Giganti di Mont'e Prama
Kolossoi; Sos Zigantes de Mont'e Prama[1]; Giganti di Monte Prama; Giganti di Monti Prama
Volto di Gigante
CiviltàNuragica
UtilizzoHeroon, Tomba dei giganti, Necropoli (dibattuto)
Stiledibattuto:
  • un unicum (M. Rendeli)
  • geometrico (G. Lilliu);
  • orientalizzante (C. Tronchetti);
  • corrente egea naturalistica (B.S. Ridgway);
EpocaStatue scolpite tra lo XI secolo ed il IX secolo a.C. (dibattuto)
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Comune Cabras
Dimensioni
Superficie≈ 75 000 
Altezza≈ 50 m
Scavi
Data scoperta1974
Date scavi1974: G. Atzori;
1975: A. Bedini;
1977: G. Lilliu, G. Tore, E. Atzeni;
1977: G. Pau, M. Ferrarese Ceruti - C. Tronchetti.
OrganizzazioneAlessandro Usai per i nuovi scavi (2013)
Amministrazione
EnteSoprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro – Centro di Conservazione e Restauro di Li Punti
ResponsabileMaria Antonietta Boninu
Visitabilesi
Sito webwww.monteprama.it/

I Giganti di Mont'e Prama (Sos Zigantes de Mont'e Prama in lingua sarda[1][2][3]) sono sculture nuragiche a tutto tondo. Spezzate in numerosi frammenti, sono state trovate casualmente in un campo nel marzo del 1974 in località Mont'e Prama nel Sinis di Cabras, nella Sardegna centro-occidentale. Le statue sono scolpite in arenaria gessosa locale e la loro altezza varia tra i 2 e i 2,5 metri.

Dopo quattro campagne di scavo fra il 1975 e il 1979, i 5.178 frammenti rinvenuti – tra i quali 15 teste, 27 busti, 176 frammenti di braccia, 143 frammenti di gambe, 784 frammenti di scudo – vennero custoditi nei magazzini del Museo archeologico nazionale di Cagliari per trent'anni, mentre alcune tra le parti più importanti furono esposte nello stesso museo.

Insieme alle statue antropomorfe si rinvennero altre sculture tipiche della cultura nuragica, i modelli di nuraghe ed i betili[4].

Con lo stanziamento dei fondi nel 2005 da parte del Ministero per i beni e le attività culturali e della Regione Sardegna, le statue sono state ricomposte dai restauratori del C.C.A. (Centro di Conservazione Archeologica di Roma), coordinati dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro presso i locali del Centro di restauro e conservazione dei beni culturali di Li Punti a Sassari.

Le sculture ricomposte sono attualmente trentotto, tra i quali si contano: cinque arcieri, quattro guerrieri, sedici pugilatori, tredici modelli di nuraghe, ma il loro numero è in aumento in seguito alla ripresa degli scavi nel 2014.

A seconda delle ipotesi, la datazione dei Kolossoi – nome con il quale li chiamava l'archeologo Giovanni Lilliu – oscilla dal IX secolo a.C. in base ai vecchi studi risalenti alla loro scoperta, o addirittura al XI secolo a.C. in base alle ultime datazioni basate sul metodo del carbonio 14, soprattutto quest'ultima datazione fa delle statue del Sinis, le sculture a tutto tondo più antiche del bacino mediterraneo occidentale, ed il più antico complesso scultoreo dell'Europa in quanto antecedenti ai kouroi della Grecia antica, e precedute solo dalle sculture egizie e del Vicino Oriente.[5]

Dal betilo aniconico allo sviluppo e alla diffusione della scultura figurata nuragica modifica

 
— In alto a sinistra: statua-menhir, volto in rilievo da Filitosa. — In alto a destra: statua betilo nuragica, guerriero con elmo crestato da (Viddalba), Museo Sanna. — In basso a sinistra: statua menhir, guerriero con spada, da Filitosa. — In basso a destra: betilo nuragico con volto in rilievo, da San Pietro di Golgo, (Baunei).
  Lo stesso argomento in dettaglio: Statue stele, Civiltà nuragica e Italia preistorica e protostorica.

Nella Sardegna prenuragica la scultura fu diffusa durante il Neolitico e l'Eneolitico ma tali manifestazioni artistiche sembrano cessare d'improvviso durante il Bronzo antico , quando, tanto in Sardegna come in Corsica si afferma il cosiddetto "epicampaniforme", ultima espressione della Cultura del vaso campaniforme. Da tale evento nasceranno la Civiltà nuragica e la civiltà Torreana con sviluppi interdipendenti nell'ambito della architettura, della metallurgia e più in generale della cultura materiale.[6][7] Tuttavia, mentre in Corsica la tradizione scultorea eneolitica prosegue sino al bronzo finale[8] in Sardegna appare interrompersi al mutare dei costumi funerari ed alla affermazione delle Tombe dei Giganti. E' peraltro presso tali tombe monumentali del Bronzo Medio che la scultura permane e progressivamente si riafferma con la creazione di betili, bassorilievi discoidali, grandi stele centinate e gli stessi conci isodomi scolpiti a martellina. Nondimeno, lo strettissimo legame tra le culture delle due isole si rivela anche nella "rinascita" della scultura in Sardegna come si evince dalle somiglianze stilistiche tra statue menhir della Corsica ed i Bronzetti.[9]

E' tra il 1300 a.C. 1200 a.C. che nel Sud della Corsica vengono scolpite le prime spade in rilievo nelle stele per poi proseguire nella rappresentazione dei guerrieri in vere e proprie statue stele nel Bronzo Finale.[10] I bronzetti nuragici - e quindi le medesime statue di Monte Prama - a seconda che si ritenga più valida la cronologia "bassa" od "alta" presentano una datazione parzialmente o integralmente sovrapponibile alla datazione delle sculture della Corsica. In particolare, se tra statue menhir e bronzetti sussistono delle innegabili differenze tecniche (divergenze plastiche tra bronzo e granito), culturali (codice iconografico), possono evidenziarsi alcune somiglianze nella presenza di placche pettorali, armi disposte diagonalmente nel petto, nella probabile presenza di "maschere" e soprattutto nella rappresentazione del volto. [9] Non a caso, quella che si ritiene essere una delle prime rappresentazioni del volto umano nella Sardegna nuragica è il betilo del tipo "oragiana" ritrovato a San Pietro di Golgo, presso Baunei può costituire il trait-d'union tra le statue-menhir, le statue betilo ed i bronzetti.[11][12][13] Nel Sud della Corsica come in Sardegna l'evoluzione della scultura appare essere esser legata a doppio filo al culto funerario del ceto dei guerrieri, e pertanto, a sua volta influenzata dai mutamenti della situazione socio politica sollecitata da non precisati fattori esterni ed interni (per la Sardegna vedi infra). Se in Corsica, a partire dal 1250 a.C., le stele armate del Bronzo medio di tradizione eneolitica si evolvono progressivamente nelle statue stele di guerrieri con una attenta rappresentazione della loro panoplia,[14] in Sardegna la scultura figurativa si innesta nel betilo producendo quella che alcuni studiosi considerano come la proto-statuaria della cultura Nuragica, ovvero i c.d. "cippi dei guerrieri" o statue-betilo (vedi infra).

 
Pozzo sacro di Santa Cristina, dettaglio della copertura con aggetto del filare di pietre inferiore rispetto a quello superiore.

Architettura isodoma (o ashlar) modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Isodomo.

In tutta l'area dell'Europa Occidentale - durante l'Età del Bronzo - solamente in Sardegna vengono impiegati conci scolpiti a martellina nella costruzione di edifici. Lo sviluppo sull'Isola dell'architettura monumentale - grazie a maestranze specializzate che edificarono le tombe dei giganti, i pozzi sacri e i nuraghi, impiegando largamente la tecnica isodoma e pseudoisodoma - gettò le premesse per lo sviluppo della statuaria.[5]

Al contrario di quanto l'esperienza comune erroneamente suggerisce a causa dell'odierna rovina dei nuraghi, la tecnica isodoma fu in essi impiegata per rifinire le sovrastrutture dei terrazzi a ballatoio, o per i rivestimenti e arredi interni nei vani di particolare pregio.[15]

Allo stato attuale delle ricerche (2014), tale tecnica costruttiva è datata al Bronzo medio sia per quanto riguarda i templi delle acque più arcaici, sia per quanto riguarda le tombe dei giganti.[16]

Presso centotrentadue esemplari di sepolture isodome realizzate a partire dal 1500 a.C. si osservano conci perfettamente squadrati e scolpiti a martellina, archi absidali dalla forma di mezzo cono di tronco, archi monolitici internamente incavi, lunghe pietre tronco-piramidali, conci con faccia a vista sbiecata, lastre con riseghe laterali, pietre dentellate o con tre incavi. Non mancano elementi simbolici scolpiti in rilievo o in bassorilievo come dischi e coppelle. In questi raffinati mausolei è rilevante la presenza dei betili tronco conici (cosiddetti oragiana), sempre scolpiti a martellina, pure ritrovati nella necropoli di Mont'e Prama, mentre nei pozzi sacri più recenti, risalenti al 1300 a.C., l'isodomia architettonica è accompagnata a sculture di animali e torri nuragiche.[17],[18]

 
Perfugas, Civico Museo Archeologico e Paleobotanico, testa di guerriero da Bulzi, in calcare bianco lisciata.

Proto-statuaria nuragica: le statue betilo modifica

In un primo momento ritenute sculture puniche o romane[19][20], queste in realtà raffigurano dei guerrieri con il tipico elmo "a bustina", crestato e cornuto di tipo nuragico, come suggeriscono le cavità circolari nelle quali erano alloggiati i corni ancora parzialmente presenti nella statua betilo da Bulzi.[21][22]

Secondo l'archeologa Fulvia Lo Schiavo, le sculture del nord Sardegna testimoniano l'esistenza di una proto-statuaria nuragica, tappa intermedia di una linea evolutiva che dai betili chiamati "ad occhi" (o "oragiana") - presenti sia a monte Prama che nelle tombe dei giganti costruite con conci perfettamente rifiniti - giungerà come esito finale alle statue antropomorfe di monte Prama, in accordo con quanto già sostenuto dall'archeologo Giovanni Lilliu a partire dall'esame del betile di Baunei, ed il pilastro - del tutto identico ai betili oragiana - della scultura di Viddalba[23][24]

Durante la campagna di scavi del 2014 fu rinvenuto un nuovo esemplare di statua betilo. Il nuovo esemplare presenta il consueto volto umano secondo lo schema del naso e dalle profonde arcate orbitali sormontate da una sorta di cresta tipica degli elmi nuragici come nei casi di Ossi e di Viddalba [25] [26]

 
Frammenti di un modello di nuraghe e testa di ariete, dal pozzo sacro di Irru, presso Nulvi, custoditi nel Museo di Perfugas.

Le protomi di ariete e toro modifica

Nell'iconografia dei bronzetti, un ampio numero di manufatti è costituito da protomi di animali, associate a modelli di nuraghe, scolpite sulle pareti di particolari edifici di culto, come nel Pozzo sacro di Irru a Nulvi.[27]

L'esempio più raffinato in tal senso è costituito dal complesso nuragico di Sa Sedda 'e sos Carros, ubicato nella valle di Lanaithu, in territorio di Oliena e deputato al culto dell'acqua, dove inoltre furono rinvenuti possibili frammenti di statue. Le sculture si presentano entro un edificio di pianta circolare con bacile centrale; le pareti sono costruite con conci isodomi di basalto disposti a filari tra i quali uno è costituito da blocchi di calcare bianco, internamente ornato con una teoria di protomi di ariete (o di muflone). Dalle sculture forate in corrispondenza della bocca l'acqua zampillava nel grande bacile sottostante. Alcuni conci usati come pietrame bruto per livellare il pavimento roccioso mostrano tracce di decorazione a rilievo del tipo dei frammenti di scudo delle statue di mont'e Prama; l'accostamento è rafforzato dalla presenza di un possibile frammento di piede.[28]

Un esempio simile di protomi di ariete scolpite ed esposte allineate si trova nel santuario di Gremanu-Madau. Entrambi i santuari risalgono all'età del Bronzo recente e presentano modelli di nuraghe.[29][30]

Sempre presso aree cultuali sono presenti anche protomi di toro, come quelle del Pozzo sacro di Serra Niedda a Sorso, del Santuario nuragico di Santa Vittoria presso Serri, del pozzo sacro di Sant'Anastasia presso Sardara, dal sacello nuragico di Cuccuru Mudeju a Nughedu San Nicolò presso Sassari: pure in tutti questi casi sono compresenti i modelli di nuraghe.[31]

 
Altorilievo dal nuraghe Cann'e Vadosu, da Cabras

Modelli di nuraghe e altorilievi modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Nuraghe.

Le sculture in pietra denominate modelli di nuraghe sono state rinvenute in tutta la Sardegna nei principali centri nuragici di culto e nei villaggi. Costituivano la rappresentazione in scala delle torri e dei castelli nuragici, a fini sacrali e/o politici.

