Historia ecclesiastica gentis Anglorum

opera storiografica di Beda il Venerabile

La Historia ecclesiastica gentis Anglorum (lett. "Storia ecclesiastica del popolo inglese") è un'opera in latino, scritta da Beda il Venerabile, che tratta della storia della Chiesa inglese e, più in generale della storia dell'Inghilterra, dal tempo di Cesare all'anno 731, con particolare attenzione al conflitto tra la Chiesa di Roma e il Cristianesimo celtico. È considerata una delle fonti più importanti per la storia anglosassone e ha giocato un ruolo chiave nello sviluppo dell'identità nazionale inglese. Si ritiene che sia stata completata quando Beda aveva circa sessant'anni, nel 731.

Historia ecclesiastica gentis Anglorum
AutoreBeda il Venerabile
1ª ed. originale731
1ª ed. italiana1987
Generetrattato
Sottogenerestoria della chiesa
Lingua originalelatino

Panoramica modifica

La Historia ecclesiastica gentis Anglorum, è l'opera più conosciuta di Beda.[1] Completata nel 731 circa, il primo dei cinque libri di cui si compone prende l'avvio con una panoramica geografica, quindi tratteggia la storia dell'Inghilterra, a partire dall'invasione cesariana del 55 a.C.[2] Un breve resoconto sul Cristianesimo nella Britannia romana, comprendente il martirio di sant'Albano, è seguito dal viaggio missionario di Agostino di Canterbury in Inghilterra nel 597, che portò il Cristianesimo agli Anglosassoni.[3] Il secondo libro ha inizio con la morte di Gregorio Magno nel 604, e segue i successivi progressi del Cristianesimo nel Kent e i primi tentativi di evangelizzare il Regno di Northumbria:[4] essi incontrarono una temporanea battuta d'arresto quando Penda, il pagano re di Mercia, uccise il neoconvertito re Edvino di Deira alla battaglia di Hatfield Chase nel 632 circa.[4] Il terzo libro rende conto della crescita della fede cristiana in Northumbria sotto i re Osvaldo e Oswiu di Northumbria.[4] L'apice della narrazione nel terzo libro si raggiunge con la descrizione del Sinodo di Whitby, tradizionalmente considerato un punto focale della storia inglese.[5] Il quarto libro inizia con la consacrazione di Teodoro di Tarso ad arcivescovo di Canterbury, e descrive i tentativi di Vilfrido di York di evangelizzare il Sussex.[4] Il quinto libro giunge ai tempi di Beda, e comprende il resoconto dell'opera dei missionari in Frisia, e del contrasto con la Chiesa britannica sulla corretta datazione della Pasqua.[4] Beda scrisse una prefazione all'opera, in cui inserì una dedica a Ceolwulf di Northumbria; la prefazione accenna al fatto che Ceolwulf aveva ricevuto una bozza preliminare del libro: si può dunque presumere che Ceolwulf fosse in grado di comprendere il latino e forse lo sapesse anche leggere.[2][3] La prefazione ad ogni modo chiarisce che Ceolwulf aveva richiesto la bozza, e che Beda ne aveva cercato l'approvazione: tale corrispondenza col sovrano indica come il monastero di Beda godesse di eccellenti legami con la nobiltà di Northumbria.[3]

Scopo dell'opera modifica

I cinque libri, per un totale di circa 400 pagine, coprono la storia d'Inghilterra, ecclesiastica e politica, dal tempo di Giulio Cesare alla data di composizione (731). I primi 21 capitoli trattano del periodo antecedente la missione evangelizzatrice di Agostino di Canterbury, e sono compilati utilizzando come fonti autori precedenti, tra cui Paolo Orosio, Gildas, Prospero d'Aquitania, le lettere di papa Gregorio Magno, con l'inserzione di elementi leggendari e tradizionali.

Per il periodo successivo al 596 Beda si serve di fonti documentarie di provenienza inglese e romana, che con le fonti orali sono verificate dallo stesso Beda e utilizzate con considerazioni critiche riguardo al loro valore. Dal punto di vista della metodologia storica ciò è sorprendentemente moderno, tuttavia la Historia, come gli altri scritti storici del periodo, ha un grado di obiettività basso rispetto agli standard odierni, somigliando ad un misto di fatti, leggenda e letteratura: per esempio Beda cita per esteso alcuni discorsi di persone, non sue contemporanee, dei quali non è sopravvissuta traccia in alcuna fonte, ed è lecito dubitare se e quanto la tradizione orale sostenesse tali pretese citazioni.

