Res gestae divi Augusti

autobiografia di Augusto

Le Res gestae divi Augusti, cioè "Le imprese del divino Augusto", o Index rerum gestarum, sono un resoconto redatto dallo stesso imperatore romano Augusto prima della sua morte e riguardante le opere che compì durante la sua lunga carriera politica. Il testo ci è giunto inciso in latino e in traduzione greca sulle pareti del tempio di Augusto e della dea Roma (Monumentum Ancyranum) ad Ancìra (latino Ancyra), l'odierna Ankara in Turchia.

Res gestae divi Augusti
Frammento delle Res gestae di Augusto
AutoreAugusto
1ª ed. originale27 a.C.-14 d.C.
Editio princepsAnversa, Christophe Plantin, 1579
Genereepigrafe
Sottogenereautobiografico
Lingua originalelatino

L'originale e le copie sopravvissute modifica

Secondo le volontà dello stesso Augusto, espresse nel rotolo contenente le sue imprese e da lui affidato alle Vestali assieme al testamento, alle disposizioni per il suo funerale e ad un bilancio dello stato redatto un anno prima di morire, il testo delle Res Gestae doveva essere inciso su tavole di bronzo da porre davanti alla sua tomba, il Mausoleo.[1] Il luogo scelto da Augusto aveva una valenza fortemente simbolica. Al di là della struttura di ascendenza ellenistica del Mausoleo, dominato dalla statua di Augusto e prossimo all'Ara Pacis, va ricordato che prima del principe vi erano stati sepolti tutti coloro che in qualche modo erano legati alla nuova dinastia - Marco Claudio Marcello, Agrippa, Druso maggiore, la sorella Ottavia, Lucio e Gaio Cesari, i carissimi nipoti designati alla successione. Il luogo ideale nel quale esporre le Res Gestae, grazie al quale il lettore sarebbe stato indotto, non solo dalle parole, ma anche dal contesto architettonico, a non distinguere la storia dalle imprese private e la memoria pubblica da quella privata.

 
L'entrata del Mausoleo di Augusto, ove dovevano essere poste le tavole bronzee con incise le Res gestae
 
Copia moderna delle Res gestae fatta realizzare nel 1938, visibile sul basamento del Museo dell'Ara Pacis proprio di fronte all'entrata del mausoleo

Oltre al testo di Ancira (l'attuale Ankara), si conoscono copie epigrafiche frammentarie provenienti dalla medesima provincia di Galazia (che insieme alla Giudea fu l'unica annessione orientale di Augusto), ovvero da Antiochia (testo latino) a poca distanza da Yalvaç, da Apollonia (versione greca), identificata nel sito dell'attuale villaggio di Uluborlu, località entrambe a non molta distanza da Ankara.[2] Aree lontane dalla costa dell'Asia minore e non molto ellenizzate, mentre nessuna copia da Efeso o Pergamo. Ciò può essere spiegato col fatto che Augusto volesse dare alla regione asiatica interna (frammentata in realtà culturali, sociali e religiose molto varie) un assetto politico stabile, basato sul riconoscimento del potere di Roma e di Augusto, il suo tramite. Non stupisce perciò che le Res Gestae fossero incise sul tempio dedicato al culto imperiale: piccole città, come Apollonia, Ancira, Antiochia di Pisidia erano pertanto unite dal filo conduttore del culto di Augusto e, quindi, delle sue imprese.

Quanto al testo più completo, quello di Ancira, esso fu riconosciuto per la prima volta nel 1555 da Ogier Ghiselin de Busbecq, ambasciatore di Ferdinando I d'Asburgo presso Solimano il Magnifico. Già lo scopritore lamentava dello scadente stato di conservazione del testo, che credeva inciso sui muri della residenza del governatore provinciale. L'indagine archeologica moderna ha invece dimostrato con certezza che l'edificio era un tempio dedicato a Roma ed Augusto, che un tempo, secondo le opinioni più recenti, sarebbe stato edificato in origine in onore della Grande Madre dell'Anatolia. La scelta di non edificare un nuovo tempio avrebbe collegato strettamente il culto di Roma a quello verso la divinità più antica della regione.[3]

Dell'originario tempio dedicato ad Augusto e Roma si conservano ora solo il pronao e le due pareti laterali, una delle quali presenta uno squarcio di notevoli dimensioni. All'interno del pronao, a sinistra e a destra, è inciso il testo latino dell'iscrizione, disposto simmetricamente in sei colonne di scrittura per un'altezza di 2,70 m e larghezza di 4 m. La traduzione greca si sviluppa all'esterno, lungo la parete laterale intatta della cella, ordinata su 19 colonne, alte circa 1,25 m. I ruderi del tempio misurano ancora 12 m di altezza e 32,50 m di lunghezza. Nel 1997 è stato lanciato un grido d'allarme per lo stato di conservazione del testo, ormai ampiamente illeggibile, affinché non vada perduta la memoria di Augusto: l'allarme è stato accolto dall'Università degli Studi di Trieste che ha attivato il Progetto Ancyra,[4] finalizzato alla messa in sicurezza del tempio e alla conservazione dell'iscrizione.

Funzione e testo delle Res Gestae modifica

Non è facile capire a quale genere letterario appartengano le Res Gestae: testamento politico, resoconto, memoria, autobiografia, iscrizione sepolcrale, memoriae vitae.[5] In uno stile volutamente stringato e senza concessioni all'abbellimento letterario, Augusto riportava gli onori che gli erano stati via via conferiti dal Senato e dal popolo romano e per quali servizi da lui resi; le elargizioni e i benefici concessi con il suo patrimonio personale allo Stato, ai veterani e alla plebe; i giochi e rappresentazioni dati a sue spese; e infine gli atti da lui compiuti in pace e in guerra. Lo scrupolo con cui elenca le cariche religiose è indice di un nascente processo di sacralizzazione del potere, che trova espressione anche nel titolo di augustus ("degno di venerazione"), ottenuto dal Senato.

 
Augusto capite velato: il principe è anche pontefice massimo dal 12 a.C.

Augusto parla di sé in prima persona. Si serve di periodi brevi, dalla struttura paratattica; il lessico è concreto e lascia al lettore la possibilità di cogliere immediatamente il testo. La data di composizione è data dallo stesso Augusto, quando afferma di essere nel settantaseiesimo anno, cioè nel 14 d. C., essendo nato nel 63 a. C. Dato che nel capitolo 4 è presente il riferimento alla trentasettesima tribunicia potestas conferitagli nel giugno del 14 d. C. e visto che egli morì il 19 agosto del medesimo anno, è lecito ritenere che Augusto abbia completato la redazione finale delle Res Gestae negli ultimi mesi di vita. Il documento non menziona il nome dei nemici e neppure di nessun membro della sua famiglia, ad eccezione dei successori di volta in volta designati: Agrippa, Gaio e Lucio Cesari, Tiberio.

I modelli a cui Augusto si rifece furono: la colonna rostrata di Gaio Duilio, vincitore dei cartaginesi nel 260 a. C. a Milazzo, sita nel Foro Romano; la tavola, scritta in prima persona, che commemorava le strade fatte costruire da Publio Popilio Lenate, console del 132 a. C.; l'iscrizione fatta porre da Annibale nel tempio di Era Lacinia presso Crotone.[6] L'aspetto ellenizzante tuttavia pare evidente nell'esaltazione di un capo di Stato, che però trova un sincretismo con concetti romani, tanto da produrre comunque l'impressione di essere di fronte ad un uomo d'eccezione, che compie cose non accessibili agli esseri comuni. Nelle province, soprattutto orientali, veniva perseguita una continuità con sovrani cosmocratici, come Alessandro Magno o Dario I; a Roma, al contrario, Augusto si ricollegava agli Scipioni, a Pompeo, a Cesare pur, in qualche modo, superandoli. Con le Res Gestae, quindi, tanto un uomo colto della nobilitas, quanto un semplice membro della plebe urbana o un abitante delle province orientali trovava modo di comprendere il messaggio che il primo imperatore divinizzato, non a caso figlio del Divo Giulio, lasciava ad intendere.

