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Roccaranieri
frazione
Roccaranieri
Roccaranieri – Bandiera
Roccaranieri – Veduta
Roccaranieri – Veduta
Panorama di Roccaranieri dal versante nord
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione Lazio
Provincia Rieti
ComuneLongone Sabino
Territorio
Coordinate42°20′01.037″N 12°57′56.681″E
Altitudine721 m s.l.m.
Abitanti154 (2019)
Altre informazioni
Cod. postale02020
Prefisso0765
Fuso orarioUTC+1
Cod. catastaleE681
Nome abitantiRocchiciani
PatronoSan Giovanni Battista[1]
Giorno festivo24 Giugno[1]
Cartografia
Mappa di localizzazione: Italia
Roccaranieri
Roccaranieri

Roccaranieri è una frazione del comune di Longone Sabino, in provincia di Rieti situata nell'alta Sabina, a sud della città di Rieti, nel territorio montuoso compreso tra le vallate dei fiumi Salto e Turano, su un'altura al margine della valle del Salto.

Il paese nacque in seguito all'incastellamento di un abitato nei pressi della chiesa di San Giovanni Battista, nel luogo indicato nelle fonti alto medioevali come "Pretorio nel territorio reatino", probabile insediamento di epoca romana.

Roccaranieri deve il suo nome ad un nobile Ranieri dei conti di Cunio proveniente dalla Romagna che, all'epoca dell'imperatore Federico I Barbarossa nel XII secolo[2] o dell'imperatore Federico II nel XIII secolo[3], fortificò il borgo rendendolo una possente roccaforte dominante una strettoia nella sottostante Valle del fiume Salto.

Il paese fu quindi soggetto all'abbazia di San Salvatore Maggiore, come uno dei castelli della Signoria di San Salvatore Maggiore[4], seguendo le vicende che interessarono tutti i castelli dell'abbazia. Le conquiste napoleoniche in Italia all'inizio dell'ottocento imposero anche ai territori abbaziali una riorganizzazione amministrativa: ne seguì una frammentazione dell'unità che da secoli accomunava quei centri abitati.

«Sul ciglio della catena di solenni montagne ammantate di boschi che dividono la valle del Turano da quella del Salto, un'altura dai fianchi scoscesi, che strapiombano fin quasi sul greto sassoso del secondo corso d'acqua, s'incorona di una terra incastellata. È questa Rocca Ranieri le cui origini risalgono al primo medioevo e le cui vicende sono legate «ab antiquo» a quelle della insigne e potente Abbazia imperiale benedettina di San Salvatore Maggiore


Geografia fisica

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Territorio

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Roccaranieri è un paese collinare dell'Alta Sabina che sorge a 721 m s.l.m. nel territorio del comune di Longone Sabino, a cavallo tra il fiume Salto ed il fiume Turano.

Il suo territorio fa parte di un'exclave del comune di Longone Sabino, a nord dell'abitato di Longone Sabino, da cui è separato dal territorio del comune di Concerviano. L'exclave include anche le altre frazioni longonesi di Fassinoro e San Silvestro ed è compresa fra i territori comunali di Rieti, Concerviano, Rocca Sinibalda, Cittaducale e Petrella Salto.

In particolare il territorio di Roccaranieri è limitato:

  • a nord-est e ad est dal fiume Salto che lo divide dal territorio di Grotti e Ville Grotti, frazioni del comune di Cittaducale.
  • a sud-est dal Rio Piombarolo, torrente che lo separa dal comune di Concerviano.
  • a sud dal Rio della Fonte che lo separa del territorio di Vaccareccia e da quello di Pratoianni, frazioni del comune di Concerviano.
  • ad sud-ovest e ad ovest ed a dalla SP30 che lo separa dal territorio di San Silvestro, altra frazione del comune di Longone Sabino.
  • a nord-ovest dalla strada per Cenciara, frazione del comune di Concerviano, che la separa dal territorio di Fassinoro, frazione del comune di Longone Sabino.
  • a nord dalla Piana di San Nicola che lo separa dal territorio di Cenciara, frazione del comune di Concerviano e dalla contigua selva, detta Selva di S.Nicola, al di sopra della SS578 Salto Cicolana, che lo separa dal territorio del comune di Rieti.

Età Romana

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Capitello ionico di età romana conservato nella Chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Roccaranieri (RI)

Il territorio di Roccaranieri era già abitato in epoca romana come testimoniano i reperti, probabilmente resti di una villa romana, emersi dagli scavi effettuati negli anni ottanta del secolo scorso per la realizzazione delle opere a supporto della SP30a in prossimità del campo sportivo in località valle San Giovanni. Venne allora messo in luce un muro di sostegno in opus reticolatum sull'alveo del contiguo torrente, detto Fosso della Fonte dei Colli, a monte del ponte lungo la strada che dal paese di Roccaranieri raggiunge il cimitero e l'annessa chiesa di San Giovanni Battista. Venne anche recuperato all'epoca un capitello di colonna ionica oggi conservato nell'abside della chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Roccaranieri.

Nel luglio del 1998, sempre nella Valle San Giovanni nei pressi della chiesa di San Giovanni Battista, durante gli scavi per l'ampliamento del cimitero, venne ritrovata una fistula acquaria[5] in piombo recante l'iscrizione:

(LA)

«M(arcus) Ma[riu]s Crescentianus f(ecit)»

(IT)

«M(arco) Ma[rio] Crescenziano [mi] f(ece)»

L'iscrizione sulla fistula, del tutto simile a quella di un'altra fistula, conservata a Rieti ed oggi scomparsa[6][7], già nota all'Holstenius nel 1649[8], riportata dal Lanciani nel 1880[9], dal Mommsen nel 1883[10][11] come CIL IX, 06354 , non sembrerebbe fornire indicazioni utili circa il proprietario della probabile villa romana di Roccaranieri[12][13].

È però possibile indicare in un periodo tra il I secolo a.C e il II secolo d.C. le evidenze romane rinvenute nei pressi della chiesa di San Giovanni a Roccaranieri.

Alto Medioevo

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Il nucleo originale dell'abitato - La chiesa di San Giovanni Battista (secc. IV-X)

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È probabile che il nucleo primitivo di quel che successivamente sarebbe divenuto l'abitato di Roccaranieri fosse costituito da alcune abitazioni nei pressi della chiesa di San Giovanni Battista di Roccaranieri, edificio sorto proprio sui resti della suddetta villa romana in epoca protocristiana o addirittura originale edificio di epoca romana adibito al culto cristiano dopo l'editto di Costantino nel IV secolo.[14]

Come avvenuto per altri centri in Sabina, nuovi centri abitati si costituivano proprio intorno ad una chiesa isolata o grangia, partendo da un casale annesso alle stessa per il rimessaggio del foraggio e degli attrezzi da lavoro, vi si raccoglievano poi più abitanti formando quelle che, nei documenti altomedioevali, vengono definite, a seconda dei casi, celle, cellulle, plebi, ville o villule.[15]

L'ipotesi è sostenuta dal fatto che le più antiche menzioni nelle fonti documentarie alto medioevali[16] riguardanti il territorio nei dintorni dell'odierno abitato di Roccaranieri indicano proprio la chiesa di San Giovanni Battista come termine fisso.

Età longobarda e franca - Massa Pretorii in territorio reatino (sec. VIII)
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Nel Regesto Farfense, fonte ricca di informazioni per la storia altomedioevale, in un documento del 783[17][18][19] redatto all'epoca del regno di Carlo Magno, re dei Franchi e dei Longobardi, quando Ildeprando era duca di Spoleto e Rimone gastaldo di Rieti, è menzionato il toponimo "Massa Pretorii territori Reatini" (it. Fondo Pretorio nel territorio reatino). In due documenti successivi, del X secolo, conservati nell'Archivio del Capitolo di Rieti, riguardanti indubitabilmente la chiesa di San Giovanni Battista di Roccaranieri, alla chiesa era ancora associato il toponimo Massa Pretorii.

 
Il documento del 783, trascritto da Gregorio da Catino (1060-1132) nel Regesto Farfense (1076-1125), Codice Vaticano 8487 (foglio 45, verso), ove si trova la prima menzione del territorio di Roccaranieri: massa pretorii in territorio reatino - in alto a destra, sottolineato, tra le settima e l'ottava riga.

E' ragionevole ritenere, quindi, che nell'VIII secolo il territorio dell'odierna Roccaranieri fosse indicato come "Massa[20] Pretorii territori reatini" (it. Fondo Pretorio nel territorio reatino) e che il documento del 783 sia la prima menzione documentale del territorio dell'odierna Roccaranieri.

(LA)

«In Nomine Domini Dei Salvatoris Nostri Ihesu Christi. Regnante dom[i]no nostro Carolo et Pipino filio excellentissimis regibus francorum atque langobardorum, et patricio romanorum, anno regni eorum in Italia, deo propizio, X° et II°.

Ego in Dei nomine Hildeprandus gloriosus et summus dux ducatus Spoletani, pro mercede dom[i]norum nostrorum regum, etiam et pro nostra, donamus atque concedimus in monasterio sanctae dei genitricis semperque virginis mariae quod situm est in loco qui nominatur Acutianus, territorii sabinensis et tibi viro venerabili Ragambalde abbas casales duos qui vocitatur Sibianus et Sucilianus, territori Reatini in Massa Praetorii qui pertinerunt ad curtem nostram Reatinam cum terris, vineis, silvis, pascuils et casis XII cum colonis suis qui in ipsis casis residere videntur, cum uxoribus et filiis ac filiabus suis, qualiter singuli cum familiis suis post unum focum residere cum omnibus ad eos pertinetibus quae iusto ordine ad manus suas tenuerunt et a publico possessum est, in ipso sancto monasterio, et tibi, dom[i]ne Ragambalde abbas , posterisque tuis, in integrum concedimus possidendum. [....]

Datum iussionis Spoleti in palatio, mense aprilis per indictionem vi, anno in Dei Nomine ducatus nostri X. Sub Rimoni castaldio, et Adeodato actionario. Quod vero praeceptum ex iussione suprasciptae potestatis ego Alefridus diaconus scripsi. (†) .»

(IT)

«Nel nome del Signore Dio nostro Salvatore Gesù Cristo. Durante il regno del nostro signore Carlo e del figlio Pipino, re eccellenti dei Franchi e dei Longobardi e patrizio dei Romani, nell'anno del loro regno in Italia, con la benevolenza di Dio, dodicesimo.

Io, Ildeprando, glorioso e supremo duca del ducato di Spoleto, per merito dei nostri signori re e anche per il mio, dono e concedo al monastero della Santa Madre di Dio sempre vergine Maria, situato nel luogo che si chiama Acuziano, nel territorio sabino, e a te, venerabile signor abate Ragambaldo, due casali chiamati Sibiano e Suciliano, nel territorio Reatino nella Massa Praetorii, che appartenevano alla nostra corte Reatina, con le terre, vigneti, boschi, pascoli e dodici case con i loro coloni che sembrano risiedere in questi case, con le loro mogli e figli e figlie, in modo che ognuno con le loro famiglie risieda dietro un unico focolare con tutte le cose che appartengono a loro che hanno tenuto in mano con ordine giusto e che sono state possedute pubblicamente, in questo santo monastero, e a te, signor abate Ragambaldo, e ai tuoi successori, lo concediamo per intero da possedere [...].

Data dell'ordine a Spoleto nel palazzo, nel mese di aprile, per la sesta indizione, nell'anno decimo del nostro ducato nel Nome di Dio. Sotto Rimone gastaldo e Adeodato notaio. Io, Alefrido diacono, ho messo per iscritto il comando su ordine della potestà sovrascritta. (†) (Effige del Duca Ildeprando)»

Pretorio in Plage nel territorio reatino (secc. IX-X)
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  Lo stesso argomento in dettaglio: Chiesa di San Giovanni (Roccaranieri).

Due documenti dell'Archivio Capitolare di Rieti, del 948 e del 982, permettono di affermare, con sufficiente certezza, che il luogo ove sorgeva la chiesa di San Giovanni, fosse noto, nell'alto medioevo, come "Pretorio nel territorio reatino", ovvero nel territorio del gastaldato di Rieti, originariamente facente parte della diocesi reatina, più precisamente nel luogo detto Plage[21] ovvero nella zona dell'interfiume Salto-Turano[22][23].

 
Chiesa di San Giovanni Battista a Roccaranieri - Facciata

Il documento del 948[24] è la prima menzione documentale della chiesa di San Giovanni di Roccaranieri.

Il documento è un atto ove un tale Aldus quondam Takeprandi de Civitate Reatina (it. Aldo del fu Tachiprando[25][26] della città di Rieti) concede al vescovo di Rieti Anastasio alcuni suoi beni in territorio falagrinense, ovvero nei dintorni dell'odierna Cittareale, e riceve dal vescovo, a terza generazione, alcune terre in Plage, ovvero nel territorio tra i fiumi Salto e Turano a sud di Rieti[27], più precisamente:

(LA)

«Hoc est res ipsa in territorio Reatino locu qui nominatur Plage, ubi dicitur ad Sanctum Johannem in pretoriu.»