Fonti modifica

Il monastero di Jarrow, dove Beda trascorse l'ultima parte della sua vita, possedeva un'eccellente biblioteca: sia Benedetto Biscop che Ceolfrid avevano acquistato libri in Continente, e al tempo di Beda l'abbazia era un rinomato centro di cultura.[6]

Per il periodo precedente l'arrivo di Agostino di Canterbury in Inghilterra (597), Beda si basò su autori antichi, come Paolo Orosio, Eutropio, Plinio il Vecchio e Gaio Giulio Solino.[3][7] Usò la Vita Germani di Costanzo di Lione come fonte per la visita di Germano d'Auxerre in Britannia.[3][7] Il resoconto dell'invasione anglosassone della Britannia è tratto in larga parte da Gildas, De Excidio Britanniae.[8] Beda avrà avuto familiari anche opere più vicine a lui, come la Vita Sancti Wilfrithi di Stefano di Ripon, e le Vitae di Gregorio Magno e di Cutberto di Lindisfarne, di autore anonimo.[7] Si appoggiò anche sulle Antichità giudaiche di Flavio Giuseppe, sugli scritti di Cassiodoro[9], e nel monastero esisteva certamente una copia del Liber Pontificalis.[10]

Beda poteva anche contare su corrispondenti che lo rifornivano di materiale di studio, e che sono menzionati nella prefazione: Albino, abate a Canterbury, gli inviò molte informazioni riguardo alla Chiesa del Kent, e con l'assistenza di Nothhelm di Canterbury, al tempo sacerdote a Londra, ottenne copie delle lettere di Gregorio Magno riguardanti la missione di Agostino[3][7][11]; quasi tutte le informazioni di Beda al riguardo sono tratte da queste lettere[3] ed includono il Libellus responsionum inserito come capitolo 27 del I libro.[12] Era in contatto anche con Daniel, arcivescovo di Winchester, per la storia della Chiesa nel Regno del Wessex, e scrisse al monastero di Lastingham per informazioni su Cedda e Chad di Mercia; menziona anche un certo abate Esi come fonte per le questioni della Chiesa dell'Anglia orientale, e il vescovo Cynibert per informazioni sul Regno di Lindsey.

Lo storico Walter Goffart sostiene che Beda abbia basato la struttura della Historia su tre altre opere, usandole come schema attorno cui costruire le tre sezioni principali del proprio lavoro. Per la prima parte, fino alla missione ordinata da Gregorio Magno, Goffart afferma che Beda abbia usato il De excidio di Gilda; la seconda sezione, che dettaglia la missione e l'operato di Agostino di Canterbury, sarebbe stata costruita sull'anonima Vita Graegorii scritta a Whitby; l'ultima parte, che descrive gli eventi successivi, secondo Goffart sarebbe stata modellata sulla Vita Sancti Wilfrithi di Stefano di Ripon.[13]

Contenuti modifica

La Historia ha un fine chiaramente polemico e didattico: Beda ha in mente non solo di raccontare la storia inglese, ma anche di affermare il proprio punto di vista in ambito politico e religioso. L'autore è un sostenitore della nativa Northumbria, di cui esalta il ruolo nella storia inglese ben oltre quello della Mercia, la sua grande rivale meridionale: si preoccupa infatti assai più di descrivere eventi risalenti al VII secolo, quando la Northumbria era il centro di potere dominante del mondo anglosassone, che non gli accadimenti dell'VIII secolo, quando non lo era più. L'unico accento negativo che Beda rivolge alla terra natia compare nel brano relativo alla morte di re Egfrido, contro i Pitti alla battaglia di Dunnichen nel 685; Beda attribuisce infatti quella sconfitta alla volontà divina, quale punizione per l'attacco della Northumbria all'Irlanda l'anno precedente: per quanto fosse leale nei confronti della Northumbria, l'autore mostra dunque un ancora maggiore attaccamento agli irlandesi e ai loro missionari, che considerava più capaci e appassionati degli omologhi inglesi.