 
Augusto con la corona civica; l'onorificenza, assegnatagli dal Senato, è ricordata, fra le altre, da Augusto nelle sue Res Gestae.

Augusto racconta che all'età di 19 anni costituì un esercito a sue spese e con la benedizione del Senato. Nello stesso anno fu eletto console. Con questi mezzi riuscì ad esiliare e punire gli assassini di Giulio Cesare, suo padre adottivo (1-3). Questi passi delle Res Gestae mostrano i cardini dell'ideologia augustea. Ottaviano, uscito vincitore dalle guerre civili, impone la propria lettura storica: il suo intervento nelle guerre civili non è di parte, ma in difesa e per conto del Senato e dello stato romano. I provvedimenti e la guerra contro gli uccisori di Cesare, da cui Ottaviano era stato adottato, sono un atto di diritto e di pietà filiale. Tuttavia Augusto stesso omette alcuni avvenimenti: cita la sua elezione a console, ma non specifica che ciò fu necessario poiché i due consoli precedenti erano morti in guerra con lui e che lui aveva imposto al Senato la propria elezione marciando su Roma. Tralascia inoltre di citare il nome stesso del suo amico-rivale, Marco Antonio, tacendo così il complesso rapporto sia politico sia personale consumatosi tra loro nel corso degli anni: infatti in un primo momento lo combatté (guerra di Modena), quindi collaborò con lui (secondo triumvirato), infine lo sconfisse definitivamente (battaglia di Azio).

  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio.

Vengono quindi raccontate le sue conquiste militari e si ricorda l'atteggiamento verso i popoli vinti, ai quali era concesso di continuare a seguire i propri costumi e di mantenere le precedenti forme di governo purché pagassero i tributi a Roma.

Sono ricordate poi le onorificenze avute per i suoi successi militari, quindi vengono elencate le cariche e le dignità accettate (5-7), infine le cariche sacerdotali, poste in ordine gerarchico. C'è quindi spazio per l'attività politica: revisione delle liste di patrizi, censimenti, leggi a favore della moralizzazione della vita politica e privata.

I capitoli 15-23 formano la sezione dedicata alle impensae sostenute dal principe con risorse attinte dal suo patrimonio privato.

Dal capitolo 19 al capitolo 24 sono elencate le spese effettuate per la costruzione o il restauro di edifici pubblici, templi, acquedotti, strade, ponti, nonché alla restituzione dell'oro coronario offertogli dai municipi e dalle colonie per i suoi trionfi.

Il capitolo 25 dà inizio all'ultima sezione delle Res Gestae, riservata alla narrazione delle imprese propriamente dette: prima la lotta contro i pirati, poi le guerre civili, infine i bella externa (Gallia, Spagna, Germania, Etiopia, Egitto). Il capitolo 28 è dedicato alle colonie militari.

Il cap. 29 al recupero delle insegne militari perse da vari comandanti nelle lotte contro i Parti.

I capitoli 31-33 raccontano il rapporto del principe con regni lontani: India, Medi, Parti.

Il capitolo 34 è di importanza assoluta per la storia della genesi del principato: sono elencati tutti i titoli e gli onori a lui conferiti a partire dal 27 a.C. Fondamentale nell'ideologia politica del principato il concetto che Ottaviano definisce di auctoritas e potestas ("autorità" e "potere"). L'elenco delle cariche ricoperte e di quelle offerte, ma non accettate, mostra il potere di acquisto a Roma e fa luce sulla situazione di asservimento della classe dirigente.

  Lo stesso argomento in dettaglio: Augusto (titolo) e Augusto § Titolatura imperiale.

La chiusa celebre termina (cap. 35) con l'indicazione della data di composizione "scrissi questo all'età di 76 anni".

Testo latino e traduzione delle Res Gestae dal Monumentum Ancyranum modifica

Il testo si compone di un'introduzione, 35 paragrafi raggruppabili in 3 sezioni e un'appendice.

  • Pars prima (paragrafi 1 a 14) : essa descrive la carriera politica di Augusto, il suo cursus honorum, le cariche, uffici e onori che egli ha ricevuto o dato.
  • Pars altera (paragrafi 15 a 24) : essa cita le distribuzioni di denaro, i giochi e i monumenti offerti al popolo di Roma.
  • Pars tertia (paragrafi 25 a 35) : in essa Augusto parla delle sue conquiste militari e della sua azione diplomatica.
  • Appendix: scritta in terza persona contrariamente al resto del testo, non fu probabilmente scritta per mano di Augusto. Questa appendice riassume le spese sostenute da Augusto per l'erario, per i monumenti dell'Urbe, per i giochi e per far fronte a diverse calamità naturali. Illuminante l'ultima frase cui si citano le spese sostenute per amici e senatori, caduti tanto in disgrazia da non avere più il censo richiesto per far parte del senato. Tali spese furono innumerabilis, ovvero, non conteggiabili.

Introduzione modifica

(LA)

«Rerum gestarum divi Augusti, quibus orbem terra[rum] imperio populi Romani subiecit, et impensarum, quas in rem publicam populumque Romanum fecit, incisarum in duabus aheneis pilis, quae su[n]t Romae positae, exemplar sub[i]ectum

(IT)

«Narrazione delle imprese del divino Augusto attraverso le quali sottomise tutto il mondo al potere del popolo romano, e del denaro che spese per la Repubblica e per il popolo romano, come sta scritto su due pilastri di bronzo a Roma.[N 1]»

Pars prima. Capitoli 1-14 modifica

(LA)

«1. Annos undeviginti natus exercitum privato consilio et privata impensa comparavi, per quem rem publicam a dominatione factionis oppressam in libertatem vindicavi. Eo nomine senatus decretis honorificis in ordinem suum me adlegit, C. Pansa et A. Hirtio consulibus, consularem locum sententiae dicendae tribuens, et imperium mihi dedit. Res publica, ne quid detrimenti caperet, me propraetore simul cum consulibus providere iussit. Populus autem eodem anno me consulem, cum co(n)s(ul) uterque bello cecidisset, et triumvirum rei publicae constituendae creavit.»

(IT)

«1. A 19 anni,[N 2] di mia iniziativa e con spesa privata, misi insieme un esercito, con il quale restituii alla libertà la Repubblica oppressa dalla dominazione di una fazione. Per questo motivo, essendo consoli Gaio Vibio Pansa e Aulo Irzio, il Senato mi incluse nel suo ordine con decreti onorifici, attribuendomi il diritto di esprimere il mio parere tra i consolari, e mi assegnò l'imperium militare.[N 3] La Repubblica mi ordinò di provvedere, essendo io propretore, insieme ai consoli che nessuno potesse portare danno. Nello stesso anno il popolo romano mi elesse console[N 4] e triumviro per riordinare la Repubblica, poiché entrambi i consoli erano stati uccisi in guerra.»

(LA)

«2. Qui parentem meum trucidaverunt, eos in exilium expuli iudiciis legitimis ultus eorum facinus, et postea bellum inferentis rei publicae vici bis acie.»

