Utente:Fabio Daziano/Sandbox

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(NON)
Hitt var fyrrv
at fold ruðu
sverðberendr
sínum drótni,
ok landherr
af lífs vönum
dreyrug vápn
Dómalda bar,
þá er árgjörn
Jóta dolgi
Svía kind
of sóa skyldi[2]

(IT)
Accadde un tempo
che i portatori d'arme
con il loro regnante
arrossarono la terra,
e il popolo del paese
lasciando Dómaldi
senza vita,
le loro armi insanguinate
quando i sueoni
cercando buoni raccolti,
offrirono
il nemico degli Jótar.

(EN)
Once it was
weapon-bearers
with their ruler
reddened the ground,
and the land's people
left Dómaldi
without life,
their weapons bloody,
when the Svíar
seeking good harvests
offered up
the enemy of Jótar.[3]

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Discussioni

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[@ nome utente random] Grazie mille, gentilissimo. (firma) [distanziamento da sinistra con : ]

Reframing the Feudal Revolution

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Il libro Reframing the Feudal Revolution: Political and Social Transformation Between Marne and Moselle, c. 800–c. 1100, traducibile in italiano come Riformulazione della rivoluzione feudale: trasformazione politica e sociale tra Marna e Mosella, c. 800-c. 1100 (Cambridge: Cambridge University Press, 2013) (ISBN 978-1-107-02886-9) è un libro storico ed accademico di Charles West. Si basa sul suo dottorato di ricerca. tesi, "Upper Lotharingia and Champagne c.850 to c.1100 ", traducibile in Alta Lotaringia e Champagne dall'850 circa al 1100 circa (Università di Cambridge, Facoltà di Storia, 2007).

Il libro

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Lo scopo principale del libro, discusso nell'introduzione, è di avanzare nella discussione sulle origini del feudalesimo. Mentre Georges Duby e i suoi successori avevano sostenuto dagli anni '50 che la "rivoluzione feudale" iniziò in Francia intorno all'anno 1000, negli anni '90 Dominique Barthélemy sostenne invece che molti di questi cambiamenti avvennero intorno al 900, ma che questi divennero evidenti solo nelle fonti successive sopravvissute, mentre altri sono più strettamente associati al rinascimento del XII secolo. West sostiene che il dibattito aveva raggiunto un punto morto, che aveva bisogno di nuove prospettive attingendo a prove precedenti. Il suo studio prescelto era l'area tra i fiumi Marna e Mosella, corrispondente a Champagne all'Alta Lotaringia.

L'argomento chiave del libro, e la sua "più grande partenza dal modello della Rivoluzione Feudale",[4] è che i Carolingi del IX secolo, vissero in un mondo in cui i diritti di proprietà non erano chiaramente definiti e in cui i significati dei rituali erano fluidi e aperti all'interpretazione, stimolando la definizione e la formalizzazione delle relazioni sociali, ora largamente conosciute come le "riforme carolingie". West sostiene che, sebbene molti aspetti della vita politica carolingia non siano sopravvissuti al crollo dell'omonimo impero negli anni ottanta dell'Ottocento, lasciò in eredità quel processo di formalizzazione avviatosi decenni prima. Lo studioso scopre che il motore della feudalizzazione non era principalmente (e paradossalmente) il rapporto tra feudi e vassalli, ma la formalizzazione del potere come diritti di proprietà (in particolare la proprietà della terra), che potevano quindi essere scambiati. "Alla fine il monopolio della dinastia al potere si cancellò, ma si può dire che ciò fu dovuto ad una questione di incidente dinastico. Sembrava più importante che se il progetto carolingio fosse proseguito, sarebbe finito in un mondo dominato dal potere così formalizzato e ben definito che in alcune circostanze poteva persino essere pensato come proprietà, che è più o meno esattamente ciò che è accaduto "( p. 263).

