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San Benedetto da Norcia, Fondatore dell'Ordine e dell' abbazia di Montecassino, fu inoltre l' autore della famosa regola benedettina

L'abbazia di Leno era un antico complesso monastico benedettino, oggi scomparso, fondato nel 758 dal re longobardo Desiderio e abbattuto per volere della Repubblica di Venezia nel 1783. Era situata nel territorio dell'attuale comune bresciano di Leno nella Bassa Bresciana.

Il cenobio sorse nell'VIII secolo d.C., in un contesto di fioritura per il monachesimo italiano. I monaci che l'abitarono erano stati fatti arrivare appositamente da Montecassino affinché diffondessero nell'area la Regula di San Benedetto. Agli abati furono concessi numerosi provvedimenti regi e papali che accrebbero, nel corso del Medioevo, il prestigio del cenobio lenese e lo resero un'importante centro culturale, economico, religioso e, per i comuni dei dintorni, anche politico.

Oggi dell'antica abbazia rimangono solo oggetti sacri, conservati in larga parte al museo di Santa Giulia, e tumuli, rinvenuti dagli scavi archeologici avviati solo di recente per iniziativa di associazioni locali che incentivano la valorizzazione dell'estinta badia e del territorio lenese.

L'origine del nome modifica

Fin dal momento della fondazione il monastero di Leno fu detto "ad Leones"; questo appellativo è dovuto ad un fatto avvolto nella leggenda. Si racconta che Desiderio stesse cacciando in un'area paludosa nei pressi di Leno quando, stanco, si addormentò. Una serpe, sbucata dal nulla, gli strisciò accanto e andò ad attorcigliarglisi attorno al collo. Il valletto che scortava il duca non lo svegliò temendo che, se lo avesse fatto, il duca si sarebbe spaventato e la bestia lo avrebbe morso; poco dopo la serpe si allontanò. Al risveglio Desiderio raccontò al servo di aver sognato una situazione simile a quella accadutagli realmente. Nel sogno, però, la serpe aveva mostrato al notabile un luogo particolare in cui scavare. I due iniziarono quindi a vangare la terra nell'area indicata e rivennero due leoni d'oro, da cui deriva l'aggettivo leonense che avrebbe segnato tutto ciò che si riferiva all'abbazia.[1]

Le fasi dell'abbazia modifica

La storia del monastero si suddivide in due grandi periodi: il primo ha origine dalla fondazione di re Desiderio, nel 758, fino all’introduzione della commenda avvenuta nel 1479. I decenni che determinano quegli anni videro lo sviluppo dell'abbazia, che raggiunse l'apice della sua grandezza nell'XI secolo ed il progressivo decadimento del complesso monastico.[2] Il secondo periodo è invece caratterizzato dalla giurisdizione degli abati commendatari e dalla continuazione della parabola discendente, che si arresterà solamente nel 1783, anno dell'abbattimento del complesso monastico.[3]
Nel corso dei secoli, a seguito di incendi e importanti danni, la chiesa abbaziale, così come lo stesso convento, furono più volte ricostruiti, allontanandosi dall'originale struttura desideriana.[4]