(IT)

«Questi beni sono nel territorio Reatino, in luogo chiamato Plage, dove è detto San Giovanni in Pretorio.»

Un altro documento del 982[28] dell'archivio reatino conferma il toponimo "Pretorio in Plage nel territorio reatino":

(LA)

«[...] in territorio Reatino in locus ubi dicitur Plage ipsa plebe que est edificata in honore S. Iohannis Baptiste in logo ubi dicitur Pretoriu.»

(IT)

«[...] nel territorio Reatino, in luogo chiamato Plage, la stessa chiesa che è edificata in onore di S. Giovanni Battista nel luogo detto Pretorio.»

Massa Pretorii nei domini delle abbazie di Farfa e San Salvatore Maggiore
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Come visto nei documenti circa la chiesa di San Giovanni Battista, la proprietà dei territori nell'Italia dell'VIII secolo era divisa, come nel resto della penisola, tra i discendenti dei romani e quelli dei longobardi che si andavano via via integrando[29], situazione che si protrasse fino al X secolo.

 
Abbazia di San Salvatore Maggiore, panorama.

Dopo la fondazione, in epoca longobarda sotto il regno di Liutprando, da parte di monaci franchi, delle abbazie di Farfa (720) e di San Salvatore Maggiore (735), alcune delle terre delle Plage tra il Salto ed il Turano, vennero donate dai proprietari alle due comunità monastiche entrando così sotto il controllo delle abbazie che ne registravano le donazioni amministrandole direttamente o affidandole a terzi per periodi più o meno lunghi. Le due abbazie, poi, tendevano a scambiarsi le donazioni per facilitare il controllo e la gestione dei propri territori[30]. I territori delle Plage cominciarono sin dalla fondazione delle abbazie ad entrare sotto il controllo dei monaci benedettini ed il territorio di Roccaranieri non fece eccezione: è quindi probabile che fin dall'VIII secolo e nei tre secoli successivi, anche il territorio della Massa Pretorii entrasse a far parte dei possedimenti sotto il controllo della vicine abbazie di Farfa e di San Salvatore Maggiore[31].

È bene ricordare che le due abbazie di Farfa e di San Salvatore Maggiore, sotto il dominio longobardo godettero di un particolare status[32] che ne favorì l'espansione e con la conquista dell'Italia da parte dei Franchi, assunsero, sotto Carlo Magno, il titolo di abbazie imperiali[33], divenendo capisaldi del potere imperiale nel centro Italia. È durante questo periodo, tra l'VII secolo e la prima metà del IX secolo, che la abbazie raggiunsero l'apice della loro potenza garantendo ai territori sotto la loro giurisdizione una relativa tranquillità in un periodo, altrove, di grande incertezza.

Il primo incastellamento (secc. IX-X)

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Panorama di Roccaranieri dalla SP30a.

Al finire del IX secolo, la tranquillità dei territori sabini, così come quelli di gran parte della penisola, fu, però, scossa dalle scorrerie dei saraceni che nell'891 incendiarono l'abbazia di San Salvatore Maggiore la cui chiesa fu riconsacrata solo 90 anni più tardi dando un'idea del perdurante pericolo offerto dai mori tra la fine del IX e l'inizio del X secolo.

Come per molti altri insediamenti dell'Italia centrale anche per Roccaranieri il fenomeno dell'incastellamento potrebbe essersi avviato proprio in concomitanza con le invasioni dei saraceni tra il IX e il X secolo[34] allorché, «dopo un periodo che seguiva un forte decremento demografico, le popolazioni rurali, in crescente aumento, scelsero di lasciare le abitazioni sparse nelle pianure per rifugiarsi in nuove forme insediative accentrate ed adeguatamente difese»[35]: dal nucleo originario nella valle San Giovanni gli abitanti si traferirono sul colle prospiciente la chiesa di San Giovanni, su una rupe rocciosa alta più di 40 metri dal lato che affaccia sulla valle del Salto[36].

È però possibile che già ben prima dell'arrivo dei saraceni la popolazione del territorio di Massa Pretorii avesse posto le basi di quel che poi sarebbe diventato il nucleo di Roccaranieri, forse già all'epoca delle guerre gotiche o dell'invasione dei longobardi nel VI secolo, come era avvenuto per altri insediamenti lungo le vie di comunicazione che da Roma si diramavano per la penisola[37][38]. Le fonti non offrono certezze e nessuna evidenza in proposito, offerta da indagini archeologiche, appare come risolutiva.

Basso Medioevo

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Il secondo incastellamento e le origini del castello di Roccaranieri (secc. XII-XII)

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Panorama di Roccaranieri dalla Sp30a in località Le Cese.

Al primo incastellamento seguì probabilmente un secondo incastellamento ovvero un rafforzamento della difese del paese, la definitiva forma di castello e la denominazione attuale, forse a seguito delle invasioni da parte dei normanni all'inizio dell'XI secolo, durante la definizione della linea di confine tra il regno normanno e le terre del ducato di Spoleto contese tra papato e l'impero ai tempi del Barbarossa nel XII secolo o forse all'epoca delle lotte tra Federico II e papa Gregorio IX nel XIII secolo.

Di questo secondo incastellamento ovvero della fondazione del castello di Roccaranieri non si hanno notizie precise e non si hanno, nelle fonti documentali, citazioni del nome Roccaranieri o Rocca Ranieri ovvero di una Rocca Raynerii, Arx Rainerii o Castrum Arcis Rainerii, prima del XIII secolo[39] anche se è lecito supporre che il castello fosse già esistente prima di allora[40] come rivelano anche indagini condotte sulla struttura delle fortificazioni dei castelli della Sabina[41]. Quel che è certo è che, sin dall'antichità, gli abitanti di Roccaranieri tramandassero, di generazione in generazione, della fondazione del loro castello ad opera di un conte Ranieri di Ravenna[42].

La lapide di Roccaranieri
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L'unica fonte documentale che aiuta a fare un po' di luce sulla fondazione del castello di Roccaranieri è quella proveniente dagli archivi del notaio Giovanni Cesidio da Gavignano, ritrovata a Calvi dell'Umbria sul finire nel secolo scorso e pubblicata per la prima volta dal Benucci nel 1896[43]. E' un documento circa una lite sorta tra gli abitanti di Roccaranieri e quelli del vicino paese di Concerviano[44] sul finire del XV secolo:

 
La porta di Roccaranieri con la copia della lapide apposta nel 1997.

«Si trova negli atti di Giovanni Cesidio la sentenza emanata dal commissario pontificio Lorenzo de' Cerroni in data 27 luglio 1486 sopra la questione sorta tra il comune di Rocca Ranieri e quello di Concerviano intorno ai confini del tenimento del diruto castello di Antignano, già incorporato a Rocca Ranieri. Gli abitanti di questo castello volevano avere assoluta giurisdizione fino al Rio di Fonte Pasquale che mette nel Salto, mentre quelli di Concerviano affacciavano il diritto di pascolo oltre a questo confine e verso il Rio di Monte Piombarolo. A sostegno dei suoi diritti Rocca Ranieri adduce:

  • l'istromento (ndr. l'atto) di incorporazione di Antignano per mano di ser Nizio da Contigliano, «antiquitate fere consumptus» (it. piuttosto consunto dall'età) e di cui l'anno, consunto del tutto, «infertur ab antecedentibus annis quibus alia instrumenta fuerunt stipulata» (it. si intuisce dagli anni nei quali altri atti furono stipulati), e cioè gli anni 1285, 1286 e 1287;
  • una vendita di pascolo dal Rio di Fonte Pasquale al Piombarolo fatta dal comune di Rocca Ranieri ad uno di Concerviano;
  • la tradizione conservata «ab eorum maioribus et a senioribus in seniores» (it. da quanti più in vista tra loro e di generazione in generazione) che il loro castello fosse edificato «a comite Raynerio nobilissimo viro de Ravenna» (it.da un conte Ranieri nobilissimo uomo di Ravenna) e da lui appellato. In prova di ciò «ostendunt supra ianuam turris ipsorum vetustissimam tabulam marmoris albi huiusmodi tenoris sex versiculorum, videlicet (it. mostrano una antica lapide di marmo bianco sulla porta della lore torre con sei versi di questo tenore): Cuniarius Raynerius hanc fortem erigit arcem / vincens destruit Antignanum et Castra Iohannis Resistit pugnans forti manu imperatori / Germani fratres Raynerius atque Iohannes / Imperio diviso amplectuntur ubique /Semper et Arx hec deinde intacta remansit''»

Mancano, aggiunge l'istromento (ndr. l'atto) di Giovanni Cesidio, i documenti per stabilire il tempo di questo avvenimento, ma resta memoria della guerra, nè si nega dalla parte contraria che esiste nel monte contermino di detta Rocca un luogo chiamato ancora «platea imperatoris» (it. piano dell'imperatore).»

 
I territori di Antignano contesi tra Roccaranieri e Concerviano

Gli abitanti di Roccaranieri, quindi, nel difendere i loro diritti contro quelli di Concerviano, citano, tra le altre cose, una lapide affissa, ancora nel 1486, sulla porta della torre del castello del paese che recitava, in esametri:

(LA)

«Cuniarius Rainerius hanc fortem erigit arcem/ Vincens destruit Antignanum et castra Iohannis/ Resistit pugnans forti manu Imperatori/ Germani fratres Rainerius atque Iohannes/ Imperio diviso amplectuntur ubique/ Semper et Arx hec denique intacta remansit.»

(IT)

«Ranieri di Cunio eresse questa roccaforte/ Vincendo distrusse Antignano e i castelli di Giovanni/ Combattendo in un'aspra contesa resistette all'Imperatore/ I fratelli Ranieri e Giovanni/ una volta diviso il potere si riconciliarono/e questa Rocca rimase finalmente sempre intatta.»

È dalle informazioni contenute nel testo della lapide di Roccaranieri che gli storici moderni hanno provato a circoscrivere l'origine del paese di Roccaranieri. Dai sei versi della lapide si deduce infatti, in ordine, che:

  1. La Rocca venne eretta da un Ranieri Cuniario (ovvero originario di Cunio in Romagna, nel territorio di Faenza sotto il controllo di Ravenna) a dire degli abitanti di Rocca Ranieri del XV secolo, un conte di Ravenna che diede al paese il suo nome.
  2. Questi combatté e distrusse Antignano ed un altro abitato chiamato Castra Iohannis.
  3. Questi combatté per/resistette a un imperatore (a seconda dell'interpretazione del lat. "Resistit.....Imperatori").
  4. Questi si riappacificò con il fratello Giovanni (forse lo stesso Giovanni che aveva dato il nome all'abitato di Castra Iohannis che Ranieri aveva distrutto precedentemente).
  5. Non vi furono più guerre (tra la fondazione e l'affissione della lapide).

Il primo esametro è fondamentale nella ricerca delle origini della Rocca, fornendo il nome e la provenienza del fondatore del paese

Il terzo esametro pone il fondatore del paese in relazione alla figura di un imperatore, identificato il quale sarebbe immediatamente possibile fissare l'epoca e, quindi, più facile chiarire l'orizzonte degli eventi, di carattere più locale, descritti negli altri tre versi.

I conti di Cunio in Romagna
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Stemma dei Cunio-da Barbiano.

È fuor di dubbio che Ranieri di Cunio (lat. Cuniarius Rainerius) riportato nella lapide di Roccaranieri citata dal notaio Giovanni Cesidio Da Gavignano, fosse uno dei conti di Cunio, nobili romagnoli provenienti da Cunio, castello nel territorio di Faenza (più tardi nella provincia di Ravenna)[45] e noti in ambito ghibellino intorno al XIII secolo tanto che Dante[46] ne scrisse nella Divina Commedia, nel Canto XIV del Purgatorio, includendoli nella cornice degli invidiosi[47]:

«Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;
e mal fa Castrocaro, e peggio Conio
che di figliar tai conti più s'impiglia.»

I conti di Cunio, erano un importante tassello nel campo svevo all'epoca di Federico II nel XIII secolo e lo erano già dai tempi dell'imperatore Federico Barbarossa nel XII secolo[48] come confermano vicende di ordine patrimoniale per le quali il nome dei conti di Cunio si ritrova, lontano dai loro possedimenti di Romagna, in Sabina e in particolare nel Reatino[49][50][51].

I conti di Cunio in Sabina - La vicenda del falsario Serafini da Catino (1762)
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La presenza dei conti di Cunio in Sabina venne ignorata dagli storici fino al XVII secolo ed addirittura ricusata come mera fantasia alla fine del XVIII secolo a seguito di una celebre vicenda giudiziaria nella Roma del 1762[52] passata alla storia come la "causa Serafini-Olgiati".

 
La torre di Catino nelle terre oggetto della disputa tra il Serfini e il marchese Olgiati.

