopale montenegrina non più esistente: fino al 2001 il titolo era quello di "vescovo di Budimlja", poi, in seguito alla restaurazione dell'eparchia di Budimlja e Nikšić, si passò al titolo di "vescovo di Dioclea".

Vescovi ausiliari di Budimlja modifica

Vescovi ausiliari di Dioclea modifica

Monasteri modifica

 
Il monastero di Ostrog
 
Il monastero di San Sava
 
Il monastero di Cettigne, sede della metropolia

Sul territorio dell'eparchia insistono i seguenti monasteri:[66]

Note modifica

  1. ^ a b Ćirković, p. 43.
  2. ^ Aleksov, pp. 92-95.
  3. ^ Fine, pp. 116-117.
  4. ^ Curta, pp. 392-393.
  5. ^ Fine, pp. 309-310.
  6. ^ Ćirković, pp. 64-65.
  7. ^ Ćirković, pp. 91-92.
  8. ^ Ćirković, pp. 92-93.
  9. ^ Fine, p. 520.
  10. ^ Fine, pp. 534, 603.
  11. ^ Fine, p. 532.
  12. ^ Ćirković, pp. 110, 138.
  13. ^ Ćirković, p. 110.
  14. ^ Fine, p. 534.
  15. ^ Ćirković, p. 135.
  16. ^ (EN) Vladislav B. Sotirović, The Serbian Patriarchate of Peć in the Ottoman Empire: The First Phase (1557–94), in Serbian Studies Journal of the North American Society for Serbian Studies, vol. 25, n. 2, gennaio 2011, pp. 143-169, DOI:10.1353/ser.2011.0038.
  17. ^ (SR) Глигор Станојевић (Gligor Stanojević), Црна Гора у XVII вијеку, in Историја Црне Горе, vol. 3, Titograd, Редакција за историју Црне Горе, 1975, pp. 89-227.
  18. ^ a b Aleksov, p. 93.
  19. ^ Jelavich (I), pp. 84-85.
  20. ^ Ćirković, pp. 185-186.
  21. ^ Jelavich (I), pp. 85-86.
  22. ^ Ćirković, p. 186.
  23. ^ Aleksov, pp. 93-94.
  24. ^ Jelavich (I), pp. 86-88, 247-249.
  25. ^ Ćirković, pp. 186-187.
  26. ^ Ćirković, pp. 189-190.
  27. ^ Ćirković, p. 177.
  28. ^ Džankić, p. 116.
  29. ^ Aleksov, p. 94.
  30. ^ Jelavich (I), pp. 249-254.
  31. ^ a b Ćirković, p. 215.
  32. ^ Aleksov, pp. 94-95.
  33. ^ a b Aleksov, p. 95.
  34. ^ Jelavich (II), p. 35.
  35. ^ Ćirković, p. 225.
  36. ^ (SR) Глас Црногорца, vol. 33, n. 1, Cettigne, 1904, p. 1.
  37. ^ Durković-Jakšić, p. 64.
  38. ^ Jelavich (II), p. 34.
  39. ^ Durković-Jakšić, p. 72.
  40. ^ Jelavich (II), p. 37.
  41. ^ (SR) Глас Црногорца, vol. 39, n. 35, Cettigne, 1910, p. 2.
  42. ^ Ćirković, p. 245.
  43. ^ Durković-Jakšić, p. 74.
  44. ^ Ćirković, pp. 251, 258.
  45. ^ Ćirković, p. 251-252.
  46. ^ Ćirković, p. 258.
  47. ^ (SR) "Decisione sull'unificazione della Chiesa ortodossa in Montenegro con la Chiesa ortodossa in Serbia e le altre sedi episcopali serbe". Decisione del Santo Sinodo no. 1169, Cettigne, 16 dicembre 1918, su njegos.org.
  48. ^ Vuković, p. 321.
  49. ^ Slijepčević, pp. 611-612.
  50. ^ Vuković, pp. 107-109.
  51. ^ Vuković, pp. 236-237.
  52. ^ (SR) Предраг Пузовић (Predrag Puzović), Страдање свештеника током Првог светског рата на подручију Цетињске, Пећске и Никшићке епархије (PDF), in Богословље: Часопис Православног богословског факултета у Београду, vol. 74, n. 2, Belgrado, 2015, pp. 211-220.
  53. ^ (EN) Stevan K. Pavlowitch, Hitler's New Disorder: The Second World War in Yugoslavia, New York, Columbia University Press, 2007, p. 74, ISBN 978-1-85065-895-5.
  54. ^ (EN) Jozo Tomasevich, War and Revolution in Yugoslavia, 1941–1945: The Chetniks, Stanford, California, Stanford University Press, 1975, p. 209, ISBN 978-0-8047-0857-9.
  55. ^ (SR) Prsten ubijenog sveca, su glas-javnosti.rs.
  56. ^ Ćirković, p. 275.
  57. ^ Džankić, p. 117.
  58. ^ Slijepčević, p. 135.
  59. ^ Slijepčević, pp. 215, 224, 259.
  60. ^ Vuković, pp. 37-38.
  61. ^ Slijepčević, pp. 259-260.
  62. ^ Vuković, p. 161.
  63. ^ (EN) Andrew Wachtel, How to Use a Classic: Petar Petrović-Njegoš in the Twentieth Century, in John R. Lampe e Mark Mazower (a cura di), Ideologies and National Identities: The Case of Twentieth-Century Southeastern Europe, Budapest, Central European University Press, 10 gennaio 2004, pp. 143-144, 147, ISBN 9789639241824.
  64. ^ Džankić, pp. 117-118.
  65. ^ Džankić, p. 119.
  66. ^ a b (SR) Metropolia del Montenegro e del Litorale: Monasteri, su mitropolija.com.
  67. ^ (SR) Metropolia del Montenegro e del Litorale: Parrocchie, su mitropolija.com.
  68. ^ Džankić, p. 122.
  69. ^ (SR) Историјат Епархије будимљанско-никшићке, su eparhija.me.
  70. ^ (EN) Communique of the Diocesan Council of the Orthodox Church in Montenegro (2010), su spc.rs. URL consultato il 12 settembre 2023 (archiviato dall'url originale il 20 gennaio 2020).
  71. ^ Buchenau, pp. 79-80.
  72. ^ Džankić, pp. 123-124.
  73. ^ Buchenau, p. 85.
  74. ^ Džankić, pp. 120-121.
  75. ^ (EN) Mass service held in Montenegro in defense of Serbian Church (2019), su spc.rs. URL consultato il 12 settembre 2023 (archiviato dall'url originale il 13 maggio 2022).
  76. ^ (EN) New Head Of Serbian Orthodox Church In Montenegro Inaugurated As Police Clash With Protesters, su Radio Free Europe/Radio Liberty, 5 settembre 2021.
  77. ^ (EN) Police clash with opponents of Serbian church in Montenegro, su Miami Herald, 5 settembre 2021.
  78. ^ (EN) Montenegro clashes as Serb Orthodox Church leader installed, su BBC, 5 settembre 2021.

Bibliografia modifica

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  • (EN) Sima Ćirković, The Serbs, Malden, Blackwell Publishing, 2004, ISBN 9781405142915.
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