La sua preoccupazione finale riguarda la precisa datazione della Pasqua, su cui si sofferma a lungo: solo su questo punto si avventura in qualche critica a san Cutberto e ai missionari irlandesi, che celebravano l'evento, secondo Beda, nella data sbagliata; infine si dice felice del fatto che la Chiesa irlandese si sia emendata dall'errore accettando la data corretta.

Modelli modifica

I modelli stilistici di Beda includono alcuni degli stessi autori da cui ha tratto il materiale per la prima parte dell'opera: l'introduzione imita il lavoro di Orosio,[3] e il titolo è un'eco della Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea;[14] sempre Eusebio è imitato nella scelta degli Atti degli Apostoli come modello per l'impianto generale dell'opera: laddove Eusebio usò gli Atti come tema per la sua descrizione della crescita della Chiesa universale, Beda se ne serve come modello per la sua storia della Chiesa anglosassone[15]; ancora, Beda cita le sue fonti per esteso, così come aveva fatto Eusebio.[3]

Beda sembra anche avere tratto citazioni direttamente dai suoi corrispondenti del tempo: per esempio usa quasi sempre il termine "Australes" e "Occidentales" per i Sassoni del sud e dell'ovest rispettivamente, ma in un passaggio del primo libro usa invece "Meridiani" e "Occidui", come forse aveva fatto il suo informatore.[3] In calce all'opera Beda aggiunse una breve nota autobiografica: l'idea gli venne probabilmente dalla Historia Francorum di Gregorio di Tours.[16]

Temi modifica

Uno dei temi importanti della Historia Ecclesiastica è che la conversione della Britannia al Cristianesimo avvenne ad opera di missionari irlandesi e italiani, senza l'apporto dei nativi. Il tema è sviluppato a partire dagli scritti di Gildas, il quale aveva denunciato i peccati dei governanti locali durante l'invasione anglosassone, poi Beda lo amplia ulteriormente, affermando che l'invasione anglosassone stessa rappresentava la punizione divina per la debolezza dello sforzo missionario e per il rifiuto di accettare la data romana della celebrazione della Pasqua. Sebbene Beda tratti la storia del Cristianesimo nella Britannia romana, significativamente ignora l'opera evangelizzatrice di san Patrizio.[17] Scrive con approvazione di Aidano di Lindisfarne e di Columba di Iona, venuti dall'Irlanda in missione tra i Pitti e gli Scoti, ma denuncia il fallimento dei monaci gallesi nell'evangelizzare gli invasori anglosassoni.[18] Beda era un partigiano di Roma, e considerava Papa Gregorio, più che Agostino di Canterbury, il vero apostolo degli Inglesi.[19] Probabilmente, scrivendo della conversione degli invasori, sminuisce ogni coinvolgimento dei nativi, come fa quando descrive la prima consacrazione di Chad di Mercia, raccontando che due vescovi britannici vi presero parte, con ciò invalidandola, ma non si preoccupa di fornire informazioni su chi fossero o da dove venissero. Altrettanto importante è il pensiero di Beda sul processo di conversione, visto come un fenomeno pertinente alle classi superiori, con pochissima trattazione degli sforzi missionari rivolti alla popolazione non nobile.[20]

Lo storico Walter Goffart afferma riguardo alla Historia come per molta parte della storiografia moderna costituisca «un cantico delle origini inquadrato dinamicamente come il progredire di un popolo, guidato dalla Provvidenza, dal paganesimo al cristianesimo; una sfilata di santi, piuttosto che di rudi guerrieri; un pezzo magistrale di tecnica storiografica, incomparabile col suo tempo; bellezza di forma e dizione; e, non ultimo, un autore le cui qualità di vita e di spirito costituiscono un modello di zelante sapienza.»[21] Goffart argomenta anche che il tema principale della Historia riguarda l'ambito locale della Northumbria, e che Beda tratta le questioni al di fuori di essa come secondarie rispetto ai suoi interessi principali, localizzati al nord.[22] Goffart vede infine la composizione della Historia come motivata dalle lotte politiche in Northumbria tra il partito devoto a Vilfrido di York e gli oppositori di questi.[23]