Nicolò Serafini, figlio di un agiato contadino di Catino in Sabina, a seguito di accurate ricerche storiche negli archivi notarili delle comunità dei paesi sabini di Catino e Poggio Catino, intentò causa contro alcuni nobili romani titolari di possedimenti nelle terre della Sabina. Il Serafini, sulla base di alcuni documenti da lui rinvenuti, infatti, pretendeva di essere riconosciuto come erede degli antichi conti di Cunio, provenienti dalla diocesi di Imola, supponendoli imparentati con le famiglie romane dei Frangipane, dei Colonna e con quella reatina dei Mareri, reclamando dei diritti sui beni dei suoi supposti antenati in virtù, in particolare, di un atto testamentario del 1426 in cui un conte Giorgio di Cunio istituiva un fidecommesso sui suoi beni invocando il quale il Serafini pretendeva la restituzione di tali beni dalle famiglie nobili alle quali, all'epoca dei fatti, era riconosciuta la proprietà dei beni stessi. Fu così che diversi nobili romani tra cui il marchese Alessandro Olgiati[53] e le comunità stesse di Catino e Poggio Catino, per i possedimenti nelle terre di Catino e Poggio Catino e il cardinale Simonetti per i possedimenti in Gavignano furono trascinati in giudizio dal Serafini. La causa, sostenuta dal Serafini con il patrocinio della famiglia sabina dei Cicalotti che per mezzo del Serafini stesso pretendeva di dimostrarsi discendente dall'antica famiglia romana di origine sabina dei Curtabraca, si risolse nel 1762 nella curia di Monte Citorio sotto il giudizio del giudice Cardinale Pirelli il quale si affido alla perizia di due celebri studiosi dell'epoca: l'abate Conti e monsignor Pierluigi Galletti (in seguito abate di Montecassino). A seguito dell'accesso agli archivi sabini e all'esame dei documenti ivi custoditi, indicati dal Serafini, i periti si risolsero a dichiarare tali documenti come falsi o interpolati per cui, con solenne sentenza del giudice Cardinale Pirelli, il Serafini fu dichiarato fraudolento impostore e come tale condannato inoltre, nella stessa perizia del Galletti, venne dichiarato che la presenza in Sabina dei conti di Cunio, come i loro supposti rapporti di parentela con le famiglie locali, fosse una pura invenzione del Serafini. La sentenza ebbe eco negli ambienti della curia romana e successivamente nella cerchia degli storici ed archivisti italiani grazie alla pubblicazione della perizia da parte del Galletti[54].

Nel 1790, meno di tre decenni dopo della causa Serafini-Olgiati, Francesco Paolo Sperandio, arciprete della cattedrale di Sabina, diede alle stampe un libro storico celebrativo intitolato Sabina sagra e profana, antica e moderna in cui l'autore raccolse numerosi documenti negli archivi della Sabina, alcuni dei quali, riguardanti i conti di Cunio. Di tali documenti però, in seguito, si persero le tracce. Secondo lo Sperandio, i conti di Cunio sarebbero discesi da imperatori romani o almeno da re longobardo Desiderio. Gli storici ottocenteschi presero in considerazione lo scritto dello Sperandio sperando di trovarvi risorse utili per i loro studi, in particolare circa la storia della penisola tra il IX e l'XI secolo. Non potendo verificare le fonti e temendo che si trattasse degli stessi documenti indicati nella sue rivendicazioni dal Serafini[55], quindi già dichiarati falsi o interpolati dal giudizio del Galletti, gli storici smisero ben presto di prestarvi fede quando non presero ad insinuare che lo Sperandio fosse stato particolarmente poco critico o, peggio, colluso con il Serafini[56].

 
Panorama di Roccaranieri dal Colle delle Prata, rara foto di inizio novecento: si vede bene l'impianto medioevale del castello ancora intatto con la torre campanaria della chiesa di San Pietro dentro le mura (demolita in seguito al terremoto di Avezzano del 1915).

Ad un secolo dalla pubblicazione dello Sperandio, nel 1896, fu Domenico Benucci, a riproporre all'attenzione degli storici la presenza in Sabina dei Conti di Cunio pubblicando il testo della lapide di Roccaranieri che dichiarava la presenza di un conte di Cunio come fondatore di Roccaranieri, in territorio sabino, più precisamente nel reatino. Benucci aveva ritrovato il testo della lapide negli archivi di Calvi dell'Umbria quindi non in uno dei luoghi interessati, più di un secolo prima, dalla ricerche del Serafini. Nonostante ciò il Benucci nel suo scritto, cercando di indagare l'identità del Ranieri fondatore di Roccaranieri, invocò i documenti presentati un secolo prima dallo Sperandio e, forse per questo, i suoi studi non ottennero troppa considerazione da parte dei suoi contemporanei.

Nel 1912 Ildefonso Schuster, allora monaco benedettino di San Paolo fuori le mura, rinvenne negli archivi dell'abbazia di Farfa, un protocollo notarile del XIV secolo, in cui si prospettava la presenza in Sabina di personaggi che si qualificavano nei documenti come "comites...quondam domini comitis Alberici de citate Faventie" (it. conti...del fu signor conte Alberico della città di Faenza) ma lo Schuster non giunse ad identificarli come i discendenti in Sabina dei conti di Cunio.[57]

Solo le ricerche congiunte da parte di Tersilio Leggio negli archivi di Farfa e di Rieti e di Mauro Banzola negli archivi di Romagna, culminate in una pubblicazione del 1990[58], hanno permesso di accertare la verità storica circa la presenza in Sabina dei conti di Cunio e i loro rapporti di parentela con le famiglie nobili locali, smentendo di fatto quanto dichiarato dal Galletti al margine della sentenza del 1762. Le conferme vicendevoli tra le fonti Sabine da una parte e quelle Romagnole dall'altra, distinte geograficamente ma convergenti nei contenuti e nelle indicazioni cronologiche, hanno permesso di fornire una nuova genealogia per la famiglia comitale di Cunio coerente con le fonti documentali dimostrando, fuor di dubbio, la presenza di membri della famiglia comitale di Cunio in Sabina almeno a partire dall'epoca del Barbarossa nel XII secolo.

Gli storici sono oggi concordi nell'indicare la prima traccia documentale della presenza dei conti di Cunio in Sabina in un documento papale del 1157[59], quinto anno del regno del Barbarossa[60].

 
Panorama della Valle del Salto dalla Piazza dei Casarini nel centro di Roccaranieri. Dirimpetto il Castello di Calcariola sorto a difesa del confine settentrionale del regno normanno.

Per quanto la presenza in Sabina dei conti di Cunio prima dell'avvento del Barbarossa sia ancora da indagare[61], l'ipotesi degli studiosi moderni[62] circa la causa della presenza dei conti di Cunio in Sabina all'epoca del Barbarossa è ormai concorde: l'imperatore Federico I, volle servirsi di nobili a lui fedeli per assicurarsi un appoggio nel suo programma di strategia politico-militare volto a tutelare posizioni di potere e giurisdizioni dell’Impero nella penisola italica[63]. «Nel caso della Sabina si trattava di conservare al potere imperiale un’area minacciata dalle rivendicazioni territoriali del Papato mentre nel caso del Reatino si trattava di tenere a bada le mire espansionistiche del vicino regno normanno»[64] in forte espansione all'epoca dell'assedio e della distruzione di Rieti, da parte dei figli di Ruggero II, nel 1149[65][66].

In entrambi i casi, nel territorio sabino ed in quello reatino, l'imperatore Barbarossa si servì delle due abbazie di Farfa e San Salvatore Maggiore, recuperando all'obbedienza due tradizionali baluardi dell'impero nel territorio sotto l'influenza papale passati, da qualche decennio con il concordato di Worms, dall'autorità imperiale all'autorità pontificia[67].

«Federico I, nel suo passaggio a Roma del 1155, segnando una nuova fiammata filoimperiale, volle trattare Farfa e San Salvatore Maggiore come sempre gli imperatori avevano trattato le due abbazie: offrendo protezione[68] e domandando in cambio fedeltà»[64]. È possibile, dunque, che l'Imperatore si sia rivolto all'abbazia di Farfa e a quella di San Salvatore Maggiore perché concedessero delle terre loro sottoposte a membri di famiglie nobili a lui fedeli, tra cui la numerosa famiglia dei conti di Cunio. Questi sarebbero quindi divenuti feudatari o almeno concessionari delle abbazie con lo scopo di «militarizzare il territorio limitrofo alle abbazie, edificando tutta una serie di castra che dovevano contrastare eventuali incursioni normanne da sud e da est»[64].

I conti di Cunio nelle Plage
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Accertata la veridicità storica della presenza in Sabina dei conti di Cunio è bene ricostruirne l'orizzonte delle terre loro associate nei territori a cavallo dei fiumi Salto e Turano ovvero nei territori delle Plage.

Documenti Cunio in Sabina:

- Una lettera del papa Anastasio IV in Laterano del 4 maggio 1157: Unione Tribuco e Bocchignano : Papa vs Lamberto Cunio (Kehr 1906 da Muratori 1892) e figli Ranieri, Gebeardo, Unrocco e Gerardo.

- Concordia Farfa-Lamberto di Cunio circa Castrum Plagiarum (Schuster 1912 pag.573) lo cita Maglioni pag.10

- Diploma 1152+5=1157: Castrum Plagiarum in Enfiteusi da eredi Cunio agli Alfani nel 1344 (Schuster 1912)

Lamberto ed Rengalda (sorella del Barbarossa) - Figli Raniero ed Eberardo

Schuster Protocollo Documento XXIV 11 settembre 1344 pag (571-575).: I conti Unrocco, Ugo e Romolo, figli del conte Alberico, a nome proprio e dei loro fratelli concedono in enfiteusi alcuni possedimenti in Sabina e nel Reatino ai fratelli Teodino, Pietro e Carlo degli Alfani di Rieti. Invoca diploma del V anno del Regno del Barbarossa 1152+5 1157

Documento di concordia del 1157[23] rintracciato per la prima volta dallo Schuster nell'Alta Sabina, nel reatino, nel territorio delle Plage ovvero nell'interflumine Salto-Turano, in relazione al Castrum Plagiarum (it. Castello delle Plage)[69].

 
Panorama di Roccaranieri dal Casale Falcetti: la torre del castello del Conte Ranieri domina il paese. Sullo sfondo il Monte Nuria

Il documento papale del 1157, sopra menzionato, è un atto di concordia tra l'abbazia di Farfa e il Conte Lamberto di Faenza, ovvero dei conti di Cunio, circa dei possedimenti associati alle terre del Castrum Plagiarum[70] per i quali, nel documento, vengono precisati i confini: "[...] da cima i castelli di Magnalardo e Cenciara, da un lato il fiume Velino, dall’altro la chiesa di S. Angelo nel borgo di Rieti e infine il fiume Turano". Il fatto che si tratti di un atto di concordia ci spinge a pensare che le terre in oggetto fossero in origine state affidate all'abbazia di Farfa e che successivamente fossero state concesse dalla stessa abbazia, probabilmente sotto richiesta imperiale, forse proprio dell'imperatore Barbarossa, tra il 1152, anno dell'elezione ad imperatore, ed il 1157 stesso, ai conti di Cunio. Sorta una qualche disputa tra questi ultimi e l'abbazia di Farfa, la lite venne risolta dall'atto di concordia.

I conti di Cunio tengono le Plage fino al 1185, quindi dopo le nozze di Costanza con Enrico VI (agosto 1185), le cedono ai mareri (Sinibaldo) in dicembre. Il conte Ranieri avrebbe quindi fondato Rocca ranieri tra il 1157 data della concordia con Farfa e il 1185 o meglio prima della morte di Dodone nel 1181.


Esiste un ulteriore documento del 1185[71], proveniente dell'Archivio del Capitolo di Rieti, un contratto di enfiteusi tra l'abate di San Salvatore Maggiore Gentile ed i cugini Teodino e Rinaldo (figli dei fratelli Rinaldo e Sinibaldo) per la terra conosciuta con il nome “Plaie” un tempo amministrata da un certo Uguicio di San Martino avente i seguenti confini: "[...] dal primo lato il fiume Salto, dal secondo lato il territorio della Chiesa o ciò che tenete in Porcigliano concessovi dalla Chiesa, dal terzo lato il fiume Turano e dal quarto la torre (ndr. forse, meglio, la terra) che fin dai tempi antichi fu “in Pectorina”, [e che] discende fino al fiume Velino e tende verso il Salto".

Se il territorio oggetto di questo secondo documento, denominato le Plaie, ovvero con lo stesso nome del territorio del primo documento (le Plage), sia lo stesso del primo documento, potrebbe essere avvenuto che il territorio in questione sia passato, nel frattempo, tra il 1157 e il 1185, dai domini di Farfa a quelli di San Salvatore Maggiore. Diversamente potrebbe trattarsi di un’area territoriale con lo stesso nome e adiacente alla precedente[72] e mentre la prima, quella verso Rieti era nella diponibilità di Farfa, la seconda, quella verso il Salto, era nella disponibilità di San Salvatore Maggiore .