Il libro è organizzato cronologicamente in tre parti:

La parte I. "I parametri della società carolingia", è strutturata come tesi, antitesi e sintesi. Il capitolo 1 mostra che gli sforzi dei carolingi per formalizzare e integrare le istituzioni di governo - non ultimo la regalità - non erano solo retorici e avevano conseguenze significative. Il capitolo 2, tuttavia, mostra la validità di contro-argomentazioni che, nonostante ciò, le idee formali di uffici e proprietà "si dissolvono su ispezione" (p. 76), rivelando una politica più instabile, contestata e provvisoria. Il capitolo 3 sintetizza questi argomenti sostenendo che mentre i Carolingi non hanno creato uno stato pubblico, le loro riforme culturali hanno avuto un profondo effetto sui modi di pensare delle élite: "l'impasse ... tra gli approcci dall'alto verso il basso e quelli centrati sulla pratica locale del potere, che ha oscurato il dibattito sulla rivoluzione feudale, può essere smantellato. Dobbiamo pensare alle pratiche simboliche che raggiungono la società, con conseguenze eminentemente pratiche '(p. 104). Questo capitolo è stato visto come "la chiave di volta di tutto il libro".[5]


Feleteo (in latino Feletheus, ma noto anche come Feva, Feba, Foeba, Fevva, Fevvanus, Theuvanus ; morto nel 487) fu re dei Rugii dal 475 alla morte.


Feleteo era il figlio di Flacciteo, re dei Rugi e fondatore del regno dei Rugii. Suo fratello era Ferderuchus. Feleteo era sposato con la ostrogota e ariana Giso, che probabilmente era la cugina di Teodorico il Grande, della stirpe degli Amali e re degli Ostrogoti.

Dopo la morte di suo padre, probabilmente nel 475, Feleteo successe a suo padre come re dei Rugi. Il loro territorio all'epoca era nella nella Bassa Austria, nella provincia romana del Noricum, ribattezzata, seguito della loro presenza, Rugiland.

Nel 476 Feleteo sostenne Odoacre e i suoi alleati sciri ed eruli nel rovesciamento dell'imperatore romano Romolo Augusto. Feleteo era uno stretto confidente, come il padre, di Severino di Norico, il quale divenne de facto il portavoce dei romani autoctoni. Dopo che l'imperatore romano d'Oriente Zenone tentò di far scoppiare un conflitto tra i Rugi ed Odoacre, Feleteo giustiziò suo nipote Fredericus, che sosteneva Odoacre. Odoacre successivamente invase il regno dei Rugii, sconfiggendoli completamente in una battaglia nei pressi dell'attuale Vienna. Feleteo e sua moglie furono catturati e giustiziati a Ravenna nel 487. Due anni dopo, sotto il figlio Frederico, i Rugii si unirono al re ostrogoto Teodorico il Grande, che invase l'Italia e sconfisse e uccise Odoacre nel 493.

Hucpoldingi

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Dal punto di vista numerico, le carte sciolte relative a membri del gruppo hucpoldingio, in cui furono protagonisti, testimoni o anche solo nominati, sono 166: 12 risalenti al secolo IX, 59 al X, 67 all’XI, e infine 28 per i decenni del secolo XII considerati nella trattazione. Gli atti sono per la grande maggioranza negozi giuridici di tipo patrimoniale, mentre i documenti di tipo pubblico sono 30 in tutto, per una parte diplomi imperiali, per l’altra placiti distribuiti nel numero di 10 per i secoli IX e X e 4 per l’XI.

Il coinvolgimento nella congiura ai danni di re Ugo permise il ritorno in auge di Bonifacio che, oltre a far sposare la figlia Willa con Uberto marchese di Tuscia, ottenne per sé e per il figlio Tebaldo il titolo di duca di Spoleto e marchese di Camerino. Alla metà del secolo X gli Hucpoldingi controllavano, in modo più o meno diretto, buona parte dell’Italia centrale divenendo, in seguito alla morte del re fantoccio Lotario II, importanti sostenitori dell’ascesa al trono degli anscarici Berengario e Adalberto. Tuttavia, non possediamo alcuna testimonianza concreta delle attività e della condotta tenuta a capo del ducato negli anni subito successivi al 945. Le uniche indicazioni dalle quali cogliere una cifra indicativa dell’effettiva influenza esercitata dai duchi hucpoldingi sui territori controllati sono desumibili dalle datazioni dei documenti privati, stilate mediante il computo degli anni regi e ducali.