(IT)

«2. Mandai in esilio quelli che trucidarono mio padre, punendo il loro delitto con sentenze legittime;[N 5] e in seguito, muovendo essi guerra alla repubblica, li vinsi due volte in battaglia.[N 6]»

(LA)

«3. Bella terra et mari civilia externaque toto in orbe terrarum saepe gessi victorque omnibus v[eniam petentib]us civibus peperci. Externas gentes, quibus tuto ignosci potuit, conservare quam excidere malui. Millia civium Romanorum sub sacramento meo fuerunt circiter quingenta. Ex quibus deduxi in coloni]as aut remisi in municipia sua stipendis emeritis millia aliquanto plura quam trecenta et iis omnibus agros adsignavi aut pecuniam pro praemis militiae dedi. Naves cepi sescentas praeter eas, si quae minores quam triremes fuerunt.»

(IT)

«3. Combattei spesso guerre civili[N 7] ed esterne in tutto il mondo per terra e per mare; e da vincitore lasciai in vita tutti quei cittadini che implorarono grazia. Preferii conservare i popoli esterni, ai quali si poté perdonare senza pericolo, piuttosto che sterminarli. Quasi 500 000 cittadini romani prestarono a me giuramento militare;[N 8] dei quali più di 300 000 inviai in colonie o rimandai nei loro municipi, compiuto il servizio militare; e a essi (tutti) assegnai terre o donai denaro in premio del servizio. Catturai 600 navi oltre a quelle minori per capacità alle triremi.»

(LA)

«4. Bis ovans triumphavi et tri[s egi] curulis triumphos et appella[tus sum v]iciens et semel imperator. [decernente plu]ris triumphos mihi sena[t]u, qua[ter eis su]persedi. L[aurum de f]asc[i]bus deposui in Capi[tolio votis, quae] quoque bello nuncupaveram, [sol]utis. Ob res a [me aut per legatos] meos auspicis meis terra ma[riqu]e pr[o]spere gestas qui[nquageniens et q]uinquiens decrevit senatus supp[lica]ndum esse dis immortalibus. Dies a[utem, pe]r quos ex senatus consulto [s]upplicatum est, fuere DC[CCLXXXX. In triumphis meis] ducti sunt ante currum meum reges aut r[eg]um lib[eri novem. Consul f]ueram terdeciens, cum [scribeb]a[m] haec, [et eram se]p[timum et] tricen[simu]m tribuniciae potestatis.»

(IT)

«4. Due volte ebbi un'ovazione trionfale e tre volte celebrai trionfi curuli[N 9] e fui acclamato ventun volte imperator, sebbene il senato deliberasse un maggior numero di trionfi, che tutti declinai. Deposi l'alloro dai fasci in Campidoglio, sciogliendo così i voti solenni che avevo pronunciato per ciascuna guerra. Per le imprese per terra e per mare compiute da me o dai miei legati, sotto i miei auspici, cinquantacinque volte il senato decretò solenni ringraziamenti agli dèi immortali. I giorni poi durante i quali per decreto del senato furono innalzate pubbliche preghiere furono ottocentonovanta. Nei miei trionfi furono condotti davanti al mio carro nove re o figli di re. Ero stato console tredici volte quando scrivevo queste memorie ed ero per la trentasettesima volta rivestito della podestà tribunizia.[N 10]»

(LA)

«5. Dic]tat[ura]m et apsent[i e]t praesent[i mihi delatam et a popul]o et a se[na]tu [M. Marce]llo e[t] L. Arruntio [cos.] non rec[epi. Non sum] depreca[tus] in s[umma f]rum[enti p]enuria curatio[n]em an[non]ae. [qu] am ita ad[min]ist[ravi, ut] in[tra] die[s] paucos metu et periclo p[r] aesenti civitatem univ[ersam liberarem impensa et] cura mea. Consul[atum] quoqu]e tum annum e[t perpetuum mihi] dela[tum non recepi.]»

(IT)

«5. Non accettai la dittatura che sotto il consolato di Marco Marcello e Lucio Arrunzio[N 11] mi era stata offerta, sia mentre ero assente sia mentre ero presente nell'Urbe, e dal popolo e dal senato. Non mi sottrassi invece in una estrema carestia ad accettare la sovrintendenza dell'annona, che ressi in modo tale da liberare in pochi giorni dal timore e dal pericolo l'intera Urbe, a mie spese e con la mia solerzia. Anche il consolato, offertomi allora annuo e a vita, non accettai.»

(LA)

«6. Consulibus M. Vinicio et Q. Lucretio] et postea P. Lentulo et Cn. L[entulo et tertium Paullo Fabio Maximo] e[t Q. Tuberone senatu populoq]u[e Romano consentientibus] ut cu[rator legum et morum maxima potestate solus crearer nullum magistratum contra morem maiorem delatum recepi. Quae tum per me fieri senatus] v[o]luit, per trib[un]ici[a]m p[otestatem perfeci, cuius potes]tatis conlegam et [ips]e ultro [quinquiens mihi a sena]tu[de]poposci et accepi.»

(IT)

«6. Sotto il consolato di Marco Vinicio e Quinto Lucrezio, e poi di Publio Lentulo e Gneo Lentulo, e ancora di Fabio Massimo e Quinto Tuberone,[N 12] nonostante l'unanime consenso del senato e del popolo romano affinché io fossi designato unico sovrintendente delle leggi e dei costumi con sommi poteri, non accettai alcuna magistratura conferitami contro il costume degli antenati. E allora ciò che il senato volle che fosse da me gestito, lo portai a compimento tramite il potere tribunizio, di cui chiesi ed ottenni dal senato per più di cinque volte consecutive un collega.»

(LA)

«7. Tri]umv[i]rum rei pu[blicae c]on[s]ti[tuendae fui per continuos an]nos [decem. P]rinceps s[enatus fui usque ad e]um d[iem, quo scrip]seram [haec, per annos] quadra[ginta. Pon]tifex [maximus, augur, XV vir]um sacris fac[iundis, VII virum ep]ulon[um, frater arvalis, sodalis Titius], fetialis fui.»

(IT)

«7. Fui triumviro per riordinare la Repubblica per dieci anni consecutivi. Fui Princeps senatus fino al giorno in cui scrissi queste memorie per 40 anni. E fui pontefice massimo, augure, quindecemviro alle sacre cerimonie, settemviro degli epuloni, fratello arvale, sodale Tizio, feziale

(LA)

«8. Patriciorum numerum auxi consul quintum iussu populi et senatus. Senatum ter legi. Et in consulatu sexto censum populi conlega M. Agrippa egi. Lustrum post annum alterum et quadragensimum fec[i]. Quo lustro civium Romanorum censa sunt capita quadragiens centum millia et sexag[i]inta tria millia. ~ Tum [iteru]m consulari com imperio lustrum [s]olus feci C. Censorin[o et C.] Asinio cos. Quo lustro censa sunt civium Romanorum [capita] quadragiens centum millia et ducenta triginta tria mi[llia. Et tertiu]m consulari cum imperio lustrum conlega Tib. Cae[sare filio] m[eo feci,] Sex. Pompeio et Sex. Appuleio cos. Quo lustro ce[nsa sunt]civ[ium Ro]manorum capitum quadragiens centum mill[ia et n]onge[nta tr]iginta et septem millia. Legibus novi[s] m[e auctore l]atis m[ulta e]xempla maiorum exolescentia iam ex nostro [saecul]o red[uxi et ipse] multarum rer[um exe]mpla imitanda pos[teris tradidi.]»