Molta della narrazione della Historia ha a che fare con Vilfrido, vescovo in Northumbria la cui tempestosa carriera è documentata non solo dal lavoro di Beda ma anche dalla Vita; in Beda è evidente la volontà di minimizzare il conflitto tra Vilfrido e Teodoro di Canterbury, il quale era coinvolto in molte delle vicissitudini di Vilfrido.[24]

Nella Historia sono presenti svariati resoconti di miracoli e visioni; sebbene questi fossero di rigore nella narrativa medievale[25], Beda sembra aver evitato di eccedere nel meraviglioso, e, straordinariamente, quasi non fa cenno di eventi miracolosi accaduti nel suo monastero.[3] Non c'è dubbio che Beda credesse ai miracoli, ma quelli che descrive sono spesso racconti di guarigione, o eventi plausibili di spiegazioni naturali.[3] I miracoli servivano lo scopo di costituire un esempio per il lettore, e Beda esplicitamente dichiara proprio obiettivo l'insegnamento della morale attraverso la storia, quando dice «Se la storia registra le buone azioni degli uomini giusti, il lettore attento è incoraggiato a imitare il bene; se [la storia] registra il male compiuto dagli empi, il lettore devoto è incoraggiato a fuggire tutto ciò che è peccaminoso e perverso.»[26]

Omissioni e pregiudizi modifica

Beda apparentemente non aveva corrispondenti nelle case religiose più importanti della Mercia: le sue informazioni sulla Mercia provengono da Lastingham, in Northumbria, e da Lindsey, provincia ai confini fra Northumbria e Mercia.[27] Come risultato si notano evidenti lacune nella trattazione della storia della Chiesa di Mercia, ad esempio è omessa la divisione della grande diocesi di Mercia ad opera di Teodoro nel tardo VII secolo.[27] Le simpatie dell'autore erano per la Northumbria, mentre considerava la Mercia di re Penda nel VII secolo come un'aggressiva forza pagana, responsabile della morte del re cristiano Edvino.[28] La Mercia era una potenza emergente al tempo in cui Beda scrisse la Historia Ecclesiastica, e il pregiudizio regionale è evidente.[28]

Si riscontrano chiare lacune nelle conoscenze di Beda[29]; contemporaneamente, tuttavia, Beda poco si esprime su temi a lui certamente familiari[3]: ad esempio, sebbene racconti dell'opera missionaria di Vilfrido, non narra compiutamente del suo scontro con l'arcivescovo Teodoro di Canterbury, della sua ambizione, e del suo aristocratico stile di vita[3][30], e solo l'esistenza di altre fonti come la Vita Sancti Wilfrithi ci consente di chiarire ciò che Beda con discrezione omette.[3] Le omissioni non sono limitate a Vilfrido: Beda non menziona affatto Bonifacio, sebbene difficilmente non ne sapesse nulla, e l'ultimo libro contiene meno informazioni sulla Chiesa del tempo dell'autore di quanto sia lecito aspettarsi.[3] Una possibile spiegazione alla discrezione di Beda si potrebbe ritrovare laddove afferma che non si dovrebbero lanciare pubbliche accuse sugli uomini di Chiesa, non importa quali peccati abbiano commesso; Beda potrebbe aver trovato poco da dire di buono riguardo alla Chiesa dei suoi tempi, e quindi aver preferito mantenere il silenzio.[3]

Anno Domini modifica

L'uso che Beda fa nella Historia di una periodizzazione simile a quella introdotta da Dionigi il Piccolo nel 525, secondo l'Anno Domini, esercitò una notevole influenza sulla successiva adozione in Occidente di tale modo di contare gli anni.[31] In particolare, si riferì all'anno ab incarnatione Domini o anno incarnationis dominicae: Beda contava quindi l'anno Domini a partire dalla nascita di Gesù, non dal suo concepimento come Dionigi.[32] Nella sua opera Beda fu anche il primo scrittore a servirsi di un'espressione simile ad «avanti Cristo»: nel secondo capitolo del primo libro, scrive «ante incarnationis dominicae tempus» («prima del tempo dell'incarnazione del Signore»). Quest'ultima espressione in quanto tale non ebbe molta influenza, al di là di qualche sporadico caso, sugli scrittori medievali successivi, e il primo uso estensivo di «prima di Cristo», centinaia di volte, si riscontra solo nel Fasciculus Temporum di Werner Rolevinck del 1474, accanto al riferimento all'età del mondo (Anno Mundi).

