Utente:BlackPanther2013/Sandbox/Mata Atlantica

Foresta atlantica
Mata Atlântica
Dominio Terrestre
Ecozona Neotropicale
Bioma Foreste pluviali di latifoglie tropicali e subtropicali

Foreste secche di latifoglie tropicali e subtropicali
Mangrovie
Praterie, savane e macchie tropicali e subtropicali

Ecoregione G200 48
Ecoregioni vedi Ecoregioni
Superficie 1 234 000 km2
Conservazione In pericolo critico
Stati Bandiera dell'Argentina Argentina, Bandiera del Brasile Brasile, Bandiera del Paraguay Paraguay
Scheda Global 200


La Foresta Atlantica (in portoghese Mata Atlântica) è un bioma di foresta tropicale che comprende la costa orientale, sud-orientale e meridionale del Brasile, il Paraguay orientale e la provincia di Misiones, in Argentina. I suoi processi evolutivi risalgono all'Eocene, epoca in cui i continenti erano disposti più o meno come sono oggi. La regione è occupata dagli esseri umani almeno da 10.000 anni[1][2]. A partire dalla colonizzazione europea, e soprattutto nel XX secolo, la Foresta Atlantica ha subito un'intensa deforestazione, tanto che attualmente ne rimane meno del 20% della copertura vegetale originaria.

Costituisce un importante centro di endemismo e le sue formazioni vegetali sono estremamente eterogenee, dalle distese erbose aperte delle regioni montuose alle foreste pluviali sempreverdi dei bassopiani lungo la costa. La fauna ospita diverse specie endemiche, e molte di queste sono carismatiche, come il leontocebo rosalia e il giaguaro. Il WWF ha suddiviso la Foresta Atlantica in 15 ecoregioni, in modo da promuovere azioni di conservazione più regionalizzate, dal momento che il livello di deforestazione e i provvedimenti di conservazione sono specifici per ogni regione di questo bioma[3].

Attualmente, rimane circa il 15% della copertura originaria, per lo più sotto forma di piccoli frammenti di foresta secondaria. Nello specifico, in Brasile ne rimane circa il 15,3% (soprattutto nella regione della Serra do Mar), in Paraguay circa il 15% e in Argentina il 45%. Per la conservazione della biodiversità della Foresta Atlantica brasiliana è stata di fondamentale importanza la creazione di due corridoi ecologici che collegano i principali resti di foresta nel sud del Bahia e nel nord dell'Espírito Santo (Corridoio Centrale) e i frammenti nella regione della Serra do Mar e della Serra dos Órgãos. I frammenti di foresta che si trovano in Paraguay e Argentina fanno parte di una strategia di conservazione trinazionale, con la creazione di corridoi che collegano le principali aree protette di questi paesi e altre quattro aree protette in Brasile[3]. In Argentina rimangono circa 10.000 km² di foresta, che rappresentano il maggiore tratto ininterrotto di «Foresta Atlantica dell'Interno». La Legge del Corridoio Verde è un tentativo per riuscire a salvaguardare legalmente questi tratti di foresta in Argentina[4]. In Paraguay la deforestazione è avvenuta principalmente a partire dagli anni '90 e le aree protette sono poche e per lo più private[5]. Nonostante l'alto grado di deforestazione, la regione della Foresta Atlantica ospita il maggior numero di aree protette dell'America Latina, anche se molte di queste sono piccole e insufficienti per preservare i processi ecologici e la biodiversità.

Definizione modifica

Storia del concetto modifica

Nel 1824 Martius descrisse un tipo di vegetazione brasiliana che chiamò «foresta vergine [Urwäldern] del litorale» (Matto-virgem do litoral), o «foresta generale» ("Matta Geral")[6][7]. Lo stesso autore, nel 1837, definì l'area fitogeografica del litorale del Brasile come Regio montano-nemorosa o Dryas, rinominata Dryades nel 1858[8][9][10].

Negli anni '50 del XIX secolo, Burmeister la chiamava Südöstliches Urwald- oder Küstengebiet, «regione delle foreste vergini del Sud-est o costiere»[11][12][13][14].

Tra i primi autori ad usare cone riferimento l'adiacente oceano Atlantico vi fu Wappäus (1884), che utilizzò i termini «zona del litorale», «zona della foresta vergine della costa orientale», «zona delle foreste vergini dell'Atlantico» e «foresta vergine della costa dell'Atlantico»[15][16].

Foresta Atlantica sensu stricto e sensu lato modifica

Il termine Foresta Atlantica può essere usato almeno con due significati diversi: sensu stricto e sensu lato[16].

Alcuni autori, come Ferri (1980), Leitão Filho (1987) e Veloso et al. (1992), restringono l'applicazione del termine Foresta Atlantica (sensu stricto) alle aree di foresta ombrofila densa del litorale[16][17][18][19]. Per Joly et al. (1991), questa Foresta Atlantica sensu stricto (o foresta pluviale atlantica) delle regioni sud-orientali e meridionali, sulla base di criteri fisionomici, floristici e relativi alla loro origine, sarebbe costituita da tre formazioni forestali distinte: foreste delle pianure costiere, foreste dei versanti e foreste di altitudine[20].

Secondo Joly et al. (1991, 1999) e Rizzini (1997), il termine Foresta Atlantica (sensu lato) si riferisce alla vegetazione presente lungo tutto il litorale brasiliano, dal Rio Grande do Norte al Rio Grande do Sul, estendendosi all'interno nelle regioni meridionali e sud-orientali (negli stati di Rio de Janeiro, Espírito Santo, San Paulo, Paraná e Santa Catarina, e in parti di Minas Gerais e Rio Grande do Sul, nonché di Paraguay e Argentina), specialmente nelle regioni della Serra do Mar e da Mantiqueira. Essa presenta i seguenti tipi di vegetazione: foresta ombrofila densa (Foresta Atlantica sensu stricto), foresta ombrofila mista (foresta di araucaria) e foresta stagionale semidecidua e decidua (Mata Seca, o Mata Atlântica do Interior, o Mata de Planalto), assieme agli ecosistemi associati, come le distese erbose delle pampas e le aree sotto l'influenza fluvio-marina (mangrovie e restinga)[16][20][21][22].

Storia modifica

Formazione modifica

La storia della Foresta Atlantica ebbe inizio 50 milioni di anni fa, quando il continente sudamericano era già una massa di terra isolata e le forme di vita che ospitava cominciavano a evolversi a livello locale, senza essere disturbate da sconvolgimenti geologici di alcun tipo. Più recentemente, nel periodo Quaternario, la foresta attraversò periodi di frammentazione e di espansione, a seguito delle numerose ere glaciali verificatesi all'epoca[23]. Nei periodi in cui il pianeta presentava temperature più basse, i rifugi della Foresta Atlantica erano centri in cui la biodiversità forestale si evolveva in completo isolamento. Questa ipotesi potrebbe spiegare l'enorme diversità di questo bioma, così come il suo alto grado di endemismo[23]. È degno di nota che proprio le regioni meridionali dello stato di Bahia, quelle settentrionali di quello di Espírito Santo e il litorale del Pernambuco siano particolari centri di endemismo in seno alla Foresta Atlantica, e le analisi del polline dimostrano che queste regioni costituivano rifugi per la biodiversità anche alla fine del Pleistocene[24]. Mentre nel Nord-est brasiliano si era creata una situazione di relativa stabilità, nel Sud-est era andata creandosi una certa instabilità climatica, anche se questo non sembra aver impedito l'evoluzione di forme endemiche di alcuni taxa di anfibi ampiamente distribuiti[24][25]. Questa instabilità climatica nel Sud-est e nel Sud del Brasile ebbe come conseguenza la formazione di altre associazioni vegetali di tipo non forestale: gli studi paleoclimatici realizzati attraverso l'analisi del polline hanno dimostrato che il Sud-est e il Sud attraversarono più volte dei periodi in cui le foreste venivano sostituite da formazioni aperte, come le praterie[26]. Più nello specifico, durante le glaciazioni, le foreste di araucaria si spinsero fino alla latitudine di 19° sud (molto più a nord che nell'epoca attuale), per essere poi sostituite da foresta stagionale semidecidua nel corso degli ultimi 10.000 anni, quando il clima si fece nuovamente più caldo[27].

Popoli indigeni modifica

La prima ondata di colonizzatori umani nella regione della Foresta Atlantica si stabilì qui all'incirca tra 10 e 8000 anni fa, come dimostrano i ritrovamenti archeologici di Lagoa Santa, nel Minas Gerais[1][2]. Questi colonizzatori iniziarono già a modificare l'ambiente in cui vivevano attraverso la pratica dell'agricoltura itinerante (attività agricola propria dei sistemi forestali, basata sul cosiddetto «taglia e brucia», in particolare della vegetazione del sottobosco) fin dal loro arrivo: specialmente nelle zone in cui gli incendi per fare spazio alle coltivazioni erano più frequenti, la regione andò incontro ad un processo di savanizzazione[23]. Secondo un'ipotesi le pampas si sarebbero create proprio a seguito degli incendi appiccati dai popoli indigeni, in quanto i ritrovamenti dimostrano che la regione era ricoperta di alberi fino a circa 5000 anni fa[28]. È probabile che tutta la foresta del litorale costiero sia stata, almeno una volta, modificata a scopi agricoli dai popoli tupi. È strano pensare che una delle associazioni vegetali più note della regione, la foresta di araucaria attuale, potrebbe essersi formata a seguito della gestione del territorio da parte di agricoltori itineranti di Araucaria angustifolia[23]. L'agricoltura itinerante viene praticata ancora oggi da vari gruppi caiçaras e quilombolas della costa degli stati di Rio de Janeiro e San Paolo[29].