Veniamo ora alla situazione del gruppo hucpoldingio nell’area emiliana, cuore del regno italico, nella seconda metà del secolo X. Un primo dato da considerare è il mancato ritorno da parte di Bonifacio o qualcuno dei suoi figli alle posizioni di preminenza raggiunte in questi ambiti circoscrizionali prima dell’avvento di re Ugo.

[dopo la morte di Bonifacio II] Da quel momento la marca di Tuscia uscì dagli obiettivi appetibili per il gruppo hucpoldingio, che non sarebbe più riuscito ad ambire a un titolo marchionale così determinante per gli equilibri del regno. Tuttavia, altri rami della parentela mantennero per svariato tempo interessi patrimoniali e relazioni nelle zone della Tuscia di più antica affermazione.

La forte contrazione patrimoniale e l’isolamento politico furono la causa e l’effetto della situazione del gruppo parentale dalla metà del secolo XI in avanti. Il ramo del gruppo più attivo nel Bolognese e più vicino al potere imperiale – rappresentato dai figli del marchese Ugo II – fu quello più danneggiato dagli sconvolgimenti della lotta per le investiture. Il venir meno del dialogo diretto con il potere imperiale, la definitiva ascesa al potere di Matilde di Canossa e l’intraprendenza delle formazioni politiche cittadine bolognesi decretarono senza possibilità di appello l’irrilevanza del gruppo parentale nella politica di ampio raggio.

Risposta

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Ciao carissimo, grazie per avermi tenuto in  considerazione, e grazie ancora per il lavoro che stai facendo. Purtroppo non sono un espertissimo in materia, ma proverò a risponderti il più precisamente possibile dove posso.

Sul primo paragrafo considero un anacronismo (“inventato” proprio nell’epoca della lotta per le investiture) il considerare il potere religioso come scindibile e soprattutto estraneo al potere laico: all'epoca era considerato normale che l'imperatore o il sovrano (entrambi delle figure sacralizzate e “spurie”, a metà strada tra laico e religioso per i nostri occhi contemporanei (vedi Marc Bloch nel suo celebre I re taumaturghi o anche il suo La natura imperiale della Germania)), presiedesse ai sinodi dei vescovi del proprio regno sul modello di Costantino il Grande con il Concilio di Nicea (per una sintesi sulla figura regia/imperiale, in cui la prima imitò il secondo si veda  Karl Ferdinand Werner, Nascita della nobiltà. Lo sviluppo delle élite politiche in Europa). Bisogna inoltre contare che l'alto clero (e lo fu per secoli anche nel periodo dell’ancien régime), era composto da nobili, e che dunque le diocesi o più in generale il sistema religioso era parte integrante del potere di questi e della monarchia, facendo sì quindi che la “simonia” fosse un “atto normale” (ma non per questo incoraggiato o accettato a livello ideologico), contrastata però in modo efficace solo nell’epoca della lotta per le investiture o poco prima (Tietmaro, nei primi decenni dell’XI secolo si autoaccusa nella sua Cronaca di essere simoniaco, avendo comprato dallo zio Liutario la carica di rettore dell'Eigenkloster familiare (lo stesso fatto che esistessero Eigenklöster dinastici la dice lunga sulla penetrazione reciproca tra “potere laico e religioso", poteri che, ripeto, all’epoca erano mentalmente difficilmente scindibili). Ci sarebbe da scrivere altro ma mi sto già troppo dilungando; aggiungo solo che non conosco a livello sistematico il ruolo delle diocesi e del loro ruolo amministrativo in periodo carolingio e il rapporto di esse con la stirpe regnante, storia comunque separata dalle abbazie, la cui regola venne uniformata alla regola benedettina da Ludovico il Pio e da Benedetto d'Aniane.