Continuazioni di Beda modifica

Alcuni manoscritti antichi contengono dati annalistici addizionali che si estendono oltre la data di completamento della Historia Ecclesiastica, di cui l'ultimo riguarda l'anno 766.[33] Nessun manoscritto più antico del XII secolo contiene tali inserimenti, ad eccezione che per il periodo 731-734 che compare già in manoscritti più antichi.[33] Molto del materiale ripete quanto si trova nella cronaca di Simeone di Durham; il restante deriva da cronache di origine nordeuropea databili dall'VIII secolo in poi.[33] La Historia fu tradotta in antico inglese durante il IX secolo nella Britannia meridionale, e la tradizione ha attribuito tale versione al re Alfredo il Grande; secondo i moderni studiosi, sebbene Alfredo possa non avere curato la traduzione, cionondimeno essa fu probabilmente in relazione con la diffusione del sapere che Alfredo promosse.[34] La Cronaca anglosassone, composta all'incirca nello stesso periodo, molto trasse dalla Historia, che ne costituì lo schema cronologico delle parti iniziali.[35]

Fortuna dell'opera modifica

La Historia Ecclesiastica si diffuse in numerose copie nel Medioevo, e ci sono giunti circa 160 manoscritti che la contengono (oltre a un centinaio che la riportano parzialmente), di cui circa la metà di quelli oggi conservati sul continente europeo si trova sulle Isole britanniche.[36] Molti dei testi redatti tra VIII e IX secolo originano dalle regioni settentrionali dell'Impero carolingio.[37]

La prima edizione a stampa si ebbe tra il 1474 e il 1482, probabilmente a Strasburgo.[36] Gli storici moderni hanno dettagliatamente studiato la Historia, e ne sono state prodotte numerose edizioni critiche.[38] Per molti anni la storia anglosassone delle origini è stata essenzialmente una rielaborazione della Historia, ma gli studiosi più recenti hanno prestato altrettanta attenzione a ciò che Beda non scrisse, oltre che a ciò che Beda scrisse. La convinzione che la Historia costituisse l'apice dell'opera di Beda, pensiero comune tra gli storici del passato, non è oggi più accettata dalla maggioranza degli studiosi moderni.[39]

La Historia Ecclesiastica ha dato a Beda una grande reputazione, ma i suoi propositi erano differenti da quelli degli storici di oggi.[3] Il suo punto focale, sulla storia della Chiesa inglese, e sulle eresie e gli sforzi per eradicarle, lo portarono ad escludere la storia secolare di sovrani e regni, eccetto per quegli eventi da cui poteva trarre una lezione di ordine morale, o laddove gli stessi eventi rivestivano importanza per la storia della Chiesa.[3] Oltre alle Cronache anglosassoni, gli scrittori medievali Guglielmo di Malmesbury, Enrico di Huntingdon, e Goffredo di Monmouth si servirono dell'opera di Beda come fonte e motivo di ispirazione.[40] I primi scrittori moderni, come Polidoro Virgili e Matthew Parker, l'arcivescovo di Canterbury di età elisabettiana, utilizzarono anch'essi la Historia, e le opere di Beda vennero sfruttate sia dalla parte cattolica che dalla parte protestante durante le guerre di religione.[41]

Alcuni storici hanno messo in discussione l'affidabilità di certi resoconti di Beda: uno in particolare, Charlotte Behr, afferma che la narrazione dell'arrivo degli invasori sassoni nel Kent si dovrebbe oggi considerare un mito, non storia.[42]