(IT)

«8. Durante il mio quinto consolato accrebbi il numero dei patrizi per ordine del popolo e del senato. Tre volte procedetti ad un vaglio dei senatori. E durante il sesto consolato feci il censimento della popolazione, avendo come collega Marco Agrippa.[N 13] Celebrai la cerimonia lustrale dopo quarantadue anni. In questo censimento furono registrati 4 063 000 cittadini romani. Poi feci un secondo censimento[N 14] con potere consolare, senza collega, sotto il consolato di Gaio Censorio e Gaio Asinio, e in questo censimento furono registrati 4 230 000 cittadini romani. E feci un terzo censimento con potere consolare, avendo come collega mio figlio Tiberio Cesare, sotto il consolato di Sesto Pompeio e Sesto Apuleio;[N 15] in questo censimento furono registrati 4 937 000 cittadini romani. Con nuove leggi, proposte su mia iniziativa, rimisi in vigore molti modelli di comportamento degli avi, che ormai nel nostro tempo erano caduti in disuso, e io stesso consegnai ai posteri esempi di molti costumi da imitare.»

(LA)

«9. Vota p[ro valetudine meo susc]ipi p[er cons]ules et sacerdotes qu[in]to qu[oque anno senatus decrevit. Ex iis] votis s[ae]pe fecerunt vivo m[e ludos aliquotiens sace]rdo[tu]m quattuor amplissima colle[gia, aliquotiens consules. Pr]iva[t]im etiam et municipatim univer[si cives unanimite]r con[tinente]r apud omnia pulvinaria pro vale[tu]din[e mea s]upp[licaverunt.]»

(IT)

«9. Il senato decretò che venissero fatti voti per la mia salute dai consoli e dai sacerdoti ogni quattro anni. In seguito a questi voti spesso, durante la mia vita, talvolta i quattro più importanti colleghi sacerdotali, talvolta i consoli allestirono giochi. Anche i cittadini, tutti quanti, sia a titolo personale, sia municipio per municipio, unanimemente, senza interruzione, innalzarono pubbliche preghiere per la mia salute in tutti i templi.»

(LA)

«10. Nom[en me]um [sena]tus c[onsulto inc]lusum est in saliare carmen et sacrosanctu[s in perp]etum [ut essem et, q]uoad ivierem, tribunicia potestas mihi [esse, per lege]m sanc[tum est. Pontif]ex maximus ne fierem in vivi [c]onlegae l]ocum, [populo id sace]rdotium deferente mihi, quod pater meu[s habuer]at, r[ecusavi. Qu]od sacerdotium aliquod post annos, eo mor[t]uo q[ui civilis] m[otus o]ccasione occupaverat, cuncta ex Italia [ad comitia mea] confluen[te mu]ltitudine, quanta Romae nun[q]uam [fertur ante i]d temp[us fuisse], recep[i] P. Sulpicio C. Valgio consulibu[s].»

(IT)

«10. Il mio nome per senatoconsulto fu inserito nel carme saliare e fu sancito per legge che fossi inviolabile per sempre e che avessi la potestà tribunizia a vita. Rifiutai di diventare pontefice massimo al posto di un mio collega ancora in vita, benché fosse il popolo ad offrirmi questo sacerdozio, che mio padre aveva rivestito. E questo sacerdozio accettai, qualche anno dopo, sotto il consolato di Publio Sulpicio e Gaio Valgio, morto colui che ne aveva preso possesso approfittando del disordine politico interno,[N 16] e confluendo ai miei comizi da tutta l'Italia una moltitudine tanto grande quanta mai a Roma si dice vi fosse stata fino a quel momento.»

(LA)

«11. Aram [Fortunae] R[educis a]nte aedes Honoris et Virtutis ad portam Cap[enam pro] red[itu me]o senatus consacravit, in qua ponti[fices et] vir[gines Ve]stal[es anni]versarium sacrificium facere [decrevit eo] di[e quo co]nsul[ibus Q. Luc]retio et [M. Vi]nic[i]o in urbem ex [Syria redieram, et diem Augustali]a ex [c]o[gnomine] nos[t]ro appellavit.»

(IT)

«11. Il senato deliberò al mio ritorno la costruzione dell'altare della Fortuna Reduce davanti al Tempio di Onore e Virtù presso la porta Capena, e ordinò che su di esso i pontefici e le vergini Vestali celebrassero un sacrificio ogni anno nel giorno in cui, sotto il consolato di Quinto Lucrezio e Marco Vinicio, ero tornato a Roma dalla Siria,[N 17] e designò quel giorno Augustalia, dal mio soprannome.»

(LA)

«12. Senatus consulto ea occasion]e pars [praetorum e]t tribunorum [plebi cum consule Q.] Lu[cret]io et princi[pi] bus viris [ob]viam mihi mis[s]a e[st in Campan]iam, quo honos [ad ho]c tempus nemini praeter [m]e es[t decretus. Cu]m ex H[is[]ania Gal[liaque, rebu]s in iis provincis prosp[e]re [gest]i[s], R[omam redi] Ti. Nerone P. Qui[ntilio c]o[n]s[ulibu]s, ~ aram [Pacis A]u[g]ust[ae senatus pro]redi[t]u meo consa[c]randam [censuit] ad campam [Martium, in qua ma]gistratus et sac[er]dotes [et v]irgines V[est]a[les ann]iversarium sacrific]ium facer[e decrevit.]»

(IT)

«12. Per decisione del senato una parte dei pretori e dei tribuni della plebe con il console Quinto Irzio Lucrezio e con i cittadini più influenti mi fu mandata incontro in Campania, e questo onore non è stato decretato a nessuno tranne che a me.[N 18] Quando, sotto il consolato di Tiberio Nerone e Publio Quintilio, tornai a Roma dalla Spagna e dalla Gallia, dopo aver portato a termine con successo i programmi prestabiliti,[N 19] il senato decretò che per il mio ritorno dovesse essere consacrato l'altare della Pace Augusta vicino al Campo Marzio, e ordinò che su di esso i magistrati, i sacerdoti e le vergini Vestali facessero ogni anno un sacrificio.»

(LA)

«13. Ianum] Quirin[um, quem cl]aussum ess[e maiores nostri voluer]unt, cum [p]er totum i[mperium po]puli Roma[ni terra marique es]set parta victoriis pax, cum pr[ius quam] nascerer, a co[ndita] u[rb]e bis omnino clausum [f]uisse prodatur m[emori]ae, ter me princi]pe senat]us claudendum esse censui[t].»

(IT)

«13. Il tempio di Giano Quirino, che i nostri antenati vollero che venisse chiuso quando si fosse ottenuta la pace tramite vittorie in tutto l'impero romano per terra e per mare, prima che io nascessi dalla fondazione della città fu chiuso in tutto due volte; sotto il mio principato per tre volte il senato decretò che dovesse essere chiuso.[N 20]»

(LA)

«14. Filios meos, quos iuv[enes] mihi eripuit for[tuna], Gaium et Lucium Caesares, honoris mei causa senatus populusque Romanus annum quintum et decimum agentis consules designavit, ut [e]um magistratum inirent post quinquennium. Et ex eo die, quo deducti [s]unt in forum ut interessent consiliis publicis decrevit sena[t]us. Equites [a]utem Romani universi principem iuventutis utrumque eorum parm[is] et hastis argenteis donatum appellaverunt.»