Nel secondo paragrafo invece si suggerisce che i rapporti che la stirpe carolingia aveva con i propri sottoposti era un potere feudale basato sull'elemento reale, cioè la terra: in realtà il potere carolingio si appoggiava sul rapporto funzionariale tra gli individui delle stirpi nobili franche (come il sistema comitale o marchionale) mentre il sistema del vassallaggio regio era un sistema non diffuso e facente parte di un “normale cursus honorum” di un nobile di alto livello, senza connotati “feudali” e totalmente scisso, per la mentalità dell'epoca, dalla compensazione, che poteva consistere (non necessariamente però) anche di benefici terrieri (solo con il passare dei secoli i due divennero invece inscindibili). Bisogna inoltre tenere conto, come evidenziato dal Albertoni (nel suo Vassalli, feudi, feudalesimo) e da altri, che in realtà non esiste un modello unico di vassallaggio nei secoli seguenti all’epoca carolingia.

Per il terzo paragrafo invece bisogna riferirsi (anche, ma non solo) a Vito Fumagalli nella sua Terra e società nell'Italia padana. I secoli IX e X, Il quale, nel caso italiano (purtroppo non conosco le evoluzioni negli altri paesi), evidenzia che l'avanzamento del potere vescovile avvenne (in una lasso di tempo dall’888 circa ad Ottone I) nel contesto delle incursioni ungare e della successione al trono Italico a partire da Berengario I, il quale cerco il più possibile, venendo imitato dai rivali al trono e dai successori, di accattivarsi il favore dei vescovi più potenti del regno concedendo a loro 1) i poteri comitali, togliendo ad essi il carattere funzionariale, constatando, d’altronde, che il suo potere non era sufficiente a mantenere una struttura statale comitale operante e funzionante, 2) decidendo conseguentemente di cedere ad essi (o riconoscendo la loro pretesa) i benefici comitali, beni e terre essenziali al sostentamento e all'esecuzione della carica di conte, ufficio che venne, dato il suo svuotamento materiale e di prestigio, sottratto dalle ambizioni dei clan franchi, le quali puntarono su altri ruoli (contando però che esse erano comunque in crisi, essendo le Sippe dell’epoca fortemente basate sul rapporto con un vertice regio ormai contestato per decenni, come esemplificato dai Supponidi, venendo poi rimpiazzati da altri clan franchi o addirittura longobarde, finora escluse dal potere regio, come i Canossa). In realtà ad Ottone I va attribuita la resurrezione del potere comitale in molti luoghi, politica che solo in parte ebbe successo a causa della ormai dell'elevata dispersione del potere comitale e dall'ascesa dei poteri locali, ed adottando contemporaneamente una politica di pragmatismo e di compromesso con il potere vescovile, ormai detentore delle terre comitali da decenni (come evidenziato sempre da Fumagalli, non è un caso che le concessioni ai vescovi fatte da Ottone avvengono sempre nei momenti più difficili del suo regno). Una politica vescovile di Ottone è invece rilevabile in Germania, in opposizione alle forze ducali.

Scusami per il papiro, ma è solo per evidenziare che i vescovi-conti sono una leggenda storiografica ormai superata ampiamente dalla ricerca da decenni che non trova riscontro nella realtà e che il gioco "il vescovo lo scelgo io e alla sua morte scelgo il successore evitando l'ascesa della nobiltà che invece eredita (magari con l'aggiunta di uno sfregamento di una mano sull'altra)" non era una strategia applicabile se non in una ipotetica monarchia medievale proto-assolutistica, modello totalmente anacronistico e lontanissimo dallo Zeitgeist dell'epoca; essa fu dunque epoca di avanzamento dei poteri locali (e quindi della localizzazione di esso, non più concentrato (ma mai presente esclusivamente) alla corte regia).