Storia modifica

Le origini modifica

 
Il monastero tedesco di Reichenau con cui la badia teneva contatti

Gli anni che precedettero la fondazione del monastero di Leno furono caratterizzati dalla lotta al trono longobardo, scatenatasi in seguito alla morte di Astolfo, tra Desiderio duca di Tuscia e Ratchis, fratello di Astolfo. Il duca, dapprima in svantaggio, cercò il sostegno dei Franchi e del papato promettendo a quest'ultimo territori in Emilia e nelle Marche. Per accattivarsi ancor più lo Stato della Chiesa promosse importanti iniziative monastiche, specialmente nel Settentrione, stanziando a favore dei vari ordini monastici ingenti quantità di denaro e fondando anche nuovi edifici religiosi, come nel caso dell'abbazia di San Benedetto di Leno.[5]
Il cenobio lenese sarebbe sorto nel luogo dell'attuale centro abitato, che aveva iniziato a costituirsi grazie soprattutto all'edificazione di una pieve;[6] i lavori di costruzione terminarono poco dopo l'ascesa al trono di Desiderio (758) che, oltre a partecipare alla cerimonia d'inaugurazione in compagnia della consorte e di un nutrito gruppo di vescovi, provvide a dotarla di un cospicuo patrimonio immobiliare, che annoverava beni sparsi in tutta la Lombardia orientale.[7] Il monastero sorse accanto ad un chiesa preesistente, dedicata al Salvatore, alla Vergine Maria e all'arcangelo Michele, in cui i frati avrebbero officiato le messe e conservato le reliquie. Queste, che erano state portate nel bresciano da un gruppo di dodici monaci benedettini provenienti da Montecasisno, annoveravano il radio del santo iniziatore dell'ordine, Benedetto, ed i resti dei Santi Vitale e Marziale, donati dal papa a Desiderio stesso.[8]
Nel 774, al crollo dell'egemonia longobarda in Italia per mano dei Franchi, il monastero visse momenti d'angoscia per il venir meno del monarca fondatore, ma ben presto si resero conto che il re straniero, Carlo Magno, come difensore del Cristianesimo, aveva tutto l'interesse a preservare l'integrità degli enti monastici,tanto da concedere agli abati di Leno il controllo sulla corte, oggi mantovana, di Sabbioneta.[9] Nel corso degli anni il patrimonio immobiliare del monastero si accrebbe sempre più non solo per donazioni fatte da persone vicine alla corte imperiale, ma anche e soprattutto per lasciti di privati.[10] Già agli albori del IX secolo il cenobio di Leno risulta legato da rapporti economici e spirituali a quello transalpino, ben più celebre, di Reichenau, sito nei pressi di Costanza e fu da subito elevato al rango di abbazia imperiale, come testimonia la nomina dell'abate Remigio ad arcicancelliere dell'imperatore Ludovico II.[11] Il medesimo sovrano, per esplicito intervento dell'abate, suo funzionario, riconfermò alla comunità benedettina i beni, elargiti dai suoi antenati, la esentò dal versamento delle tasse e decretò che i confratelli potessero eleggere direttamente il rettore del cenobio,[12] riscuotere e trattenere i prelivi fiscali dei loro possessi fondiari;[13] il diploma prevedeva inoltre che nessun'uomo aldifuori dell'abate potesse giudicare un uomo, residente nei domini del monastero.[14]

Lo splendore modifica

Nel X secolo, caratterizzato dalle ripetute calate nella penisola degli Ungari, i monaci di Leno provvidero a fortificare l'area attorno all'abbazia con palizzate e torri e cintarono la curtis di Gottolengo.[15] Nel 938 i possedimenti del cenobio si allargano ulteriormente con l'inclusione di Gambara.[16] Vent'anni più tardi nel 958 con i diplomi di Berengario II e Adalberto II ci si può rendere conto della vastità dei possessi benedettini che spaziano dal Veronese alle Valli di Comacchio e dal Modenese al Bresciano.[17] Nel 983 si verificò la prima occupazione del cenobio da parte di una banda di briganti locali, che furono ricacciati dall'intervento di Ottone III.[18] Al 999 si colloca l'emanazione della prima bolla pontificia, quella di Silvestro II, che garantisce al monastero il regime di libertas, già stabilito nei precedenti provvedimenti regi ed imperiali, arricchisce i possedimenti includendovi la corte di Panzano e conferma all'abate il diritto di appellarsi a qualsivoglia vescovo, evitando così di ricorrere alla diocesi bresciana, per la consacrazione del crisma e dei monaci.[19]

 
Madonna Theotokos forse proveniente dall'abbazia di Leno[20], ora esposta al museo di Santa Giulia a Brescia