(IT)

«14. I miei figli, che la sorte mi strappò in giovane età, Gaio e Lucio Cesari, in mio onore il senato e il popolo romano designarono consoli all'età di quattordici anni, perché rivestissero tale magistratura dopo cinque anni. E il senato decretò che partecipassero ai dibattiti di interesse pubblico dal giorno in cui furono accompagnati nel Foro. Inoltre i cavalieri romani, tutti quanti, vollero che entrambi avessero il titolo di principi della gioventù e che venissero loro donati scudi e aste d'argento.[N 21]»

Pars altera. Capitoli 15-24 modifica

(LA)

«15. Plebei Romanae viritum HS trecenos numeravi ex testamento patris mei. et nomine meo HS quadringenos ex bellorum manibiis consul quintum dedi, iterum autem in consulatu decimo ex patrimonio meo HS quadringenos congiari viritim pernumer[a]vi, et consul undecimum duodecim frumentationes frumento pr[i]vatim coempto emensus sum. ~ et tribunicia potestate duodecimum quadringenos nummos tertium viritim dedi. Quae mea congiaria p[e]rvenerunt ad [homi]num millia nunquam minus quinquaginta et ducenta. Tribuniciae potestatis duodevicensimum consul XII trecentis et viginti millibus plebis urbanae sexagenos denarios viritim dedi. Et colon[i]s militum meorum consul quintum ex manibiis viritim millia nummum singula dedi. acceperunt id triumphale congiarium in colonis hominum circiter centum et viginti millia. Consul tertium dec[i]mum sexagenos denarios plebei, quae tum frumentum publicum acciebat, dedi; ea millia hominum paullo plura quam ducenta fuerunt

(IT)

«15. Alla plebe di Roma[N 22] pagai in contanti a testa trecento sesterzi in conformità alle disposizioni testamentarie di mio padre,[N 23] e a mio nome diedi quattrocento sesterzi a ciascuno provenienti dalla vendita del bottino delle guerre, quando ero console per la quinta volta;[N 24] nuovamente poi, durante il mio decimo consolato,[N 25] con i miei beni pagai quattrocento sesterzi di congiario a testa, e console per l'undicesima volta[N 26] calcolai e assegnai dodici distribuzioni di grano, avendo acquistato a mie spese il grano in grande quantità e, quando rivestivo la potestà tribunizia per la dodicesima volta,[N 27] diedi per la terza volta quattrocento nummi a testa. Questi miei congiari non pervennero mai a meno di duecentocinquantamila uomini. Quando rivestivo la potestà tribunizia per la diciottesima volta ed ero console per la dodicesima volta[N 28] diedi sessanta denari a testa a trecentoventimila appartenenti alla plebe urbana. E ai coloni che erano stati miei soldati, quando ero console per la quinta volta, distribuii a testa mille nummi dalla vendita del bottino di guerra; nelle colonie ricevettero questo congiario del trionfo circa centoventimila uomini. Console per la tredicesima volta diedi sessanta denari alla plebe che allora riceveva frumento pubblico; furono poco più di duecentomila uomini.[N 29]»

(LA)

«16. Pecuniam [pr]o agris, quos in consulatu meo quarto et postea consulibus M. Cr[a]ssao et Cn. Lentulo augure adsignavi militibus, soliv municipis. Ea [s]u[mma s]estertium circiter sexsiens milliens fuit, quam [p]ro Italicis praedis numeravi. et ci[r]citer bis mill[ie]ns et sescentiens, quod pro agris provincialibus soliv. Id primus et [s]olus omnium, qui [d]eduxerunt colonias militum in Italia aut in provincis, ad memoriam aetatis meae feci. Et postea Ti. Nerone et Cn. Pisone consulibus, et D.Laelio cos., et C. Calvisio et L. Pasieno consulibus, et L. Le[nt]ulo et M. Messalla consulibus, et L.Caninio et Q. Fabricio co[s.], milit[i]bus, quos emeriteis stipendis in sua municipi[a dedux]i, praem[i]a numerato persolvi. ~ quam in rem sestertium q[uater m]illiens cir[cite]r impendi.»

(IT)

«16. Pagai ai municipi il risarcimento dei terreni che durante il mio quarto consolato[N 30] e poi sotto il consolato di Marco Crasso e Gneo Lentulo Augure[N 31] assegnai ai soldati. E la somma, che pagai in contanti, per le proprietà italiche ammontò a circa seicento milioni di sesterzi e fu di circa duecentosessanta milioni ciò che pagai per i terreni provinciali. E a memoria del mio tempo compii quest'atto per primo e solo fra tutti coloro che fondarono colonie di soldati in Italia o nelle province. E poi sotto il consolato di Tiberio Nerone e Gneo Pisone e nuovamente sotto il consolato di Gaio Antistio e Decimo Lelio, e di Gneo Calvisio e Lucio Pasieno, e di Lucio Lentulo e Marco Messalla, e di Lucio Caninio e Quinto Fabrizio[N 32] ai soldati che feci ritornare nei loro municipi terminato il servizio militare pagai premi in denaro contante, e per questa operazione spesi circa quattrocento milioni di sesterzi.»

(LA)

«17. Quater [pe]cunia mea iuvi aerarium, ita ut sestertium milliens et quing[en]ties ad eos qui praerant aerario detulerim. Et M. Lepido et L. Ar[r]untio cos. in aerarium militare, quod ex consilio n[eo] co[ns]titutum est, ex [q]uo praemia darentur militibus, qui vicena [aut plu]ra sti[pendi]a emeruissent — HS milliens et septing[e]nti[ens ex pa]t[rim]onio [m]eo detuli.»

(IT)

«17. Quattro volte aiutai l'erario con denaro mio, sicché consegnai centocinquanta milioni di sesterzi a coloro che sovrintendevano l'erario. E sotto il consolato di Marco Lepido e Lucio Arrunzio trasferii l'erario militare,[N 33] che fu costituito su mia proposta perché da esso si prelevassero i premi da dare ai soldati che avessero compiuto venti o più anni di servizio,[N 34] centosettanta milioni di sesterzi prendendoli dal mio patrimonio.»

(LA)

«18. Ab eo anno q]uo Cn. et P. Lentuli c[ons]ules fuerunt, cum deficerent [vecti]g[alia, tum] centum millibus h[omi]num, tum pluribus multo frume[ntarios et n]umma[rio]s t[ributus ex horr]eo et patr[i]monio m[e]o edidi.»

(IT)

«18. Dall'anno in cui furono consoli Gneo e Publio Lentulo,[N 35] scarseggiando le risorse dello Stato, feci donazioni in frumento e in denaro ora a centomila persone ora a molte più, attingendo dal mio granaio e dal mio patrimonio.»

(LA)

«19. Curiam et continens ei Chalcidicum templumque Apollinis in Palatio cum porticibus, aedem divi Iuli, Lupercal, porticum ad circum Flaminium, quam sum appellari passus ex nomine eius qui priorem eodem in solo fecerat Octaviam, pulvinar ad circum maximum, aedes in Capitolio Iovis Feretri et Iovis Tonantis, ~ aedem Quirini, aedes Minervae et Iunonis reginae et Iovis Libertatis in Aventino, aedem Larum in summa sacra via, aedem deum Penatium in Velia, aedem Iuventatis, aedem Matris Magnae in Palatio feci.»

(IT)

«19. Ho eretto la Curia[N 36] e il portico contiguo, il Tempio di Apollo sul Palatino[7] con i portici, il Tempio del Divo Giulio, il Lupercale, il portico nei pressi del circo Flaminio - tollerai che fosse chiamato Ottavio, dal nome di chi aveva eretto la struttura precedente, in quello stesso luogo -, il Pulvinar al Circo Massimo, i templi sul Campidoglio di Giove Feretrio e Giove Tonante, il tempio di Quirino, i templi di Minerva, di Giunone Regina e di Giove Libertà sull'Aventino, il tempio dei Lari in cima alla Via Sacra, il tempio dei Penati sulla Velia, il tempio di Iuventas e il tempio della Grande Madre sul Palatino.»