Esempio ancora

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Burcardo V di Querfurt, burgravio (come Burcardo IV) di Magdeburgo (1209–1243/1247), soprannominato Kurzhand (Mano corta) (1233), documentato dal 1209 al 1243, (1189/1190 circa-tra il 1243 e prima del 2 aprile 1247) ∞ (intorno al 1210/1212) contessa Sofia di Wildungen e Ziegenhain (1190 circa-dopo il 26 febbraio 1254), figlia del conte Federico di Ziegenhain (Ludovingi) (1155–1213), figlio del langravio di Turingia Luigi II di Turingia e Giuditta di Svevia, e di Liutgarda (Lukardis) di Ziegenhain († 1207). Per i discendenti vedi qui.


Burcardo V di Querfurt, burgravio (come Burcardo IV) di Magdeburgo (1209-1243/1247), detto "Manocorta (Kurzhand) (1233), documentato dal 1209 al 1243 (1189/1190 circa-tra il 1243 e prima del 2 aprile 1247) ∞ (1210/1212 circa) contessa Sofia di Wildungen e Ziegenhain (1190 circa-dopo il 26 febbraio 1254), figlia del conte Federico di Ziegenhain (Ludovingi) (1155-1213) e Luitgarda (Lukardis) di Ziegenhain († 1207). Essi ebbero i seguenti discendenti:

Imperatori del Sacro Romano impero

Durante la vacanza della corona imperiale il regno dei Franchi Orientali conobbe, pur con forti contrasti, un minimo di unità contro le incursioni magiare dall'Europa Orientale e il regno dei Franchi Occidentali iniziava oramai una vita totalmente indipendente, il regno d'Italia, martoriata da decenni di lotte dinastiche, si disgregò a favore delle realtà locali, sancite o meno da un'autorità regia fortemente compromessa sia nell'ideologia (si veda i versi 246-248 dei Gesta Berengarii Imperatoris fatti pronunciare da Ildebrando II: «Fermatevi compagni, perché fuggite? Guardate se riesco a cacciare quell'uomo [Berengario del Friuli, N. d. R.] con l’arma! La natura creatrice gli ha dato arti simili ai miei e simile è anche il sangue che alimenta le viscere», in cui si evidenzia il "disincanto" della figura regia, contestata all'interno di lotte dinastiche) che nell'esercizio effettivo del potere regio, ormai sempre più incapace di imporsi, fatto che si evidenzia nell'assenza di una rete comitale solida nelle città, soppiantate di fatto o de jure dai vescovi, i quali vedono la loro autorità in certi casi riconosciuta o accresciuta da un pretendente al trono allo scopo di far passare un'intera città dalla propria parte. Nel contesto dei queste lotte dinastiche, nel 962 il re dei Franchi Orientali Ottone I di Sassonia varcò le Alpi e restaurò il titolo imperiale. Questo evento segnò una plurisecolare dipendenza dell'Italia Settentrionale dalle vicende politiche tedesche, da cui le città padane si sottrarranno progressivamente ma a costo della disgregazione del Paese.

ENRICO il LEone

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Enrico si sposò due volte. La prima volta con Clemenzia, figlia di Corrado I, duca di Zähringen, dalla quale ebbe due figlie:

Dopo aver divorziato nel 1162 da Clemenzia, sposò nel 1168 Matilde d'Inghilterra, dalla quale ebbe cinque figli:

Altri tre figli sono indicati, da alcune fonti, come appartenenti a Enrico e Matilde:

  • Eleonora (nata nel 1178), morta giovane;
  • Ingibiorg (nato nel 1180), morto giovane;
  • un figlio (nato e morto nel 1182).

Dalla sua amante, Ida di Blieskastel, ebbe una figlia, Matilda, che sposò Enrico Borwin I di Meclemburgo.