Se quest'ultimo fosse il caso, si potrebbe pensare che, nell’anno 1157, presso le Plage, esisteva già un castello, il Castrum Plagiarum, che il Conte Lamberto di Faenza utilizzava per il suo dominio, costruito in precedenza da lui stesso o da altri su terre rivendicate da Farfa e per il quale fu stipulato con l’abbazia di Farfa l’atto di concordia. Successivamente, quasi dopo trenta anni, nel 1185, i cugini Teodino e Rinaldo (probabilmente della stessa famiglia di Lamberto, ovvero dei conti di Cunio, come lascia intendere il documento del 1185 nell'ipotesi che i territori in oggetto nei due documenti siano distinti ad adiacenti) presero in enfiteusi la terra delle Plage da Gentile abate di San Salvatore Maggiore ampliando il dominio dei conti di Cunio.

In tal caso, almeno a partire da questa seconda fase, dopo il 1185, si prospetta la fondazione o rifondazione da parte di un conte Ranieri di Cunio, di un secondo maniero, l'odierna Roccaranieri, diverso dal primo Castrum Plagiarum, in quella porzione del territorio delle Plage, ottenuto in secondo momento, dopo il 1185, dai conti di Cunio dall'abbazia di San Salvatore Maggiore[73].

E' bene poi tener conto di un documento del 27 Maggio 1191[74] in cui papa Celestino IV prende l'abbazia di San Salvatore Maggiore sotto la sua protezione, ricordandone i confini che comprendono il territorio: "[...] tra il Salto e il Turano...dal ruscello di Paganico (ndr. Fosso dell'Obito)....fino al Ponte di Rieti". Il documento lascia intendere che, nel 1191, tutto il territorio tra i fiumi Salto e Turano, dal fosso di Paganico alla Chiesa di San Michele Arcangelo a Rieti, fosse finalmente nella sola proprietà dell'abbazia di San Salvatore Maggiore sebbene i conti di Cunio godessero, come visto, di buona parte del territorio della Plage in enfiteusi.

La fondazione di Roccaranieri
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Dai documenti sopra citati del 1157, 1185 e 1191, sembrerebbe quindi chiaro, come il testo della lapide di Roccaranieri già faceva supporre, che anche l'attuale territorio di Rocca Ranieri ovvero il territorio identificato dal documento del 783 come Massa Pretorii nelle Plage, fosse toccato in feudo o meglio, fosse stato concesso da una delle abbazie imperiali, in enfiteusi, ad un conte Ranieri di Cunio e che questi, come riportato dal Vescovo di Rieti nel 1844[42], provvide ad edificare o a fortificare, a proprie spese e quindi ottenendo il privilegio di dargli il proprio nome, un centro già preesistente[40], a difesa del confine sulla sottostante Valle del Salto.

Dire però, con certezza, quando sia avvenuta esattamente la fondazione o rifondazione di Roccaranieri, quale tra i molti conti Ranieri di Cunio riportati nei documenti sia il fondatore di Roccaranieri e se il terzo verso della lapide di Roccaranieri alludesse o meno all'imperatore Federico Barbarossa, non è questione di facile soluzione né esistono documenti che siano dirimenti a proposito.

Esistono due teorie che interpretano ciascuna in modo diverso il testo della lapide di Roccaranieri cercando di dare un senso compiuto ai versi:

(LA)

«1) Cuniarius Rainerius hanc fortem erigit arcem| 2) vincens destruit Antignanum et Castra Iohannis| 3) Resistit pugnans forti manu imperatori | 4) Germani fratres Raynerius atque Iohannes | 5) Imperio diviso amplectuntur ubique| 6) Semper et Arx hec deinde intacta remansit»

La versione di Leggio-Banzola: fondazione sotto il regno del Barbarossa (1155-1190)
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Tersilio Leggio[63] che indica nell’anno 1157 la data certa della presenza in Sabina dei conti di Cunio, attribuisce ad un Ranierius Cuniarius la fondazione di Roccaranieri, nel periodo tra il 1159 ed il 1180[75], all'epoca del vescovo Dodone di Rieti (1137-1181) il quale, durante il suo ministero, dedicò un altare nella Chiesa di San Pietro a Roccaranieri[76] che, quindi, doveva già esistere quando il vescovo Dodone era ancora in vita .

Per fare luce sull'identità del Rainerius Cuniarius di Roccaranieri, le ricerche di Leggio si affiancano a quelle dello storico romagnolo Mauro Banzola. Secondo Banzola[77] il Rainerius, conte di Cunio, che in una disputa riportata in documento romagnolo del 1185 tra il conte di Königsberg, rappresentante dell'imperatore Enrico IV (figlio del Barbarossa), e i rappresentanti della Chiesa di Imola, si schiera dalla parte dell'imperatore, è il fondatore di Roccaranieri nel territorio Reatino ed è lo stesso Ranieri[78] riportato in una carta ravennate del 1166 concernente una donazione di terre in plebe Barbiani (nei pressi di Barbiano), vel in curte Cunii.

Riccardo Pallotti, un altro storico di Romagna, in studi più recenti[79][80], così riassume[59] la vicenda:

 
Federico Barbarossa in un codice dell'abbazia di Weingarten (1179-1191).

«Tersilio Leggio ha sostenuto che Federico I avesse inserito i Conti di Cunio nel suo programma di strategia politico-militare volto a tutelare posizioni di potere e giurisdizioni dell'Impero nella penisola italica; nel caso della Sabina si trattava di conservare al potere imperiale un'area minacciata dalle mire espansionistiche del vicino regno normanno così come dalle rivendicazioni territoriali del Papato. Il Barbarossa da un lato recuperò all'obbedienza imperiale Farfa, tradizionale baluardo dell'Impero verso Roma; dall'altro militarizzò il territorio limitrofo, facendo edificare tutta una serie di castra che dovevano contrastare eventuali incursioni normanne da sud e da est. È in questo contesto, secondo Leggio, che si colloca l'arrivo dei conti romagnoli in Sabina, con la fondazione di Roccaranieri, nella valle del Salto, da parte di un fidelis dellImpero quale era il conte Ranieri di Cunio. Ma chi era costui?

La suddetta lettera papale del 1157 ci menziona un conte Ranieri figlio del conte Lamberto presente, con altri tre fratelli, nei territori limitrofi all'abbazia di Farfa. Si tratta con ogni probabilità di due personaggi diversi.

L'ipotesi di Banzola è che il conte Ranieri di Cunio, presumibilmente lo stesso menzionato nel rogito ravennate del 1166, sia entrato in contatto con Federico I l'anno seguente, durante il passaggio del sovrano in Romagna nella primavera del 1167, probabilmente a Imola o a Faenza, oppure presso il castello guidingo di Modigliana. Ranieri, assieme ad altri nobili di Romagna vicini al conte Guido Guerra, potrebbe essersi unito alla spedizione che lo Svevo stava intraprendendo contro il Papato e il regno di Sicilia; una volta giunti in Sabina, questi aristocratici avrebbero ottenuto, per volontà del sovrano, beni e territori collegati, almeno in parte, al patrimonio farfense; in tale contesto il conte Ranieri avrebbe fondato Roccaranieri, una fondazione che rientrava nel programma di militarizzazione del territorio sabino voluto dall'imperatore. Secondo Banzola, il conte Ranieri sarebbe rientrato nei suoi domini della Romagna nord-occidentale vari anni più tardi, a seguito dell'unione matrimoniale di Enrico VI con Costanza d'Altavilla (1185) (ndr.il matrimonio avvenne, per procura, proprio a Rieti), che vide un significativo mutamento dei rapporti tra Impero e regno normanno, con il venir meno delle precedenti tensioni nei territori di confine dell'Appennino centro-meridionale. I lunghi anni spesi al servizio degli Staufer, le terre ricevute nel Lazio ed il forte legame personale instaurato con la Casa di Svevia giustificherebbero dunque la sua vicinanza alle posizioni del Königsberg nella disputa con la Chiesa imolese tra 1185 e 1186. Si tratta indubbiamente di un'ipotesi suggestiva e non certo priva di fondamento.»

 
Stemma del Sacro Romano Impero con il blasone degli Hohenstaufen.

Il Pallotti aggiunge poi una sua personale ipotesi:

«Si potrebbe però proporre anche una lettura alternativa, indotta da alcuni interrogativi rimasti senza risposta. Posto che il conte Ranieri di Sabina del 1157 (figlio di Lamberto) e il conte Ranieri di Romagna del 1166 fossero due persone distinte, ci si chiede per quale ragione Federico I nella sua spedizione romana del 1167 avrebbe dovuto avvalersi di un giovane conte di Cunio residente in Romagna e non piuttosto di altri esponenti della stessa famiglia già inseriti da tempo nel mondo laziale, come attestato dalla fonte papale del 1157, edita dal Kehr e ritenuta a tutti gli effetti autentica.

Come si spiega allora la presenza di conti di Cunio in Sabina già nel 1157? Verrebbe spontaneo rispondere che il conte Lamberto, probabilmente fratello dei conti Roberto e Archiepiscopus protagonisti del giuramento faentino del 1128, si fosse stabilito nel Lazio prima del 1157, forse nel corso della prima spedizione romana del Barbarossa, nel 1155, se non addirittura in precedenza, magari nell'ambito di una delle due spedizioni di Lotario III di Supplimburgo. Del resto la lettera di Adriano IV non ci presenta certo questi conti vicini al Papato. In tal modo, si potrebbe identificare il fondatore di Roccaranieri con Ranieri figlio di Lamberto, già residente in Sabina, piuttosto che con un conte romagnolo disceso dal nord nel 1167. Più che ad un interscambio e a collegamenti diretti tra i Cunio di Romagna e quelli di Sabina verrebbe da pensare piuttosto al trasferimento permanente di alcuni membri del gruppo parentale e alla nascita di un autonomo ramo laziale della famiglia comitale di Cunio verso la metà del XII secolo. I documenti però non forniscono alcun aiuto in tal senso, per cui non è opportuno in tale sede spingersi oltre con le supposizioni.

Al di là delle esatte dinamiche di certi avvenimenti o della corretta identificazione di taluni personaggi, quello che comunque emerge anche da queste vicende laziali è il forte legame della famiglia dei Cunio con la Casa di Svevia.»

La versione di Leggio-Banzola del 1990, al pari della variante proposta dal Pallotti nel 2014, tradurrebbe, quindi, il "resistit ........imperatori" al terzo verso nella lapide di Roccaranieri come resistit = rimase al suo posto per l'imperatore ovvero Ranieri combatté per l'imperatore Federico I Barbarossa, il che sarebbe assolutamente concorde con la cornice definita da Leggio, chiarendo il primo ed il terso verso della lapide:

(LA)

«1 Cuniarius Raynerius hanc fortem erigit arcem |.....3 Resistit pugnans forti manu imperatori»

tralasciando, però, gli altri eventi citati nella lapide ai versi 2, 4, 5 e 6 ovvero gli eventi bellicosi di Antignano e Castra Iohannis e la disputa tra i due fratelli Ranieri e Giovanni[81].

La versione di Maglioni: fondazione sotto il regno di Federico II (1220-1250)
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Torre di Leonardo, vista da via della Chiesa Vecchia.

Paolo Maglioni[82], integrando le informazioni provenienti dalla lapide con altre riguardo la vicina abbazia di San Salvatore Maggiore, posticipa gli eventi descritti sulla lapide al regno dell'imperatore Federico II (1220-1250), così come fatto dal Benucci nel 1896[83], tentando una spiegazione degli altri versi della lapide di Roccaranieri.

 
Federico II dal trattato De arte venandi cum avibus.

All'epoca di Federico II, infatti[84], il territorio reatino non era più sulla linea di confine tra il regno normanno a sud e le terre al centro della disputa tra papato ed impero al nord dal momento che Federico II aveva raccolto in eredità il regno di Sicilia ed era quindi padrone tanto delle terre a sud che del titolo imperiale che gli avrebbe permesso il controllo dei territori nel resto della penisola a nord. Il territorio reatino si trovò allora, nel XIII secolo, proprio al centro della rivendicazioni di Federico II, in una posizione di frontiera che ne permise la fioritura economica. Dopo la distruzione operata dai normanni nel 1149, la città di Rieti, ormai roccaforte guelfa, sotto la protezione papale, fu spesso eletta a sede papale[85]: nell'arco di un secolo vi risiedettero i papi Innocenzo III (1198), Onorio III (nel 1219 e nel 1225)[86], Gregorio IX (nel 1227, nel 1232 e nel 1234) poi Niccolò IV (tra il 1288 ed il 1289) e Papa Bonifacio VIII (nel 1298). Rieti godette, così, nel duecento, di un ampio sviluppo urbanistico e la città fu al centro di episodi storici significativi come l’incontro tra San Francesco d'Assisi ed Onorio III (1219), l’atto di sottomissione di Federico II dopo la pace di San Germano[87] (1232) e la canonizzazione di San Domenico decretata da Gregorio IX (1234). L'imperatore Federico II visitò Rieti in altre due occasioni: nel 1233 fu a Rieti per riprendersi dei territori sottratti dai reatini[88] e nel 1241 quando, ai ferri corti con il papa Gregorio IX, chiamato dal cardinale Giovanni Colonna a Roma, entrò nei territori papali e assediò Rieti senza conquistarla[89][90]. In questo contesto si configurerebbero gli eventi della lapide di Roccaranieri per il Bellucci e per il Maglioni.