(LA)

«20. Capitolium et Pompeium theatrum utrumque opus impensa grandi refeci sine ulla inscriptione nominis mei. Rivos aquarum compluribus locis vetustate labentes refeci, ~ et aquam quae Marcia appellatur duplicavi fonte novo in rivum eius inmisso. Forum Iulium et basilicam quae fuit inter aedem Castoris et aedem Saturni, ~ coepta profligataque opera a patre meo, perfeci, et eandem basilicam consumptam incendio ampliato eius solo sub titulo nominis filiorum m[eorum i]ncohavi, et, si vivus non perfecissem, perfici ab heredibus [meis ius]si. Duo et octoginta templa deum in urbe consul sextum ex [auctori]tate senatus refeci, nullo praetermisso quod e[o] tempore [refici debeba]t. Consul septimum viam Flaminiam a[b urbe] Ari[minum refeci pontes]que omnes praeter Mulvium et Minucium.»

(IT)

«20. Restaurai il Campidoglio e il Teatro di Pompeo, l'una e l'altra opera con grande spesa, senza apporvi alcuna iscrizione del mio nome. Restaurai gli acquedotti cadenti per vetustà in parecchi punti, e raddoppiai il volume dell'acqua detta Marcia con l'immissione nel suo condotto di una nuova sorgente. Terminai il Foro Giulio e la basilica fra il Tempio di Castore e il Tempio di Saturno, opere iniziate e quasi ultimate da mio padre, e dopo averne ampliato il suolo, iniziai a ricostruire la medesima basilica, che era stata divorata da un incendio intitolandola al nome dei miei figli, e stabilii che, se non l'avessi terminata io da vivo, fosse terminata dai miei eredi. Console per la sesta volta,[N 13] restaurai nell'Urbe, per volontà del senato, ottantadue templi degli dèi, e non ne tralasciai nessuno che in quel tempo dovesse essere restaurato. Console per la settima volta,[N 37] rifeci la Via Flaminia dall'Urbe a Rimini e tutti i ponti, tranne il Milvio e il Minucio.[N 38]»

(LA)

«21. In privato solo Martis Ultoris templum [f]orumque Augustum [ex ma]n[i]biis feci. Theatrum ad aede Apollinis in solo magna ex parte a p[r]i[v]atis empto feci, quod sub nomine M. Marcell[i] generi mei esset. Don[a e]x manibiis in Capitolio et in aede divi Iu[l]i et in aede Apollinis et in aede Vestae et in templo Martis Ultoris consecravi, quae mihi constiterunt HS circiter milliens. Auri coronari pondo triginta et quinque millia municipiis et colonis Italiae conferentibus ad triumpho[s] meos quintum consul remisi, et postea, quotienscumque imperator a[ppe]llatus sum, aurum coronarium non accepi, decernentibus municipii[s] et colonis aequ[e] beni[g]ne adque antea decreverant

(IT)

«21. Su suolo privato costruii il Tempio di Marte Ultore e il Foro di Augusto col bottino di guerra.[N 39] Presso il Tempio di Apollo su suolo comprato in gran parte da privati costruii un teatro, che volli fosse intitolato a mio genero, Marco Marcello. Consacrai doni ricavati dal bottino di guerra nel Campidoglio, e nel Tempio del Divo Giulio, e nel Tempio di Apollo, e nel tempio di Vesta,[8] e nel tempio di Marte Ultore: essi mi costarono circa cento milioni di sesterzi. Console per quinta volta,[N 40] restituii trentacinquemila libbre di oro coronario[N 41] ai municipi e alle colonie d'Italia che lo donavano per i miei trionfi, e in seguito, tutte le volte che fui proclamato imperator, non accettai l'oro coronario, anche se i municipi e le colonie lo decretavano con la medesima benevolenza con cui lo avevano decretato in precedenza.»

(LA)

«22. Munus gladiatorium dedi meo nomine et quinquiens filiorum meorum aut n[e]potum nomine; quibus muneribus depugnaverunt hominum circiter decem millia. Bis athletarum undique accitorum spectaculu[m] p[o]pulo pra[ebui meo nomine et tertium nepo[tis] mei nomine. Ludos feci m[eo no]m[ine] quater, aliorum autem magistratuum vicem ter et viciens. Pro conlegio Xvvirorum magis[ter con]legii collega M. Agrippa ludos saeclares, C. Furnio C.Silano cos. [feci. C]onsul XIII ludos Mar[tia]les primus feci, quos post id tempus deincep[s] ins[equen]ti[bus] annis [ex senatus consulto et lege fecerunt consules. Venation[es] best[ia]rum Africanarum meo nomine aut filio[ru]m meorum et nepotum in circo aut in foro aut in amphitheatris, popul[o d]edi sexiens et viciens, quibus confecta sunt bestiarum circiter tria m[ill]ia et quingentae

(IT)

«22. Tre volte allestii uno spettacolo gladiatorio a nome mio e cinque volte a nome dei miei figli o nipoti; e in questi spettacoli combatterono circa diecimila uomini. Due volte a mio nome offrii al popolo spettacolo di atleti fatti venire da ogni parte, e una terza volta a nome di mio nipote.[N 42] Allestii giochi a mio nome quattro volte, invece al posto di altri magistrati ventitré volte. In nome del collegio dei quindecemviri, come presidente del collegio, avendo per collega Marco Agrippa, durante il consolato di Gaio Furnio e Gaio Silano, celebrai i Ludi Secolari[N 43]. Durante il mio tredicesimo consolato[N 44] celebrai per primo i Ludi di Marte che in seguito e di seguito negli anni successivi, per decreto del senato e per leggi, furono celebrati dai consoli. Allestii per il popolo ventisei volte, a nome mio o dei miei figli e nipoti, cacce di belve africane, nel circo o nel foro o nell'anfiteatro, nelle quali furono ammazzate circa tremilacinquecento belve.»

(LA)

«23. Navalis proeli spectaclum populo de[di tr]ans Tiberim, in quo loco nunc nemus est Caesarum, avato [s]olo in longitudinem mille et octingentos pedes ~ in latudine[m mille] e[t] ducenti. In quo triginta rostratae naves triremes a[ut birem]es ~ plures autem minores inter se conflixerunt. Q[uibu]s in classibus pugnaverunt praeter remiges millia ho[minum tr]ia circiter.»

(IT)

«23. Allestii per il popolo uno spettacolo di combattimento navale al di là del Tevere, nel luogo in cui ora c'è il bosco dei Cesari,[N 45] scavato il terreno per una lunghezza di milleottocento piedi e per una larghezza di milleduecento; in esso vennero a conflitto trenta navi rostrate triremi o biremi, e, più numerose, di stazza minore; in questa flotta combatterono, a parte i rematori, circa tremila uomini.»

(LA)

«24. In templis omnium civitatium prov[inci]ae Asiae victor ornamenta reposui, quae spoliatis templis is cum quo bellum gesseram privatim possederat. Statuae [mea]e pedestres et equestres et in quadrigeis argenteae steterunt in urbe XXC circiter, quas ipse sustuli ~ exque ea pecunia dona aurea in aede Apollinis meo nomine et illorum, qui mihi statuarum honorem habuerunt, posui

(IT)

«24. Nei templi di tutte le città della provincia d'Asia ricollocai, vincitore, gli ornamenti che, spogliati i templi, aveva posseduto a titolo privato colui al quale avevo fatto guerra.[N 46] Mie statue pedestri ed equestri e su quadrighe, in argento, furono innalzate nell'Urbe in numero di ottanta circa, ma io spontaneamente le rimossi e dal denaro ottenuto ricavai doni d'oro che collocai nel tempio di Apollo a nome mio e di quelli che mi tributarono l'onore delle statue.»