Colonizzazione europea modifica

Foresta Atlantica nel 1500[30]
Stato Superficie
Alagoas 53%
Bahia 33%
Ceará 3%
Espírito Santo 100%
Goiás 3%
Mato Grosso do Sul 18%
Minas Gerais 46%
Paraíba 12%
Paraná 98%
Pernambuco 18%
Piauí 9%
Rio de Janeiro 100%
Rio Grande do Norte 6%
Rio Grande do Sul 48%
Santa Catarina 100%
San Paolo 68%
Sergipe 54%

Con l'arrivo dei portoghesi, a partire dal 1500, ebbe inizio una nuova fase dell'esplorazione della Foresta Atlantica. In un primo momento, il pau-brasil fu il principale prodotto di questa terra che gli esploratori che colonizzarono la regione esportarono in madrepatria. Il primo contratto commerciale per lo sfruttamento del pau-brasil venne redatto nel 1502: è proprio a causa di questo legno, di colore rossastro come un tizzone (brasa), che il Brasile iniziò ad essere conosciuto come Terra Brasilis.

 
Foresta sulle sponde del Rio Paraíba do Sul raffigurata da Rugendas nel 1835 circa.

Può sembrare strano il fatto che la colonizzazione europea, con la successiva decimazione dei popoli indigeni, andò ad interrompere un processo di degradazione della foresta provocato dall'agricoltura itinerante praticata dai tupi, che aveva portato alla formazione di immensi spazi vuoti nel manto forestale; questo contribuì (anche se indirettamente) alla conservazione della foresta primaria e al recupero di molte aree secondarie: l'abbattimento degli alberi di pau-brasil e le coltivazioni di canna da zucchero e frumento, nonostante avessero creato sconvolgimenti ambientali a livello locale, non provocarono distruzioni su vasta scala, e la Foresta Atlantica rimase per lo più intatta fino al XIX secolo[23]. Tuttavia, all'epoca non esisteva una «coscienza ecologica», o qualsiasi altro tipo di preoccupazione legato all'utilizzo della terra, e con il tempo si andò creando una netta divisione tra la civiltà e il «mondo naturale», che iniziò ad essere addirittura disprezzato dai «bianchi»[23]. Contrariamente a quanto era accaduto nelle loro colonie in Asia, i portoghesi non mostrarono un particolare interesse per il biota americano, fatta eccezione per alcuni gesuiti: la situazione iniziò a cambiare a partire dal XIX secolo, con l'arrivo del re Giovanni VI in Brasile nel 1808, il quale consentì, addirittura, l'ingresso nel paese di scienziati che non fossero portoghesi[23]. Tuttavia, i tentativi incentivati dalla Corona portoghese per conoscere meglio la Foresta Atlantica erano legati più da motivi economici che dalla semplice «curiosità»: l'obiettivo era quello di conoscere la regione in modo che fosse possibile l'introduzione di specie esotiche tropicali provenienti dall'Africa e dall'Asia[23].

A partire dal XVIII secolo, la distruzione della foresta nel Sud-est subì un'accelerazione, correlata principalmente alla corsa all'oro e all'allevamento del bestiame, che portò anche all'introduzione nella zona di foraggi esotici; nel corso del secolo, andarono distrutti almeno 30.000 km² di Foresta Atlantica[23][31]. A Ouro Preto, per esempio, le pratiche correlate all'estrazione dell'oro, assieme alla deforestazione, provocarono l'erosione del territorio e la comparsa di numerosi calanchi[32].

Paradossalmente, il prelievo di legname tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo per la costruzione delle navi suscitò un interesse per la conservazione delle foreste: nel capitanato di San Paolo furono istituite riserve lungo la costa e tutta una legislazione per regolamentare lo sfruttamento di quella che allora veniva chiamata «foresta vergine»[23]. Rodrigo de Sousa Coutinho delineò dei piani su come sfruttare la foresta in maniera più sostenibile, anche se questo creò un po' di malcontento tra i taglialegna, poiché la regolamentazione sembrava andare contro i loro interessi economici e a favore delle élites locali[23]. Tuttavia, scopo di questo «conservazionismo» era solamente quello di migliorare il potere militare della Corona[23].

 
Valle della Serra do Mar in un disegno di Rugendas del 1835 circa.
 
Rodrigo de Sousa Coutinho teorizzò uno sfruttamento più razionale del legname della Foresta Atlantica alla fine del XVIII secolo.

Il Brasile indipendente modifica

Con l'indipendenza del Brasile, furono pochi i cambiamenti messi in atto per un uso più razionale del territorio: anzi, le élites locali, finalmente libere dagli interventi di una Corona ormai distante, si trovarono in una situazione più favorevole per sfruttare appieno le risorse e incrementare le ricchezze personali. Sorsero quindi numerose proprietà di dimensioni gigantesche, che finirono col riflettere un utilizzo del tutto irrazionale delle risorse: la terra veniva trattata alla stregua di una risorsa usa e getta, essendo più vantaggioso portare all'esaurimento una determinata area per poi spingersi per sfruttare le zone limitrofe che venivano disboscate piuttosto che lavorarla correttamente[23]. Tale modello di produzione rifletteva la mentalità schiavista dell'epoca: lo sfruttamento della terra fino all'esaurimento era valido quanto lo sfruttamento degli esseri umani come schiavi. Costituiva anche una versione su ampia scala di agricoltura itinerante, che si basava sull'incendio e il dissodamento dei terreni forestali seguito dallo spostamento verso altre zone una volta che la terra non era più produttiva. Anche dopo il 1850, quando ci fu un tentativo di regolarizzare le proprietà e quindi il loro uso, la deforestazione continuò: in effetti, l'impotenza e la connivenza nell'amministrazione delle terre pubbliche un tempo di proprietà della Corona erano presenti anche nell'Impero del Brasile, e gli stessi problemi di accaparramento delle proprietà terriere e di sfruttamento sfrenato continuarono come prima[23].

Fu con il cosiddetto «ciclo del caffè» (1850-1930) che la Foresta Atlantica iniziò a subire le maggiori devastazioni: fino ad allora, anche se in forma di sfruttamento, la coltivazione di canna da zucchero e la corsa all'oro, nonché la ricerca di «curiosità» della foresta, non erano state pratiche così distruttive, in quanto erano spesso limitate alle aree di foresta secondaria e ai campi degradati[23][33]. Tuttavia, le sempre più estese piantagioni di caffè sembravano richiedere suoli forestali primari, e a tal motivo vennero disboscate intere aree degli stati di Rio de Janeiro, Minas Gerais, Espírito Santo e San Paolo[23]. Nello stato di San Paolo, è estremamente notevole la correlazione tra l'avanzata delle piantagioni di caffè e la distruzione della foresta: fino al 1886 andarono distrutti 28.000 km² di foreste a tale scopo, ad un tasso di 720 km² ogni anno[33]. Bisogna ricordare, comunque, la mentalità dell'epoca non si rifletteva solamente con l'utilizzo usa e getta del suolo, ma anche con un certo disprezzo per il «mondo naturale», considerado, inoltre, fonte di molti mali. Nonostante questo, alcuni uomini di stato, come José Bonifácio de Andrada e Silva, esprimevano comunque preoccupazione riguardo alla distruzione delle foreste[33].

Durante il XIX secolo la tecnologia iniziò a giocare un ruolo preponderante nell'avanzata verso le terre «sconosciute» dell'interno. La coltivazione del caffè e di altri prodotti agricoli venne ostacolata dall'impenetrabilità delle regioni interne, ma l'arrivo delle ferrovie nel paese permise l'esplorazione di nuove aree, precedentemente inaccessibili[23]. Ebbe inizio allora un processo di sviluppo accelerato che raggiungerà l'apice nel secolo successivo. Nonostante questo, presso la popolazione ebbe inizio anche un cambio di mentalità, con l'abbandono dello sfruttamento della terra e lo spreco delle risorse naturali. Tuttavia, questo cambiamento era ancora molto incipiente, in quanto il «progresso», con la Proclamazione della Repubblica, veniva percepito come qualcosa di totalmente contrario al mantenimento delle foreste naturali[23].

Il XX secolo modifica

 
Riserva del Pontal do Paranapanema, nell'estremità occidentale dello stato di San Paolo. In giallo, il parco statale Morro do Diabo, un'unica area protetta pienamente consolidata ed efficacemente preservata.