 
La torre di Leonardo, vista dal via del Borgo.

Maglioni cita un documento del 1253 relativo al periodo in cui Federico II, in lotta con papa Gregorio IX, al tempo dei vescovi di Rieti Rinaldo di Labro (1215-1233) e del suo successore Giovanni di Ninfa (1236-1240)[91], si impossessò dei territori dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore, probabilmente all'epoca in cui l'esercito di Federico II, agli ordini di Andrea Cicala, aveva cinto d'assedio la città di Rieti, ovvero nel 1241. La manovra di potere avvenne "...con il beneplacito dell'allora abate di San Salvatore Maggiore Giacomo che per tale motivo venne deposto (ndr. dagli altri monaci dell'abbazia o dal papa o proprio dal conte Ranieri).... I nunzi di Federico si impadronirono di tutto, persino il nuovo abate, che forse voleva opporsi alle prepotenze imperiali, dovette fuggire ma i monaci rimasero e continuarono a ricevere gli affitti dalle mani dei fattori dell'imperatore che nel frattempo occupavano l'abbazia[92]. Maglioni suppone, quindi, che i fratelli Ranieri e Giovanni, dei conti di Cunio, enfiteuti dell'abate di San Salvatore Maggiore (dal momento che le terre di Massa Pretorii erano state concesse, come visto, alla loro famiglia sin dai tempi del Barbarossa[93]), si siano trovati al centro della contesa tra impero e papato e abbiano scelto campi differenti: l'uno (Giovanni) appoggiò l'imperatore, l'altro (Ranieri), deposto l'abate Giacomo, parteggiò per il papa. Vi fu, quindi, tra i due una guerra e qui, seguendo i versi della lapide di Roccaranieri si può suppore che:

  • Ranieri, in vista della guerra, avesse rifondato ovvero fortificato, a sue spese, una rocca esistente[40] e gli avesse dato perciò il suo nome.
  • Ranieri avesse distrutto Antignano e Castra Iohannis, appartenente al fratello e vinto la contesa tra i due fratelli prima di resistere, in armi, all'imperatore Federico II.
  • I due fratelli Ranieri e Giovanni, dopo il passaggio, o la morte dell'imperatore Federico II (1251), si fossero riconciliati.

La versione di Maglioni tradurrebbe, quindi, il "resistit ........imperatori" al terzo verso nella lapide di Roccaranieri come resistit = resistette (combattendo) all'imperatore ovvero Ranieri si schierò contro l'imperatore Federico II[94].

Non esistono documenti al riguardo e quindi nessuna delle ipotesi sopra proposte è risolutiva per la precisa datazione della fondazione di Roccaranieri e per la caratterizzazione degli eventi descritti dalla lapide.


  1. ^ a b Antonius Hercules, Giorni di Feste Particolari dei Castelli dell'Abbazia di S.Salvator Maggiore, in Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ord. S. Benedicti, Roma, Tipografia Barberini, 1686, p. 481.
  2. ^ Leggio (1990), Banzola
  3. ^ Maglioni.
  4. ^ Leggio (2022), pag.129.
  5. ^ Rinvenuta il 20/07/1998, nello scavo per la realizzazione di due tombe familiari, la fistula ha dimensioni: lunghezza 70cm, diametro 11cm, spessore 5mm (dati forniti da Luigi Tomassetti). La condotta, dunque, rientra nella categoria delle tubazioni di medio calibro, probabilmente vicenaria o tricenaria, secondo la suddivisione fatta da Frontino nel De aquaeductu urbis Romae, con una portata tra i 7 e gli 11 l/s (cfr. Pietrantonio Pace, Gli Acquedotti di Roma, II Edizione, Roma, Art Studio S.Eligio, 1986, pp. 86-87.) La fistula è stata catalogata nel 2010 come CIL IX, 08676a.
  6. ^ Nel 2000 la fistula, recante l'iscrizione descritta originariamente dall'Holstenius, venne riportata come scomparsa dalla professoressa Maria Carla Spadoni.
  7. ^ Maria Carla Spadoni, Aggiornamenti al CIL, in Supplementa Italica, vol. 18, Quasar, 2000, p. 84.
  8. ^ L'umanista Lukas Holste (alias Holstenius), nel Codice Dresdensis del 1649, al foglio 90, riporta una fistula, insieme ad altre, come provenienti da Reate e recante l'iscrizione:

    «M(arcus) Marius Crescentianus»

  9. ^ Rodolfo Lanciani, Silloge Epigrafica Acquaria, Roma, 1880, p. 270.
  10. ^ Theodor Mommsen, Volume IX. Inscriptiones Calabriae, Apuliae, Samnii, Sabinorum, Piceni Latinae (PDF), in Corpus Inscriptionum Latinarum, 1883, p. 806.
  11. ^ Eagle Database, CIL IX,6354, su edr-edr.it.
  12. ^ La Spadoni, nell'articolo del 2000 in nota precedente, cita Marcus Marius Crescentianus come esempio di gentilizio Marius attestato a Rieti ritenendo che Marcus Marius Crescentianus fosse un plumbarius ovvero il produttore della fistula e non il proprietario della villa ove la fistula era stata trovata.
  13. ^ Maria Carla Spadoni Cerroni e Anna Maria Reggiani, Reate, Giardini, 1992, p. 74.
  14. ^ Rampazzi
  15. ^ Rampazzi
  16. ^ Le principali fonti per la storia alto medievale nel territorio reatino sono Il Regesto Farfense (nelle citazioni RF) e i documenti dell'Archivio del Capitolo di Rieti (nelle citazioni ACR).
  17. ^ (LA) Codice Vaticano 8474, foglio 45 - verso, in Regesto Farfense, 1125.
  18. ^ Gregorio da Catino, Il Regesto di Farfa, a cura di Ugo Balzani e Ignazio Giorgi, Vol. II, Roma, 1914, p. 116, R.151.
  19. ^ Nel documento Ildebrando, duca di Spoleto, dona al monastero di Farfa i casali Sibiano e Suciliano (potrebbe trattarsi della proprietà che diede poi luogo al toponimo lat. Licinianus, Licingianum, Licignanum, it. Licignano da cui Li Cingnali nei pressi di Fassinoro ove si trova la chiesa della Madonna dei Cignali) nel Fondo del Pretorio nel territorio reatino (lat. Massa Pretorii in territorio reatino).
  20. ^ AA.VV., Dizionario di Toponomastica: Storia e Significato dei Nomi Geografici Italiani, Milano, Garzanti, 1990, p. 383.
    « Massa: Dal latino massa ‘massa, ammasso’, come termine gromatico ‘tenuta’, nell’alto Medioevo massa e la denominazione che viene data ai grandi possedimenti, un insieme di fondi o poderi coltivati da coloni e servi, affidato ad un conductor o actionarius , che per lo più intorno al sec. X finiscono per trasformarsi in feudi quando il casale che ne e il centro viene fortificato e diventa sede di un signore feudale. Altre masse si smembrano, in parti assegnate a lavoratori-soldati per la difesa, dalla seconda meta del sec. VIII, sotto la minaccia di assalti dei Longobardi. Da massa derivano toponimi che interessano specialmente Veneto, Emilia Romagna, Toscana ed Umbria (LUI XIII, 158; Doria 1981, 186). Per quanto riguarda la Toscana, Pieri 1919, 317 osserva che pur essendo generale l’accezione agraria di massa, il termine potrebbe talvolta rappresentare un plurale di masso. c. M.»
  21. ^ AA. VV., Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani., Milano, Garzanti, 1996, pp. 485-486, ISBN 88-11-30500-4.
    « Plagia, pl. Plage : La documentazione del toponimo si presenta in origine come Pladia (sec. IX, Massia 1925, 14), poi Plagia (a. 1182, BSSS XXXVII, 85, 80), Pleia (a. 1167, BSSS XXXVII, 41, 41). Possiamo ancora aggiungere Playa (a. 1041, BSSS XXVI, 323, 172), Plena (a. 1162, BSSS XXXVI, 28, 38), Pleya (a. 1212, BSSS XXVI, 2, 100). L’etimo è evidentemente la voce tardo-latina plagia (Cortelazzo-Zolli, s.v.), dal valore di ‘pendio dolce, costa’, adatto alla posizione dell’insediamento. Per la diffusione toponimica ricordiamo Piaggia, frazione di Briga Alta, in provincia di Cuneo. A. r.»
  22. ^ Il toponimo Plage è citato nei documenti farfensi, per la prima volta, in un documento del 766. Da allora ricorre ripetutamente nei documenti farfensi e in un documento papale del 1157 ne vengono forniti i limiti che permettendo di identificarlo con l'interflumine tra il Salto ed il Turano e di accertare che il Pretorium in territorio reatino fosse effettivamente, tra tutti i toponimi Pretorium presenti nella Sabina (vedi ad esempio Pretorium vicino ad Amiterno), quello nei cui pressi si trovava la Chiesa di San Giovanni di Roccaranieri.
  23. ^ a b ".... in un documento del 1157, riscoperto dal cardinale Ildelfonso Schuster, si registra che il conte Lamberto di Favenza (ndr. Faenza, dei Conti di Cunio) aveva fatto concordia con i monaci di Farfa a proposito del castello delle Plaie (è il Castello delle Plage che era toccato in feudo ai Conti di Cunio) che aveva i seguenti confini “da cima i castelli di Magnalardo e Cenciara, da un lato il fiume Velino, dall’altro la chiesa di S.Angelo nel borgo di Rieti e infine il fiume Turano” ." (Maglioni, pag.10)
  24. ^ ACR, IV L 2 (ACR, arm.IV, fasc.L, n.2). Actum in civitate reatina, anno 948 pridie kal. Aug. Regnante Lothario, anno regni eius XIV. cfr. Michele Michaeli, Memorie storiche di Rieti, Vol. II, 1898, p.115, Nota IV. Il documento in pergamena è stato pubblicato in fotografia con il n.48 a p. 85 su “Gli Archivi unificati della Curia Vescovile di Rieti fonte di Storia” di Giovanni Maceroni e Anna Maria Tassi, Editrice Massimo Rinaldi, 1996.
  25. ^ ''...forse il (ndr.Tachiprando) comandante degli armati reatini che cacciarono i saraceni dalla Sabina nell’anno 918...'' (Chisari)
  26. ^ Pietro Nelli, Roma Salaria Falacrine, Roma, Lulu.com, 2009, pp. 64-67.
    «[Ndr. Il Tachiprando menzionato nel documento ACR IV L 2 del 948 è con buona probabilità lo stesso dell'iscrizione nella chiesa di San Silvestro di Cittareale]:

    L'iscrizione commemora la riconsacrazione dell'edificio sacro, ricostruito ad opera di Takebrandus (it. Tachiprando) il giorno 5 dicembre 924 dopo la vastationem saracinorum (ndr. la devastazione ad opera dei saraceni), al tempo del vescovo di Rieti Tofi e dal Re Rodolfo II di Borgogna (chiamato in Italia dai grandi feudatari italiani nel 921 ribellatisi a Berengario e nominato re d'Italia nel 923).