Pars tertia. Capitoli 25-35 modifica

(LA)

«25. Mare pacavi a praedonibus. Eo bello servorum, qui fugerant a dominis suis et arma contra rem publicam ceperant, triginta fere millia capta dominis ad supplicium sumendum tradidi. Iuravit in mea verba tota Italia sponte sua et me be[lli] quo vici ad Actium ducem depoposcit. Iuraverunt in eadem ver[ba provi]nciae Galliae, Hispaniae, Africa, Sicilia, Sardinia. Qui sub [signis meis tum] militaverint, fuerunt senatores plures quam DCC, in ii[s qui vel antea vel pos]tea consules facti sunt ad eum diem quo scripta su[nt haec LX]X[XIII, sacerdo]tes ci[rc]iter CLXX.»

(IT)

«25. Stabilii la pace sul mare liberandolo dai pirati.[N 47] In quella guerra catturai circa trentamila schiavi che erano fuggiti dai loro padroni e avevano impugnato le armi contro lo Stato, e li consegnai ai padroni perché infliggessero una pena. Tutta l'Italia giurò spontaneamente fedeltà a me[N 48] e chiese me come comandante della guerra in cui poi vinsi presso Azio; giurarono parimenti fedeltà le province delle Gallie, delle Spagne, di Africa, di Sicilia e di Sardegna. I senatori che militarono allora sotto le mie insegne furono più di settecento; tra essi, o prima o dopo, fino al giorno in cui furono scritte queste memorie, ottantatré furono eletti consoli, e circa centosettanta sacerdoti.»

(LA)

«26. Omnium provinciarum populi Romani], quibus finitimae fuerunt gentes quae non p[arerent imperio nos]tro, fines auxi. Gallias et Hispanias provincias, i[tem Germaniam qua inclu]dit Oceanus a Gadibus ad ostium Albis flumin[is pacavi. Alpes a re]gione ea, quae proxima est Hadriano mari, [ad Tuscum pacari fec]i. nulli genti bello per iniuriam inlato. Cla[ssis m]ea per Oceanum] ab ostio Rheni ad solis orientis regionem usque ad fi[nes Cimbroru]m navigavit, ~ quo neque terra neque mari quisquam Romanus ante id tempus adit, Cimbrique et Charydes et Semnones et eiusdem tractus alli Germanorum popu[l]i per legatos amicitiam meam et populi Romani petierunt. Meo iussu et auspicio ducti sunt [duo] exercitus eodem fere tempore in Aethiopiam et in Ar[a]biam, quae appel[latur Eudaemon, [maxim]aeque hos[t]ium gentis utr[iu]sque cop[iae] caesae sunt in acie et [c]om[plur]a oppida capta. In Aethiopiam usque ad oppidum Nabata pervent[um]est, cui proxima est Meroe. In Arabiam usque in fines Sabaeorum pro[cess]it exercitus ad oppidum Mariba.»

(IT)

«26. Allargai i confini di tutte le province del popolo romano, con le quali erano confinanti popolazioni che non erano sottoposte al nostro potere. Pacificai le provincie delle Gallie e delle Spagne,[N 49] come anche la Germania nel tratto che confina con l'Oceano, da Cadice alla foce del fiume Elba.[N 50] Feci sì che fossero pacificate le Alpi,[N 51] dalla regione che è prossima al mare Adriatico fino al Tirreno, senza aver portato guerra ingiustamente a nessuna popolazione. La mia flotta navigò l'Oceano dalla foce del Reno verso le regioni orientali fino al territorio dei Cimbri, dove né per terra né per mare giunse alcun romano prima di allora,[N 52] e i Cimbri e i Caridi e i Sennoni e altri popoli germani della medesima regione chiesero per mezzo di ambasciatori l'amicizia mia e del popolo romano. Per mio comando e sotto i miei auspici due eserciti furono condotti, all'incirca nel medesimo tempo, in Etiopia e nell'Arabia detta Felice,[N 53] e grandissime schiere nemiche di entrambe le popolazioni furono uccise in battaglia e conquistate parecchie città. In Etiopia arrivò fino alla città di Nabata, cui è vicinissima Meroe. In Arabia l'esercito avanzò fin nel territorio dei Sabei, raggiungendo la città di Mariba

(LA)

«27. Aegyptum imperio populi [Ro]mani adieci. Armeniam maiorum, interfecto rege eius Artaxe, c[u]m possem facere provinciam, malui maiorum nostrorum exemplo regn[u]m id Tigrani, regis Artavasdis filio, nepoti autem Tigranis regis, per T[i. Ne]ronem trad[er], qui tum mihi priv[ig]nus erat. Et eandem gentem postea d[e]sciscentem et rebellantem domit[a]m per Gaium filium meum regi Ariobarzani, regis Medorum Artaba[zi] filio, regendam tradidi ~ et post eius mortem filio eius Artavasdi. Quo interfecto, Tig[ra]ne qui erat ex regio genere Armeniorum oriundus, in id regnum misi. Provincias omnis, quae trans Hadrianum mare vergunt ad orien[te]m, Cyrenasque, iam ex parte magna regibus eas possidentibus, et antea Siciliam et Sardiniam occupatas bello servili reciperavi.»

(IT)

«27. Aggiunsi l'Egitto all'impero del popolo romano.[N 54] Pur potendo fare dell'Armenia maggiore una provincia dopo l'uccisione del suo re Artasse, preferii, sull'esempio dei nostri antenati, affidare quel regno a Tigrane, figlio del re Artavaside e nipote di re Tigrane, per mezzo di Tiberio Nerone, che allora era mio figliastro.[9] E la medesima popolazione che in seguito cercava di staccarsi e si ribellava, domata per mezzo di mio figlio Gaio, affidai da governare al re Ariobarzane, figlio di Artabazo re dei Medi, e dopo la sua morte a suo figlio Artavaside.[10] E dopo che questi fu ucciso, mandai su quel trono Tigrane, discendente della famiglia reale armena. Riconquistai tutte le province che al di là del mare Adriatico sono volte a Oriente,[N 55] e Cirene, ormai in gran parte possedute da re, e in precedenza la Sicilia e la Sardegna, occupate nel corso della guerra servile.[11]»

(LA)

«28. Colonias in Africa Sicilia Macedonia utraque Hispania Achai[a] Asia S[y]ria Gallia Narbonensi Pi[si]dia militum deduxi. Italia autem XXVIII [colo]nias, quae vivo me celeberrimae et frequentissimae fuerunt, me auctore deductas habet.»

(IT)

«28. Fondai colonie di soldati in Africa, in Sicilia, in Macedonia, in entrambe le Spagne, in Acaia, in Asia, in Siria, nella Gallia Narbonense, in Pisidia. L'Italia poi possiede, fondate per mia volontà, ventotto colonie, che durante la mia vita furono assai prosperose e popolose.[N 56]»

(LA)

«29. Signa militaria complur[a per] alios d[u]ces ami[ssa] devicti[s hostibu]s re[cipe]ravi ex Hispania et Gallia et a Dalmateis. Parthos trium exercitum Romanorum spolia et signa re[ddere] mihi supplicesque amicitiam populi Romani petere coegi. Ea autem si[gn]a in penetrali, quod est in templo Martis Ultoris, reposui

(IT)

«29. Recuperai dalla Spagna e dalla Gallia e dai Dalmati, dopo aver vinto i nemici, parecchie insegne militari perdute da altri comandanti. Costrinsi i Parti a restituirmi spoglie e insegne di tre eserciti romani e a chiedere supplici l'amicizia del popolo romano.[N 57] Quelle insegne, poi, riposi nel penetrale che è nel tempio di Marte Ultore.»