Ernst Jünger

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Nel 1895 nacque a Heidelberg Ernst Jünger, primo dei sette figli del chimico Ernst Georg Jünger (1868-1943) e della successiva moglie Karoline Lampl (Monaco, 1873-1950 a Leisnig/Sassonia). Fu battezzato protestante. Due dei suoi fratelli morirono in tenera età. Il fratello minore Friedrich Georg Jünger divenne anch'egli scrittore. Ernst Jünger trascorse la sua infanzia ad Hannover, a Schwarzenberg/Erzgeb. e infine a Rehburg dal 1907. Poiché suo padre era un farmacista ed era coinvolto nell'estrazione di cloruro di potassio, la famiglia Jünger era ricca.

Ernst Jünger iniziò la scuola presso il Goethegymnasium di Hannover nella Pasqua del 1901. L'iscrizione di Jünger segnò l'inizio di un periodo di sofferenza durato 13 anni, caratterizzato da più di 10 cambi di scuola fino all'esame di maturità nel 1914. Secondo il biografo di Jünger, Helmuth Kiesel, l'"odissea scolastica" non è dovuta tanto ai tre traslochi della famiglia quanto al suo scarso rendimento. Dal 1905 al 1907 trascorse un periodo in collegio ad Hannover e Braunschweig. Dal 1907 tornò a vivere con la famiglia a Rehburg. Insieme ai suoi fratelli, frequenta la Scharnhorst-Realschule di Wunstorf. In questo periodo scopre la sua passione per l'entomologia e per i romanzi d'avventura.

[...]

Nelle pause della sua routine quotidiana al fronte, verso la fine della guerra, leggeva soprattutto opere di Nietzsche, Schopenhauer, Ariosto e Kubin. Si faceva anche inviare da casa riviste di entomologia. I suoi 15 diari di guerra sono stati consegnati al Deutschen Literaturarchiv Marbach prima della morte di Jünger. Sono stati pubblicati nel 2010, curati e annotati da Helmuth Kiesel. Secondo Benjamin Ziemann, In sessi Ernst Jünger non appare né come una macchina da combattimento proto-fascista né come la mente di un'amalgama di uomo e tecnologia bellica, ma come un "cronista molto preciso" della pratica della violenza nella prima guerra mondiale. Jünger utilizzò gli appunti come materia prima per il suo primo libro (Nelle tempeste d'acciaio, 1920). Nel 2013, il suo biografo Helmuth Kiesel ha raccolto per la prima volta tutte le versioni di questo libro in un'edizione storico-critica.

[...]

Dopo la prima guerra mondiale, Jünger prestò inizialmente servizio come tenente nel 16esimo reggimento di fanteria della Reichswehr ad Hannover. Durante il periodo di servizio, fu coinvolto, tra l'altro, nella stesura del regolamento di servizio per la fanteria da combattimento (Heeresdienstvorschrift 130) presso il Ministero della Reichswehr a Berlino.

[...]

Il 29 gennaio 1926 inviò a Hitler il suo libro Fuoco e sangue con la dedica "Al leader nazionale Adolf Hitler", e il dittatore lo ringraziò personalmente. Hitler annunciò anche una visita a Lipsia, ma la annullò all'ultimo momento.

[...]

Il figlio di Jünger, Ernst, detto Ernstel, fu arrestato nel 1944 all'età di 17 anni insieme al suo migliore amico Wolf Jobst Siedler nel collegio Hermann Lietz-Schule Spiekeroog, dove andavano a scuola. Gli alunni erano anche ausiliari della marina. Un compagno di scuola li aveva denunciati a un ufficio superiore, riferendo che durante il loro servizio per la Marina avevano fatto "continuamente commenti critici nei confronti del regime e disfattisti". Ernstel aveva persino detto, tra le altre cose, che "Hitler deve essere 'impiccato'". Si trattava di reati gravi nell'era nazionalsocialista e c'era il rischio di un procedimento penale davanti al Tribunale del Popolo, dove tali affermazioni erano solitamente punite con la pena di morte. Grazie all'intercessione di Jünger presso i superiori militari dei due ragazzi, si svolse una corte marziale in cui entrambi furono condannati al carcere e rilasciati con la condizionale sei mesi dopo. Ernst si arruolò volontario nei Panzergrenadier delle Waffen-SS per evitare l'arresto da parte della Gestapo. Il 29 novembre 1944 fu ucciso in Italia, vicino a Carrara. Ernst Jünger e sua moglie credettero a lungo che il figlio non fosse stato effettivamente "liquidato".