Il XI secolo fu il periodo di massimo splendore dell'abbazia. Infatti, nel 1014, il diploma di Enrico II rappresenta per il cenobio di San Benendetto il maggior elenco di beni mai registrato, con possediemtni sparsi per ben novantacinque località di tutto il Settentrione.[21] Cinque anni più tardi l'abate Odone recepisce le regole riformate dei Cluniacensi, che ora si stavano diffondendo anche nel Bresciano,[22] come testimonierà l'edificazione dell'abbazia di Rodengo-Saiano a metà del secolo. Nel 1030 iniziarono ad accuirsi i dissidi con la cattedra di Brescia in merito al tentativo del vescovo di sostituirsi alla giurisdizione spirituale prima e poi anche temporale dell'abate.[22] L'abbazia fu retta dal 1035 al 1075 da due monaci bavaresi provenienti da Niederalteich, i quali ampliarono la chiesa desideriana e riaffermarono il ruolo del cenobio a scapito della diocesi.[23][24] Nel 1078 papa Gregorio VII vietò a qualsiasi laico d'impossessarsi del monastero e di amministrare le terre senza l'autorizzazzione dell'abate, inoltre confermò i privilegi e le prerogative fiscali e religiose dei confratelli.[25]

La decadenza modifica

Il secolo successivo fu caratterizzato dall'avvio della parabola discendente del monastero benedettino, processo che avrebbe condotto alla cessione in commendam del cenobio, avvenuta sul finire del XV secolo. Dopo un perido di relativa quiete, attrono al 1135 il monastero è distrutto da un incendio, presumibilmente di origine dolosa.[26] Nel 1144 abbiamo nota di una pesante usurpazione perpetrara ai danni dell'abate dal vescovo, che insediò un suo preposto nella parrocchia di Gambara; la questione relativa al controllo della sede gambarese avrà fine solo nel 1195, a seguito di un processo con esiti non esplicitamente favorevoli per ambo le parti, ma sostanzialmente a vantaggio del presule.[25][27] L'anno seguente i confratelli ultimarono i lavori per la riparazione dei danni causati dall'incendio,[28] mentre durante il 1148 pare che il papa Eugenio III abbia soggiornato lungamente nel monastero,[29] fatto in cui è possibile intravedere un tentativo dell'abate Onesto di riaffermare il ruolo del cenobio. In quest'ottica di rilancio si coloca pure il provveidmento papale di Adriano VI (1156) che ridiede prestigio all'abbazia a scapito della diocesi bresciana e attribuì importanti privilegi agli abati.[30] Intanto si accentuò sempre più la frammentizzazione del dominatus abbaziale con la trasmissione del potere amministrativo su svariate e cospique proprietà del Settentrione a numerosifeudatari;[31] inoltre iniziarono, anche nei dintorni del cenobio, ad affermarsi le prime entità comunali che rivendicarono l'aunonomia dall'abate come: Gottolengo, Gambara, Ghedi (1196),[32] nonché Leno stesso.[33] Per quasi un ventennio 1160-1177 il monasterò patì le campagne militari di Federico Barbarossa che al termine dei suoi scontri con i comuni della Lega Lombarda concesse all'abbazia, schieratasi dalla sua parte, un importante dipoloma, un'effimera riconferma del potere del monastero.[25] Il XII secolo si concluse con il rettorato di Gonterio, uomo di fiducia dell'imperatore, che ampliò e abellì la chiesa del cenobio nel tentativo di ribadire il prestigio dell'Ordine a Leno.[34]

Il Duecento si aprì in modo drammatico, ovvero con una sollevazione del popolo di Leno che riuscì ad impadronirsi dello stesso monastero, scacciando i monaci che però riuscirono, con le armi, a riconquistare il cenobio nel 1209, anno in cui per altro fu inaugurato l'ospedale.[35][36] Per far fronte ai debiti economici furono attuate numerose vendite fondiarie e nel 1212 la Santa Sede delegò il vescovo di Cremona, Sicardo, curatore degli affari economici del monastero lenese.[37] Seguì il lungo e funesto abbaziato di Epifanio, uomo dissoluto e disonesto, che lasciò in deplorevole stato non solo le finanze, ma anche i libri e gli oggetti sacri della badia tanto da dover far intervenire il papa che lo depose negli anni trenta del XIII secolo.[38] Negli anni successivi, caratterizzati dalla lotta tra Guelfi e Ghibellini, gli abati di Leno si schierarono ora da una parte ora dall'altra, accentuando, sempre più, la miseria della comunità monastica che, per mantenrsi, ricorse sempre più spesso ad affitti e a vendite, delapidando ulteriormente l'ormai ridimensionato patrimonio fondiario.[39]