In questi modelli, oltre alla raffigurazione dei particolari architettonici dei monumenti, come i mensoloni su cui si reggevano i terrazzi e gli ingressi monumentali a sesto acuto, si trova rappresentata l'intera gamma tipologica dell'architettura nuragica. Gli scultori ritrassero infatti sia i semplici nuraghi monotorre, sia quelli trilobati, come il Nuraghe Santu Antine presso Torralba, quelli quadrilobati come Su Nuraxi di Barumini, ed anche i pentalobati come il Nuraghe Arrubiu di Orroli.[32]

Tra le decine di modelli rinvenuti, su alcuni esemplari l'artigiano nuragico scolpì in altorilievo figure umane o simboli religiosi come:

  • il modello in arenaria gessosa proveniente dal nuraghe Cann'e Vadosu, nei pressi di Mont'e Prama, raffigurante un nuraghe trilobato con al centro di una facciata una figura umana, da alcuni ricercatori paragonata ai pugili di Mont'e Prama;
  • il modello rinvenuto presso San Sperate (Cagliari), in località Paulilongu, riferito ad un nuraghe quadrilobato, in arenaria quarzosa, con al centro la raffigurazione di un ingresso monumentale e un personaggio con copricapo conico;
  • il modello in arenaria gessosa di Serra 'e is Araus a San Vero Milis, nel quale lungo il parapetto della torre è posto in rilievo un personaggio con al seguito un toro aggiogato;
  • il modello in arenaria di un altare monumentale in forma di nuraghe, ritrovato durante gli cavi entro il nuraghe Su Mulinu, a Villanovafranca, che presenta else di spade ed un crescente lunare scolpiti in rilievo.
 
Localizzazione della penisola del Sinis nella Sardegna centro-occidentale

Luogo del ritrovamento modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Sinis, Montiferru, Tharros, Neapolis (Sardegna), Golfo di Oristano e Mar di Sardegna.

Le sculture furono gettate per la maggior parte nella necropoli rinvenuta in località Monte de Prama (Mont'e Prama), un rilievo di modesta altitudine (50 m s.l.m.) situato in posizione strategica al centro della penisola del Sinis.

Un altro frammento scultoreo – precisamente una testa – fu ritrovata altrove presso il pozzo sacro di Banatou di Narbolia, a circa 2 km dal nuraghe S'Uraki, poco distante dalla necropoli,[33] insieme a vari reperti ceramici sia punici che nuragici.[34][35]

Oltre alle statue del Sinis occorre segnalare una scultura rinvenuta nella Sardegna meridionale a San Giovanni Suergiu, nel Sulcis confrontata da alcuni studiosi con le statue di mont'e Prama.

Il Sinis fu frequentato fin dal periodo neolitico – come attesta l'importante sito archeologico di Cuccuru s'Arriu – noto per una necropoli del Neolitico medio, nelle tombe della quale era di norma presente un idolo femminile in stile volumetrico. Successivamente sono attestate tutte le culture che si avvicendarono nell'Isola nel corso dei millenni.

Tra queste è rilevante la presenza della Cultura del vaso campaniforme di cui si ha traccia anche altrove in Sardegna e che prelude alla Cultura di Bonnannaro.[36] Sarà poi quest'ultima a dar vita alla Civiltà nuragica.

Per la sua felice posizione geografica, nell'antichità la penisola del Sinis fu una testa di ponte per le rotte verso le Baleari e la penisola iberica, da sempre relazionate alla Sardegna. Nell'arcipelago delle Baleari sorgeva infatti la Civiltà talaiotica, sotto vari aspetti simile alle Civiltà nuragica e torreana.

Il Sinis è inoltre favorito dalla vicinanza al Montiferru, luogo in cui è ubicato un antico vulcano sede di importanti miniere di ferro e di rame, anch'esso strettamente controllato tramite numerosi nuraghi.

Il toponimo Monte 'e Prama significa in lingua sarda "Monte delle Palme", probabilmente dovuto al fatto che la località era ricoperta da palme nane, un tempo abbondanti nel Sinis. L'area nella quale è situata la necropoli è riportata con il toponimo "M.Prama" sulle mappe catastali del Comune di Cabras, e sulle mappe 1:25000 dell'Istituto Geografico Militare al foglio 216 N.E.[37]

La lettera M di tale dicitura dà luogo a diverse interpretazioni tra le quali Monti, Monte, Montiju, diciture tuttora in uso nella lingua sarda. Nel passato l'uso di tale toponimo indicante la presenza delle palme nane in loco, era documentato in alcuni scritti. Secondo la testimonianza del teologo e scrittore Salvatore Vidal, nella sua opera Clypeus Aureus excellentiae calaritanae del 1641, parlando del Sinis riporta il toponimo Montigu de Prama.[38] Il frate minore Antonio Felice Mattei scrisse nel 1700 una storiografia delle diocesi e dei vescovi sardi e parlando delle località del Sinis menziona Montigu Palma.[39]

La necropoli modifica

I frammenti delle sculture furono rinvenuti al di sopra di una necropoli situata sulle pendici del monte Prama, sovrastata da un nuraghe complesso ubicato sulla sommità dell'altura. Le tombe che la compongono sono del tipo a pozzetto e per lo più risultarono prive di corredo funerario. In quelle finora esaminate sono stati rinvenuti – in posizione seduta – resti umani sia maschili che femminili, di età compresa tra i tredici e i cinquanta anni, uno per ogni tomba.

Allo stato attuale (2012) il complesso funerario può essere suddiviso in due aree: la prima con forma di parallelepipedo fu indagata nel 1975 dall'archeologo A. Bedini; la seconda è un'area disposta a serpentina scavata tra gli anni 1976 e 1979 da Maria Ferrarese Ceruti e Carlo Tronchetti. Parallela a quest'ultima si trova una strada lastricata, delimitata da alcune lastre in pietra calcarea infisse a coltello. La costruzione della strada risulterebbe coeva alla monumentalizzazione della necropoli.[40]

 
Planimetria della necropoli di monte Prama.

Lo scavo "Bedini" ha riportato alla luce un'area con trentatré tombe a cista litica ma costruite con roccia diversa da quella dell'area a serpentina. Tali ciste risultarono essere per lo più prive dei lastroni di copertura in quanto divelti dai lavori agricoli che in tutti i secoli successivi interessarono l'area. Quella che vien definita "area Bedini" risulta esser stata edificata in tre diverse fasi:

  • la prima fase –a causa della loro arcaicità – è rappresentata dalle tombe a pozzetto circolare. Queste somigliano alle tombe ritrovate nel Tempio di Antas situato nella Sardegna meridionale e dedicato al Sardus Pater il dio eponimo dei Sardi nuragici;
  • la seconda fase fu quella interessata dal rivestimento delle tombe con lastre di pietra;
  • nella terza – coeva alla parte di necropoli scavata dall'archeologo Carlo Tronchetti – si ebbe l'apposizione delle statue.[41]

Nella parte scavata da Carlo Tronchetti, l'inizio della necropoli è indicato – sia in ordine cronologico che spaziale – da una lastra in pietra infissa a coltello giustapposta alla prima tomba del lato Sud. Il lato Nord comprende invece le tombe di età più recente ed è anch'esso delimitato da una lastra in pietra infissa a coltello. A fianco dei lastroni di copertura del tracciato a serpentina sono state rinvenute ulteriori fossette utilizzate per deporre ossa umane.[42] A causa della presenza dell'"area Bedini", le ultime tre tombe edificate non seguono il naturale tracciato ma ripiegano sul fianco delle precedenti sepolture. La necropoli risulta attualmente (2012) non ancora completamente scavata.[40]

È inoltre documentata un'area posta a venti metri dal settore di Bedini, nella quale furono rinvenuti lastre di copertura e fusti, definiti dall'archeologo Giovanni Lilliu, di "colonne", ma che per diametro e caratteristiche rientrano appieno nelle sezioni modulari dei modelli di nuraghe rinvenuti nel resto della necropoli.[43]


Necropoli, immagini del 2012
 
Penisola del Sinis: area della necropoli di mont'e Prama.
 
Necropoli di Mont'e Prama, lastre di copertura di tombe.


Ipotesi sull'aspetto della necropoli modifica

Secondo alcuni archeologi che scavarono il sito (C. Tronchetti, A. Bedini) le statue avevano come scopo la monumentalizzazione della necropoli. Un indizio in tal senso sarebbe fornito dalla tomba numero sei dell'area scavata dall'archeologo Carlo Tronchetti, all'interno della quale fu rinvenuto un frammento di scarto di lavorazione di uno scudo, rendendo plausibile la realizzazione in loco delle statue, che sarebbero dunque state costruite appositamente per la necropoli. In base ad alcune considerazioni circa le caratteristiche scultoree, alcuni studiosi ritengono che anche betili e modelli di nuraghe furono scolpiti appositamente per adornare la necropoli o il santuario.[44][45]

Supponendo l'originaria unitarietà di statue e necropoli, alcuni studiosi hanno ipotizzato che la necropoli potesse richiamarsi all'antica tradizione delle tombe dei giganti; costituirebbero degli indizi in tal senso il tracciato a serpentina e la presenza dei betili.[46] Secondo tale ipotesi le statue sarebbero state collocate sopra le lastre di copertura delle tombe costituendo in tal modo un viale monumentale. Secondo un'altra ipotetica ricostruzione, le sculture sarebbero state disposte a semicerchio nei lati est ed ovest della necropoli, rendendo ancora più forte - in tal caso - il richiamo alla tomba dei giganti e alla sua esedra megalitica. Allo stato attuale delle conoscenze (2011), entrambe le ipotesi non sono sorrette da validi riscontri per ammissione degli archeologi stessi.[47]

L'incompletezza degli scavi rende impossibile stabilire quale fosse il reale aspetto della necropoli e la sua effettiva estensione. Rimangono inoltre dubbi sulla originaria ubicazione delle statue. A fronte di tali problemi, alcuni studiosi teorizzano un adiacente santuario nuragico nel quale le statue sarebbero state originariamente posizionate.[48] Costituirebbe un indizio in tal senso l'esistenza di un'area posta a venti metri dagli scavi di A. Bedini e C. Tronchetti nella quale furono rinvenuti fusti di modelli di nuraghe monotorre e lastroni, probabilmente utilizzati come copertura delle tombe scavate da A. Bedini, oppure come basamento di una platea per il posizionamento dei modelli di nuraghe come aveva già suggerito l'archeologo G. Lilliu.[49]

Le recenti ricerche effettuate dall'Università di Cagliari con l'utilizzo di un georadar, hanno individuato un'area vasta almeno sei ettari dotata di strutture artificiali e dunque create dall'uomo. Le nuove indagini pertanto sembrano convalidare la tesi dell'esistenza di un santuario nuragico a Mont'e Prama [50]. L'esistenza di altri monumenti di carattere sacro nei pressi della necropoli è suggerito dalla presenza di tipici conci utilizzati per l'edificazione dei pozzi sacri.[51] Altri ricercatori ritengono che non si possa completamente escludere la presenza di un megaron nuragico al di sotto dell'edificio romano in opera cementizia, situato nei pressi della necropoli.[47]

 
Bronzetti in nudità rituale dalla tomba a pozzo di Antas (sinistra) e dal santuario di Serra Niedda (destra)

Riti funerari e riti di culto modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Sardus Pater e Tempio di Antas.

Le pratiche religiose osservabili a Mont'e Prama sono riconducibili sia ad attività di culto come a riti funebri risalenti alle più antiche tradizioni dell'età del Bronzo Medio nuragico (1600 -1400 a.C.).

Tali riti funebri rispecchiano le più arcaiche tradizioni riscontrabili presso le tombe dei giganti. Sia nel settore scavato dall'archeologo Carlo Tronchetti [42], ma soprattutto nell'area denominata Bedini furono rinvenute semplici fosse, adiacenti alle sepolture, dotate di cista o a pozzetto. Le fosse presentano delle deposizioni variegate: in talune furono rinvenute solo ceramiche, mentre altre sembrano contenere parte di un corpo, in particolare ossa disarticolate.[52] Quest'ultimo tipo di deposizione si riscontra anche presso la tomba isodoma di Iloi a Sedilo (1500 a.C), nella quale le fossette presentavano frammenti di ossa frammiste a ceramica. Fossette adiacenti al vano funerario sono state individuate presso numerose tombe dei giganti e contenevano per lo più frammenti ceramici; esse proverebbero l'uso del riutilizzo costante dalla tomba, prelevando le ossa delle inumazioni più antiche, al fine di creare spazio nel vano funerario per nuove inumazioni. La mancanza di ossa nelle altre fosse documentate presso le tombe di giganti è probabilmente causata dall'acidità del terreno sardo.[53]

Le fosse con sola ceramica presenti a Mont'e Prama potrebbero essere di tipo esclusivamente votivo, risultando in tal caso analoghe alle fosse votive rinvenute nella capanna centotrentacinque del nuraghe di Barumini datata alla fase più antica del Bronzo finale[54]

Altri indizi sono dati dal frammento di spada votiva della tomba venticinque dai corni litici e dai betili di Mont'e Prama, anch'essi manufatti presenti in varie tombe dei giganti. I betili in particolare non attesterebbero solo un retaggio dell'antica tradizione degli avi dell'Età del Bronzo risalente al 1500 a.C. come a Tamuli, recuperato dai Nuragici durante l'Età del Ferro, giacché date le peculiarità dei betili di Mont'e Prama, essi appaiono scolpiti appositamente per la necropoli del Sinis.[55]

Ulteriori similitudini tra i costumi funerari di Mont'e Prama e quelli delle tombe dei giganti sono fornite dalla pressoché totale assenza di corredo, dall'uso di frammentare le ceramiche o di deporre vasi o altri oggetti in miniatura nelle sepolture come accaduto anche ad Antas.