È stato nel XX secolo che la Foresta Atlantica ha sperimentato i più alti tassi di deforestazione. Gran parte di essa andò completamente distrutta nel giro di pochi anni. La regione del Pontal do Paranapanema, nello stato di San Paolo, è un buon esempio di quanto sia stata brutale la distruzione della foresta, specialmente attorno alla metà del secolo: negli anni '40 vennero istituite la Grande riserva del Pontal do Paranapanema, la riserva statale Morro do Diabo e la riserva Lagoa São Paulo, per un totale di oltre 300.000 ettari: in meno di 20 anni, la superficie di queste riserve si era ridotta ai circa 37.000 ettari del parco statale Morro do Diabo e a piccoli frammenti nei suoi pressi[33][34]. De fato, o Pontal do Paranapanema foi o último "Sertão Paulista", ainda apresentando grandes porções de floresta até o início da década de 1960. Ademais, o estado de São Paulo, por conta do ciclo do café no século XIX, conservava 59% da cobertura original até 1907, mas em menos de 70 anos, isso foi reduzido a menos de 9% (cerca de 20.699 km²).[33]

Também, no Sul da Bahia, em 45 anos, uma cobertura vegetal de quase 215 mil km² foi reduzida a pouco mais de 0,4% em 1990.[35][36] O estado do Paraná conservava cerca de 80% de suas florestas no início do século, e graças à exploração da araucária (principalmente a partir da Primeira Guerra Mundial) e expansão agrícola, até a década de 1960, haviam sido desmatados 119.688 km² a uma taxa de 2400 km² por ano: no estado restam, hoje, apenas o Parque Nacional do Iguaçu no extremo oeste e a cobertura vegetal na Serra do Mar.[37]

As causas para tamanho desmatamento são relacionadas à crescente urbanização e industrialização do país, ao aumento da população em si, (aumentando o consumo dos recursos florestais), tal como os interesses políticos e econômicos na expansão de fronteiras agrícolas e de ferrovias.[23] Trata-se de uma "continuação" do que já ocorrera nos séculos anteriores. O que há de diferente nesse momento, é o surgimento de uma mentalidade propriamente conservacionista, principalmente por parte da comunidade científica, embora, o "brasileiro médio" ignorasse tal mudança e até mesmo visse com o mesmo desprezo de épocas passadas a floresta tropical. Até a década de 1980, habitantes do entorno do Parque Estadual Morro do Diabo, viam-no como uma "imensa área de floresta inútil".[34] Foi no início dos anos 1900, que Alberto Loefgren iniciou campanhas conservacionistas das florestas do estado de São Paulo, com ideias que embasaram o Código Florestal de 1934.[23] Com essa mudança, ainda que pequena, na mentalidade, foram criadas inúmeras unidades de conservação do país, como o Parque Nacional do Iguaçu.

[[Imagem:Paraguay gls 1990-2000 lrg.jpg|thumb|250px|esquerda|Desmatamento no Paraguai na década de 1990. Em azul, áreas do bioma da Mata Atlântica. Azul claro:remanescente em 1990; Azul escuro:remanescente no ano 2000.]]

Entretanto, os esquemas de grilagem de terras, principalmente no oeste paulista, oeste e norte do Paraná e norte do Espírito Santo, além de favorecerem o desmatamento em si, dificultaram a implementação de unidades de conservação que poderiam conter o desmatamento nessas regiões que ainda possuíam grandes extensões de florestas no início do século.[23][33][34] Tal forma de ocupação da terra, tinha também consequências sociais graves: no Pontal do Paranapanema, além dos 5,3% de vegetação original restantes atualmente, observa-se que 40% das terras compõe-se de terras devolutas e griladas, passíveis de reforma agrária.[38][39]

Depois da metade do século, um dos empreendimentos que mais contribuíram para a destruição dos remanescentes de floresta, vinculado ao pensamento de desenvolvimento econômico e a ditadura militar, foram as construções de hidrelétricas, principalmente aquelas na bacia do rio Paraná.[23] Tais empreendimentos, além de aumentar o corte de árvores no entorno, alagar matas e alterar o ecossistema pluvial em si, inundou unidades de conservação já consolidadas, como o Parque Estadual Morro do Diabo (UHE de Rosana) e a Reserva Estadual Lagoa São Paulo (UHE de Porto Primavera) e ecossistemas riquíssimos, como as várzeas, levando, por exemplo, uma espécie de mamífero, o cervo-do-pantanal, à beira da extinção na região da Mata Atlântica.[23][40]

[[Imagem:Mata Atlântica - Olinda, PE.JPG|thumb|Fragmento de Mata Atlântica em Olinda, na Região Metropolitana do Recife]]

Foi também no século XX, que as áreas de Mata Atlântica fora do território brasileiro foram rapidamente desmatadas: no Paraguai, entre 1945 e 1997, houve uma redução da cobertura vegetal em cerca de 75%, sendo que só entre 1987 e 2001, foram desmatados 15.400 km² (uma perda de 35,2% do remanescente de 1987).[41][42][43] A província de Misiones, na Argentina, foi em grande parte conservada, devido a sua relativa inacessibilidade dentro da nação argentina, embora houvesse planos do governo argentino, desde o século XIX, de se ocupar a região com uma população de origem européia.[44] De fato, essa província argentina constitui-se um dos maiores trechos de Mata Atlântica do Interior, conservando aproximadamente 50% da cobertura original.[3]

Após 500 anos de colonização européia, a Mata Atlântica passou por mudanças drásticas que a reduziram a menos de 10% de sua cobertura original: seus remanescentes estão basicamente restritos à província de Misiones, na Argentina, e às escarpas da Serra do Mar.[3][45] A história do desmatamento da Mata Atlântica reflete a história da América Latina, especialmente do Brasil, e essa mesma história dramática pode se repetir novamente, na outra grande floresta sul-americana: a Floresta Amazônica.

Caracterização modifica

As áreas de domínio (área cuja vegetação clímax era esta formação vegetal) abrangia total ou parcialmente dezessete estados no Brasil, abrangendo regiões no sudeste do Paraguai e a província de Misiones, na Argentina.[3]

A área original no Brasil era 1.315.460 km², 15% do território; sendo que contando as coberturas vegetais da Argentina e Paraguai, totaliza 1.713.535 km².[3][45] Atualmente o remanescente é 102.012 km², 7,91% da área original.[45]

Biodiversidade modifica

Template:Artigo principal thumb|esquerda|Paisagem da Mata Atlântica.

A biodiversidade da Mata Atlântica é semelhante à biodiversidade da Amazônia. Há subdivisões do bioma da Mata Atlântica em diversos ecossistemas devido a variações de latitude e altitude. Há ainda formações pioneiras, seja por condições climáticas, seja por recuperação, zonas de campos de altitude e enclaves de tensão por contato. A interface com estas áreas cria condições particulares de fauna e flora.

A fauna de vertebrados endêmica é formada principalmente por anfíbios (grande variedade de anuros), mamíferos e aves.

Da flora, 55% das espécies arbóreas e 40% das não-arbóreas são endêmicas. Das bromélias, 70% são endêmicas dessa formação vegetal, palmeiras, 64%. Estima-se que 8 mil espécies vegetais sejam endêmicas da Mata Atlântica.Template:Carece de fontes

Observa-se também que 39% dos mamíferos dessa floresta são endêmicos, inclusive 15% dos primatas brasileiros, como o mico-leão-dourado. Cento e sessenta espécies de aves e 183 de anfíbios são endêmicas da Mata Atlântica.Template:Carece de fontes

Hidrografia modifica

[[Imagem:Curitiba waterfall.jpg|thumb|direita|Queda-d'água em Curitiba.]]

De acordo com o Conselho Nacional de Recursos Hídricos, a área de domínio da Mata Atlântica compreende oito bacias hidrográficas[46]:

É também no domínio da Mata Atlântica, que se localiza um dos maiores aqüíferos do mundo: o Aqüífero Guarani.

Fauna modifica

[[Imagem:Domingo de volta a floresta (+ fotos do tucano de bico preto).jpg|thumb|esquerda|Tucano-de-bico-preto é uma ave típica das florestas da Mata Atlântica.]] [[Imagem:Brachyteles hypoxanthus2.jpg|thumb|Muriqui-do-norte, uma espécie de primata endêmica da Mata Atlântica.]]

Existe uma relativa precariedade referente à realização de levantamentos de fauna da Mata Atlântica, o que torna sua descrição mais difícil que a da vegetação, mas ela pode ser dividida em dois grandes grupos de animais[47]:

  • Generalistas: pouco exigentes, com altas taxas de reprodução e grande variabilidade de dieta e hábitos alimentares, o que permite que habitem trechos de mata secundária. Ex.: macaco-prego, sabiá-laranjeira.
  • Especialistas: dieta e hábitats muito restritos. São sensíveis à perturbações no meio, e por isso tendem a ser encontradas em trechos de floresta primária. Ex.:jacutinga, muriqui.