[...]

Nel 1951, Jünger scrisse il saggio Trattato del Ribelle, una sorta di inno alla resistenza contro il totalitarismo e il conformismo. Secondo un libro di lettura russo per studenti tedeschi, la continuazione e la conclusione di questo tema si trovano nel romanzo Eumeswil, pubblicato nel 1977. Secondo Bernd A. Laska, in esso Jünger sviluppa la figura del Waldgänger in quella dell'Anarca, facendo riferimento soprattutto a Max Stirner e al suo libro L'Unico e la sua proprietà, pubblicato nel 1844. Dal 1959 al 1971, Jünger è stato direttore, insieme a Mircea Eliade, della rivista culturale Antaios, pubblicata da Ernst Klett Verlag.

[...]

Lo storico statunitense Elliot Neaman ha ritenuto che l'appellativo di "pioniere del nazionalsocialismo" debba essere considerato "impreciso e superficiale" alla luce della "complicata storia di ricezione" di Jünger. La Enzyklopädie des Nationalsozialismus lo definisce "pioniere del nazionalsocialismo". Anche l'anglosassone World Fascism. A Historical Encyclopedia, Jünger viene descritto come uno scrittore la cui retorica elitaria, antidemocratica e nazionalista ha contribuito a creare un ambiente favorevole all'ascesa del nazionalsocialismo. Daniel Morat si è concentrato sul tema centrale delle controversie che circondano Jünger: la questione della sua trasformazione. Mentre i difensori di Jünger in genere non contestano che Jünger sia stato un militante nazionalista e un pioniere del nazionalsocialismo, ma sottolineano la sua posizione di opposizione durante il Terzo Reich, i critici considerano questa trasformazione poco plausibile e superficiale.

  1. ^ Roberto Calvo, L’autorevole Codice Civile: giustizia ed equità nel diritto privato, Milano, Giuffrè Editore, 2013, p. 106.
  2. ^ Ynglingatal, Stanze VIII e IX
  3. ^ Ynglingatal, Stanze VIII e IX
  4. ^ Theo Riches, review of Charles West, Reframing the Feudal Revolution: Political and Social Transformation between Marne and Moselle, c. 800–c. 1100, Cambridge Studies in Medieval Life and Thought, Fourth Series 90 (Cambridge: Cambridge University Press, 2013), Early Medieval Europe, 24 (2016), 261--63 (p. 261). DOI: 10.1111/emed.12151
  5. ^ Theo Riches, review of Charles West, Reframing the Feudal Revolution: Political and Social Transformation between Marne and Moselle, c. 800–c. 1100, Cambridge Studies in Medieval Life and Thought, Fourth Series 90 (Cambridge: Cambridge University Press, 2013), Early Medieval Europe, 24 (2016), 261--63 (p. 262). DOI: 10.1111/emed.12151
  6. ^ a b Project Medieval Lands

Riferimenti

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  1. ^ NOTA: le corone poste sopra alcune caselle stanno ad indicare solo la principale linea di successione in Turingia: nell'albero sono infatti presenti alcune persone con incarichi comitali, margraviali, ducati o reali senza la corona. Il disegno di quest'ultime, inoltre, sono proprie dell'età moderna piuttosto che del medioevo. Il nome "Luigi" è intercambiabile con "Ludovico", così come "Giuditta" con "Jutta". Diversi ascendenti dei coniugi sono stati omessi per ragioni di spazio, eccetto di certuni importanti, segnalati in una nota; i figli appartenente ad altre dinastie sono stati invece segnalati sommamente. Ulteriori approfondimenti nella pagina dei Langravi di Turingia in Progetto Terre medievali.