Anche la pratica di deporre oggetti in miniatura presenta in Sardegna radici risalenti all'Età del Bronzo ed oltre, essendo riscontrabile in tutte le culture affacciatesi nell'Isola. Nella stessa penisola del Sinis, ceramiche votive in miniatura furono rinvenute all'interno di alcune tombe dei giganti, e risalgono generalmente - quando si tratta di vasetti a colletto - all'Età del Bronzo recente e del Bronzo finale.[56]

 
Moneta del Sardus Pater con corona piumata e lancia; fu fatta coniare da M. Azio Balbo, pretore della Sardegna nel 59 a.C.

Ravvisando alcune analogie con altri importanti santuari nuragici, tra cui Serra Niedda presso Sorso, quello di Santa Anastasia a Sardara e quello di Antas a Fluminimaggiore, alcuni studiosi ravvisano oltre alla ritualità funeraria anche un'attività di culto, pure questa rimontante alle più antiche fasi del Bronzo recente e finale nuragico.

Indizi in tal senso attestano un modello di nuraghe dotato di una concavità nella parte superiore rinvenuto a Mont'e Prama. L'esemplare del Sinis è confrontabile con altri ritrovati nei santuari di Serra Niedda e Santa Anastasia, entrambi attivi tra il Bronzo recente e la gran parte dell'Età del Ferro.[57] Nell'esemplare scultoreo di Sardara tale concavità risulta annerita ed untuosa al tatto a distanza di secoli, fatto che attesterebbe l'uso di bruciarvi ritualmente essenze profumate.

L'altro modello di nuraghe con concavità proveniente dal sito di Serra Niedda, fu posizionato tra il pozzo sacro e la rotonda, su di un cippo dall'ampio diametro, affatto simile ad un analogo cippo proveniente da Mont'e Prama. Quanto alla divinità fatta oggetto di culto è da rimarcare la presenza a Serra Niedda di una statuina bronzea raffigurante un personaggio in nudità rituale. La figura di Serra Niedda è stata paragonata al portatore di lancia in nudità rituale proveniente da Antas, presso il tempio del Sardus Pater. Quest'ultima statuina fu rinvenuta entro una sepoltura a pozzetto dello stesso tipo scavate dall'archeologo A. Bedini a Mont'e Prama ed in virtù della lancia paragonata alla monetazione romana raffigurante il Sardus Pater.[58]

Storia degli scavi modifica

È del 1965 il primo reperto rinvenuto con ogni probabilità appartenente al complesso monumentale di mont'e Prama. Si tratta di un frammento di statua in calcare – precisamente una testa – trovato nel fondo del pozzo di Banatou presso Narbolia. Data la grande presenza di reperti punici e la presunta assenza di una statuaria nuragica in pietra, il frammento di Banatou fu considerato in origine un reperto punico.

È della metà degli anni settanta del secolo scorso – invece – il rinvenimento delle statue presso la necropoli del mont'e Prama. Secondo la testimonianza resa dai due scopritori Sisinnio Poddi e Battista Meli, il rinvenimento avvenne per caso nel mese di marzo del 1974 mentre preparavano la semina di due appezzamenti di terreno attigui che da anni affittavano dalla confraternita del Santo Rosario di Cabras.

 
Il corredo della tomba n.25 dalla Necropoli di Mont'e Prama, esposto presso Museo archeologico di Cagliari

Nonostante il suolo fosse sabbioso, abbondava di manufatti rocciosi e frammenti di colonne che l'aratro portava regolarmente alla luce e che i due agricoltori accumulavano da una parte, non intuendo il loro reale valore archeologico.[59]

All'inizio di ogni stagione di semina i due scopritori constatavano che gli accumuli di frammenti dell'anno precedente erano diminuiti considerevolmente perché asportati da persone che ne comprendevano il valore storico o perché utilizzati come materiale da costruzione. Fu il proprietario del terreno, Giovanni Corrias, a rendersi conto che si trattava di resti di sculture quando, insieme a Sisinnio Poddi, intravide in un cumulo di pietre e terra la testa di un gigante. Il proprietario informò di tale rinvenimento l'archeologo oristanese Giuseppe Pau il quale allertò la Soprintendenza ai Beni archeologici di Cagliari e Oristano.[59]

Durante la prima fase della scoperta, l'archeologo Giuseppe Atzori denunciò insistentemente alle autorità la mancata protezione del sito. Molte delle statue ricostruite dai restauratori mancano della testa e di altri significativi frammenti a causa della spoliazione della necropoli: proprio la testa con gli enigmatici occhi fu uno dei reperti più ricercati.[60][61]

Secondo l'archeologo Marco Rendeli, la storia delle prime ricerche è lacunosa e frammentaria e coinvolge diversi archeologi. Alcuni effettuarono scavi di breve durata (scavi Atzori nel 1974, scavi Pau nel 1977), altri ricercatori portarono avanti indagini programmate (scavi Bedini nel 1975, scavi Lilliu, Tore, Atzeni nel gennaio 1977, scavi Ferrarese Ceruti-Tronchetti nel 1977).[46]

A quaranta anni dall'ultima campagna di scavi, non risolutivi per la soluzione di tali problemi, è pertanto programmata una nuova campagna di scavi [62]

Scavi presso il pozzo di Banatou Narbolia modifica

Responsabile Area indagata e reperti rinvenuti Risultato scavi Immagini scavi
Lo scavo avvenne tra la fine del 1965 e gli inizi del 1966. Fu indagato il deposito votivo presso il pozzo sacro di Banatou Narbolia; i reperti constano di una testa di statua tipo Mont'e Prama in cattive condizioni, tredici statuette votive e sette vasi di epoca punica, una terracotta votiva di tipo greco rappresentante una Kore stante, numerosa ceramica sia nuragica che punica Il deposito ha tra i suoi materiali più arcaici ceramica nuragica datata al VII sec. a.C. ed il VI sec. a.C.; mentre si daterebbero al VI e V sec. a.C. le statuine puniche; poiché i materiali non sono editi non è possibile studiarne in modo preciso l'inquadramento cronologico. La tipologia delle statue puniche è da individuarsi nel tipo del "devoto-sofferente", furono realizzate al tornio e presentano sia analogie come differenze da altre statue trovate in un grande deposito presso Bithia. L'analisi delle argille ha permesso di verificare la loro provenienza da giacimenti distinti.[63]
 
Gruppo di statue votive puniche dal pozzo di Banatou, Narbolia.
 
Testa di statua, tipo monte Prama, dal pozzo sacro Banatou, Narbolia.
 
Testa di statua punica dal pozzo sacro Banatou, Narbolia.
 
Banatou, Narbolia, busto di statua punica, particolari.

Scavi Bedini modifica

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Anno 1975
Alessandro Bedini
Area parallela alla strada per Riola e distante 25 m da essa; scavo lungo 25 m e largo 3.
Furono indagate trentatré tombe rinvenendo frammenti di statue e modelli di nuraghe, ceramica nuragica, inumati.
Fu individuato il confine Ovest della necropoli delimitato da lastroni infissi a coltello. Furono rinvenute dieci sepolture a pozzetto prive del lastrone di copertura ma con all'interno i defunti adagiati in posizione rannicchiata con una lastrina di pietra sul capo. Tra i rari frammenti ceramici reperiti vicino alle tombe anche un vaso in miniatura[64]
 
"Scavi Bedini": settore della necropoli visto da Nord-Ovest.
 
"Scavi Bedini": una delle tombe a pozzo con sopra i lastroni della seconda fase della necropoli.
 
Necropoli mont'e Prama, tomba a pozzo con lastroni infissi a coltello ed inumato ancora in situ.

Scavi Tronchetti – Ferrarese Ceruti modifica

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Anno 1977Carlo Tronchetti, Maria Luisa Ferrarese Ceruti, 1979
Carlo Tronchetti
Area interessata dalla discarica della necropoli. Furono indagate trenta tombe rinvenendo frammenti di statue, modelli di nuraghe, ceramica punica, un sigillo scaraboide, una collana bronzea, resti inumati, betili. Lo scavo permise di portare alla luce una strada monumentale e appurare come la monumentalizzazione della necropoli, tramite l'aggiunta delle statue, fosse coeva alla realizzazione della strada stessa. Furono inoltre rinvenute nuove e numerose parti delle sculture e al di sotto di uno di queste fu rinvenuto un grande frammento di anfora punica, non anteriore al IV secolo a.C.: tale frammento daterebbe il periodo di distruzione delle statue. Le tombe messe in luce confermarono il rituale funebre già riscontrato, con gli inumati deposti rannicchiati e sul cui capo spesso veniva adagiata una lastrina di pietra. All'interno della tomba numero venticinque fu scoperto uno dei pochi elementi di corredo, ovvero uno scarabeo egizio rientrante nella produzione del Nuovo Regno. Lo scarabeo era inserito probabilmente in una collana insieme ad un frammento di spada votiva, una tipico manufatto nuragico del bronzo recente e finale.[65]
 
"Scavi Tronchetti-Ferrarese Ceruti": Inizio meridionale del lastricato "a serpentina".
 
"Scavi Tronchetti-Ferrarese Ceruti": Termine settentrionale del tracciato a serpentina delimitato da una lastra infissa a coltello.
 
"Scavi Tronchetti-Ferrarese Ceruti": strada fiancheggiante la parte di necropoli scavata tra il 1978 ed il 1979.
 
"Scavi Tronchetti-Ferrarese Ceruti": discarica con parte dei numerosi frammenti di statua sopra i lastroni di copertura delle tombe.
 
"Scavi Tronchetti-Ferrarese Ceruti": intero busto di pugile, rinvenuto sopra una delle tombe.


Scavi Zucca 2014 modifica

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Anno 2014 La ricerca è diretta dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Cagliari e Oristano (Alessandro Usai, Emina Usai), dall'Università di Sassari (Paolo Bernardini, Pier Giorgio Spanu e Raimondo Zucca), dall'Ateneo cagliaritano (Gaetano Ranieri, Salvatore Rubino per le indagini bio-archeologiche Le indagini avviate nel 2014 nel settore a meridione dell'area indagata dal 1975 al 1979, hanno documentato una fascia di otto tombe con lastrone di copertura ed altre otto a pozzetto semplice. Queste sono disposte su tre filari irregolari, con piccoli tumuli di pietre conservati in cinque casi nelle tombe a pozzetto semplice. Anche tale porzione di necropoli è interessata dalla discarica di statue e dalla presenza di tombe di diversa tipologia; con le indagini si rinvennero frammenti di statue - tra cui i piedi con sandali di una statua uniti ad un basamento quadrangolare -, modelli di nuraghe polilobato, due "pugili" di nuova tipologia, i resti scheletrici di diversi inumati, betili, un probabile frammento di statua betilo, ceramiche ornate ed inornate. Dopo quarantanni la ripresa si avvale dei più moderni metodi di ricerca. In particolare l'Equipe di Gaetano Ranieri effettuò la prospezione del sito tramite il georadar permettendo di valutare l'estensione del sito bn oltre le aree sottoposte a scavo archeologico. Grazie alle indicazioni del georadar il sito potrebbe essere esteso per un area di almeno 6,6 ettari. Successivamente le anomali riconosciute da tale strumentazione furono sottoposte alla verifica dello scavo archeologico vero e proprio. Furono così rinvenuti le nuove tombe e altri importanti reperti. Tra quest'ultimi menzione particolare devono avere le due statue di "pugili" somiglianti al bronzetto rinvenuto a Cavalupo di Vulci e datato al IX sec. a.C. Altro rinvenimento degno di nota è il frammento di una scultura paragonabile alle statue betilo di Viddalba ed Ossi. Si rinvennero inoltre due betili di m 2,30, i più imponenti finora rinvenuti nell'intera Sardegna. Altre sculture importanti per definire la matrice nuragica del contesto sono i tre nuovi modelli di nuraghe complesso. Da tali indagini si evince cheil sito archeologico di Mont'e Prama non è probabilmente limitato all'area funeraria con le sculture è infatti da presumere che vi siano strutture che compongano un complesso archeologico più articolato, forse un santuario.[66]
 
Nuovo "Pugile" di Monte Prama, al momento del rinvenimento, nel 2014.