A história evolutiva da Mata Atlântica é marcada por momentos de relativo isolamento e outros por contato com outras florestas sul-americanas, como a Amazônia.[48] Como conseqüência, existem elementos "antigos", que habitam a região desde 3 milhões de anos atrás, até outros que vieram de outros biomas há cerca de 10 mil anos.[48] É evidenciado, com as quatro espécies de micos-leões(gênero Leontopithecus), que dentro do próprio bioma houve diferenciação biológica: o mico-leão-de-cara-dourada é típico das florestas do sul da Bahia e norte do Espírito Santo, o mico-leão-dourado do Rio de Janeiro, o mico-leão-preto da floresta semidecidual do interior do estado de São Paulo e o mico-leão-de-cara-preta é da costa do Paraná.[48] O surgimento de espécies com esse padrão de distribuição restrita derivam da formação de rios e mudanças paleoecológicas globais e regionais causadas por movimentos de placas tectônicas.[48] Outros grupos, como o gênero Sapajus (o popular macaco-prego), devem ter evoluído primeiramente na Mata Atlântica e depois ido para outros biomas como o Cerrado e Floresta Amazônica.[49][50]

Visto os fatores citados anteriormente, a fauna da Mata Atlântica é extremamente diversa: no caso dos vertebrados, são 261 espécies mamíferos, 1020 espécies de aves, 197 de répteis, 340 de anfíbios e 350 de peixes que são conhecidos até hoje no bioma.

Ainda existe muito a ser descoberto referente a fauna, tanto que, recentemente, foram catalogadas a rã-de-alcatráses e a rã-cachoeira, os pássaros tapaculo-ferrerinho e bicudinho-do-brejo, os peixes Listrura boticario e o Moenkhausia bonita, e até um novo primata, o mico-leão-de-cara-preta,[51][52] e uma nova espécie de porco-espinho em Pernambuco, o Coendou speratus, descoberto em 2013.[53]

Flora modifica

Template:Artigo principal

A Mata Atlântica é uma das florestas mais ricas em biodiversidade de plantas no Planeta, sendo constatada mais de 450 espécies no Sul da Bahia, perto de Una.[54] Entretanto, tal diversidade e grau de endemismo varia, já que ela não se constitui em uma formação vegetal homogênea, com variações na riqueza de espécies devido a fatores como latitude, altitude, precipitação e solo.[55] Alguns grupos de plantas como a tribo Olyreae (Poaceae), possuem uma grande porcentagem de espécies no bioma da Mata Atlântica.[56]

Subdivisões modifica

Vegetação: fitofisionomias modifica

[[Imagem:Boraceia densa.JPG|thumb|200px|direita|Floresta ombrófila densa montana na Estação Biológica de Boracéia.]] Fitofisionomias do bioma da Mata Atlântica (sensu lato), definidas pelo CONAMA (Conselho Nacional do Meio Ambiente) em 1992[57][58][59][60]:

Tal variedade de fitofisionomias se explica pois, em toda sua extensão, a Mata Atlântica é composta por uma série de ecossistemas cujos processos ecológicos se interligam, acompanhando as características climáticas das regiões onde ocorrem e tendo como elemento comum a exposição aos ventos úmidos que sopram do oceano. A distância a corpos d'água também tem fator preponderante, tal como a probabilidade da vegetação ser inundada em determinadas épocas do ano ou permanentemente (como por exemplo, se observa em ecossistemas de várzeas, outrora abundantes na bacia do rio Paraná). O solo também tem papel importante, seja na disponibilidade de nutrientes, seja na sua capacidade de reter água. Esses fatores possibilitam, inclusive, a subdivisão e surgimento de ecossistemas típicos dentro desses grandes grupos de fitofisionomias.

Floresta ombrófila densa modifica

[[Imagem:Serra do mar paraná.jpg|thumb|250px|direita|Floresta ombrófila densa na Serra do Mar, Paraná.]]

É a formação vegetal que ocorre no litoral, nas escarpas da cordilheira atlântica ou em áreas próximas ao oceano, sob influência das massas de ar úmida, o que confere alta pluviosidade durante o ano todo.[59][60][61] É a formação vegetal que possui maior grau de endemismo de espécies vegetais, como evidenciado em estudos nos Sul da Bahia e norte do Espírito Santo.[54] É interessante salientar, que no litoral de São Paulo, não se constatou um elevado grau de riqueza nas espécies de plantas, apesar de se constituir em um centro de endemismo: os autores sugerem que a importância dessa floresta se relaciona mais ao número de espécies únicas e não a um número elevado de espécies.[55] Nas regiões sudeste e sul, essa formação possui variação decorrentes da altitude, constituindo formações de terras baixas (até 50m), submontana (entre 50 e 500m), montana (500 e 1000m) e altamontana (entre 1000 e 1200m).[62][63] Na encosta (que faz parte das "terras baixas"), as árvores tendem a ser mais robustas e altas, ao passo que com o aumento da altitude, elas tendem a ficar mais delgadas e baixas, e isso também ocorre quanto mais próximo do oceano.[64] As árvores da encosta, graças à abundância de matéria orgânica, podem chegar a ter mais de 40m de altura.[63] No nordeste, a formação predominante é a de terras baixas.[62]

[[Imagem:Brejo de altitude em sobral ceara.jpg|thumb|250px|esquerda|Floresta Ombrófila Aberta (Brejos de Altitude) em Sobral, Ceará.]]

Floresta ombrófila aberta modifica

Template:Artigo principal

Sendo considerada uma vegetação de transição com a Floresta Amazônica, ela está basicamente restrita à região Nordeste.[57][59] Pode ser incluída nessa fitofisionomia, a Mata dos Cocais no Maranhão, ocorrendo também ponto isolados das "florestas de babaçu" no Espírito Santo e Pernambuco.[57] É considerada em algumas localidades, como uma formação de floresta secundária. Tal vegetação é encontrada nos brejos de altitude, no Sertão Nordestino, em altitudes superiores a 600m, onde a precipitação é maior que 850mm anuais.[61][65] O Planalto da Borborema é um dos ambientes mais característicos desse tipo de vegetação, que possui espécies que ocorrem amplamente pela América do Sul.[66] Os brejos de altitude constituem um tipo de floresta ombrófila submontana.[57][61][65][66]

Floresta ombrófila mista modifica

[[Imagem:Araucaria Parna aparados da serra.jpg|thumb|250px|esquerda|Floresta ombrófila mista no Parque Nacional de Aparados da Serra.]] Template:Artigo principal

Tendo sua maior parte de ocorrência no planalto meridional, nos estados do Paraná, Santa Catarina e Rio Grande do Sul, ela eventualmente pode ocorrer no estado de São Paulo e nas escarpas da Serra do Mar e da Serra da Mantiqueira.[58][59][61][67] As espécies que caracterizam essa formação pertencem, principalmente, aos gêneros Araucaria e Drymis (Australasiáticos) Podocarpus(Afro-asiático), sugerindo uma ocupação recente, a partir dos refúgios alto-montanos.[57][58] A Araucaria angustifolia apresenta um caráter dominante na estrutura dessa formação vegetal, constituindo o dossel da floresta, com inúmeros indivíduos emergentes, podendo representar até 40% das espécies encontradas em determinada área.[68][69] Estudos feitos em Nova Prata, apontam que existe um padrão de distribuição típico, em que as maiores populações de plantas formam "agregados", o que acaba conferindo uma relativa homogeneidade da floresta, comum em formações vegetais de Gimnospermas.[68] Devido ao alto grau de desmatamento que sofreu essa fitofisionomia, é difícil encontrar áreas em que se apresentam grandes aglomerações da Araucaria, visto que elas são geralmente encontradas na floresta madura ou em graus avançados de regeneração.[67]

Floresta estacional semidecidual modifica

[[Imagem:Morro do diabo vista sul.jpg|thumb|250px|direita|Floresta Estacional Semidecidual no Parque Estadual Morro do Diabo.]]

É uma formação caracterizada por ocorrer em regiões em que existe uma sazonalidade no regime de chuvas, o que acaba conferindo a perda de 20% a 50% das folhas na estação mais seca.[58] É a formação que ocorre em grande parte do interior do Brasil, ocupando principalmente a bacia do rio Paraná, se estendendo até o leste do Paraguai e a província argentina de Misiones.[3][59] Por ter uma área de ocorrência muito ampla, ela também fica sujeita a inúmeras variações, principalmente com relação a altitude: no estado de São Paulo, observou-se que as florestas que ocorrem em locais mais altos tendem a ser mais homogêneas que as que ocorrem em locais mais baixos do oeste e centro do estado.[70] Dados referentes a unidades de conservação dessa fitofisionomia, mostram que apesar de seu alto grau de alteração pelo homem, no interior do Brasil, ela ainda apresenta uma diversidade considerável de árvores.[34][71] [[Imagem:Floresta decidual de santa maria rs.jpg|thumb|200px|esquerda|Floresta Estacional Decidual em Santa Maria, no Rio Grande do Sul.]]