Tradizione manoscritta modifica

I manoscritti della Historia Ecclesiastica fanno parte generalmente di due gruppi, noti agli storici come "tipo c" e "tipo m".[43] Charles Plummer, nella sua edizione dell'opera di Beda del 1896, identificò sei differenze peculiari fra i due tipi[43]: ad esempio i manoscritti del tipo c non contengono uno dei miracoli attribuiti a sant'Osvaldo nel libro IV, ed includono gli anni 733 e 734 del sommario cronologico alla fine dell'opera, laddove il tipo m si ferma all'anno 731.[43] Plummer concluse che il tipo m fosse certamente precedente al tipo c, ma Bertram Colgrave nella sua edizione del testo del 1969 mise in discussione tale deduzione[43]; Colgrave afferma che l'aggiunta di un paio di note annalistiche è per un copista una modifica assai semplice da introdurre in qualunque momento della storia di un manoscritto, che l'omissione di un miracolo di Osvaldo, inoltre, non è un errore attribuibile a un copista, e con decisione colloca il tipo m posteriormente al tipo c.[43]

Si possono discernere alcune relazioni genealogiche tra i numerosi manoscritti sopravvissuti. I manoscritti più antichi utilizzati per definire i tipi m e c sono i seguenti.[44]

Versione Tipo Ubicazione Manoscritto
K c Kassel, Landesbibliothek 4° MS. theol. 2
C c Londra, British Museum Cotton Tiberius C. II
O c Oxford, Biblioteca Bodleiana Hatton 43 (4106)
n/a c Zurigo, Zentralbibliothek Rh. 95
M m Cambridge, University Library Kk. 5. 16
L m San Pietroburgo, Biblioteca nazionale russa Lat. Q. v. I. 18
U m Wolfenbüttel, Herzog August Bibliothek Weissenburg 34
E m Würzburg, Universitätsbibliothek M. p. th. f. 118
N m Namur, Bibliothèque communale Fonds de la ville 11
  • K sembra sia stato scritto in Northumbria alla fine dell'VIII secolo. Solo i libri IV e V sopravvivono, gli altri probabilmente andarono perduti durante il Medioevo; porta un sigillo quattrocentesco dell'abbazia di Fulda.[44]
  • C fu scritto nell'Inghilterra meridionale nella seconda metà dell'VIII secolo; Plummer afferma che provenga da Durham, ma ciò è rifiutato da Colgrave. Il manoscritto contiene glosse in antico inglese aggiunte durante il IX secolo.[44]
  • O data all'inizio dell'XI secolo, e ha subito correzioni successive soprattutto nel XII secolo.[44]
  • L, noto anche come "Beda di San Pietroburgo", venne copiato da quattro scribi, forse a Wearmouth-Jarrow non più tardi del 747.[44]
  • M fu scritto in Northumbria nel 737 o poco dopo. Il manoscritto è appartenuto a John Moore, vescovo di Ely, per cui oggi è noto come "Moore Bede". La collezione di Moore fu acquistata da re Giorgio I di Gran Bretagna e donata all'Università di Cambridge nel 1715, dove si trova ancora oggi.[44]
  • U data alla fine dell'VIII secolo, e viene ritenuto una copia, fatta in Continente, di un manoscritto più antico prodotto in Northumbria. È stato conservato a Weissenburg dalla fine del Medioevo.[44]
  • E risale circa alla metà del IX secolo. Nell'anno 800 venne compilata una lista dei libri in possesso della cattedrale di Würzburg; la lista include una Historia Anglorum ed E potrebbe esserne una copia. In seguito è stato in possesso dell'abbazia di Ebrach.[44]
  • N fu copiato nel IX secolo da numerose mani; per un periodo fu in possesso di Uberto di Liegi.[44]

Copie manoscritte furono prodotte per tutto il X secolo e buona parte dell'XI, ma il numero maggiore risale all'XI secolo, con un significativo ritorno di interesse nei secoli XIV e XV. Molte delle copie sono di provenienza inglese, ma sorprendentemente altrettante sono di origine continentale.[45]

Tradizione a stampa modifica

La prima copia stampata della Historia Ecclesiastica apparve a cura di Heinrich Eggestein a Strasburgo, probabilmente tra 1475 e 1480. Un difetto nel testo consente l'identificazione del manoscritto usato da Eggestein; in seguito apparve in un catalogo dei domenicani di Vienna nel 1513. Eggestein aveva anche stampato un'edizione della traduzione di Tirannio Rufino della Storia ecclesiastica di Eusebio, e le due opere furono ristampate, in un unico volume, il 14 marzo 1500 da Georg Husner, anch'egli di Strasburgo. Un'altra ristampa apparve il 7 dicembre 1506 ad opera di Heinrich Gran e S. Ryman ad Haguenau.[46]