Frammenti
 
Frammenti da Mont'e Prama in attesa di restauro.
 
Frammento di mano che impugna uno scudo.
 
Arco frammentato.
 
Corno di un elmo nuragico.


Restauro modifica

Il progetto di conservazione e restauro è stato elaborato dall'archeologo conservatore Roberto Nardi, direttore del Centro di Conservazione Archeologica di Roma, con la direzione scientifica dell'archeologa Antonietta Boninu. Dal 2007 al 2012, i 5.178 reperti provenienti dalle campagne di scavi e dai recuperi, per un peso complessivo di dieci tonnellate[67], sono stati assemblati e 38 sculture sono state montate su particolari strutture portanti per permettere il lavoro di ricomposizione[68].

Per tutta la durata dell'intervento, il cantiere di lavoro è stato aperto al pubblico. Dopo una prima pulitura delle superfici lapidee e dopo un'analisi approfondita di ciascun frammento, sono stati man mano ritrovati gli attacchi tra le varie parti delle sculture, identificando così le varie tipologie di guerrieri e di modelli di nuraghe. La ricerca degli attacchi si è alternata con altri tipi di intervento come la pulitura con acqua atomizzata (una tecnica poco invasiva in grado di solubilizzare le incrostazioni senza danneggiare la pietra, già sperimentata nella ripulitura dei monumenti del Foro romano), ma soprattutto con il consolidamento delle superfici.[69] Il materiale utilizzato dagli antichi scultori infatti risulta costituito da tenera calcarenite di provenienza locale, caratterizzata nella sua composizione interna da microfossili marini. Dalle analisi effettuate nei reperti risultano evidenti tracce di un remoto incendio che modificò chimicamente la parte superficiale della pietra rendendo i reperti più fragili e riducendone la resistenza.[69]

La ricerca degli attacchi ha consentito di ricomporre più di mille frammenti combacianti tra di loro ricostruendo in questo modo le varie tipologie di statue. In questo modo sono stati ricomposti tredici modelli di nuraghe (tra monotorre e polilobati), sedici pugili, quattro guerrieri, cinque arcieri. Le parti che non presentano attacchi sono sei e documentano la presenza di altre sei sculture portando il loro numero complessivo a quarantaquattro.[69]

 
Particolare del basamento di una statua di Gigante.

Musealizzazione modifica

Attualmente (2014) è in corso di programmazione avanzata la musealizzazione del complesso scultoreo. Per la Soprintendenza, dato il grande interesse culturale rivestito dalle statue, è preferibile una sistemazione museale diffusa. La sistemazione definitiva delle sculture comporterà la divisione delle statue in tre poli di fruizione a vocazione differente:

  • il Museo archeologico nazionale di Cagliari, nel quale verrà esposto un esemplare per ogni tipologia scultorea rinvenuta (tre statue e un modello di nuraghe) al fine di descrivere in successione cronologica, dalle dee madri di età neolitica, alle figure geometriche del periodo eneolitico, ai bronzetti nuragici ed alle statue di monte Prama, la rappresentazione della figura umana nelle diverse culture preistoriche sarde;
  • Il terzo ed ultimo polo è Li Punti, centro del restauro, nel quale non sarà esposta alcuna statua ma nel quale saranno documentate le fasi del restauro.[70]

Al momento il Museo archeologico comunale di Cabras, autocandidandosi ad ospitare solo una parte delle statue, verrebbe privato di almeno quattro esemplari scultorei a causa di problemi di varia entità.[71]

Contro il progetto della Soprintendenza di Cagliari ed Oristano guidata da Marco Minoja, sono state formulate numerose critiche. Salvatore Settis ritiene che l'insieme scultoreo non debba essere smembrato perché la moltiplicazione delle sedi museali sarebbe la causa prima della chiusura di tanti musei per carenza di visitatori.[72]

 
Centro restauro Li Punti, Sassari: braccio di arciere con brassard in rilievo e decorazioni incise.

Caratteristiche generali e confronti stilistici modifica

Il volto delle statue segue lo schema a T, tipico dei bronzetti sardi e delle vicine statue stele corse.[69]

L'arcata sopracciliare e il naso sono molto marcati, gli occhi risultano incavati nel volto e resi in modo simbolico con un doppio cerchio concentrico. La bocca è resa con un breve tratto inciso, rettilineo o angolare.[73]

L'altezza delle statue varia da un minimo di 2 m ad un massimo di 2,50 m. Esse hanno come soggetti pugili, arcieri e guerrieri, tutti in posizione eretta e con le gambe leggermente divaricate. I piedi sono ben definiti e poggiano su solide basi quadrangolari.[74]

Caratteristica delle sculture è inoltre la presenza di dettagli decorativi con motivi geometrici eseguiti a chevron[75] o a zig-zag, con linee parallele e cerchi concentrici, laddove a causa di ragioni statiche non fu possibile per gli artisti rendere tali dettagli in rilievo. Questo accade tanto per gli oggetti quanto per la raffigurazione di varie parti del corpo. Così, ad esempio, le trecce che scendono ai bordi del viso sono in rilievo ma i capelli sono resi con incisioni a spina di pesce.

Il brassard[76] degli arcieri risulta leggermente in rilievo mentre i dettagli sono resi con disegni geometrici.

Tali peculiarità – insieme ad altri elementi – provano che i bronzetti sardi furono la principale fonte d'ispirazione per la loro realizzazione.[77][78]

Le statue originariamente risulterebbero esser state dipinte, in alcune infatti sono state rinvenute tracce di colori; un arciere presenta il torso dipinto di rosso mentre un altro colore rintracciato nei frammenti è il nero.[79][80]

È difficile trovare confronti in ambito mediterraneo per queste sculture:

  • l'archeologo Carlo Tronchetti parla di committenze e di ideologie pienamente orientalizzanti[81] e in accordo con quest'ultimo altri studiosi – come Paolo Bernardini – individuano nelle sculture influenze orientali con richiami alle sculture etrusche arcaiche;[82]
  • l'archeologa Brunilde Sismondo Ridgway trova confronti nella scultura picena, dauna, lunigiana dell'VIII–V secolo a.C., stavolta inserite nella corrente stilizzante italica ed egea naturalistica;[83]
  • per Giovanni Lilliu le sculture appartengono allo stile artistico geometrico, riscontrabile nei segni ornamentali riprodotti con disegni incisi, nella diretta ispirazione nei bronzetti sardi di stile "Abini-Teti"; secondo l'illustre archeologo risulta quindi profondamente sbagliato assegnare tali statue al periodo orientalizzante, tranne forse per la struttura colossale del corpo;[79]
  • per l'archeologo Marco Rendeli i tentativi di confronto tra le sculture del Sinis e quelle di area ellenica, italica, etrusca appena citati hanno tutti portato ad esiti deludenti. Il giusto approccio nell'inquadrarle consiste nell'intenderle come un unicum, prodotto dalla interazione tra artigiani levantini e committenza nuragica. Tale unicità del resto trova conferma anche nelle particolari tombe a pozzetto della necropoli, anche queste non sono paragonabili in alcun modo ad altri siti, sia del Mediterraneo occidentale che di quello orientale.[84]
  • Per lo scultore Peter Rockwell, le statue non sono paragonabili sia per motivi stilistici che strutturali, ad altri esempi scultorei del Mediterraneo. Quella di Monte Prama forse rappresenta l'apice di una lunga tradizione scultorea autonoma, capace di innovare sotto il profilo tecnologico, di sperimentare soluzione ardite come la coniugazione delle parti agettanti con l'equilibrio della scultura senza l'ausilio di un terzo appoggio (come di consueto dalle statue antiche) ma solo sulle due gambe. In questo senso, le statue esprimono soluzioni "moderne" attraverso uno stile "primitivo". (vedi infra)


Sculture in arenaria di pugile
 
Pugile nuragico in arenaria, da mont'e Prama.
 
Mont'e Prama, pugile con scudo.
 
Pugile nuragico, statua incompleta.
 
Pugile nuragico, particolare del tipico kilt.
 
Pugile, braccio con protezione.
 
Scudo di pugile visto dall'alto.


Pugili modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Caestus.

Pugile (o pugilatore) è il termine convenzionale per indicare una particolare figura di bronzetti nuragici dotati di un'arma paragonabile al caestus. Essa infatti avvolgeva l'intero avambraccio con una guaina rigida, probabilmente in metallo.[85] La panoplia del guerriero o lottatore, a seconda delle interpretazioni, prevedeva inoltre uno scudo rettangolare semi-rigido e avvolgente.[85] Si ipotizza che le figure dei pugili comparissero in particolari cerimonie come i giochi sacri (o funebri) in onore dei morti, usanza diffusa anche altrove nel Mediterraneo.[85][86]

I pugilatori costituiscono il gruppo più numeroso delle statue del Sinis. In seguito alla campagna scavi del 2014 sono suddivisibili in due categorie. La prima presenta caratteristiche uniformi e costanti in tutti e sedici gli esemplari accertati, variando solo nelle dimensioni o in trascurabili particolari.[77]

 
Pugile nuragico in bronzo, da Dorgali.

Il torso è rappresentato sempre nudo con incisi l'ombelico o i capezzoli; i fianchi del bacino sono cinti da un breve gonnellino svasato posteriormente a V, tipico nella bronzistica dei pugili ma pure di guerrieri come l'arciere di Serri. La parte superiore dell'addome è protetto da un cinturone dal quale si dipartono talora i lacci – raffigurati a bassorilievo – che tenevano legato il gonnellino. La testa delle figure è rivestita da una calotta liscia.

L'avambraccio destro – sin dal gomito – è rivestito dalla guaina protettiva verosimilmente di cuoio, terminante con una calotta sferica nella quale era inserita l'arma metallica o in altro materiale. Il braccio sinistro tiene lo scudo a coprire il capo.[69][87] Lo scudo è di forma rettangolare ad angoli arrotondati. Molto probabilmente doveva essere composto da cuoio, o da un altro materiale flessibile, perché arrotondato per la lunghezza. Presenta inoltre nella sua parte interna una intelaiatura a stecche di legno, mentre la parte esterna si caratterizza per un bordo in rilievo lungo tutto il perimetro. Sempre dai particolari risultanti dalla parte interna, lo scudo appare fissato ad un bracciale decorato a chevron, indossato nel gomito del braccio sinistro.[85]

Per tale prima tipologia di "Pugili" le statuine bronzee la corrispondenza maggiore so ha nel c.d. pugile proveniente da Dorgali.[88][89]

La seconda categoria di pugile si compone di due soli esemplari entrambi rinvenuti nella campagna scavi del 2014, e raffiguranti un personaggio che a suo tempo Lilliu ipotizzò essere una sorta di "sacerdote guerriero".[90] Le nuove sculture di "pugili" presentano anch'esse il gonnellino a "frac", e la stessa tipologia di arma offensiva con lo scudo. Tuttavia si discostano dai pugili finora noti per importanti dettagli stilistici e tecnici. Anzitutto per la foggia dell'abbigliamento, che per quanto simile risulta molto più ricca e dettagliata. Quindi per la presenza di un particolare copricapo conico - rinvenuto anch'esso negli scavi 2014 - presente in vari altri bronzetti nuragici, per i quali, sempre Lilliu, ipotizzò il rango di "sacerdoti" essendo tale copricapo paragonato al “pileus” degli aruspici etruschi.[90] Altra peculiarità della nuova classe di pugili-sacerdoti è la postura dello scudo. Esso analogamente al bronzetto è raffigurato non più al di sopra del capo, ma di lato, lungo il fianco del corpo e avvolgente lo stesso.


Sculture di arciere in arenaria
 
Arciere nuragico in arenaria, da Mont'e Prama.
 
Arciere in attesa di restauro.
 
Particolare della goliera di un arciere.
 
Arco in frammenti.


Arcieri modifica

I frammenti di questa tipologia di guerriero hanno permesso fino ad oggi di restaurare cinque esemplari mentre di un sesto restano solo parti del torso e della spalla. Al contrario dei pugili gli arcieri presentano numerose varianti.[77]

L'iconografia maggiormente attestata vede l'arciere indossare una corta tunica su cui pende la placca pettorale quadrata a lati leggermente concavi. Talvolta la tunica giunge all'inguine, altre volte lascia scoperti i genitali. Oltre alla placca pettorale sono raffigurati anche altri elementi della panoplia, come goliere ed elmi.

 
Arciere nuragico in bronzo

I diversi frammenti di arti superiori presentano spesso il braccio sinistro munito di brassard che tiene l'arco, mentre la mano destra è tesa con la palma rivolta in avanti come nel tipico segno di saluto visibile nei bronzetti.

Le gambe sono protette da singolari gambali dai bordi dentellati, appesi con dei laccetti sotto la tunica; in un polpaccio è ben visibile anche la lavorazione posteriore avente profilo a forma di 8, mentre nei piedi è talvolta raffigurato un sandalo. Il volto risulta simile a quello del pugile con la capigliatura raccolta in lunghe trecce che scendono ai lati del volto. La testa è cinta fino alla nuca da un elmo a calotta crestato e cornuto che lascia libere le orecchie.