    POST VASTATIONEM SARACINORVM EGO TAKEBRANDVS PECCATOR RENOVARE ET CONSECRARE ROGAVI CVM SINTARI ET PETRO PRBRI TEMPORIBVS DOMINO IOANHI PAPE ET TOFI EP[ISCOP]O CIVITATE REATINE ET RODVLFO REGI AB INCARNACIONEM DOMINI NOSTRI IHV XPI ANNO NVASENTESIMO VICESIMO QVARTO QVINTA DIE MS DECEBER PER INDICTIO TERTIODECIMO PETRVS EPS CONDIDIT LEO ARCHIPRBT REATINA

    (it. Dopo la devastazione dei saraceni io Tachiprando peccatore chiesi di restaurare e di consacrare con Sintari (ndt. forse Sintaro avo di Gisone figlio di Campone di Rieti?) e Pietro al tempo di papa Giovanni X e del vescovo di Rieti Tofi e di Rodolfo re per incarnazione di Dio nostro nell'anno novecentoventesimoquarto, quinto giorno di dicembre, indizione tredicesima. Pietro vescovo ricostruì [essendo] Leone arcipresbitero della Chiesa di Rieti).»
  27. ^ L'atto del 948 (ACR, IV L 2) prosegue: "C’è un casale con i suoi beni e le sue pertinenze ed è posto sulla via delle Plage che conduce al monastero di S. Salvatore e confina con il Rio Lungo (lat. Rigu Latu, letteralmente Rio Ampio ndr. Rio di Fonte Pasquale il torrente più lungo tra quelli dei territori dell'interflumine Salto-Turano), il fiume chiamato Salto, le terre e le selve del Monastero di San Salvatore che io Aldo posseggo in prestito dallo stesso monastero."
  28. ^ ACR, IV K 4 (ACR, arm.IV, fasc.K, n.4). Il documento contiene il contratto di enfiteusi tra Giovanni, vescovo di Rieti, e i chierici Giovanni, Benedetto e Stefano relativo a terreni prossimi ai terreni del documento del 948 in particolare la chiesa di San Giovanni Battista nel luogo detto "Pretorio nelle Plage nel territorio reatino".
  29. ^ Nel documento dell'Archivio del Capitolo di Rieti del 948 il vescovo di Rieti, di nome Anastasio è chiaramente di origine romana, mentre Aldo, figlio di Tachiprando è di chiara ascendenza longobarda.
  30. ^ Schuster, Pag.405.
  31. ^ È probabile che prima che i territori delle Plage, a seguito di lasciti testamentari, passassero nella disponibilità delle abbazie, alcuni di questi, specie quelli nei pressi delle pievi, fossero già di pertinenza del Capitolo di Rieti, come dimostrano i documenti del 948 e, più in particolare quello del 982, nell'archivio del Capitolo di Rieti nel caso della chiesa di San Giovanni di Roccaranieri. Discorso analogo per la pieve di Sant'Agata nei pressi di quello che più tardi divenne il Castrum Plagiarum ovvero il borgo di Guardiola (vedi Chisari).
  32. ^ Schuster, pag.395-396.
  33. ^ I territori sottoposti alle abbazie imperiali erano sotto la protezione diretta dell'imperator e per questo nullius dioecesis (it. di nessuna diocesi) ovvero, nel caso dell'abbazia di San Salvatore Maggiore, non sottoposti alla diocesi reatina ovvero al controllo del vescovo di Rieti. In materia ecclesiastica l'abbazia rispondeva solo al pontefice.
  34. ^ Pierre Toubert, Les structures du Latium médieval. Le Latium meridional et la Sabine, du IX siècle à la fin du XII siècle, Roma, Bibliothèque des Écoles françaises d'Athènes et de Rome, 1973.
  35. ^ De Meo, Tecniche Costruttive Medioevali, La Sabina, L'Erma di Bretschneider, p. 22.
  36. ^ Nella Rocca era presente una sorgente, attinta tramite un pozzo scavato al di sotto della chiesa di San Pietro, come da testimonianza della signora Gianna Camilli in Cattani, nipote del sacerdote don Ugo Clementi, parroco di Roccaranieri nel periodo 1921-1943.
  37. ^ Maglioni, pag. 8.
  38. ^ L'abbazia di San Salvatore Maggiore, sul monte Letenano, poco distante da Roccaranieri, sorse probabilmente sulle rovine della villa romana di Sesto Tadio Nepote. La villa doveva trovarsi nei pressi della via Cecilia, strada romana che, diramandosi dalla via Salaria nei pressi di Trebula Mutuesca, attraversava la regione dell'interflumine Salto-Turano per raggiungere Amiternum. Il territorio di Roccaranieri/Massa Pretorii doveva essere attraversato da una viabilità minore di collegamento tra la sottostante Valle del Salto e l'altopiano delle Plage. Il sentiero che congiunge Roccaranieri al sottostante bivio sull'odierna S.S.578 Salto-Cicolana potrebbe essere ciò che resta di un antico iter di epoca romana.
  39. ^ La prima menzione del toponimo Rocca Ranieri (lat. Rocca Raynerj) è in una lettera di papa Gregorio IX del 1239 conservata a Roma (Maglioni). Prima della scoperta del documento del 1239 la prima menzione del toponimo Rocca Ranieri (lat. Rocca Raynerj) era ritenuta quella contenuta nel Documento Parigino (folio 25v, nell'angolo in basso a destra), un documento del 1252 che ci è pervenuto non nell’originale, ma in copia, eseguita in epoca posteriore e oggi conservato a Parigi nella Biblioteca nazionale di Francia al Département des manuscrits come Latin 1556 (B.N.Lat.1556). Si tratta degli Statuta Synodalia Reatina, documento riguardante l'insieme delle regole e comportamenti da osservarsi nel governo spirituale e temporale della Chiesa nella diocesi di Rieti (i titoli dei capitoli ne forniscono degli esempi: de immunitate ecclesiae, de poena sacerdotum qui conducunt ecclesias sine licentia episcopi, de bona mobilia et immobilia ecclesiae non alienatur, de tonsura clericorum, de sacramento confirmationis, si musca vel aracna vel aliquid cecident in calice, de revocatione beneficiorum, de forma absolvendi usurarios in confessione, de poena ponentium ignem, de procurantibus abortum, de mulieribus non manentibus cum viris). Al termine del testo delle disposizioni statutarie, al foglio 18, si trova il Liber censuum ecclesiae Reatinae disposto per volontà di Thomas (vescovo reatino dal 1252 al 1265): "Nos Thomas permissione divina reatinus episcopus volentes scire[...]omnes ecclesias[...]duximus adnotandas infra diocesem reatinam", iniziando con le parole: "hec est summa omnium ecclesiarum tam civitatis quam diocesis reatine et censualium et illarum que respondent et ecclesie reatine". Grazie a Roberto Tupone di Villerose di Borgorose che ne richiese una fotocopia, la Biblioteca nazionale di Francia, nel 2017, ha colto l'occasione per digitalizzare il documento ed inserirlo nella Biblioteca digitalizzata Gallica rendendolo consultabile gratuitamente insieme alla scheda sul manoscritto. Secondo la scheda presente in Gallica, il manoscritto B.N.Lat.1556 sarebbe stato precedentemente catalogato come Mazarin 1022 ovvero come facente parte della biblioteca personale del Cardinale Mazzarino: il manoscritto potrebbe essere giunto a Parigi al seguito di Gabriel Naudé, bibliotecario del cardinale Francesco dei conti Guidi di Bagno, vescovo di Rieti tra il 1635 e il 1639, il quale affidò al Naudé l’incarico di riordinare l’Archivio Capitolare di Rieti. Naudè fu quindi al seguito di Ranuccio Farnese e poi del Cardinale Rischelieu e quindi del suo successore, il Cardinale Mazzarino per il quale formò una copiosa biblioteca passata poi al parlamento francese e quindi alla Biblioteca nazionale di Francia (cfr. Ileana Tozzi su Frontiera, 2019).
  40. ^ a b c Che un insediamento già esistesse all'epoca del Barbarossa è lasciato supporre da un documento del 1253 riguardante la controversia tra il vescovo di Rieti Thomas (lo stesso ai cui si deve l'estensione degli Statuta Synodalia Reatina del 1252) e l'abbate di San Salvatore Maggiore. Durante il processo a Rieti, Don Raniero, parroco di San Giovanni di Pratoianni, testimoniò che a consacrare un altare nella chiesa di San Pietro a Roccaranieri fu Dodone, vescovo di Rieti (1137-1153, 1137-1181 secondo il Tedeschi) pertanto se ne deduce che la chiesa di San Pietro a Roccaranieri, e quindi il nucleo abitato stesso, all'epoca, fosse già esistente (Maglioni, pag.45).
  41. ^ Mauro de Meo, Tecniche costruttive murarie medievali, la Sabina, L'Erma di Bretschneider, 2006, p. 263.
  42. ^ a b Paolo Maglioni, Storie inedite di castelli antichi, Rieti, Arti Grafiche Nobili Sud, 1995, p. 9.
    «Nella visita pastorale dell'11 ottobre 1844, il vescovo di Rieti Mons. Filippo dei conti di Curoli, informatosi degli usi, costumi ed origini del paese da poco entrato nella sua diocesi (ndr. dopo la soppressione della Diocesi dell'abbazia di San Salvatore Maggiore nel 1841), così scrisse: "Roccaranieri prende il nome dal cognome del conte Ranieri di Ravenna che abbandonata la patria era venuto in questo luogo e facendo fabbricare il castello con la profusione delle sue ricchezze aveva dato l'origine e nome al paese".»
  43. ^ Benucci, pag.114.
  44. ^ Il notaio Giovanni Cesidio da Gavignano fu al seguito del commissario pontificio Lorenzo de' Cerroni che il 27 luglio 1486 emanò una sentenza sulla lite sorta tra il comune di Roccaranieri e quello di Concerviano intorno alla proprietà dei territori di Antignano, già castello dell'abbazia di San Salvatore Maggiore, paese ormai diruto tra Concerviano e Roccaranieri, i cui territori erano, all'epoca, già stati incorporati da Roccaranieri.
  45. ^ È per questo motivi che i conti di Cunio vengono alcune volte indicati nei documenti come "Faentini" (de' Faventia) mentre altre volte sono indicati come "Ravennati".
  46. ^ Non stupisce che Dante, avendo trascorso gli ultimi anni della sua vita in Romagna ed essendo morto a Ravenna, conoscesse nei dettagli la cornice romagnola delle lotte tra impero e papato di cui i Conti di Cunio erano stati tra i protagonisti.
  47. ^ La terzina loda l'estinzione della stirpe dei Malvicini di Bagnacavallo, mentre biasima i conti di Castrocaro e di Cunio che si danno pena di perpetuare la propria stirpe.
  48. ^ Nel campo ghibellino fin dai tempi del Barbarossa, alle cui fortune si legarono, i Conti di Cunio raggiunsero l'apice dei rapporti con la corona sveva durante il regno di Federico II nel XIII secolo: nei documenti dell'epoca, tra gli altri con lo stesso nome, un conte Ranieri si distingue tra i conti di Cunio per aver sposato Maria di Donegallia, ultima erede di una nobile casata dai territori contigui a quelli di Cunio, cioè quella dei conti di Donegallia, ed è per questo indicato a volte come Ranieri conte di Donegallia. È questi il Ranieri di Cunio presente al celebre assedio di Faenza «civitas munitissima, immo singularis in Romaniola» che si risolse il 14 aprile del 1241, dopo otto mesi, a favore dell'imperatore Federico II, quando, grazie alle trattative intessute proprio da Ranieri di Cunio, la città si consegnò all'imperatore. Federico II era riuscito finalmente a piegare Faenza, il rivale forse più tenace, dopo Bologna e Milano, fra tutti quelli, appartenenti allo schieramento guelfo, con cui si era confrontato fino a quel momento. Federico II dimostrò la propria gratitudine al Conte Ranieri rilasciando, il 1 maggio 1241, un diploma al conte di Cunio pro gratis ejus servitiis con il quale confermò al conte Ranieri comitatum Cuniensem et jurisdictionem, così come l’investitura di alcuni luoghi che già da tempo risultavano sotto il controllo dei Cunio: Barbiano, Massa Zagonara, Basino, Casali, Granarolo, Mazapede, Rovere, Ancona, Vizolo, Strambaccio, Seraglio e Gineclo (Pallotti).
  49. ^ Il fatto che questa famiglia possedesse terre in Romagna e in Sabina non è troppo curioso in considerazione del fatto che, fin dal tempo dei bizantini, i territori dell'esarcato di Ravenna erano gli unici possedimenti collegati direttamente al ducato romano. Le terre in questa fascia di territorio avevano costituito, quindi, per lungo tempo, due parti, benché distanti, dello stesso dominio.
  50. ^ Il Benucci, nel proseguo del testo sull'archivio del notaio Giovanni Cesidio di Gavignano, ci conferma la presenza in Sabina, proprio a Gavignano, nel 1251, dei possedimenti di un conte Ranieri, inequivocabilmente il Ranieri sposo di Maria di Donegallia ovvero lo stesso dell'assedio di Faenza del 1241 (vedi nota precedente): [.....]Ora, se questo imperatore fu, come ci sembra ragionevole, Federico II, che, venuto a Rieti nel luglio del 1241 «[ eam] sibi resi stentem invenit» (ndr. la trovò resistente), e tosto si affrettò, chiamato dal cardinal Giovanni Colonna, a Roma, questo conte Ranieri è lo stesso dei Doc. I e LXXVI dello Sperandio (ndr. Antonio Sperandio, storioco del XVIII secolo). Quest'ultimo (ndr. documento LXXVI dello Sperandio) noi abbiamo riveduto sull'originale, che si conserva nell'archivio comunale di Calvi (ndr. Calvi dell'Umbria). È un verbale della Cerna di Calvi del 10 ottobre 1496, nella quale è fatta menzione d'un antico istromento (ndr. atto), dove il conte Ranieri del fu Ranieri colla moglie Maria de Domnigallia ed i figli Lamberto, Nicola, Bailardino, Adalberto, Lodovico e Guidone recessero alla chiesa di Sabina i castelli di Altaino e Striano che da antico loro appartenevano. Non vi si fa menzione, è vero, dell'anno, ma che non si sia lontani dall'epoca da noi supposta, ci conferma questo passo del Doc. I dello Sperandio che si riferisce alle vendite di ghianda fatte dagli antichi vicedomini di Sabina: «Et anno 1251 illustri comiti d.[ominus] Raynerio et illustri comitissae dominae Mariae de Domnigallia coniugibus pro eorum vaxallis de Gabiniano, ut habetur ex Rofrido de Faida scriniario Episcopien.»
  51. ^ Leggio, Corvaro 2022.
  52. ^ Banzola, pag.329.
    «Nel 1762 a Roma, nella curia di Monte Citorio, ci fu un giudizio, "actores" del quale furono certi Ignazio e Nicolò Serafini che pretendevano dimostrarsi discendenti dei conti di Cunio in Sabina e di esserne eredi legittimi dei possedimenti. I possessori di quei beni furono da costoro convocati in tribunale come "rei conventi", si trattava di enti pubblici o di persone nobili più potenti dei Serafini; il giudizio allora si concluse a favore dei "rei convinti", mentre i Serafini, furono condannati come falsari ed impostori; i documenti da loro prodotti in giudizio come probanti furono giudicati falsi o interpolati dal perito del tribunale Pier Luigi Galletti abate e monaco cassinese; si concluse che il tutto era stato una pura invenzione dei Serafini come pure l'aver preteso di portare in Sabina i conti di Cunio!»
  53. ^ Comune di Poggio Catino sul sito del SIUSA (Sistema Informativo Unificato per le Sovraintendenze Archivistiche) dl MiBAC, su siusa.archivi.beniculturali.it.
    «[......]La prima menzione del nuovo borgo compare in documenti farfensi del 1093. Nella prima metà del XII sec. il castello di Catino e il suo Poggio si costituirono in un libero comune; in seguito, forse per sedare una rivolta, il pontefice inviò Teobaldo, della famiglia dei Sant'Eustachio, e lo insignì del titolo di barone affidandogli il feudo. Tornato nel 1477 alla Camera apostolica, l'anno dopo il castello fu venduto da Sisto IV al Comune di Rieti, il quale a sua volta lo cedette, nel 1479, al mercante genovese Meliaduce Cicala; nel 1483 Poggio Catino fu acquistato dagli Orsini, che ne rimasero in possesso sino al 1588, allorchè il feudo fu venduto ai Savelli. Venne loro confiscato nel 1592, a causa di una pesante situazione debitoria, e nel 1594 Papa Clemente VIII ne autorizzò la vendita al nobile romano Mario Capizucchi per il quale, due anni dopo, il Papa elevò il feudo a marchesato. Il dominio dei Capizucchi durò sino al 1614, allorchè il possedimento fu acquistato dal comasco Settimio Olgiati [.....]»
  54. ^ Angelo Fumagalli, Delle istituzioni diplomatiche, II, 1802, pp. 422-423.
  55. ^ Lo Sperandio diceva infatti di aver attinto i documenti circa i conti di Cunio dagli stessi archivi visitati trent'anni prima dal Serafini.
  56. ^ "Alcuni decenni dopo, nel 1790, l'arciprete della cattedrale di Sabina certo Francesco Paolo Sperandio pubblicò un libro storico-celebrativo sulla Sabina con dedica all'allora card. vescovo di Sabina Andrea Corsini; l'autore vi raccolse un notevole numero di documenti storici fra i quali diversi riguardanti i conti di Cunio. Attualmente però la quasi totalità di questi documenti non risulta reperibile nei testi originali e molti di essi dai contenuti poco chiari e storicamente poco probabili lasciano supporre siano interpolati o falsi; da certe affermazioni dello stesso Sperandio, sembra potersi trattare, almeno in parte, di quelle fonti antecedentemente utilizzate dai Serafini e da loro falsificate o interpolate; a tale proposito non si sa se lo Sperandio fu ingenuo nell'accogliere tali documenti, oppure se colluse coi Serafini."(Banzola, pag.329)