Un'edizione stampata a Parigi apparve nel 1544, e nel 1550 John de Grave ne produsse un'edizione ad Anversa, di cui apparvero due ristampe nel 1566 e 1601. Nel 1563 Johann Herwagen la incluse nel III volume della sua Opera Omnia, che venne ristampata nel 1612 e 1688. Michael Sonnius produsse un'edizione nel 1587 a Parigi, inserendo la Historia Ecclesiastica in una raccolta di opere storiche; nel 1587 Johann Commelin la incluse in una compilazione dello stesso genere, stampata ad Heidelberg. Nel 1643 Abraham Whelock produsse a Cambridge un'edizione con testo a fronte in antico inglese e latino, la prima del genere in Inghilterra.[46]

Tutte le edizioni precedenti si basarono su testi di tipo c. La prima edizione ad usare manoscritti di tipo m fu quella di Pierre Chifflet del 1681, che si servì di un discendente del manoscritto Moore. Per l'edizione del 1722, John Smith ottenne il manoscritto Moore, ed avendo accesso a due copie conservate nella Biblioteca Cottoniana fu in grado di stampare un'edizione di qualità molto alta. In seguito l'edizione più rilevante fu quella del 1896 di Charles Plummer, la cui Venerabilis Bedae Opera Historica, con commento, è stata la chiave di volta per tutti gli studi successivi.[46][47]

Edizioni a stampa modifica

  • 1475: Prima stampa in Germania
  • 1563: "Basic edition" (incompleta)
  • 1643: Prima edizione stampata in Inghilterra
  • 1688: "Edizione di Colonia"
  • 1742: John Smith
  • 1884: Giles, ristampata nella Patrologia Latina
  • 1896: C. Plummer, Oxford
  • 1969: Bertram Colgrave e R. A. B. Mynors, Oxford, Clarendon Press, ristampata con correzioni nel 1992
  • 2005: Michael Lapidge, Parigi

Traduzioni modifica

La Historia fu tradotta in antico inglese probabilmente nel tardo X secolo, di sicuro prima della seconda metà dell'XI.[48]

  • 1565: Thomas Stapleton, Anversa (stampato ad Anversa da Iohn Laet)
  • 1643/4: Versione con testo a fronte in antico inglese e latino nell'edizione di Abraham Whelock (editio princeps per l'antico inglese)
  • 1866: (DE) M. M. Wilden, Sciaffusa.
  • 1903: L. C. Jane, Temple Classics.
  • 1907: A. M. Sellar, Londra, George Bell & Sons.
  • 1955: Leo Sherley-Price, Penguin, ristampe rivedute e corrette nel 1965, 1968, 1990.
  • 1969: Bertram Colgrave e R. A. B. Mynors, Oxford, Clarendon Press, ristampa riveduta e corretta nel 1992.
  • 1982: (DE) Günter Spitzbart, Darmstadt.
  • 1989: (ZH) Chen Wei-zhen & Zhou Qing-min, Pechino, The Commercial Press
  • 1994: Judith McClure e Roger Collins, Oxford, Oxford University Press.
  • 2003: (RU) Церковная история народа англов, note e traduzione di Vadim Erlikhman, San Pietroburgo, Алетейя.
  • 2005: (FR) Histoire ecclésiastique du peuple anglais, note di André Crépin, a cura di Michael Lapidge, traduzione di Pierre Monat e Philippe Robin, Parigi, Cerf.
  • 2008: (JA) Hirosi Takahashi, Tokyo, Kodansha.
  • 2008: (CS) Jaromír Kincl e Magdalena Moravová, Argo.
  • 1987: (IT) Storia ecclesiastica degli Angli, traduzione di Giuseppina Simonetti Abbolito, Roma, Città Nuova Editrice.
  • 2008: (IT) Beda il Venerabile, Storia degli Inglesi, a cura di Michael Lapidge, traduzione di Paolo Chiesa, Milano, Fondazione Valla-Arnoldo Mondadori.