Vari frammenti documentano i corni leggermente ricurvi e rivolti in avanti, di difficile misurazione, terminanti a punta (a differenza dei guerrieri); c'è inoltre traccia di un rinforzo ricavato dalla stessa roccia che le univa a circa metà della lunghezza.[85] Molto particolareggiata è la raffigurazione delle armi. In analogia ai bronzetti, nella schiena risulta scolpita in maniera molto raffinata la faretra.[69][77]

Risulta evidente la presenza di due tipi di arco:

  • uno più pesante avente sezione quadrangolare e costolato;
  • uno di tipo più leggero a sezione cilindrica, forse appartenente a chi utilizzava un armamento misto.

Le milizie nuragiche risultavano infatti composte da arcieri, spadaccini e guerrieri con armamento misto in quanto muniti sia di arco come di spada; questi casi sono evidenti sia nell'ipotesi in cui arco e spada vengono sfoggiati contemporaneamente, come nei bronzetti stile "Uta" (da Uta, luogo del ritrovamento), o quando la spada rimane riposta nel fodero accanto alla faretra mentre l'arciere scocca la freccia.[91]

L'insieme faretra-fodero di spada è visibile in almeno una scultura[92] e trova riscontro tanto nei bronzetti di stile "Uta", quanto in quelli di stile "Abini" (dal Santuario nuragico di Abini, luogo del ritrovamento).[93] L'archeologo Giovanni Lilliu mise inoltre particolare risalto nel confronto tra l'elsa lunata della statua di mont'e Prama e l'elsa a mezzaluna dell'arciere di Santa Vittoria di Serri con il medesimo abito a coda di frac dei pugili di mont'e Prama.[94][95] Il bronzetto d'arciere più corrispondente a quello degli arcieri di mont'e Prama dovrebbe essere l'arciere di Abini.

Sculture di guerriero ricomposte
 
Guerriero nuragico in arenaria, da Mont'e Prama.
 
Corazza e ornamenti del guerriero.
 
Scudo di guerriero.


Guerrieri modifica

Di questa tipologia iconografica – molto rappresentata nella bronzistica – sono stati finora individuati due esemplari, più un terzo incerto, dei quali solo uno in ottimo stato di conservazione. Tuttavia uno scudo ricomposto, non riconducibile ai 3 esemplari suddetti e i numerosi altri frammenti di scudo e (pare) di un torso fan pensare che il numero di guerrieri fosse ancora più elevato.

 
Bronzetto nuragico, guerriero con scudo e spada, Cagliari, Museo archeologico nazionale.

Inizialmente i vari frammenti di scudo rotondo furono attribuiti alle statue di arciere. Solo successivamente, l'impugnatura d'una spada e la somiglianza delle decorazioni geometriche dello scudo ad analoghi motivi presenti nella bronzistica, fecero pensare alla presenza di una o più statue di guerrieri.[96][97] La scultura del guerriero si differenzia da quella dall'arciere fondamentalmente per l'abbigliamento.

La testa in miglior stato di conservazione mostra il tipico elmo cornuto "a bustina", il quale – come pure l'elmo di arciere – doveva senz'altro presentare i tipici corni raffigurati nella bronzistica. Diversi frammenti di piccoli elementi cilindrici sono infatti stati rinvenuti nel corso degli scavi. Alcuni di questi corni – una volta ricomposti – presentano delle piccole sfere nella parte terminale, come in certi bronzetti, sia antropomorfi (in questo caso solo guerrieri e mai arcieri) che zoomorfi.

La statua di guerriero meglio conservata è tra le più suggestive dell'intero complesso. Oltre all'elmo cornuto – i cui corni sono spezzati – si distingue per la presenza di una corazza a bande verticali, corta nella parte posteriore ma robusta sulle spalle e più sviluppata sul petto. In analogia con le corazze visibili nei vari bronzetti, si suppone che il corsetto fosse costituito da bande in metallo applicate al cuoio indurito. Dalla parte inferiore del corsetto fuoriesce un pannello decorato e frangiato.

Lo scudo è rappresentato in maniera molto accurata con disegno a chevron che ricorda i motivi geometrici delle pintadere, e con solcature disposte a raggiera convergenti verso l'umbone.[85] Il bronzetto di guerriero più simile a quelli rinvenuti a monte Prama è quello trovato a Senorbì


Modelli ricomposti
 
Modello in arenaria di nuraghe quadrilobato, da mont'e Prama.
 
Sommità di un modello di nuraghe con cupola in rilievo, da Mont'e Prama.


Modelli di nuraghe modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Nuraghe.
 
Modello in bronzo di nuraghe quadrilobato, da Olmedo, (Museo Sanna, Sassari).

Il sito di mont'e Prama è quello nel quale è stato rinvenuto il maggior numero di modellini di nuraghe. Al centro di restauro di Li Punti è stato possibile ricostruire cinque modelli di nuraghi complessi e venti nuraghi semplici. Quelli rinvenuti a mont'e Prama si caratterizzano per le loro notevoli dimensioni, sino a 1,40 m di altezza per i quadrilobati, e da 13 cm a 70 cm di diametro dei monotorre,[69] oltre che per alcune soluzioni tecniche originali.[32] Unici tra tutti i modelli di nuraghi rinvenuti in Sardegna, le grandi sculture sono modelli componibili nei quali il fusto del mastio è unito alla parte sommitale attraverso un'intercapedine in cui faceva da perno e da legante un'anima di piombo.[32]

Il terrazzo dei nuraghi è stato rappresentato fedelmente e sulla sommità delle torri è stata scolpita una sorta di cupola conica indicante la copertura del vano scala di accesso al terrazzo stesso.[98][99] I vari elementi architettonici delle reali strutture sono stati rappresentati con incisioni; il parapetto del terrazzo - ad esempio - è stato raffigurato tramite una fila singola o doppia di triangoli incisi, ovvero con tratti verticali in stretta analogia con nuraghi miniaturizzati, provenienti da altri siti sardi, come l'altorilievo dal nuraghe Cann'e Vadosu, o il modellino della sala delle riunioni di Su Nuraxi a Barumini.[100]

Anche i grandi blocchi con la funzione di sostegno al terrazzo sono resi nei modelli tramite motivi decorativi. I mensoloni e la loro funzione sono indicati da incisioni o scanalature parallele e i blocchi – che nei siti archeologi si rinvengono copiosi in corrispondenza dei crolli delle parti sommitali – confermano la perfetta corrispondenza dei modelli in questione con l'architettura nuragica dell'Età del bronzo medio e recente.[32]


Betili da Monte Prama
 
betile da Tomba dei Giganti con doppia fila di incavi (cosiddetto oragiana).
 
Frammenti di betili da Monte Prama esposti al Museo di Cagliari.


Betili oragiana modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Betilo.

Il termine betile, dall'ebraico bet-el, ovvero "casa del dio", indica delle pietre sacre di semplice forma geometrica, prive del tutto o quasi di raffigurazione. In analogia al significato religioso rivestito in Oriente, si ritiene come anche per i Nuragici essi potessero rappresentare o la casa del nume, o il dio stesso, in modo astratto e simbolico. Questo suggerisce la loro costante presenza in tutti i luoghi di culto della Civiltà nuragica, dai santuari come Su Romanzesu di Bitti alle tombe dei giganti.

Per tipologia sono suddivisibili in betili conici e betili troncoconici. La distinzione ha rilevanza cronologica essendo i betili troncoconici più recenti in quanto pertinenti alle tombe dei giganti in opera isodoma.[101][102][103] Presso mont'e Prama si rinvennero dei betili troncoconici con incavi di tipo "oraggiana" (o "oragiana").

Secondo l'archeologo Giovanni Lilliu tali incavi potrebbero simboleggiare gli occhi di una divinità che sorvegliava e proteggeva le tombe.[104][105] I betili nuragici sono oggetti simbolici tipici del Bronzo medio e del Bronzo recente nuragico, venendo scolpiti a partire dal XIV secolo. La loro presenza nella necropoli di Mont'e Prama fu spiegata da Giovanni Lilliu tramite due soluzioni alternative: verosimilmente i betili provenivano da una precedente tomba dei giganti andata distrutta, oppure sono la copia di analoghi più antichi, nella volontà dei Nuragici di rimarcare la linea di continuità con la loro tradizione in una sorta di rievocazione nostalgica.[106][107] Attualmente la doppia fila di incavi notata in un betile di Mont'e Prama e non attestata in alcun altro esemplare in Sardegna, fa propendere per una loro produzione coeva alla necropoli, e perciò gli studiosi ritengono che furono realizzati appositamente per il complesso di mont'e Prama.[103]

 
Testa appartenente ad una statua di pugilatore

Tecniche di lavorazione modifica

Al momento esiste un solo studio sulle tecniche scultoree sviluppato da Peter Rockwell in seguito alla conclusione del restauro. Tale analisi è limitata da due problemi di fondo: non esistono statue non finite che possano gettare luce sulle fasi intermedie dell'opera; non esistono statue più antiche di quelle finora scoperte, della cui esistenza è difficile dubitare - osserva Rockwell - in grado di spiegare l'evoluzione dello stile, la maturazione delle abilità artistiche e dunque, da ultimo, l'eccellente tecnica raggiunta.[108] Le sculture, sebbene appaiano primitive nel disegno, sono scolpite con un'abilità propria dei secoli storici più avanzati, proprio per questo, l'esistenza di una statuaria più antica è un presupposto necessario all'esperienza artistica di Mont'e Prama.[108]

Data l'antichità delle sculture, tale maestria stupisce sotto almeno quattro aspetti:

  • il primo aspetto inconsueto è l'assenza di appoggio e di sostegno. Le uniche altre figure scolpite prive di sostegno sono le statue arcaiche greche dei kouroi. A differenza di quelle nuragiche, però, le statue arcaiche greche venivano scolpite in posizione prona, con una piccola base da inserirsi successivamente all'interno di una base quadrata più grande. Quelle di Mont'e Prama, invece, sembrano esser state scolpite in posizione eretta. Osservando la grandezza delle basi quadrangolari, Rockwell desume che queste avrebbero reso difficoltoso la rotazione della scultura in posizione prona. Le statue nuragiche dunque si reggevano unicamente sulle loro caviglie, particolarità che da un lato pone il quesito (data la massa ed il peso della parte superiore) se la statua potesse autosostenersi, ma dall'altro lato : «dimostra una sorprendente esperienza nell'applicazione delle tecniche scultoree» perché furono concepite per auto-reggersi ed esser viste da ogni lato;[109]
Arciere N.5: tecniche scultoree
 
Evidenziati in rosso i segni di gradina; in verde i segni di raschietto; in giallo la lavorazione con scalpello.
 
Per le incisioni degli chevron sul guantone gli studiosi ipotizzano una punta secca.
 
Dettaglio delle parti lavorate con scalpello e raschietto.


  • la seconda particolarità dei Giganti, ossia le parti sporgenti lascia interdetti se pure, per la loro comprensione, ci si avvale ancora una volta del confronto con i kuroi. Nei Giganti - sia nei pugili come negli arcieri - sono le parti aggettanti, "sospese", ad avere grande rilievo. Secondo Rockwell, per riuscire ad ottenerle si dovettero asportare grandi quantità di pietra, accettando e calcolando il rischio che la statua potesse spezzarsi. Gli scultori greci dei kuroi evitarono sistematicamente simili rischi, posizionando le braccia distese sui fianchi e le mani sulle gambe, eliminando qualsiasi arto od oggetto aggettante. Dal confronto Kouroi-Giganti si desumono, dunque, grandi differenze strutturali, differenze che sottolineano le abilità tecniche degli scultori di Mont'e Prama;[110]
  • il terzo aspetto consiste nella precisione dedicata ai dettagli geometrici. Gli occhi sono resi con cerchi concentrici perfetti. Per essi si esclude attualmente l'impiego di un compasso. Pur essendo noto alle popolazioni nuragiche non vi è traccia della punta del compasso al centro dell'occhio. Altrettanta precisione, secondo gli studiosi, fu posta nella realizzazione delle linee parallele, un'operazione apparentemente banale ma la cui difficoltà di realizzazione è in realtà nota solo a chi ha dimestichezza con la scultura. Se ad esempio si osserva la precisa equidistanza tra le incisioni parallele dei guantoni degli arcieri, o delle fasce decorate a chevron, si potrebbe ipotizzare l'utilizzo di un regolo, in ogni caso, tali decorazioni non possono essere scolpite senza grande abilità ed esperienza[111];
  • La precisione e l'abilità del decoro geometrico introducono il quarto aspetto: gli strumenti utilizzati per la creazione delle statue e le loro decorazioni. Le tracce lasciate nelle sculture indicano l'impiego di strumenti senza paragoni in culture coeve, comparabili solo all'armamentario degli scultori moderni.[112] Le tracce dimostrano l'impiego della gradina a sei denti. L'uso di tale strumento è visibile nel lato interno del braccio dell'arciere numero cinque; essa fu utilizzata per portare il lavoro quasi al livello finale in un numero indeterminabile di statue, giacché i segni della gradina sono eliminati dalle successive fasi di lavorazione. La gradina è normalmente usata dopo la subbia per definire la forma della statua. Dopo la gradina si suppone che gli scultori intervengano normalmente con lo scalpello, ma nel caso dei Giganti, anziché lo scalpello parrebbe essere stato usato un abrasivo per le rifiniture; lo scalpello fu comunque ampiamente utilizzato per rifinire vari dettagli.[110] Nel frammento di braccio numero 1.809 si presentano dei fori che possono essere stati creati grazie ad un trapano o ad uno strumento denominato "ferro tondo". In epoca greca arcaica non è noto l'utilizzo del trapano, impiegato invece dagli Egizi. Altri frammenti, ma stavolta di modelli di nuraghe, presentano dei fori molto più profondi, la loro realizzazione è ritenuta ardua senza l'impiego di un trapano. Se così fosse è possibile ipotizzare l'utilizzo del trapano ad archetto[113]. Sempre dal frammento di una mano di arciere, si deduce l'uso di un raschietto, da non confondersi con la gradina. La differenza tra i due strumenti si evince dalla lunghezza delle linee incise, dalla mancanza di qualsiasi segno di percussione propri della gradina e dal fatto che lo strumento venne utilizzato "avanti e indietro" sulle superfici. Secondo gli studiosi occorre tuttavia essere cauti nell'attribuire l'uso del raschietto ai Nuragici poiché in altre aree non è conosciuto prima del II secolo a.C..
strumenti nuragici
 
Compasso nuragico. Museo Sanna, Sassari.
 