  57. ^ Banzola, pag.331
  58. ^ Leggio (1990), Banzola
  59. ^ a b Una lettera del papa Anastasio IV del 4 maggio 1157: cita il conte Lamberto di Faenza ed i suoi figli tra cui un Ranieri, feudatario di Farfa per i castelli di Tribuco e Bocchignano. Con tale atto il pontefice decretò l'unione del territorio del castello di Tribuco a quello del castello di Bocchignano, precisando però che tale decisione aveva incontrato l'opposizione del conte Lamberto di Cunio e dei suoi figli, Ranieri, Gebeardo, Unrocco e Gerardo (Leggio (1990), pag.354, Banzola, Maglioni, pag.10). Dalla genealogia dei Conti di Cunio redatta da Banzola sembra che questi accolga la tesi che Lamberto di Faenza fosse sposato con Rengalda, sorella dell'imperatore Barbarossa. Il Pallotti, successivamente, rigetta invece questa ipotesi ritenendo addirittura che la figura di Rengalda non sia affatto provata storicamente.
  60. ^ Federico Barbarossa nato nello stesso anno del Concordato di Worms (1122) che sancì la fine della lotta per le investiture segnando il predominio del papato sull'impero, salì al trono a trent'anni, nel 1152.
  61. ^ Paolo Maglioni (cfr. Maglioni, pag.10) cita un documento farfense dell'803 che attesta la presenza dei conti di Cunio in Sabina anche prima dell'epoca del Barbarossa (1125-1190) e addirittura avalla alcuni dei documenti dello Sperandio, in particolare un atto testamentario del 950 - siglato ad Aspra (odierna Casperia) in Sabina - tra quelli, secondo il Galletti, sospetti di interpolazione da parte del Serafini.
  62. ^ Leggio (1990), (Maglioni, pag.10), Pallotti.
  63. ^ a b Leggio (1990), pag.353-354.
  64. ^ a b c Pallotti.
  65. ^ In quegli anni l'imperatore Barbarossa si trovava dover affrontare la minaccia che proveniva dalla straordinaria avanzata dei normanni che, giunti nel meridione d'Italia all'inizio dell'XI secolo, già fra il 1053 ed il 1080 avevano occupato la Marca Fermana che comprendeva parte delle odierne regioni delle Marche meridionali e dell'Abruzzo settentrionale e si erano spinti ai confini con lo Stato della Chiesa finché, agli ordini dei figli di re Ruggero II di Sicilia, con azione rapida quanto incontrastata, nell'estate del 1144, conquistarono la Marsica, l'Amiternino e tutto il territorio fino a Rieti che venne assediata e poi distrutta nel 1149.
  66. ^ Carlo Tedeschi, Le iscrizioni di Dodone, vescovo di Rieti, 2014.
    «Dopo la distruzione ad opera dei Normanni del 1149, il Vescovo di Rieti, Dodone (1137-1181), si diede alla ricostruzione della città e delle chiese nella diocesi. Dodone, prima di essere eletto alla carica episcopale fu arcidiacono Ecclesiae Reatinae, come suggerisce la sua sottoscrizione ad un documento del 1133, mentre non è provata la sua appartenenza all’ordine cistercense, pure insistentemente ribadita nella storiografia locale. La sua giurisdizione episcopale, al pari di quella dei suoi predecessori e successori, si estendeva su un vasto territorio dell’Appennino centrale, che dal Reatino giungeva fino alla piana dell’Aquila, dal momento che la diocesi di Amiternum fu soppressa ed accorpata a quella reatina probabilmente già nella seconda metà dell’XI secolo. Un territorio, dunque, vasto, ma soprattutto di cruciale importanza dal punto di vista strategico, in un secolo che vide l’annessione dell’Abruzzo al Regno di Sicilia (1140) e i continui tentativi dei maggiori protagonisti della scena politica italiana — il Papato, l’Impero, i Normanni — di attrarre la Marsica e la Sabina entro la propria sfera di influenza. Conseguenza diretta di tale situazione fu l’assedio subito da Rieti da parte dell’esercito normanno e la devastazione della città con cui si concluse nel 1149. Stretto tra Normanni, Papato e Impero, costretto ad operare in un’area ancora segnata dall’ingombrante - seppure ormai declinante - presenza monastica, Dodone seppe guadagnarsi un ruolo centrale, rafforzando quanto più possibile il suo controllo, attraverso un'abile politica di alleanze variabili.»
  67. ^ Con l'abate Adenolfo (1125) si sancì ufficialmente la totale sudditanza di Farfa al papato.
  68. ^ A beneficiare delle concessioni di Federico I, oltre alle Abbazie di Farfa e San Salvatore Maggiore, fu il vescovo di Rieti, Dodone (vedi Tedeschi), probabile parente dei Conti di Cunio, per via di donazioni di territori faentini alla diocesi reatina difficilmente spiegabili se non da legami di parentela a personaggi dell'area romagnola come appunto i Conti di Cunio. Il vescovo Dodone fu destinatario, nel dicembre 1177, quando Federico I si trovava ad Assisi e Perugia, di un diploma con cui l'imperatore prendeva sotto la propria protezione l'intera diocesi reatina. Tutto a dimostrazione di un disegno dell'imperatore di attrarre nella propria orbita tutti i territori di confine dello Stato della Chiesa strappandoli alla parte guelfa in cui Rieti era entrata, sottoponendosi alla protezione papale, dopo essere diventata libero comune nel 1171.
  69. ^ Chisari identifica il Castrum Plagiarum con il castello di Guardiola nel territorio delle Plage affacciato sulla Valle del Turano, ricordando come: "Tersilio Leggio noto storico e valoroso studioso del territorio reatino, vi aveva posto l’accento in occasione di un accurato saggio dal titolo ''I conti di Cunio e la Sabina. Un problema tra storiografia e storia'' pubblicato su “Studi Romagnoli” n.41 del 1990'', dove in ogni caso oscilla tra questa località e la località di Castelvecchio, forse influenzato dal nome del toponimo". A sostegno, secondo Chisari, dell'identificazione della Guardiola come il Castrum Plagiarum, l'esistenza, nel castello, della chiesa di Sant'Agata: "La presenza fin dall’VIII secolo, della chiesa di S. Agata e di un insediamento, tale a giustificare la pieve, la parrocchia, certo di carattere rurale ma in ogni caso di dimensioni non trascurabili, rende credibile l’apprestamento di una fortificazione". Chisari cita: "la scheda n. R1060 pubblicata nella "Carta dei Luoghi di Culto della Diocesi di Rieti" a cura dello Sperandio, vol. I della Regione Lazio, dove si legge della "Pieve di S.Agata" ubicata nel vocabolo "Plaia" nel toponimo di Sala, citata in una bolla di papa Anastasio IV del 1153. Lo stesso luogo di culto è chiamato "S.Agata in Plagiae" nel 1182 in una bolla di papa Lucio II, è denominato "ecclesia S.Agacte" in un documento del 1381 conservato nell’Archivio di Stato di Rieti (vol.VII c.26 v) e in un altro del 1408 (vol.XX c.60 r, ) è chiamata "ecclesia de Plagis S.Agata" nel 1398. La chiesa è inserita nella mappa n.10 dell’Archivio di Stato di Rieti sez.VIII Sala e Guardiola del 1820 ed è citata anche dallo studioso prof. Vincenzo Di Flavio nel suo lavoro “Il Registro delle Chiese della Diocesi di Rieti del 1398 nelle Memorie del vescovo Saverio Marini” 1989 scheda n.489. La scheda n.R1 060 [del libro di Di Flavio] riporta che la chiesa di S. Agata apparteneva sin dall’origine alla diocesi di Rieti. Questa informazione dovrebbe significare che quando la cappella fu costruita quella terra era nel dominio di Rieti e del suo vescovo." Continua Chisari su Guardiola: "Questo edificio (ndr. Il castello di Guardiola) fu modificato e ristrutturato dopo il 1300 per opera di un “magistrum Jacobum lombardum de Varesio muratorem” esperto di opere fortificatorie (Leggio, Le fortificazioni a Rieti, p. 80). Le feritoie verticali, con in basso la parte circolare per il passaggio della canna dell’arma da fuoco, tipiche per l’uso di archibugi, esistenti sulle torri manifestano i restauri successivi all’introduzione delle armi da fuoco, quando l’uso di queste attrezzature divenne sufficientemente diffuso nella zona e testimonia un lungo uso della struttura, almeno dal XII secolo al XV secolo. Le altre fortificazioni della zona, Roccaranieri, Magnalardo, Belvedere, non mostrano feritoie per gli archibugi."
  70. ^ L'odierna Guardiola secondo Chisari.
  71. ^ ACR, Arm.V Fasc.F, 3, (15 dicembre 1185).
  72. ^ "I motivi a sostegno della diversità dell’area sono da rilevare nella differente tipologia degli atti giuridici, infatti, il primo documento è un patto di concordia mentre il secondo è un contratto di enfiteusi. Questo è un contratto che si stipula tra il proprietario della terra e un altro soggetto che s’impegna a coltivarla e a migliorarla, inoltre i confini dell’area del primo documento fanno riferimento a Magnalardo e Cenciara mentre i confini del secondo citano Porcigliano (oggi Fassinoro) e, com’è evidente dalla topografia, la nuova concessione andrebbe ad includere la zona dove oggi e localizzata Roccaranieri. Inoltre l’atto di concordia è stipulato con l'abate di Farfa, mentre il contratto di enfiteusi è stipulato con l'abate di S.Salvatore, infine nel primo documento si parla di un “castello delle Plaie” e nel secondo si contratta per una "terra delle Plaie"'." (Chisari)
  73. ^ Da notare che l'atto del 1185, steso il 15 dicembre, segue il matrimonio tra Enrico VI, figlio del Barbarossa e Costanza d'Altavilla, celebrato per procura a Rieti il 23 agosto 1185 (celebrato di nuovo, in presenza dello sposo, a Milano, il 27 gennaio 1186).
  74. ^ Maglioni, pag.12.
  75. ^ Tra l'insediamento nel reatino dei Conti di Cunio (1159-1560) -come da un diploma concesso al conte Lamberto da Federico I, riportato in protocollo del 1344 riportato dallo Schuster (cfr. Leggio (1990), pag.354) - e l'estremo di un documento ACR, Arm.IV, Fasc.P n.1 una causa del 1253 tra il vescovo Thomas e l'abate di San Salvatore Maggiore in cui in una testimonianza si documenta che il vescovo Dodone consacrò un'altare nella chiesa di S.Pietro a Roccaranieri. Essendo morto Dodone nel 1181, la chiesa, quindi il paese, doveva già esistere prima del 1181.
  76. ^ Paolo Desanctis, Notizie storiche sopra il tempio cattedrale, il capitolo, la serie dei vescovi, ed i vetusti monasteri di Rieti, 1887, p. 77.
  77. ^ Banzola.
  78. ^ Conte Ranieri di Cunio figlio di Hostia od Hostica e fratello di Guido.
  79. ^ Riccardo Pallotti, Pubblici poteri e signorie di castello nella Romagna nord-occidentale (Secoli XI - XIII) - Cap. 7.3 - I conti di Cunio. (Pag.206-221), in Tesi di Dottorato di Ricerca in Storia Medioevale, Università di Bologna, Bologna, 2014.
  80. ^ Riccardo Pallotti, Un diploma di Federico II per i conti di Bagnacavallo. Armi, politica e poteri signorili tra Romagna e Patrimonium, in Studi Romagnoli, LXV, Cesena, Stilgraf, 2014.
    «Tersilio Leggio ha sostenuto che Federico I avesse inserito i conti di Cunio nel suo programma di strategia politico-militare volto a tutelare posizioni di potere e giurisdizioni dell’Impero nella penisola italica; nel caso della Sabina si trattava di conservare al potere imperiale un’area minacciata dalle mire espansionistiche del vicino regno normanno così come dalle rivendicazioni territoriali del Papato. Mauro Banzola ha sostenuto che il conte Ranieri di Cunio, presumibilmente lo stesso menzionato in un rogito ravennate del 1166, sia entrato in contatto con Federico I l’anno seguente. Ranieri, assieme ad altri nobili di Romagna vicini al conte Guido Guerra, potrebbe essersi unito alla spedizione che lo Svevo stava intraprendendo contro il Papato e il regno di Sicilia; una volta giunti in Sabina, questi aristocratici avrebbero ottenuto, per volontà del sovrano, beni e territori collegati, almeno in parte, al patrimonio farfense; in tale contesto il conte Ranieri avrebbe fondato Roccaranieri. Il confronto tra diverse fonti documentarie, in particolare atti di compravendita e documentali papali, rende comunque plausibile l’ipotesi di un trasferimento permanente di alcuni membri del gruppo parentale e alla nascita di un autonomo ramo “sabino” della famiglia comitale di Cunio in un momento precedente, già attorno alla metà del XII secolo. Resta comunque l’attestazione del forte legame della famiglia dei Cunio con la Casa di Svevia.»
  81. ^ Leggio, Corvaro 2022.
  82. ^ Maglioni, pag.6-12.
  83. ^ Prosegue il Benucci: Ora se questo imperatore fu, come ci sembra ragionevole, Federico II, che, venuto a Rieti nel luglio del 1241 «[eam] sibi resi stentem invenit», e tosto si affrettò, chiamato dal cardinal Giovanni Colonna, a Roma, questo conte Ranieri è lo stesso dei Doc. I e LXXVI dello Sperandio. Quest'ultimo noi abbiamo riveduto sull'originale, che si conserva nell'archivio comunale di Calvi. È un verbale della Cerna di Calvi del 10 ottobre 1496, nella quale è fatta menzione d'un antico istromento, dove il conte Ranieri del fu Ranieri colla moglie Maria de Domnigallia ed i figli Lamberto, Nicola, Bailardino, Adalberto, Lodovico e Guidone recessero alla chiesa di Sabina i castelli di Altaino e Striano che da antico loro appartenevano. Non vi si fa menzione è vero dell'anno, ma che non si sia lontani dall'epoca da noi supposta, ci conferma questo passo del Doc. I dello Sperandio che si riferisce alle vendite di ghianda fatte dagli antichi vicedomini di Sabina: «Et anno 1251 illustri comiti d. Raynerio et illustri comitissae dominae Mariae de Domnigallia coniugibus pro eorum vaxallis de Gabiniano, ut habetur ex Rofrido de Faida scriniario Episcopien.» Il conte Ranieri, inequivocabilmente il Ranieri sposo di Maria di Donegallia, è lo stesso dell'assedio di Faenza del 1241 citato dal Pallotti.
  84. ^ Dopo il matrimonio tra i suoi genitori, Enrico VI e Costanza d'Altavilla a Rieti nel 1185 che aveva posto le basi per l'unione della corona di Sicilia con quella di imperatore e quindi dei rispettivi domini.
  85. ^ Insieme, nello stesso periodo, ad Anagni, Ferentino, Segni e Viterbo.
  86. ^ San Francesco fu ripetutamente a Rieti tra il 1223 e il 1226.
  87. ^ L'evento è raffigurato in un affresco in una sala del Museo Civico di Rieti. nel Palazzo Comunale della città (Federico II ricevuto da Gregorio IX). L'affresco, eseguito tra il 1644 e il 1655, scoperto sotto lo scialbo nel 1960 durante la sistemazione del museo, è stato assegnato da L. Mortari a Vincenzo Manenti (Cfr. L. Mortari, Museo Civico di Rieti, Roma 1960, n. 25, p. 27, tav. 30; Di Flavio, Artisti del '600 a Rieti in Lunario Romano, Rieti 1981, p. 297).
  88. ^ Muratori, Bollettino Umbro di Storia Patria, p. 115.
  89. ^ Memore dell'assedio di Federico II del 1241, il Comune di Rieti, si prodigò per la costruzione di una nuova cinta muraria (1252-1320) usando, per i materiali da costruzione, cave di breccia site nel territorio delle Plage fino ad allora nei domini dell'abbazia di San Salvatore Maggiore, approfittando della lontananza del papa, protettore dell'abbazia, durante la cattività avignonese. L’esilio avignonese e lo scisma d’Occidente portarono al declino della Sabina che, nei secoli successivi, fu teatro di scontro e posta in palio delle contese tra famiglie baronali romane come gli Orsini, i Colonna e i Savelli, tutte detentrici, in Sabina di terre e di castelli ancora oggi visitabili, come il castello Orsini a Nerola o il castello Savelli a Palombara Sabina.
  90. ^ Francesco Palmegiani, L'antichissimo Palazzo Vescovile di Rieti, in Terra Sabina, Vol. II, Roma, 1923.
  91. ^ Robert Brentano, A New World in a Small Place - Church and Religion in the Diocese of Rieti, 1188-1378, Berkley, University of California Press, 1994.
  92. ^ Maglioni, pag.13.
  93. ^ Secondo la ricostruzione di Chisari, sotto il Barbarossa, nel 1157 i Conti di Cunio avevano già ottenuto il Castrum Plagiarum dall'Abbazia di Farfa, quindi nel 1185 ottennero un'altra porzione delle Plage, compreso il territorio di Roccaranieri, sotto Enrico VI, figlio del Barbarossa, dall'Abbazia di San Salvatore Maggiore.
  94. ^ Certo, c'è da notare come, nella ricostruzione di Maglioni, il membro di una famiglia così fedele alla casata Sveva, fin dai tempi del Barbarossa, passasse dallo schieramento ghibellino a quello guelfo quando proprio nello stesso anno degli eventi descritti a San Salvatore Maggiore da Maglioni, 1241, un Raniero, lo sposo di Maria di Donegallia, si era reso protagonista nel campo guelfo nell'assedio di Faenza, lo stesso che nel 1251 era signore di Gavignano.