Nel secolo seguente aumentano le contese di natura giurisdizionale e fiscale tra il monastero e la comunità di Leno.[40] Intanto si accresce sempre più la miseria dell'antico monastero anche a causa delle ingerenze imilitari dei Visconti che non esitarono a razziare l'abbazia stessa nel 1351.[41] Seguì il lungo abbaziato di Andrea di Taconia, proveniente Praga e cappellano di Carlo IV che resse le sorti della badia, barcamenandosi nelle diverse agherie per cercare di mantenere almeno il prestigio e la dignità del cenobio.[42]
Questo abate soggiornò spesso lontano da Leno di modo che il seggio venne assunto da due usurpatori: uno di questi, Ottobono, dopo la morte dell'abate boemo (1408), si coalizzò con i Veneziani durante la conquista del Bresciano e quando la città venne conquistata dalla Serenissima egli ottennne dal doge e dal papa la direzione del cenobio lenese (1434), confermata per altro, nello stesso anno, con un'importante bolla papale.[43] Nel 1451, alla morte di Ottobono, divenne abate Bartolomeo Averoldi. Egli dapprima (1471) intrecciò contatti con la riformata Congregazione di Santa Giustina di Padova, nel tentativo di contrastare la caduta del monastero di Leno e aggregarlo alla Congregazione, come già aveva fatto la bresciana abbazia di Sant'Eufemia;[44] poi, più interessato all'avanzamento personale che al benessere della comunità benedettina, diede in commenda, nel 1479, con il benestare del papa, il cenobio lenese in cambio dell'arcivescovado di Spalato a Pietro Foscari, nobile veneziano.[45] Questo evento sancì la definitiva fine del ruolo egemone di Leno come monastero imperiale[46] e aprì le porte a un'ulteriore triste e lenta decadenza che sarebbe terminata soltanto con l'abbattimento stesso del monastero nel tardo Settecento.

La fine modifica

 
Angelo Maria Querini, abate commendatario della abbazia di Leno

Dopo la cessione in commenda del Monastero ne ressero le sorti per lo più personaggi della nobiltà veneziana e bresciana coma i Foscari, i Vitturi e i Martinengo.[47] I commendatari furono per lo più interessati dai dai titoli ricevuti con la nomina ad abate piuttosto che dall'organizzare un'effettiva organizzazione della vita monastica, anche in relazione al fatto che essi, spesso contemporaneamente, esercitavano la carica di vescovo o di altre prelature di rilievo, lasciando così a se stesso il monastero.[48] Caso a parte fu l'abbaziato di Girolamo Martinengo (1529-1567) che fece edificare nuove stanze per i frati e caseggiati ad uso lavorativo ed impiantò, presumibilmente, un vigneto.[49] Nel frattempo continuano le lotte tra la comunità benedettina e le cittadinanze locali Ghedi per la giurisdizione di numerosi fondi ad uso agricolo, che si risolsero spesso con la vittoria dei comuni.[50] A testimonianza del cattivo stato in cui versava il cenobio sono le direttive, a seguito della visita apostolica di Carlo Borromeo occorsa nel marzo 1580.[51]

Nel Seicento e nel Settecento la direzione della badia fu ancora appannaggio di famiglie blasonate come: i Basadonna, i Morosini, i Barbarigo e i Querini.[52] In particolare Angelo Maria Querini, che ricoprì il ruolo di abate commendatario nella prima metà del XVIII secolo, si limitò solamente a percepire le rendite derivanti dal monastero (circa 260 fiorini d'oro) e, paradossalmente, mentre a Brescia, per sua iniziativa, era in allestimento la Queriniana, egli non si curò affatto di salvaguardare il copioso archivio lenese e lasciò cadere in rovina gli edifici abbaziali.[53] Nel 1758 è nominato abate commendatario Marcantonio Lombardi che incaricherà Francesco Antonio Zaccaria di compiere un'accurata indagine storica e architettonica circa il cenobio lenese, edita a Venezia nel 1767 col titolo Dell'antichissima badia di Leno.[54] Nel 1759 era nel frattempo uscita la raccolta di bolle e diplomi indirizzate al monastero di Leno di Giovanni Ludovico Luchi.[55] Lombardi sarà l'ultimo abate nella storia dell'abbazia, infatti alla sua morte (1782), i rimanenti beni del'istituto monastico furono indemaniati dalla Repubblica di Venezia e nell'anno successivo, 1783, con decreto senatoriale viene dichiarata ufficialmente soppressa la badia e gli edifici abbaziali, chiesa inclusa divennero cava per il cantiere della nuova Parrocchiale dove furono translate pure le relique dei Santi Vitale e Marziale.[56][57] Si concludeva così la storia dell'abbazia durata poco più di un millennio.