Da sinistra a destra: punta di scalpello e di trapano da vari siti nuragici. Museo nazionale di Cagliari.


Anche in questo caso è difficile ipotizzare quale altro strumento possa aver lasciato simili tracce. Malgrado la mancanza di evidenze sull'impiego di raschietto e gradina in culture coeve, poiché: «"non è possibile immaginare un altro strumento che abbia prodotto segni simili (...) si può pertanto prendere in considerazione la possibilità che gli strumenti dentati, quali il raschietto e la gradina, furono di fatto inventati dagli scultori di Mont'e Prama"» [114]. L'uso di un abrasivo è invece segnalato nella testa del pugilatore numero quindici e dell'arciere numero cinque. Forse la pomice, presente in Sardegna, di un abrasivo si dovette naturalmente fare un impiego esteso su tutte le statue.

In sintesi, le tecniche di lavorazione impiegate sui Giganti prevedevano probabilmente che la pietra utilizzata per le sculture fosse un bio calcare tenero di cui non è possibile ancora conoscere il grado di durezza della pietra, a meno di non provare a scolpirle.

Su di esso si agiva in almeno quattro distinte fasi di lavorazione:

  • una fase di sbozzatura tramite la subbia con il blocco già in posizione verticale. Tramite la subbia si rimuoveva la pietra per far emergere la scultura. L'impiego di tale strumento è provato nella base del modello di nuraghe numero undici;
  • una fase di lavorazione attraverso uno strumento simile alla gradina, sin quasi al livello finale dell'opera, come ad esempio nel braccio di arciere numero cinque;
  • in una fase successiva doveva essere impiegato un abrasivo, oppure un raschietto, come ad esempio nella mano di arciere nel frammento numero 1.678;
  • per ultimo si interveniva con scalpelli ad angoli vivi e delle più svariate dimensioni per la rifinitura oppure con una punta secca, per i dettagli più delicati.

Problema della datazione modifica

La data di realizzazione delle statue è il principale problema concernente il sito di Mont'e Prama, ma non meno importanti sono le implicazioni storiche che possono derivare dall'accertamento sicuro della data di distruzione e abbandono.

Le indagini scientifiche risalenti al lontano 1979 non hanno risolto tali problemi e ancora dubbi vengono sollevati nonostante le ultime (2015) datazioni al radiocarbonio.

Datazione assoluta degli inumati modifica

Le attese datazioni al carbonio-14 effettuate su tre inumati nella necropoli di Mont'e Prama, supportano le posizioni rialziste di studiosi come Vincenzo Santoni e Fulvia Lo Schiavo. La datazione assoluta offre un contributo fondamentale alla comprensione del sito perché mette a disposizione dei ricercatori un dato cronologico oggettivo ed affidabile in grado di superare le ipotesi basate esclusivamente su fattori formali, ipotesi predilette un tempo dagli storici dell'arte ma mancanti quasi sempre della necessaria oggettività e riproducibilità.[115] . Il sito prima di allora era stato datato attraverso il metodo dello scavo stratigrafico (in alcune aree limitate) e dei reperti rinvenuti (bronzetti, ceramiche, scarabeo e fibula). Secondo lo studioso Marco Lazzati: «..la stratigrafia archeologica fornisce in ogni caso solamente datazioni relative, indicando in quale ordine si sono verificati gli eventi, senza dirci tuttavia "quando" questi hanno avuto luogo.»[116]

La datazione delle statue tramite i resti ossei è consentita dalla presenza di numerosi frammenti scultorei nelle tombe della fase più recente. Al di sopra della lastrina che sigillava le ossa, sono stati individuati un frammento di scudo di guerriero (tomba numero sei) e un dito di statua (tomba numero ventotto); altri frammenti di biocalcare pertinenti a statue o modelli di nuraghe) sono stati rinvenuti nelle tombe numero quattro, sei, ventiquattro, venticinque, ventisei, ventotto, ventinove, trenta, I-bis, due-bis del "settore Tronchetti".[117]

Nel "settore Bedini" si recuperarono frammenti scultorei al di sopra delle tombe della fase più recente, ma non al loro interno, a causa, probabilmente, degli sconvolgimenti effettuati nottetempo da scavi clandestini mentre gli stessi scavi ufficiali erano in corso. Tuttavia nello stesso settore fu rinvenuto un frammento scultoreo, probabilmente di un modello di nuraghe, inserito entro la tomba a pozzetto i della fase più antica della necropoli.[118] Avendo ritrovato in tombe sigillate la presenza di scarti di lavorazione delle statue, indica - secondo gli studiosi - una maggiore antichità delle statue stesse rispetto alle sepolture.

Le analisi sono state effettuate sui resti ossei di tre individui, le cui tombe (la numero otto del "settore Bedini" e le tombe numero uno e venti del "settore Tronchetti") appartengono, tutte, alla fase più recente della necropoli, fase nella quale - secondo gli stessi scavatori del sito - Mont'e Prama venne monumentalizzato con l'apposizione delle statue.[119]

Il metodo del C.14 è stato applicato a campioni di collagene scarso dal punto di vista quantitativo, ma ottimo dal punto di vista qualitativo. Tutti i campioni presentano un rapporto carbonio - azoto (C/N) ottimale di 3.2 o 3.3 che essendo all'interno della forbice 2.9 - 3.6 indica collagene "non degradato ne contaminato".[120]

A conferma della estrema affidabilità del materiale si sottolinea che il δ13C[121] misurato presso l'Università di Groninga è risultato in due casi identico a quello misurato dalla Università di Cambridge. In un caso, quello della tomba venti "settore Tronchetti", la discrepanza è risultata appena dello 0,2%. Anche i valori dei sub-campioni prelevati non mostrano discrepanze tali da mettere in evidenza dei problemi.[120]

Il problema delle datazioni calibrate di Mont'e Prama è l'assenza di resti di animali; questi consentirebbero infatti di misurare la distanza tra fonti di proteine (animali consumati) e coloro che se ne nutrono (consumatori umani). Pertanto, l'entità del consumo di proteine animali e terrestri può essere stimato solo con approssimazione.

Da quanto emerso in queste ultime ricerche, esiste la concreta possibilità che gli individui del "settore Tronchetti" consumassero alimenti di origine marina. Dinanzi a tali problemi gli studiosi hanno calibrato le datazioni C.14 sia considerando il consumo minimo di proteine animali che il consumo massimo di cibi d'origine marina. Questo perché il C.14 di origine marina degradando più velocemente delle proteine di origine animale terrestre necessita di curve di calibratura differenti dal C.14 terrestre[122].

Ne risulta che ove l'individuo datante il "settore Bedini" avesse consumato esclusivamente alimenti di origine terrestre, la tomba numero otto potrebbe risalire alla fine del XII secolo a.C., configurandosi come la più antica del complesso fin qui indagato. Se invece si assume che il medesimo inumato consumò anche prodotti di origine marina, la conseguente calibrazione rende la tomba numero otto virtualmente contemporanea alla tomba numero uno del "settore Tronchetti". Il dato sicuro è che le tre tombe sono da datarsi comunque tra l'XI secolo a.C. e il IX secolo a.C. [123]

In base alla curva standard basata su ecosistemi terrestri (Intcal90) le stime collocano le tre tombe datate entro un range 1123-824 a.C. Più precisamente la tomba otto del "settore Bedini" ricade entro il XII-X sec. a.C, la tomba uno del "settore Tronchetti" tra fine XI e seconda metà de IX secolo a.C. e la tomba venti del "settore Tronchetti" tra inizio X e seconda metà del IX secolo a.C.

Contesto
archeologico
Data BP
(before present)
Range di calibrazione
(su dieta terrestre 1σ)
Range di calibrazione
(su dieta terrestre 2σ)
Datazione
assoluta
Tomba n.8
("settore Bedini")
2825 ± 35 1014 - 924 (Prob.: 1.000) 1113 - 1099 (Prob.: 0.016)

1089 - 900 (Prob.: 0.984)

XII - X secolo a.C.
Tomba n.1
("settore Tronchetti")
2780 ± 35 996 - 987 (Prob.: 0.062)

980 - 896 (Prob.: 0.910)

864 - 861 (Prob.: 0.027)

1008 - 838 (Prob.: 1.000) XI - IX secolo a.C.
Tomba n.20
("settore Tronchetti")
2775 ± 35 925 - 840 (Prob.: 1.000) 996 - 987 (Prob.: 0.019)

980 - 824 (Prob.: 0.981)

X - IX secolo a.C.
Contesto
archeologico
% max di Carbonio
(di origine marina)
Range di calibrazione
su dieta mista 1σ
(terrestre-marina)
Range di calibrazione
su dieta mista 2σ
(terrestre-marina)
Tomba n.8
("settore Bedini")
20.00 973 - 957 (Prob.: 0.146)

940 - 889 (Prob.: 0.564)

880 - 846 (Prob.: 0.290)

1004 - 830 (Prob.: 1.000)
Tomba n.1
("settore Tronchetti")
3.75 972 - 959 (Prob.: 0.121)

937 - 889 (Prob.: 0.540)

881 - 844 (Prob.: 0.339)

1000-832 (Prob.: 1.000)
Tomba n.20
("settore Tronchetti")
12.50 894 - 866 (Prob.: 0.380)

861 - 819 (Prob.: 0.620)

921 - 802 (Prob.: 1.000)

Nonostante l'affidabilità del collagene utilizzato e la severità delle procedure utilizzate sono sorte delle controversie anche in merito a tali dati:

  • secondo lo studioso Luca Lai, le recenti datazioni al C.14 imporrebbero una: «"modifica dei presupposti delle interpretazioni correnti del sito".»[124];
  • per gli archeologi Marco Minoja e Carlo Tronchetti, il metodo del C.14 da solo non è sufficiente: «" per modificare un sistema funzionante e collaudato, basandosi solo su dati parziari che non portano a costruire un sistema alternativo coerente".»[125];
  • per l'archeologa Luisanna Usai: «"se si dovesse accettare la stretta connessione statue-sepolture ed in particolare quelle della necropoli Tronchetti, stando alle datazioni radiometriche calibrate, le sculture si dovrebbero datare al XI-X secolo a.C."».[126]
 
Museo archeologico nazionale di Cagliari: Il Bronzetto raffigurante il "Sacerdote-Guerriero", ritrovato presso Vulci.

Rapporto cronologico e stilistico tra le statue ed i bronzetti modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Bronzetti sardi.

«Il rapporto linguistico è così stretto, tra statue e statuine, da far ritenere che le seconde siano riproduzioni in piccolo delle prime e che ci sia stato un intreccio continuo, una comunicazione permanente, nella cultura artistica del tempo, tra scultori in pietra ed artigiani del bronzo.»