Bibliografia

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Fonti Primarie

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Paolo Maglioni, Storie Inedite di Castelli Antichi: Roccaranieri, Longone Sabino, Fassinoro, San Silvestro, Rieti, Arti Grafiche Nobili Sud, 1994.

Sulla chiesa di San Giovanni Battista di Roccaranieri

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Sull'origine
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  • (LA) Gregorio da Catino, Regesto Farfense, Codice Vat.Lat.8487, Biblioteca Vaticana, Roma, 1125.
  • Giovanni Rampazzi, San Giovanni Battista di Roccaranieri, Anno 982. Enfiteusi o Precarìe, in Fidelis Amatrix, n. 16, Roma, Associazione culturale Cola dell'Amatrice, Marzo-Aprile 2006.
Sugli affreschi
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  • Cesare Verani, Gli affreschi della Chiesa di S. Giovanni Battista a Rocca Ranieri, in La Sabina, Gennaio - Aprile 1959, p. 5.
  • Roberto Messina, Affreschi nelle Chiese della Provincia di Rieti, Rieti, Lions Club Rieti, 2003.
  • Bruno Astorre, Maria Tiziana Marcelli e Benvenuto Salducco, L'edificio di culto - Codice del territorio. Recuperare per valorizzare. Anagrafe Regionale di Chiese Cappelle e Santuari di proprietà pubblica nel Lazio, a cura di Claudio Lo Monaco, Roma, Gangemi Editore, 2016, pp. 44-45.

Sulla fondazione di Roccaranieri e i conti di Cunio

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Su Roccaranieri castello dell'abbazia di San Salvatore Maggiore

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  • Battisti, Leggio e Osbat e Sarego, Itinerari Sabini: Storia e cultura di città e paesi della Provincia di Rieti, Rieti, Diffusioni Editoriali “Umbilicus Italiae”, 1995.
  • Pietrantonio Pace, Gli Acquedotti di Roma, II Edizione, Roma, Art Studio S.Eligio, 1986.

Contesto storico

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Sull'Eccidio di Roccaranieri

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  • Antonio Cipolloni, Monelli di guerra. Storia di fatti accaduti e vissuti a Rieti fra il 1943 e il 1944, Rieti, Amministrazione Comunale di Rieti, 2003, pp. 223-225.
  • Antonio Cipolloni, La guerra in Sabina dall'8 settembre 1943 al 12 giugno 1944, Terni, Arti Grafiche Celori, 2011, pp. 576-583, 800, 843.

Altri testi

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  • Luciano Tribiani, L'enigma dell'Abbazia - Il mistero delle divine reliquie, Booksprint, 2022, ISBN 9788824982542.

Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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Stazioni Meteo Roccaranieri

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Sulla Parrocchia di Roccaranieri

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Sull'origine di Roccaranieri ed i Conti di Cunio

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  • Ciclo di conferenze sul Paesaggio: Tersilio Leggio, Il paesaggio del Cicolano all'epoca di Dante, su simbas.it, Sistema territoriale Integrato Musei Biblioteche Archivi della Sabina e del Cicolano, 26 Marzo 2022.
    «Il Cicolano ha avuto rapporti molto significativi tra XII e XIV secolo con la Romagna, ma anche la Romagna ha avuto contatti molto stretti con il Cicolano, che hanno avuto un’eco nella Divina Commedia. Un cicolano che conobbe bene la Romagna è senz’altro Tommaso I Mareri, podestà di Ravenna e vicario imperiale nella regione tra gli anni 1239 e 1248. I personaggi romagnoli, che sono stati presenti nel Cicolano e in Sabina, sono i conti di Cunio, originari di un piccolo castello nei pressi di Faenza, giunti in zona al seguito di Federico Barbarossa intorno alla metà dell’XII secolo e fondatori del castello di Rocca Ranieri. Di loro parla Dante nel Purgatorio, fornendo lo spunto per uno sguardo d’assieme al paesaggio fortificato del Cicolano, subito dopo la conquista angioina.»
  •   Museo Archeologico del Cicolano, Il paesaggio del Cicolano all'epoca di Dante - I conti di Cunio e Roccaranieri, Intervento di Tersilio Leggio alla conferenza tenutasi sabato 26 marzo 2022 presso il Museo della Riserva Naturale delle Montagne della Duchessa a Corvaro di Borgorose (RI)., su YouTube, SIMBAS, 1º aprile 2022, a 5 min 54 s.
    «[....] da questo punto di vista si dimostra come anche la grande storia è passata per i piccoli centri come la grande storia ha interessato tutto il territorio basta che noi oggi siamo in grado di poterlo leggere.[....] spesso gli amministratori locali non conosco nemmeno dove vivono allora Alberico da Barbiano è un nome. Perché non rivendicare questi rapporti? Si rivendicano rapporti strani che non c'entra nulla o di nessun valore... ma questi veri! Che potrebbero anche innescare piccoli flussi di .....allo stesso [modo] Roccaranieri: localmente la conoscono ma che fosse una fondazione dei conti di Cunio? [.....]»