Floresta estacional decidual modifica

Caracteriza-se pela perda de mais de 50% das folhas na estação seca.[57][58] Isso se evidencia pelo o aumento de serrapilheira nessa estação.[72] Essa fitofisionomia possui encraves no Rio Grande do Sul, interior da Bahia, Minas Gerais, Goiás e Tocantins.[57][58][59] Apesar do clima subtropical úmido no Rio Grande do Sul, essa vegetação aparece, provavelmente por conta de uma estação em que as temperaturas ficam muito baixas.[58] Essa floresta aparece em solos ricos em calcário.[73] Em Goiás, foi constada 36 espécies de árvores em um mesmo local.[73]

Manguezais modifica

[[Imagem:Manguezal penambuco 2.jpg|thumb|250px|direita|Manguezal no litoral de Pernambuco.]]

Considerada como vegetação pioneira, visto ocorrerem em solos instáveis do litoral, rejuvenescidos pela constante deposição de areias marinhas e fluviais. Devido à influência marinha, a salinidade tem grande efeito nos manguezais, fazendo com que as espécies se adaptem a essa condição ambiental restritiva, como no caso de Rhizophora mangle.[58][59] Manguezais também não são formações homogêneas, com suas fisionomias variando ao longo da costa.[74] O tipo de solo, precipitação e insolação ao longo do ano podem definir tipos de manguezais específicos de cada parte do litoral: Rhizophora mangle tende a ser mais abundante nos manguezais de Pernambuco do que aqueles encontrados na baía de Paranaguá, no Paraná.[74] Sua grande produção biológica torna os manguezais particularmente importantes do ponto de vista econômico para comunidades caiçaras, visto serem ambientes em que muitas espécies de peixes e crustáceos se reproduzem.[75]

Restingas modifica

[[Imagem:Parque Nacional da Restinga de Jurubatiba 08.jpg|thumb|right|Restinga no Parque Nacional da Restinga de Jurubatiba.]]

  Lo stesso argomento in dettaglio: Restinga e Restingas da Costa Atlântica.

Trata-se de um tipo de vegetação que recebe influência direta das águas marinhas, e com gênero de plantas típicas das praias: a influência direta das marés, a salinidade do solo, a estabilidade da areia e o microclima definem as fisionomias vegetais que compõe a restinga.[57][58][76] É uma vegetação que se segue imediatamente à zona praiana, estendendo-se pelo litoral de São Paulo, Rio de Janeiro, Espírito Santo, Alagoas, Sergipe e Bahia. Em estudos realizados em Pernambuco, ela foi dividida em 2 tipos: a floresta de restinga, e os campos de restinga, ou restinga propriamente dita.[77] As árvores das matas de restinga possuem copa larga e irregular, não muito elevadas, e a restinga propriamente dita é formada por uma vegetação arbustiva, de densidade variável.[76] A vegetação dos campos é muito pobre em espécies, com a dominância ecológica de algumas delas altamente adaptadas: fato que se deve às condições extremas de salinidade e instabilidade da areia.[76] A mata de restinga surge com a distância crescente do mar, já que a severidade ambiental diminui, conferindo, por exemplo, maior proteção ao solo e ao sub-bosque contra os ventos alíseos, e há uma maior deposição de matéria orgânica e retenção de água no solo.[76]

Campos de altitude modifica

[[Imagem:Pico da bandeira.jpg|thumb|250px|esquerda|Campo de altitude no Pico da Bandeira, no Espírito Santo.]]

  Lo stesso argomento in dettaglio: Campos de altitude e Campos rupestres.

É uma vegetação típica de ambientes montano e alto-montano encontrada principalmente nas regiões serranas do sudeste: ocorrem em cadeias elevadas da Serra do Espinhaço, Serra da Mantiqueira e da Serra do Mar.[78][79] As variações de altitude definem tipos de campos de altitude específicos: o montano corresponde às faixas de altitude entre 600 a 2.000m nas latitudes entre 5º N e 16º S; de 500 a 1.500m nas latitudes entre 16º S e 24º S; e de 400 a 1.000m nas latitudes acima de 24º S. O altomontano ocorre nas altitudes acima dos limites máximos considerados para o ambiente montano.[79] Trata-se de uma fitofisionomia da Mata Atlântica ainda muito pouco conhecida do ponto de vista da biodiversidade, mas levantamentos florísticos em Minas Gerais mostraram uma alta diversidade de plantas vasculares.[80] Tipo de solo, tal como a inclinação do relevo, determinam as espécies predominantes, como mostrado em estudos fitossociológicos em campos rupestres de Minas Gerais: Vellozia compacta é predominante em platôs ferruginosos, ao passo que Echinolaena inflexa predomina em platôs sobre quartzito.[81] De fato, a vegetação varia desde áreas abertas cobertas por gramíneas, até áreas mais densas com vegetação arbustiva, possuindo ou não afloramentos rochosos.[78] Template:Limpar

Ecorregiões modifica

Visto a enorme diversidade de ambientes da Mata Atlântica e de muitas vezes serem necessárias ações mais regionalizadas, o WWF dividiu o bioma em 15 ecorregiões[3]:

Conservação modifica

No Brasil modifica

Remanescentes da Mata Atlântica no Brasil em 2016[30]
Estado Remanescente % remanescente
Alagoas 161 365 ettari (1 613,7 km²) 10,6%
Bahia 2 525 715 ettari (25 257,2 km²) 14%
Ceará 190 865 ettari (1 908,7 km²) 22%
Espírito Santo 581 580 ettari (5 815,8 km²) 12,6%
Goiás 33 518 ettari (335,2 km²) 2,8%
Mato Grosso do Sul 968 998 ettari (9 690,0 km²) 15,2%
Minas Gerais 3 205 455 ettari (32 054,5 km²) 11,6%
Paraíba 70 499 ettari (705,0 km²) 11,8%
Paraná 2 526 900 ettari (25 269,0 km²) 12,9%
Pernambuco 212 293 ettari (2 122,9 km²) 12,6%
Piauí 938 738 ettari (9 387,4 km²) 35,3%
Rio de Janeiro 915 741 ettari (9 157,4 km²) 20,9%
Rio Grande do Norte 82 345 ettari (823,5 km²) 23,5%
Rio Grande do Sul 1 883 813 ettari (18 838,1 km²) 13,6%
Santa Catarina 2 831 286 ettari (28 312,9 km²) 29,6%
São Paulo 2 776 513 ettari (27 765,1 km²) 16,3%
Sergipe 114 908 ettari (1 149,1 km²) 11,3%

[[Imagem:REBIO Perobas 2.jpg|thumb|esquerda|275px|O desmatamento isolou muitos trechos de floresta em ilhas, como é o caso da Reserva Biológica das Perobas.]]

Na região da Mata Atlântica é onde residem cerca de 70% da população brasileira, o que é refletido no alto grau de desmatamento que sofreu o bioma.[82] Embora tenha sido observado aumento no desmatamento na Mata Atlântica entre 2015 e 2016 (29 075 ettari (290,8 km²) foram desmatados, o que representa um aumento de 57,5% com os anos de 2014 e 2015), o desmatamento diminuiu desde 1985 (entre 1985 e 1990, 107 296 ettari (1 073,0 km²) foram desmatados por ano).[30] A Bahia foi o estado com maior taxa de desmatamento entre 2015 e 2016, havendo perda de até 12 288 ettari (122,9 km²), o que representa um aumento de 207% com relação a 2014 e 2015.[30] Entretanto, foi o estado de São Paulo que apresentou o maior aumento no desmatamento (foram desmatados 698 ettari (7,0 km²) entre 2015 e 2016, o que representa um aumento de 1462%).[30] Pernambuco teve diminuição de até 88% no desmatamento, perdendo apenas 16 ettari (0,2 km²) de floresta entre 2015 e 2016.[30]

Atualmente existem cerca de 15,3% de áreas naturais, incluindo formações florestais, mangues e áreas não florestais (savanas), cerca de 20 020 532 ettari (200 205,3 km²).[30][83][84] A maior parte dos remanescentes de mata constituem-se de pequenos fragmentos (cerca de 83% com menos de 50ha), isolados entre si.[83] Existem apenas duas regiões onde os remanescentes são contínuos, somando quase 10.000 km² de floresta cada uma: a Serra do Mar e de Paranapiacaba, nos estados de São Paulo e Paraná, no Brasil; e a província argentina de Misiones que é contínua com Parque Nacional do Iguaçu e o Parque Estadual do Turvo, no Brasil.[84]

Não obstante, o grau de conservação de ecorregiões desse bioma varia, com ecorregiões que possuem até mais de 20 % da cobertura original (como a ecorregião da Serra do Mar) até outras que conservam apenas 3 % da cobertura original (como as Florestas do Interior, encontradas no interior de São Paulo, oeste do Paraná e Minas Gerais).[83][84]

Esse bioma possui 75,6% das espécies ameaçadas e endêmicas do Brasil, o que o torna um dos mais prioritários para conservação no país.[85]

Existem pelo menos 510 espécies em extinção, algumas em âmbito global, outras em âmbito nacional, e outras estão ameaçadas apenas no bioma: inúmeras espécies endêmicas como o pau-brasil e o mico-leão-preto acabam se tornando ameaçadas em todos os níveis desde o regional até o global.[86] Extinções locais certamente ocorrerão nos próximos anos, visto a enorme fragmentação em algumas regiões como observado nas Florestas Costeiras de Pernambuco e na Floresta Atlântica do Alto Paraná: não necessariamente pela conversão dos fragmentos em campos cultivados, mas pelo isolamento deles e por atividades como caça, queimadas e extração de produtos florestais.[82][86]

Na conservação da fauna, o uso de "espécies bandeira" tem sido útil tanto na preservação de algumas espécies em específico, como o caso do mico-leão-dourado e do muriqui, quanto na conservação do bioma e conscientização da população.[87] Esforços para preservar uma determinada espécie "carismática" como a onça-pintada, acaba por culminar na preservação de grandes áreas de floresta.