A partire dalle considerazioni dell'archeologo Giovanni Lilliu sul rapporto tra statue e sui bronzetti, in campo archeologico è molto acceso il dibattito tra coloro che attestano l'inizio della produzione bronzistica a partire dall'età del Ferro, ed in particolare dal IX secolo a.C., ed i sostenitori della produzione dei bronzetti a partire dal 1100 a.C. al 1000 a.C. come dimostra la stratigrafia del Pozzo sacro di Funtana Coberta a Ballao (CA).[127][128][129] Quest'ultima datazione è corroborata anche dai rinvenimenti effettuati durante la campagna di scavi riguardante la tomba dei giganti di Orroli, non molto distante dal nuraghe complesso di Arrubiu, dove in un contesto archeologico integro sono stati rinvenuti bronzetti datati tra il XIII secolo a.C. e il XII secolo a.C..[130]

Data la strettissima somiglianza tra bronzetti e statue sorge il dilemma se le statue furono d'ispirazione ai bronzetti – risultando in tal caso più antiche – oppure se i bronzetti siano – nella loro maggiore antichità – il modello che l'aristocrazia nuragica impose agli artigiani: in tal caso le statue sarebbero molto meno antiche dei bronzetti.

Tali divergenze tra studiosi non sono risolte dal rinvenimento delle nuove statue di pugili paragonabili al "sacerdote-guerriero" di Cavalupo di Vulci. Al riguardo si possono distinguere due opposte tendenze di pensiero:

  • Per una parte degli studiosi il bronzetto di Cavalupo di Vulci è la pietra angolare a cui ancorare la datazione dell'intera produzione nuragica. Esso infatti fu rinvenuto in un contesto chiuso datato tra il IX ed lo VIII sec. a.C e poiché, finora, in Sardegna non sono state effettuate altre datazioni assolute in contesti chiusi, la piccola statua di Cavalupo è riferimento cronologico principale per tutte le statue bronzee rinvenute nei contesti dell'Isola.[131][132]
  • Un altra parte degli studiosi ritiene che il bronzetto di Cavalupo di Vulci "rappresenti solo un generico terminus ante quem per la cronologia del bronzetto" ;[133] esso costituisce sì un "contesto chiuso" ma anche un "falso contesto" - nel senso di falsificare la datazione di tutti gli altri bronzetti - poiché, la produzione e l'esportazione dalla Sardegna all'Etruria avvennero in tempi ben più antichi rispetto alla sua deposizione nella tomba di Vulci.[134]

In ogni caso - secondo l'archeologo Marco Rendelli - la stretta relazione stilistica tra bronzetti e Giganti depone per il fatto che le due forme d'arte debbano essere, almeno parzialmente, contemporanee.[46]

Lo scarabeo di Mont'e Prama
 
Lo scarabeo e la fibula da Mont'e Prama, esposti presso il Museo archeologico di Cagliari.
 
dettagli dello scarabeo.


Lo Scarabeo egizio della tomba numero venticinque modifica

Di un primo tentativo di datazione dello scarabeo rinvenuto a Mont'e Prama è autore l'archeologo Carlo Tronchetti. Le errate supposizioni sul materiale, ritenuto essere di osso o avorio, l'attribuzione alla categoria degli scaraboidi pseudo Hyksos, indussero lo studioso a datare erroneamente il manufatto al VII secolo a.C. Recenti analisi hanno dimostrato infatti come il manufatto sia fatto di pietra talcosa cotta e invetriata, ascrivendolo alla produzione tipica del Nuovo Regno.[135]

È dibattuta l'interpretazione del motivo iconografico posto alla base del manufatto. Per alcuni studiosi si tratterebbe della stilizzazione di un fiore di loto; per altri le incisioni rientrano nella decorazione ad "encompassed central x cross". In ogni caso, anche la decorazione, non è raffrontabile con quella degli scarabei fenici o egiziani ed egittizzanti dell' VII - VI secolo a.C.;[136] essa trova i più stringenti confronti con un altri due esemplari provenienti da Tall al-Ajjul oppure Tell el Far'ah (S) in Palestina.[137] Entrambi i predetti siti palestinesi furono interessati dalla presenza egizia e di mercenari Micenei e Shardana[138][139]

Quello di Mont'e Prama non è l'unico scarabeo egizio rinvenuto in un contesto nuragico: ne sono stati rinvenuti infatti anche presso il Nuraghe Nurdole ad Orani[140], nell'abitato di Sant'Imbenia ad Alghero[141] e presso il Complesso nuragico di S'Arcu 'e Is Forros a Villagrande Strisaili[142]

Secondo gli studiosi occorre sottolineare la generale inaffidabilità degli scarabei ai fini della cronologia dei siti e dei monumenti in cui furono deposti. Sono numerosi i casi documentati di scarabei rimasti in circolazione anche per quasi un millennio dalla data di produzione, come ad esempio gli scarabei del Nuovo Regno rinvenuti a Cartagine.[143]

Le ceramiche di Mont'e Prama modifica

La datazione dei frammenti ceramici rinvenuti nella necropoli di Mont'e Prama è controversa a causa della generale difficoltà nel distinguere il vasellame appartenente all'Età del bronzo finale da quello dell'Età del ferro nuragica. Infatti nei pozzi sacri, megara, santuari e grotte sacre, sono compresenti tanto i reperti del periodo della fondazione (1350 - 1200 a.C.), quanto quelli del Bronzo finale (1200 - 950 a.C.) che purtroppo inquinano gli strati dell'Età del ferro.[144].

Rinvenuto presso una delle tombe più antiche del settore scavato dall'archeologo A. Bedini a sua volta costituente la parte più antica della necropoli, è un vaso miniaturistico, confrontato dall'archeologo G. Ugas con un'altra miniatura proveniente dal santuario di Santa Vittoria di Serri e pertanto datato all'VIII secolo a.C.[145]

Tale raffronto è criticabile in quanto il vasetto di Santa Vittoria presenta anse ad X, mentre la miniatura di Mont'e Prama presenta anse a bastoncello trovando migliori confronti con numerosi esemplari del Sinis e di Cabras, sia da località sconosciuta, sia da contesti scientificamente indagati come la grotta Su Pirosu Benatzu a Santadi, del nuraghe Sianeddu (Sinis di Cabras), il pozzo sacro nuragico di Cuccuru S'Arriu (Prima Fase) a Cabras e della tomba dei giganti di Sa Gora'e sa Scafa (Cabras); tali contesti, ed i loro vasi miniaturistici sono databili al Bronzo recente.[146][147]

Sia gli scodelloni carenati che gli scodelloni a labbro convesso rinvenuti nella parte di necropoli scavata dall'archeologo C. Tronchetti, ritenuta meno antica della porzione scavata da A. Bedini, possono appartenere tanto al Bronzo finale che alla prima Età del ferro.[148] L'archeologo G. Ugas pur riconoscendo al Bronzo finale l'inizio di tale produzione vascolare, ritiene preferibile datare i manufatti di monte Prama all'Età del ferro.

Di opposto avviso è sempre l'archeologo Vincenzo Santoni, per il quale l'insieme delle ceramiche ritrovate a Mont'e Prama trova sicuri riscontri in numerosi altri abitati nuragici del Sinis e di Cabras (Nieddu, Crichidoris, Muras, Riu Urchi), presso depositi votivi (di Corrighias e di Sianeddu), in recenti rinvenimenti presso Tharros ad opera dell'archeologo E. Acquaro, presso il nuraghe Cobulas di Milis, tutti databili al Bronzo finale[149]. Sia per Ugas che per Santoni le ceramiche di Prama trovano preciso confronto nei reperti fittili nuragici rinvenuti presso il castello di Lipari; un sito già frequentato dai Nuragici durante il c.d Ausonio I nel Bronzo recente[150] ma che, per quanto riguarda le forme vascolari, presenta più puntuali paragoni col sito di monte Prama nella fase del c.d Ausonio II del Bronzo finale.[151]

 
Modello in arenaria di nuraghe quadrilobato, da Mont'e Prama.

Datazione relativa ed assoluta dei modelli di nuraghe modifica

Per i modelli di nuraghe le difficoltà di datazione - e le conseguenti controversie tra studiosi - sono analoghe a quelle per bronzetti e ceramiche.

I modelli di Mont'e Prama - secondo l'archeologo Alessandro Bedini - sarebbero stati scolpiti in un periodo precedente quello delle grandi statue, ma comunque non prima del IX secolo a.C.[152][153]

Altri studiosi - ritenendo equivoca tale proposta - assegnano i modelli di Mont'e Prama al X secolo a.C., durante la fase terminale dell'Età del bronzo.[154] Quest'ultima ipotesi ha recentemente ricevuto sostegno nell'unica datazione al C14 disponibile per tali oggetti.

Durante gli scavi entro la torre D del nuraghe Arrubiu di Orroli, furono trovate delle ghiande nella medesima stratigrafia in cui fu rinvenuto un modello di nuraghe in basalto. Gli esami al C.14 eseguiti presso l'università di Madrid datano tale livello di frequentazione tra il 1132 a.C. ed il 1000 a.C.[154][155] Tale datazione assoluta parrebbe confermata dagli scavi effettuati nel complesso cultuale di Matzanni presso Vallermosa (Cagliari). In questo sito il pozzo sacro A racchiudeva un modello di nuraghe, un ariete e dei piedi umani di un bronzetto, in un contesto del pieno Bronzo finale.[154][156]

Data della distruzione modifica

La data della distruzione (o la data di formazione della discarica) è determinata dalla presenza di vari frammenti di anfora punica al di sotto di un busto di arciere, e di altri frammenti di statue nelle parti più profonde della discarica e pertanto più antiche, fatto che esclude una loro infiltrazione in periodi successivi.

I frammenti punici sono databili con certezza alla fine del IV secolo a.C. o inizi del III secolo a.C.; il frammento ceramico punico costituisce il limite cronologico ante quem non.[42]

Nei pressi del nuraghe s'Uraki, nel pozzo sacro di Banatou a Narbolia, fu rinvenuto un frammento di statua insieme a statue votive puniche e ceramiche miste puniche e nuragiche, ma purtroppo le difficoltà nelle quali lo scavo si svolse non consentono una datazione affidabile del reperto.[157]

 
Insediamenti nuragici nella penisola del Sinis e nel Montiferru

Contesto archeologico e problematiche storiche modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Civiltà nuragica, Micenei, Filistei, Fenici e Shardana.

Essendo ancora imprecisato l'esatto periodo nel quale le sculture vennero create, i fermenti culturali che portarono all'ideazione delle statue debbono essere inquadrati in un ampio lasso di tempo compreso tra il XI secolo a.C. e l'IX secolo a.C., ovvero il periodo tra il Bronzo finale e l'Età del ferro. In ogni caso tali sculture sono ritenute figlie di un'età della trasformazione della civiltà nuragica con salde radici nell'età del tardo Bronzo o bronzo finale.[158]

In questo periodo la penisola del Sinis – come l'intero golfo di Oristano – fu una importante area economica e commerciale, come attesta l'alta densità di monumenti nuragici esistenti: sono almeno 106 quelli censiti nella zona ed appartenenti a tutte le tipologie conosciute, dalle tombe dei giganti ai pozzi sacri, ai nuraghi.[36][46][159] In piena età nuragica tale numero dovette essere molto più elevato, visti gli intensivi lavori agricoli che lungo i secoli portarono alla distruzione di numerosi monumenti.[34] Per comprendere meglio l'importanza del Sinis occorre inoltre far presenti i suoi stretti collegamenti al Montiferru ed alle sue risorse minerarie che fecero dello stesso Sinis un importante centro dedito alla produzione metallurgica[34]

 
Lingotto a pelle di bue da Nuragus in provincia di Cagliari
 
Bassorilievo sulla facciata del secondo pilone del tempio funebre a Medinet Habu, di Ramesse III, raffigurante prigionieri filistei.

A partire dal XIV sec. a.C. nel Sinis, come altrove in Sardegna, si registra la presenza di ceramica micenea, in parte di produzione nuragica.[160] In base alla ceramica egea e data la grande antichità dei rapporti tra Creta e Sardegna, alcuni archeologi ipotizzano la presenza Filistea durante il XIII secolo a.C. lungo le coste sarde[161]. L'archeologo Bartoloni indica nel ritrovamento di un frammento fittile, paragonato ai sarcofagi rinvenuti in Palestina e datati all'età dei Popoli del Mare, la prova delle presenze filistee nel Golfo di Oristano e dunque nel Sinis.[162] Tuttavia tali ipotesi sono state fortemente criticate in ragione delle diverse dimensioni - non indicate da Bartoloni - tra il frammento del Sinis ed i sarcofagi palestinesi e di migliori confronti stilistici.[163][164]

In questo medesimo torno di tempo inizia tra Cipro e la Sardegna il commercio di lingotti di rame a pelle di bue (oxhide ingots) provenienti da Cipro.[165] Lo scambio di lingotti perdurerà per tutto il Bronzo finale.