Note modifica

  1. ^ Farmer, p. 21.
  2. ^ a b Farmer, p. 22.
  3. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s J. Campbell, voce "Bede" in Oxford Dictionary of National Biography, 2004
  4. ^ a b c d e Farmer, pp. 31–32.
  5. ^ Abels, pp. 1–2.
  6. ^ Blackwell Encyclopedia, pp. 325-326.
  7. ^ a b c d Farmer, p. 25.
  8. ^ Blackwell Encyclopedia, p. 204.
  9. ^ Meyvaert, p. 831.
  10. ^ Meyvaert, p. 843.
  11. ^ Blackwell Encyclopedia, pp. 335–335.
  12. ^ John Michael Wallace-Hadrill, Bede's Ecclesiastical history of the English people : a historical commentary, Oxford, New York, Oxford University Press, Clarendon Press, 1988, pp. 37-38, ISBN 978-0-19-822269-9.
  13. ^ Goffart, pp. 296-307.
  14. ^ Blackwell Encyclopedia, pp. 57–59.
  15. ^ Farmer, p. 26.
  16. ^ Farmer, p. 27.
  17. ^ Brooks, pp. 4-7.
  18. ^ Farmer, p. 30.
  19. ^ Farmer, pp. 30–31.
  20. ^ Brooks, pp. 7-10.
  21. ^ Goffart, p. 235.
  22. ^ Goffart, p. 240.
  23. ^ Goffart, p. 326.
  24. ^ Henry Chadwick, Theodore, the English church and the monothelete controversy, in Michael Lapidge (a cura di), Archbishop Theodore: commemorative studies on his life and influence, Cambridge, Cambridge University Press, 1995, pp. 92-93.
  25. ^ Farmer, pp. 26–27.
  26. ^ Farmer, pp. 25–26.
  27. ^ a b Yorke, p.100.
  28. ^ a b Farmer, pp. 29–30.
  29. ^ Farmer, p. 23.
  30. ^ Thacker, pp. 474–476.
  31. ^ Blair, p. 269.
  32. ^ Bonnie Blackburn e Leofranc Holford-Strevens, The Oxford companion to the Year: An exploration of calendar customs and time-reckoning, Oxford, Oxford University Press, 1999, ISBN 0-19-214231-3.
  33. ^ a b c Dorothy Whitelock, English historical documents [Volume I], C. 500-1042, Londra, Routledge, 1955, pp. 259-260.
  34. ^ Higham, p. 24.
  35. ^ Higham, p. 25.
  36. ^ a b Wright, pp. 4-5.
  37. ^ Higham, p. 21.
  38. ^ Goffart, p. 236.
  39. ^ Goffart, pp. 238-9.
  40. ^ Higham, p. 27.
  41. ^ Higham, p. 33.
  42. ^ Charlotte Behr, The origins of kingship in early medieval Kent, in Early Medieval Europe, vol. 9, n. 1, marzo 2000, pp. 25-52.
  43. ^ a b c d e Colgrave, pp. XL-XLI.
  44. ^ a b c d e f g h i Colgrave, pp. XLI–XLV.
  45. ^ Laistner, M. L. W. (con H. H. King), A Hand-List of Bede Manuscripts, Ithaca NY: Cornell University Press (1943).
  46. ^ a b c Colgrave, pp. LXX-LXXIII.
  47. ^ In proposito Colgrave commenta che l'omissione da parte di Plummer del manoscritto L «non inficia il valore del testo, che si può tranquillamente descrivere come definitivo. La vastità dei suoi interessi e l'accuratezza della sua preparazione costituiranno ragione di invidia per qualunque successore». D. H. Farmer afferma, a proposito dell'edizione Penguin del 1955, che «come tutte le edizioni precedenti della Historia ecclesiastica di Beda, anche questa dipende dal pionieristico lavoro di Charles Plummer». Da Colgrave, p. LXXIII, e Farmer, p. 17
  48. ^ Historia ecclesiastica gentis anglorum, su cudl.lib.cam.ac.uk, Cambridge Digital Library. URL consultato il 16 marzo 2015.

Bibliografia modifica

Altri progetti modifica

Collegamenti esterni modifica

Controllo di autoritàVIAF (EN126152138599610981463 · LCCN (ENn85005809 · GND (DE4236580-6 · J9U (ENHE987007585718805171