[[Imagem:Serra do Mar Corredor.jpg|thumb|esquerda|250px|Imagem de satélite em que se observa o Corredor da Serra do Mar (linha amarela). É o maior trecho de Mata Atlântica no Brasil.]]

Corredores ecológicos modifica

As estratégias na conservação da biodiversidade e dos processos ecológicos na Mata Atlântica consistem na criação de corredores unindo os principais fragmentos, possibilitando o fluxo gênico e evitando o isolamento das populações da fauna e flora. Na Mata Atlântica brasileira foram identificados duas áreas estratégicas na criação de corredores: o Corredor da Serra do Mar e o Corredor Central (unindo as florestas do sul da Bahia e norte do Espírito Santo).[84][88][89] Na Mata Atlântica argentina e paraguaia a estratégia é trinacional (em conjunto com o Brasil), formando um corredor com unidades de conservação da Argentina, Paraguai e Brasil (interior de São Paulo, Paraná e Mato Grosso do Sul) na ecorregião do Alto Paraná.[3]

[[Imagem:Corredor Central Sul da Bahia - Espírito Santo.jpg|thumb|direita|200px|Imagem de satélite em que se observa o Corredor Central (linha amarela), compreendendo os remanescentes de floresta do sul da Bahia e do Espírito Santo.]]

Corredor da Serra do Mar modifica

Trata-se de um ecorregião com os maiores trechos contínuos de Mata Atlântica, além de já possuir uma série de unidades de conservação bem consolidadas, sendo portanto, o corredor mais fácil de ser implementado.[63] É uma região com enorme grau de endemismo, notadamente nos remanescentes de florestas costeiras no Rio de Janeiro.[90] Nos estados de São Paulo e Rio de Janeiro localizam-se importantes unidades de conservação, que possuem em média 350 km², como o Parque Nacional da Serra da Bocaina e o Parque Nacional da Serra dos Órgãos.[90] A presença de enormes trechos de floresta neste corredor deve-se ao relevo muito acidentado, que dificultou a ocupação e o uso da terra para a agropecuária intensiva, entretanto, as terras baixas litorâneas, principalmente regiões de manguezais e restingas sofrem com a crescente urbanização e industrialização.[90] Não obstante, a caça e pesca predatórias são ameaças diretas à conservação da fauna.

Corredor Central modifica

A região do Corredor Central compreende cerca de 86.000 km² incluindo o sul da Bahia e todo o Espírito Santo.[88][89][90] É o maior centro de endemismo na Mata Atlântica, com grande riqueza de espécies de plantas, como registrado em Una e na região central do Espírito Santo.[90] São conhecidas 12 espécies de primatas, representando 60% das espécies endêmicas da Mata Atlântica: o carismático mico-leão-de-cara-dourada é endêmico das matas do sul da Bahia. Trata-se de região com os principais trechos de "mata de tabuleiro" (uma variação da floresta ombrófila densa), caracterizada por uma enorme quantidade de lianas.[89] No sul da Bahia, especificamente, o cultivo do cacau no sistema de cabruca foi menos danoso à preservação da biodiversidade, visto não exigir desmatamento total da floresta.[90] Entretanto, foi uma das regiões que mais sofreu com o desmatamento nos últimos anos, principalmente devido à crise do cacau e à indústria de papel. Visto o alto grau de ameaça aos remanescentes e sua enorme biodiversidade, são exigidas ações de preservação urgentes para o Corredor Central.[88][89] Apesar de grande parte da vegetação nativa já ter sido desmatada, existem 83 unidades de conservação, contemplando cerca de 270.000 hectares, sendo no sul do Bahia onde se encontra um importante mosaico de unidades de conservação, totalizando 500 quilômetros quadrados de florestas: Parque Nacional do Monte Pascoal, Parque Nacional do Descobrimento, Parque Nacional do Pau-Brasil.[89] No Espírito Santo, a Reserva Biológica de Sooretama e a Reserva Natural Vale, em Linhares, somam 440 quilômetros quadrados de florestas.[89] Deve-se salientar que a falta de recursos para implementar os planos de manejo, a insuficiência de pessoal técnico para administrar e proteger as unidades de conservação e impedir a extração ilegal de madeira, caça predatória e queimadas intencionais dificultam a implementação do corredor e preservação dos remanescentes de floresta.[90]

Lei da Mata Atlântica modifica

A Template:Citar web é uma norma da legislação brasileira que estabeleceu regras sobre a proteção e utilização desse bioma. Ela permite supressão de vegetação em alguns casos. Trata do regime jurídico, dos vários estágios de conservação e evolução dos remanescentes, da abordagem em áreas urbanas e regiões metropolitanas, dos incentivos econômicos e creditícios. O primeiro caso deles é chamado de utilidade pública, que se refere às atividades de segurança nacional e proteção sanitária, obras essenciais de infraestrutura de interesse nacional destinadas aos serviços públicos de transporte, saneamento e energia. Quando necessária ao pequeno produtor rural e populações tradicionais para o exercício de atividades ou usos agrícolas, pecuários ou silviculturais imprescindíveis à sua subsistência e de sua família, até o limite máximo de 2 hectares, ressalvadas as áreas de preservação permanente. Espécies arbóreas pioneiras nativas cuja presença, no fragmento florestal, for superior a 60% em relação às demais espécies. Estabelece ainda o Fundo de Restauração do Bioma Mata Atlântica, ao qual podem ter acesso municípios que tenham elaborado os Template:Citar web.[91] [[Imagem:Serra da bocaina.jpg|thumb|direita|250px|O Parque Nacional da Serra da Bocaina é uma das maiores unidades de conservação da Mata Atlântica no Brasil.]]

Planos Municipais de Conservação e Recuperação da Mata Atlântica modifica

Os Planos Municipais de Conservação e Recuperação da Mata Atlântica foram criados para facilitar medidas de conservação e recuperação da Mata Atlântica. Devido a grande relevância da Mata Atlântica com a sua importância dentro do cenário da manutenção do ecossistema, e diante de um cenário de degradação e fragmentação cada vez maior deste Bioma, o PMMA é uma ferramenta de trabalho dos órgãos municipais. Dessa forma os municípios atuam como os principais atores para a conservação e recuperação da vegetação nativa e da biodiversidade, com base em um mapeamento dos seus remanescentes, como foi instituído, no Artigo 38 da lei 11.428, - Lei da Mata Atlântica - de dezembro de 2006.[92] A Constituição Brasileira (BRASIL, 1988), estabelece autonomia para os municípios atuarem na proteção dos recursos naturais, trazendo uma nova tendência de descentralização para este tema, possibilitando a cada município, estudar o seu cenário e a sua ocupação dentro da Mata Atlântica, e elaborar seu plano de ação de acordo com a sua realidade e possibilidade real de preservação, conservação e restauração.[93]

Unidades de conservação modifica

Template:Artigo principal

  Lo stesso argomento in dettaglio: Lista de parques estaduais de São Paulo.