Durante il Bronzo finale la società nuragica risulta in veloce trasformazione: non vengono più costruiti nuovi nuraghi, molti vengono abbandonati o trasformati in templi, non si costruiscono più neppure tombe dei giganti anche se molte di loro continueranno ad essere utilizzate nei secoli successivi. Uguale fenomeno si verifica per i pozzi sacri ed altri luoghi di culto, alcuni vengono abbandonati, altri invece mostrano una sostanziale continuità di vita tra l'Età del bronzo finale e l'Età del ferro. Non ci sono invasioni, né segni di guerra tra popolazioni nuragiche, mancano completamente indizi di incendio. Pertanto questi importanti mutamenti vengono attribuiti a fattori interni che a loro volta determinarono un graduale cambiamento e riassetto sociale e territoriale entro la società nuragica stessa.[129][166]

Un altro fattore non marginale di cambiamento sociale furono gli intensi viaggi transmarini effettuati dai Nuragici verso varie località del Mediterraneo. Tali segnalazioni – inerenti al lungo arco cronologico che va dal Bronzo recente a tutta l'Età del ferro – sono in costante aumento sia grazie a nuovi ritrovamenti, sia al progredire degli studi in quanto la ceramica nuragica – spesso classificata entro la variegata barbarian ware – è stata come tale riposta e conservata nei depositi dei musei senza ulteriori studi e approfondimenti.[167] Per mezzo della loro tipica ceramica sono registrate presenze nuragiche a: Gadir, a Huelva, a Camas (El Carambolo), nelle Baleari, in Etruria, a Lipari, nell'area di Agrigento (Cannatello).[168] Di rilievo è la presenza di ceramica nuragica del XIII secolo a.C. a Creta presso il porto di Kommos, ed a Cipro presso la fortificazione di Pyla-Kokkinokremnos, temporaneamente occupata da mercenari appartenenti ai Popoli del Mare.[169]

Gli enigmatici rapporti tra Sardegna e Vicino Oriente appena descritti possono rientrare nel più ampio problema relativo all'identificazione dei Nuragici con gli Shardana, uno dei Popoli del Mare che in qualità di mercenari parteciparono a diversi conflitti contro l'antico Egitto e frequentemente associati alla Sardegna anche per via dei confronti tra le figure di guerrieri presenti nella bronzistica nuragica e i guerrieri raffigurati nei templi egizi. Gli studiosi sono ancora divisi se ritenere gli Shardana originari della Sardegna o se vi siano giunti successivamente alla loro sconfitta dagli Egizi.[170]

 
Decimoputzu, bronzetto nuragico: elmo confrontato al cimiero filisteo.[171]
(EN)

«From the similarity between the words Shardana and Sardinia scholars frequently suggest that the Shardana came from there. On the other hand, it is equally possible that this group eventually settled in Sardinia after their defeat at the hands of the Egyptians (...) In P. Harris, the deceased Ramesses III declares that Shardana were brought as captivites to Egypt, that settled them in strongholds bound in my name, and that he taxed them all (...) this would seem to indicate that the Shardana had been settled somewhere (...) no further away froom Caanan. This location maybe further substained by the Onomaticon of Amenemope, a composition dating to ca. 1100 BC, which lists the Shardana, among the Sea Peoples who were settled on the coast there. If is the case, then perhaps the Shardana came originally from Sardinia and were settled on the coastal Canaan. However,the Shardana are listed – in P. Wilbour – as living in Middle Egypt during the time of Ramesses V, wich would suggest that at least some of them were settled in Egypt.»

(IT)

«A causa della somiglianza tra le parole Shardana e Sardegna, gli studiosi hanno frequentemente ipotizzato che gli Shardana provenissero dalla Sardegna. D'altro canto è ugualmente possibile che questo gruppo arrivò in Sardegna dopo la sconfitta per mano egizia. Nel papiro Harris, Ramesse III dichiara che gli Shardana furono condotti in cattività in Egitto e stanziati in fortezze di confine sotto il suo nome e che furono tutti tassati (...) questo parrebbe indicare che gli Shardana fossero insediati in qualche luogo (...) non troppo distante da Caanan. Questa ubicazione sembrerebbe convalidata anche dall'Onomastico di Amenemope, un'opera datata al 1100 a.C. che elenca gli Shardana stanziati nel litorale cananeo. In questo caso, probabilmente gli Shardana vennero originariamente dalla Sardegna per stanziarsi nel litorale di Caanan. Tuttavia sono nuovamente elencati nel papiro Wilbour come abitanti del medio Egitto, durante il periodo di Ramesse V e ciò suggerisce come almeno alcuni di loro furono stanziati in Egitto.»

Pertanto tra il XII e il IX secolo a.C. la Sardegna risulta collegata a Canaan, alla Siria e a Cipro da almeno quattro correnti culturali:

  • le prime due sono le più antiche e di carattere esclusivamente commerciale, e possono definirsi in via ipotetica come corrente siriana e filistea;
  • dal IX secolo a.C. in poi si affacciarono in Occidente la terza e quarta corrente. Tra queste una si può definire cipriota-fenicia, in quanto composta da genti provenienti sia da Cipro che dalle città fenicie; essa ebbe relazioni con la Sardegna ma soprattutto porterà alla nascita di Cartagine. La quarta è quella che coinvolse maggiormente l'Isola a partire dallo VIII sec. a.C.,[172] con l'urbanizzazione di importanti centri quali Tharros, Othoca e Neapolis.[173][174][175]

La trasformazione di questi centri costieri costituiti da una forte presenza della aristocrazia nuragica – come dimostrato dai corredi funerari – e da sporadiche presenze mercantili di origine levantina contribuì non poco a cambiare il volto dell'Isola e della Civiltà nuragica, sino all'invasione cartaginese. Tuttavia è certo che ancora nel VII secolo a.C. il Sinis ed il golfo di Oristano erano saldamente dominati da aristocratici nuragici[176][177] e che la fine di tale dominio per mano dei Cartaginesi coincida precisamente nel momento in cui le sculture dei Giganti furono abbattute e distrutte.[178]

Aspetti ideologici del complesso monumentale modifica

In generale gli studiosi vedono nel complesso di mont'e Prama l'autocelebrazione di una élite aristocratica nuragica e dei suoi ideali guerrieri ed eroici.[179]

La collocazione strategica entro il golfo di Oristano mirerebbe a veicolare nei frequentatori stranieri, in particolare nei Fenici della Sardegna un messaggio di dominio e di potere sull'Isola.[81]

La presenza dei modellini di nuraghe in relazione alle statue è da leggersi ad un tempo come affermazione dell'identità nuragica, e come simbolo sacrale. Come simbolo identitario i vari modelli di nuraghe scolpiti intorno al X secolo a.C.[32] sarebbero un vero e proprio totem del mondo nuragico[180] oltre che un simbolo di potere al pari delle statue; i modelli sono infatti presenti nelle grandi sale consiliari di numerosi nuraghi, tra i quali su Nuraxi a Barumini.

Come simbolo sacrale, potrebbero aver assolto sia alla tutela dei morti della necropoli, sia ad una funzione rituale, data la loro presenza come altari in tutti i grandi santuari.[32][181] L'ambivalenza sacrale e politica, la raffigurazione del nuraghe in oggetti della sfera quotidiana come bottoni, lisciatoi e altro, documenta attraverso i cosiddetti modellini, un vero e proprio culto del nuraghe.[48] Se esiste generale consenso circa i valori e l'ideologia specchiati dal monumentale complesso, non altrettanto può dirsi circa le implicazioni politiche e le influenze artistiche.

Per quanto riguarda le implicazioni politiche, alcuni studiosi vedrebbero nel grande numero di pugili rispetto all'esiguo numero di guerrieri un segno della decadenza militare e politica nuragica anche causata dalla fondazione dei centri fenici in Sardegna. Questo si rifletterebbe nell'importazione e adozione di modelli ideologici levantini e la collocazione della statuaria nuragica nel periodo orientalizzante, il quale, dall'VIII sec. a.C. in poi investiva tutto il Mediterraneo.[81][182]

Le attuali (2012) ricerche hanno tuttavia mostrato come le teorie che facevano coincidere la fine del mondo nuragico con l'arrivo dei Fenici e la loro colonizzazione della Sardegna siano da rivedere: i Fenici del IX sec. a.C. giunti in Sardegna furono poco numerosi, si disseminarono lungo le coste e tesero a cooperare con i Nuragici – in quel periodo all'apice della loro civiltà – i quali continuarono a gestire i porti e le risorse economiche dell'isola.[183]

Per l'archeologo Giovanni Lilliu le statue non furono erette in un periodo di decadenza politica, ma nel periodo di una grande rivoluzione aristocratica, economica e politica, durante la quale le sculture riflettono una condizione politica indipendente e sovrana.[179] Inoltre lo stile geometrico "Abini-Teti" esclude la collocazione delle statue nell'ideologia e nel periodo orientalizzante riscontrabile solo nella bronzistica del VII secolo a.C..[48][184] Per cui è giusto parlare di un filone artistico protosardo orientale, ma non di un filone protosardo orientalizzante.[185] Per Giovanni Lilliu le statue appartengono ad un climax artistico e politico indigeno quasi urbano.[186] Tutte queste differenze di vedute sono largamente causate dal problema cronologico.[48]

Note modifica

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  3. ^ Is Istatuas de Mont'e Prama nella variante locale della lingua
  4. ^ Particolari betili con incavi quadrangolari nella parte superiore. Devono il loro nome alla tomba dei giganti di Oragiana, Cuglieri (OR). Fanno parte della categoria dei betili "a mammellari" e betili "ad oculari" a secondo che mostrino in rilievo delle bozze tipo mammelle (Tomba dei giganti di Tamuli) o invece dei fori circolari o quadrangolari (Tomba dei giganti Oragiana). Quelli rinvenuti a monte Prama sono a doppia fila di incavi.
  5. ^ a b Valentina Leonelli, Luisanna Usai, Restauri Mont'e Prama, il mistero dei giganti, su Archeo. Attualità del passato, 323, gennaio 2012, Archaeogate, 2012, 20-33. URL consultato il 30 marzo 2012.
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  9. ^ a b Quilichini Cesari (2012).
    «Le premier critère de comparaison entre les deux ensembles considérés tient en un équilibre assez similaire dans le traitement des différents éléments constituant le visage, avec une représentation assez proche du bloc nez-arcades malgré les potentialités plastiques très différentes proposées par le granite et le bronze coulé à la cire perdue. (...) Statues-menhirs et bronzetti constituent un chapitre particulier de la longue histoire des relations corso-sardes. Leur degré de ressemblance/dissemblance et en avant des identités distinctes quoique voisines et baignant dans un creuset culturel plus large.»
  10. ^ De Lanfranchi (2002), p. 354. «Pour nous, la sculpture en relief sur une statue ne peut être faite qu'avec des outils en métal et l'émergence de ce mode de sculpture sur statues se situerait au Bronze moyen de la Corse (notamment les longues épées représentées sur les stèles non anthropomorphes). La perduration des statues jusqu'au Bronze final, voire au début de l'Âge du Fer, se traduit nécessairement par les représentations d'armes différentes.» Traduzione: "Per noi la scultura in rilievo su una statua non può che essere fatta con degli utensili in metallo e il nascere di questa maniera di scolpire le statue si colloca nel Bronzo medio della Corsica (ossia le lunghe spade rappresentate sulle stele non antropomorfe). Il perdurare delle statue fino al Bronzo finale e all'inizio dell'Età del ferro si traduce necessariamente con la rappresentazione di armi differenti".
  11. ^ Lilliu (2007), p. 1728.
  12. ^ Lilliu (1999), p. 98. «Su d'uno dei cinque betili troncoconici della tomba dei giganti di Nurachi-Sédilo (altezza da 1,40 a 1,43 m, diametro basale da 83 e 87 cm, superiore da 51 a 58 cm) si osservano due linee incise orizzontali sovrapposte: includevano forse un viso umano dipinto. Meno oscuro un betilo da San Pietro di Golgo-Baunei (fig. 100), alto 1,21 m. A 36 cm sotto la sommità piatta, si rileva un volto antropomorfo con gli essenziali tratti fisionomici di occhi, naso e bocca. Il contorno, morbido, sfuma nel fondo della pietra, quasi vi si connaturasse. L'aniconico fa una sorvegliata concessione all'iconico limitato a puro sema. Sa di maschera applicata sul pilastro: una tête coupée, anomala, nella sua posizione mediana, rispetto a quella in alto, normale, delle statue-menhir.»
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  75. ^ Tipo di decorazione costituita da una serie di segni lineari disposti a V. Conosciuta anche come "decorazione a spiga" o a "spina di pesce".
  76. ^ Placca rettangolare in cuoio o altro materiale che copriva parte del braccio, utilizzata anticamente come "salvapolso" dagli arcieri. Si ritrova anche in pietra o in osso con quattro fori alle estremità durante la cultura di Bonnanaro o nel Campaniforme.
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  121. ^ Si definisce “δ13C” (“delta-C13”) la variazione (espressa in "per mille") della frazione 13C/12C del campione in esame rispetto a quella dello standard internazionale VPDB (Vienna Pee Dee Belemnite) costituito da carbonato di calcio fossile. È necessario misurare tale variazione per correggere i risultati del C-14 dagli effetti del frazionamento isotopico. Il δ13C può dare anche indicazioni sull'ambiente (terrestre, fluviale o marino) in cui ha vissuto l'essere da cui deriva il campione da datare, nonché sulla sua zona di provenienza e persino riguardo eventuali squilibri alimentari, Lazzati, pag. 9
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