Note modifica

  1. ^ La leggenda sull'appellativo <<ad Leones>>, su comune.leno.bs.it. URL consultato il 20-08-10.
  2. ^ Baronio 2002, pp. 46-48
  3. ^ Baronio 2002, pp. 48-49
  4. ^ Breda 2006, p. 118
  5. ^ Azzara 2002, pp. 27-30
  6. ^ Guerrini 1987, p. 30
  7. ^ Baronio 2002, p. 35
  8. ^ Azzara 2002, pp. 21-22
  9. ^ Bonaglia 1985, p. 116-117
  10. ^ Baronio 2002, p. 34
  11. ^ Picasso 2001, p. 473
  12. ^ Baronio 2002, pp. 34-35
  13. ^ Cirimbelli 1993, p. 40 vol. 1
  14. ^ Baronio 2002, p. 35
  15. ^ Cirimbelli 1993, p. 43 vol. 1
  16. ^ Cirimbelli 1993, p. 44 vol. 1
  17. ^ Baronio 2002, pp. 40-41
  18. ^ Cirimbelli 1993, p. 46 vol. 1
  19. ^ Zaccaria 1767, pp. 80-82 e p. 91
  20. ^ Ragni, Morandini, Tabaglio, Leonardis, p. 12
  21. ^ Baronio 2002, pp. 56-57
  22. ^ a b Cirimbelli 1993, p. 48 vol. 1
  23. ^ Guerrini 1947, p. 372
  24. ^ Breda 2006, pp. 121-131
  25. ^ a b c Constable 2002, pp. 79-147
  26. ^ Cirimbelli 1993, p. 52 vol. 1
  27. ^ Baronio 2002, p. 48
  28. ^ Zaccaria 1767, p. 29
  29. ^ Cirimbelli 1993, p. 53 vol. 1
  30. ^ Zaccaria 1767, pp. 120-122
  31. ^ Cirimbelli 1993, p. 60 vol. 1
  32. ^ anno del primo documento attestante l'esistenza del comune di Ghedi
  33. ^ Cirimbelli 1993, p. 55 vol. 1
  34. ^ Cirimbelli, p. 58 vol. 1
  35. ^ Zaccaria 1767, p. 35
  36. ^ Archetti 2002, p. 122
  37. ^ Zaccaria 1767, p. 36
  38. ^ Zaccaria 1767, pp. 36-37
  39. ^ Zaccaria 1767, pp. 37-39
  40. ^ Cirimbelli 1993, pp. 70-73 vol. 1
  41. ^ Zaccaria 1767, p. 43
  42. ^ Zaccaria 1767, p. 44
  43. ^ Zaccaria 1767, pp.45-46
  44. ^ Tagliabue 2002, pp. 217-219
  45. ^ Tagliabue 2002, pp. 223-224
  46. ^ Tagliabue 2002, p. 224
  47. ^ Zaccaria 1767, p. 293
  48. ^ Zaccaria 1767, pp. 48-60
  49. ^ Zaccaria 1767, p. 52 vol.1
  50. ^ Cirimbelli 1993, pp. 88-95 vol. 1
  51. ^ Cirimbelli 1993, pp. 120-122 vol. 1
  52. ^ Zaccaria 1767, p. 293-294
  53. ^ Spinelli 2002, pp. 345-347
  54. ^ Picasso 2002, pp. 15-20
  55. ^ Cirimbelli 1993, p. 174 vol. 1
  56. ^ Cirimbelli 1993, pp. 188-190 vol. 1
  57. ^ La commenda del monastero di Leno, su lombardiabeniculturali.it. URL consultato il 23 giugno 2012.

Bibliografia modifica

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