No domínio da Mata Atlântica existem 131 unidades de conservação federais, 443 estaduais, 14 municipais e 124 privadas, distribuídas por dezesseis estados, com exceção de Goiás. O domínio da Mata Atlântica é provavelmente a região com o maior número de unidades de conservação na América Latina, entretanto, esses números grandiosos não são suficientes, visto que o sistema está longe de ser adequado: ainda assim, as áreas protegidas cobrem menos de 2% do bioma, as áreas de proteção integral representam apenas 24% dessas unidades e muitas vezes consistem de fragmentos pequenos e isolados, e metade das espécies de vertebrados ameaçadas não se encontram em qualquer área protegida.[87] Outros problemas relacionados são a falta de infraestrutura para se manter as unidades de conservação e uma série de impasses com lideranças indígenas e comunidades tradicionais, como observado no Parque Estadual da Ilha do Cardoso, Parque Nacional de Superagüi e no Parque Nacional do Monte Pascoal.[87]

Dentre todas as categorias de unidades de conservação brasileiras, as Reservas Particulares do Patrimônio Natural (RPPN) têm sido as mais importantes para o estabelecimento de novas áreas protegidas, dado que a maior parte dos remanescentes de floresta ainda estão em propriedades particulares.[87] Principalmente na região nordeste, as RPPNs protegem importantes fragmentos com espécies endêmicas e muito ameaçadas de extinção, principalmente de aves.[87] Outra estratégia para criação de novas unidades é a compensação fiscal dada a municípios e estados que possuem áreas protegidas declaradas oficialmente (ICMS Ecológico).[87]

Na Argentina modifica

[[Imagem:Anodorhynchus glaucus.jpg|thumb|esquerda|200px|Arara-azul-pequena é uma espécie provavelmente extinta da Mata Atlântica do Interior na Argentina, Paraguai e sul do Brasil.]] A província de Misiones é a única na Argentina que possui parte de seu território no domínio da Mata Atlântica. É também a que possui os maiores trechos contínuos, com cerca de 10.000 km², possibilitando a conservação de extensas áreas de floresta.[84][94] Os remanescentes de floresta em Misiones constituem um importante corredor ecológico das Florestas do Alto Paraná, possuindo inúmeras unidades de conservação bem consolidadas, como o Parque Nacional Iguazú, o Parque Provincial Urugua-í e o Parque Provincial Puerto Península.[3][84][94] Entretanto, isso representa cerca de 57,5% da cobertura vegetal original.[94] Do ponto de vista da biodiversidade, das 850 espécies de vertebrados conhecidos em Misiones, cerca de 20% correm risco de extinção em âmbito nacional, com algumas espécies provavelmente extintas em âmbito global, como a arara-azul-pequena, que também habitava áreas do sul do Brasil e leste do Paraguai.[94][95] As unidades de conservação representam quase metade da área dos remanescentes de floresta, uma área 4.597,66 km² em cerca de 60 áreas protegidas.[4] Porém, as diferentes regiões biogeográficas estão desigualmente protegidas, com a maior parte localizadas em áreas de Florestas Montana.[4] Outros problemas mostrando que o sistema ainda não é ideal, vão desde falta de infra-estrutura, até a escolha das áreas, que muitas vezes se dá por critérios "não científicos".[4] Visto o desmatamento ainda ocorrer em altas taxas, as unidades de conservação estão se tornando isoladas, o que é um grave problema na conservação da biodiversidade: espécies que exigem grandes áreas, como a onça-pintada e a anta são diretamente impactadas por esse isolamento. Na esfera jurídica, a Lei do Corredor Verde institui a criação de um corredor ligando as principais unidades de conservação, de norte a sul da província.[4] Deve-se salientar, porém, que um dos maiores problemas na implementação desse corredor e de outras áreas protegidas é que o trabalho nem sempre é feito em conjunto com as populações locais, o que acaba causando um impasse entre os interesses dos habitantes e dos conservacionistas.[4] Ainda prevalece uma cultura "importada" dos países vizinhos (Brasil e Paraguai) de que as florestas são áreas virgens desperdiçadas.[96] Por fim, os remanescentes de floresta da Argentina também possuem grande importância em uma ação de conservação trinacional, que une interesses conservacionistas das Florestas do Alto Paraná no Brasil, Argentina e Paraguai, já que possui os maiores trechos contínuos de floresta nessa ecorregião.[3] Existe a iniciativa de implementação de unir as unidades de conservação de Mata Atlântica do Interior desses três países através de um corredor reflorestado pela bacia do rio Paraná.[3]

No Paraguai modifica

[[Imagem:Itabo33.png|thumb|direita|250px|Reserva Biológica Itabó, na parte paraguaia do reservatório de Itaipu.]] O domínio da Mata Atlântica cobria todo o leste do Paraguai, totalizando cerca de 156.028 km².[41] Atualmente, restam cerca de 15% da vegetação original (pouco mais de 11.000 km²), distribuídos em fragmentos relativamente isolados nos complexos da bacia do rio Paraguai e Paraná.[3] Por muito tempo, as florestas do Paraguai permaneceram isoladas e preservadas, com um aumento no desmatamento a partir da década de 1980, resultando em uma perda de 15.400 km² somente na década de 1990: tal desmatamento acabou por isolar as unidades de conservação implantadas como forma de compensação pela construção de Itaipu, como a Reserva Biológica Itabó.[41] Até hoje, a biodiversidade da região é pouco conhecida, tendo o conhecimento muitas vezes baseados em relatos superficiais e amplos de padres e pesquisadores estrangeiros isolados. Sabe-se que em relação à fauna aquática, existe notável semelhança com a Floresta Amazônica. As dificuldades sócio-econômicas do Paraguai dificultam as ações conservacionistas, visto que a manutenção de florestas passa a ser visto como um empecilho ao desenvolvimento da região: isto é causa de extrema pressão não só em áreas de floresta particulares, como aquelas que são oficialmente protegidas.[97] Tal dificuldade na conservação das florestas também se reflete na dificuldade na implementação de uma reforma agrária e na solução do uso ilegal de terras devolutas.[97] Apesar das dificuldades de implementação de unidades de conservação da Mata Atlântica paraguaia, existe um bom exemplo de como ações conservacionistas podem dar certo no país: a Reserva Natural Bosque Mbaracayú, que junto com outros fragmentos próximos, constitui a única Reserva da Biosfera paraguaia.[5][98] Essa reserva é uma unidade de conservação particular, que consiste no único grande fragmento (possui cerca de 640 km²) de floresta no país que é efetivamente protegido.[5] Ademais, as reservas particulares têm se mostrado uma eficiente estratégia na conservação das Florestas do Alto Paraná no Paraguai, visto que as áreas públicas passam por sérios problemas, resultado de uma política ineficiente do Estado em reger tais áreas.[5]

Note modifica

  1. ^ a b NEVES, W. A.; PROUS, A.; GONZALES-JOSÉ, R.; KIPNIS, R.; POWELL, J., Early Holocene human skeletal remains from Santana do Riacho, Brazil: implications for the settlement of the New World, in Journal of human Evolution, vol. 45, n. 1, 2003, pp. 19-42, DOI:10.1016/S0047-2484(03)00081-2.
  2. ^ a b NEVES, W. A.; GONZALES-JOSÉ, R.; HUBBE, M.; KIPNIS, R.; ARAUJO, A.; BLASI, O., Early Holocene human skeletal remains from Cerca Grande, Lagoa Santa, Central Brazil, and the origins of the first Americans, in World Archaelogy, vol. 36, n. 4, 2004, pp. 479-501, DOI:10.1080/0043824042000303665.
  3. ^ a b c d e f g h i j k l m Template:Citar livro
  4. ^ a b c d e f Template:Citar livro
  5. ^ a b c d Template:Citar livro
  6. ^ Martius, C. F. P. von. (1824). Die Physiognomie des Pflanzenreiches in Brasilien. Eine Rede, gelesen in der am 14. Febr. 1824 gehaltnen Sitzung der Königlichen Bayerischen Akademie der Wissenschaften. Monaco, Lindauer, Brasiliana, Google Books.
  7. ^ Martius, C. F. P. von (1943, 1951). A fisionomia do reino vegetal no Brasil. Tradução de E. Niemeyer e C. Stellfeld. Arquivos do Museu Paranaense, v. 3, p. 239-271, 1943, [1], [2]; Boletim Geografico, v. 8, n. 95, p. 1294-1311, 1951, [3].
  8. ^ Martius, C. F. P. de (1837). Herbarium florae brasiliensis. Beiblätter zur allgemeinen botanischen Zeitung. Zweiter Band, p. 1—352, [4].
  9. ^ Martius, C. F. P. von. (1858). Tabula geografica brasiliae et terrarum adjacentium exhibens itinera botanicorum et florae brasiliensis quinque provincias. In: Martius, C. F. P. von, Eichler, A. W. & Urban, I. (ed.). Flora brasiliesis. Monacchi et Lipsiae: R: Oldenbourg, 1840-1906, v. 1, pars 1, fasc. 21. Disponibile su: <http://bdlb.bn.br/acervo/handle/123456789/48095> e <http://www.biodiversitylibrary.org/item/9632#page/136/mode/1up>.
  10. ^ IBGE (2012). Manual Técnico da Vegetação Brasileira. 2a ed. Rio de Janeiro: IBGE. Disponibile su: <http://www.ibge.gov.br/home/geociencias/recursosnaturais/vegetacao/manual_vegetacao.shtm>.
  11. ^ Burmeister, H. Reise nach Brasilien: durch die Provinzen von Rio de Janeiro und Minas geraës. Mit besonderer Rücksicht auf die Naturgeschichte der Gold und Diamantestricte.. Berlino: G. Reimer, 1853. link. [Traduzione in portoghese: Viagem ao Brasil: através das províncias do Rio de Janeiro e Minas Gerais, visando especialmente a história natural dos distritos auri-diamantíferos. São Paulo: Livraria Martins, 1952, link, con passaggi su Outrora, link; Belo Horizonte/São Paulo: Itatiaia/Edusp, 1980, link.]
  12. ^ Burmeister, H. 1854-56. Systematische Uebersicht der Thiere Brasiliens. [3 vol.] Berlino, Georg Reimer, 341 p. link. [Cf. vol. 1, p. 9-10.]
  13. ^ Mello-Leitão, C. (1937). Zoogeografia do Brasil. São Paulo: Companhia Editora Nacional, [5], [6].
  14. ^ DÁRIO, F.R. Influência de corredor florestal entre fragmentos da mata atlântica utilizando-se a avifauna como indicador ecológico. 1999. Dissertação (Mestrado em Ciências Florestais) - Escola Superior de Agricultura Luiz de Queiroz, Universidade de São Paulo, Piracicaba, 1999. [7].
  15. ^ Wappäus, J.E. (1884). A geographia physica do Brasil refundida. (Edição condensada). Rio de Janeiro: Typ. de G. Leuzinger, 470 p., [8]. [Titolo del frontespizio O Brasil geográfico e histórico, vol. 1, A terra e o homem. Traduzione integrata tratta da Wappäus, J. E. (1871). Handbuch der Geographie und Statistik des Kaiserreichs Brasilien, [9]. Una seconda parte, inerente la geografia politica del Brasile, non è mai stata tradotta in portoghese.]
  16. ^ a b c d Urbanetz, C. (2005). Estudos florísticos da floresta ombrófila densa atlântica da Fazenda Folha Larga, Cananéia, SP. Dissertação (mestrado). Campinas: Unicamp, [10].
  17. ^ Ferri, M.G. 1980. A vegetação brasileira. São Paulo: EDUSP.
  18. ^ Leitão Filho, H.F. 1987. Consideração sobre a florísitca de florestas tropicais e subtropicais do Brasil. Revista IPEF 35:41-46, [11].
  19. ^ IBGE [Veloso, H.P., L.C. Oliveira-Filho, A.M.S.F. Vaz, M.P.M. Lima, R. Marquete & J.E.M Brazão] (1992). Manual técnico da vegetação brasileira. 1a. ed. Rio de Janeiro: IBGE. 92 p. (Manuais técnicos em geociências, n. 1). Disponibile su: <[12]>.
  20. ^ a b Joly, C.A., Leitão-Filho, H.F. & Silva, S.M. (1991). O patrimônio florístico - The floristic heritage. In: Mata Atlântica - Atlantic rain forest (G.I. Câmara, coord.). Ed. Index Ltda. e Fundação S.O.S. Mata Atlântica: São Paulo, p. 94-125, [13].
  21. ^ Joly, C.A., Aidar, M.P.M., Klink, C.A., McGrath, D.G., Moreira, A.G., Moutinho, P., Nepstad, D.C., Oliveira, A.A.; Pott, A.; Rodal, M.J.N. & Sampaio, E.V.S.B. (1999). Evolution of the Brazilian phytogeography classification systems: implications for biodiversity conservation. Ciência e Cultura 51: 331-348, [14], [15].
  22. ^ Rizzini, C.T. (1997). Tratado de fitogeografia do Brasil: aspectos ecológicos, sociológicos e florísticos. 2a edição. Rio de Janeiro, Âmbito Cultural, 1997. Volume único, 747 p.
  23. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w DEAN, W.(2004) A Ferro e Fogo: A História e a Devastação da Mata Atlântica Brasileira. São Paulo:Companhia das Letras, 484p ISBN 85-7164-590-6
  24. ^ a b CARNAVAL, A. C.; MORITZ, C, Historical climate modelling predicts patterns of current biodiversity in the Brazilian Atlantic forest, in Journal of Biogeography, vol. 35, n. 7, 2008, pp. 1187-1202, DOI:10.1111/j.1365-2699.2007.01870.x.
  25. ^ Stability Predicts Genetic Diversity in the Brazilian Atlantic Forest Hotspot, in Science, vol. 323, n. 5915, 2009, pp. 785-789, DOI:10.1126/science.1166955.
  26. ^ BEHLING, H, South and southeast Brazilian grasslands during Late Quaternary times: a synthesis, in Palaeogeography, Palaeoclimatology, Palaeoecology, vol. 177, n. 1, 2002, pp. 19-27, DOI:10.1016/S0031-0182(01)00349-2.
  27. ^ LIEDRU, M.P., Late Quaternary Environmental and Climatic Changes in Central Brazil, in Quaternary Research, vol. 39, n. 1, 1993, pp. 90-98, DOI:10.1006/qres.1993.1011.
  28. ^ SCHMEIDER, O, The Pampa. a naturally or culturally induced phenomenon?, in University of California Publications in Geography, vol. 2, n. 8, 1927, pp. 255-270.
  29. ^ ADAMS, C., As roças e o manejo da Mata Atlântica pelos caiçaras: Uma Revisão (PDF), in Interciência, vol. 25, n. 3, 2000, pp. 143-150.
  30. ^ a b c d e f g Template:Citar web
  31. ^ HUECK, K, Sobre a origem dos campos cerrados no Brasil e Algumas novas observações no seu limite meridional, in Revista Brasileira de Geografia, vol. 19, 1957, pp. 68-80.
  32. ^ LAMIM-GUEDES, V, Uma análise histórico-ambiental da região de Ouro Preto pelo relato de naturalistas viajantes do século XIX (PDF), in Filosofia e História da Biologia, vol. 5, n. 1, 2010, pp. 97-114.
  33. ^ a b c d e f Template:Citar web
  34. ^ a b c d Vários autores, Plano de Manejo do Parque Estadual do Morro do Diabo (PDF), in Fundação Florestal, 2008. URL consultato il 13 aprile 2012.
  35. ^ Template:Citar web
  36. ^ Template:Citar periódico
  37. ^ Template:Citar web
  38. ^ Template:Citar periódico
  39. ^ Template:Citar periódico
  40. ^ Template:Citar web
  41. ^ a b c Template:Citar web
  42. ^ Template:Citar web
  43. ^ Template:Citar periódico
  44. ^ Template:Citar periódico
  45. ^ a b c Template:Citar web
  46. ^ Template:Citar livro
  47. ^ Template:Citar web
  48. ^ a b c d SILVA, J. M. C.; CATELETTI, C. H. M. Estado da biodiversidade da Mata Atlântica Brasileira. Em Galindo-Leal, C.; Câmara, I. G. (Orgs).Mata Atlântica: Biodiversidade, Ameaças e Perspectivas. Belo Horizonte: SOS Mata Atlântica e Conservação Internacional. p. 43-60, 2005. ISBN 85-98946-02-8
  49. ^ Template:Citar periódico
  50. ^ Template:Citar periódico
  51. ^ Template:Citar web
  52. ^ Template:Citar web
  53. ^ Template:Citar web
  54. ^ a b Template:Citar periódico
  55. ^ a b Template:Citar periódico
  56. ^ Template:Citar periódico
  57. ^ a b c d e f g h Template:Citar livro
  58. ^ a b c d e f g h i Template:Citar livro
  59. ^ a b c d e f g Template:Citar web
  60. ^ a b Template:Citar web
  61. ^ a b c d Template:Citar web
  62. ^ a b RIZZINI, C. T. (1979) Tratado de fitogeografia do Brasil: aspectos sociológicos e florísticos. EDUSP, São Paulo
  63. ^ a b c Template:Citar web
  64. ^ Template:Citar web
  65. ^ a b Template:Citar periódico
  66. ^ a b Template:Citar periódico
  67. ^ a b Template:Citar livro
  68. ^ a b Template:Citar periódico
  69. ^ Template:Citar periódico
  70. ^ Template:Citar periódico
  71. ^ Template:Citar web
  72. ^ Template:Citar periódico
  73. ^ a b Template:Citar periódico
  74. ^ a b Template:Citar periódico
  75. ^ Template:Citar periódico
  76. ^ a b c d Template:Citar periódico
  77. ^ Template:Citar periódico
  78. ^ a b Template:Citar periódico
  79. ^ a b Template:Citar web
  80. ^ Template:Citar periódico
  81. ^ Template:Citar periódico
  82. ^ a b Template:Citar web
  83. ^ a b c Template:Citar periódico
  84. ^ a b c d e f Template:Citar livro
  85. ^ Template:Citar livro
  86. ^ a b Template:Citar livro
  87. ^ a b c d e f Template:Citar periódico
  88. ^ a b c Template:Citar livro
  89. ^ a b c d e f Template:Citar livro
  90. ^ a b c d e f g Template:Citar livro
  91. ^ Template:Citar web
  92. ^ Template:Citar web
  93. ^ AGUIAR, A. de O.; STEINMETZ, Sandra: Planos municipais de conservação e recuperação da Mata Atlântica: Lições Aprendidas num projeto de mobilização e capacitação. EnANPAD. Rio de Janeiro, pg 4, 2013.
  94. ^ a b c d Template:Citar livro
  95. ^ Template:Citar web
  96. ^ Template:Citar livro
  97. ^ a b Template:Citar livro
  98. ^ Template:Citar web