(LA)

«30. Pannoniorum gentes, qua[s a]nte me principem populi Romani exercitus numquam ad[it], devictas per Ti. Neronem, qui tum erat privignus et legatus meus, imperio populi Romani s[ubie]ci protulique fines Illyrici ad r[ip]am fluminis Dan[uv]i. Citr[a] quod [D]a[cor]u[m tra]n[s]gressus exercitus meis a[u]sp[icis vict]us profligatusque [es]t, et pos[tea tran]s Dan[u]vium ductus ex[ercitus me]u[s] Dacorum gentis im[peri]a p[opuli] R[omani perferre coegit]

(IT)

«30. Le popolazioni dei Pannoni, alle quali prima del mio principato l'esercito del popolo romano mai si accostò, sconfitte per mezzo di Tiberio Nerone, che allora era mio figliastro e luogotenente, sottomisi all'impero del popolo romano, estesi i confini dell'Illirico fino alla riva del Danubio. E un esercito di Daci, passati al di qua di esso, sotto i miei auspici fu vinto e sbaragliato, e in seguito il mio esercito, condotto al di là del Danubio, costrinse la popolazione dei Daci a sottostare ai comandi del popolo romano.»

(LA)

«31. Ad me ex In[dia regum legationes saepe missae sunt nunquam visae ante id t]em[pus] apud quemquam Romanorum ducem. Nostram amic[itiam petie]run[t] per legat[os] Bastarnae Scythaeque et Sarmatarum qui sunt citra flumen Tanaim et ultra reges. Albanorumque rex et Hiberorum e[t Medorum].»

(IT)

«31. Furono inviate spesso a me ambascerie di re dall'India, non viste prima di allora da alcun comandante romano. Chiesero la nostra amicizia per mezzo di ambasciatori i Bastarni, gli Sciti e i re dei Sarmati che abitano al di qua e al di là del fiume Tànai,[N 58] e i re degli Albani, degli Iberi e dei Medi

(LA)

«32. Ad me supplices confugerunt reges Parthorum Tirida[te]s et post[ea] Phrates regis Phratis filius. Medorum Artavasdes, Adiabenorum Artaxares, Britannorum Dumnobellaunus et Tincommius, Sugambr]orum Maelo, Marcomannorum Sueborum [Segime]rus. Ad me rex Parthorum Phrates, Orod[i]s filius, filios suos nepot[esque omnes] misit in Italiam, non bello superatus, sed amicitiam nostram per [libe]ror[um] suorum pignora petens. Plurimaeque aliae gentes expertae sunt p. R. fidem me principe, quibus antea cum populo Romano nullum extiterat legationum et amicitiae commercium.»

(IT)

«32. Presso di me si rifugiarono supplici i re dei Parti Tiridate e poi Fraate, figlio del re Fraate, e Artavasde re dei Medi, Artassare degli Adiabeni, Dumnobellauno e Tincommio dei Britanni, Melone dei Sigambri, Segimero dei Marcomanni Svevi. Presso di me in Italia il re dei Parti Fraate, figlio di Orode, mandò tutti i suoi figli e nipoti, non perché fosse stato vinto in guerra, ma perché ricercava la nostra amicizia con il pegno dei suoi figli. E moltissime altre popolazioni sperimentarono, durante il mio principato, la lealtà del popolo romano, esse che in precedenza non avevano avuto nessun rapporto di ambascerie e di amicizia con il popolo romano.»

(LA)

«33. A me gentes Parthorum et Medoru[m per legatos] principes earum gentium reges pet[i]tos acceperunt: Par[thi Vononem, regis Phr]atis filium, regis Orodis nepotem. Medi Ariobarzanem, regis Artavazdis filium, regis Ariobarzanis nepotem.»

(IT)

«33. Da me le popolazioni dei Parti e dei Medi, che me ne avevano fatto richiesta per mezzo di ambasciatori che erano le persone più ragguardevoli di quelle popolazioni, ricevettero i loro re: i Parti Vonone, figlio del re Fraate e nipote del re Orode; i Medi Ariobarzane, figlio del re Artavasde e nipote del re Ariobarzane

(LA)

«34. In consulatu sexto et septimo, po[stquam b]ella [civil]ia exstinxeram, per consensum universorum potitus rerum omnium, rem publicam ex mea potestate in senatus populique Romani arbitrium transtuli. Quo pro merito meo senatu[s consulto Au]gust[us appe]llatus sum et laureis postes aedium mearum vestiti publice coronaque civica super ianuam meam fixa est et clupeus aureus in curia Iulia positus, quem mihi senatum pop[ulumq]ue Rom[anu]m dare virtutis clementiaeque iustitiae et pieta[tis caus]sa testatu[m] est pe[r e]ius clupei [inscription]em. Post id tempus auctoritate omnibus praestiti, potest]atis au[tem n]ihilo ampliu[s habu]i quam cet[eri qui m]ihi quoque in magistratu conlegae fuerunt.»

(IT)

«34. Nel mio sesto e settimo consolato, dopo aver sedato l'insorgere delle guerre civili, assunsi per consenso universale il potere supremo, trasferii dalla mia persona al senato e al popolo romano il governo della repubblica.[N 59] Per questo mio atto, in segno di riconoscenza, mi fu dato il titolo di Augusto per delibera del senato e la porta della mia casa per ordine dello Stato fu ornata con rami d'alloro, e una corona civica fu affissa alla mia porta, e nella Curia Giulia fu posto uno scudo d'oro, la cui iscrizione attestava che il senato e il popolo romano me lo davano a motivo del mio valore e della mia clemenza, della mia giustizia e della mia pietà. Dopo di che, sovrastai tutti per autorità, ma non ebbi potere più ampio di quelli che mi furono colleghi in ogni magistratura

(LA)

«35. Tertium decimum consulatum cum gerebam, senatus et equester ordo populusq[ue] Romanus universus appellavit me pat]rem patriae idque in vestibulo aedium mearum inscribendum et in curia Iulia et in foro Aug. sub quadrigis, quae mihi ex s.c. positae sunt, decrevit. Cum scripsi haec, annus agebam septuagensumum sextum.»

(IT)

«35. Quando rivestivo il tredicesimo consolato, il senato, l'ordine equestre e tutto il popolo romano mi chiamò padre della patria,[N 60] decretò che questo titolo dovesse venire iscritto sul vestibolo della mia casa, e sulla Curia Giulia e nel foro di Augusto sotto la quadriga che fu eretta a decisione del senato in mio onore. Quando scrissi questo, ero nel settantaseiesimo anno d'età.[N 61]»

Appendix modifica

(LA)

«App. I Summa pecuniae, quam ded[it vel in aera]rium vel plebei Romanae vel di]missis militibus: denarium sexiens milliens

(IT)

«App. I. Somma di denaro che donò o all'erario o alla plebe romana o ai soldati congedati: seicento milioni di sesterzi.»

(LA)

«App. II Opera fecit nova aedem Martis, Iovis Tonantis et Feretri, Apollinis, divi Iuli, Quirini, Minervae, Iunonis Reginae, Iovis Libertatis, Larum, deum Penatium, Iuventatis, Matris Magnae, Lupercal, pulvina]r ad circum, curiam cum Ch[alcidico, forum Augustum, basilicam Iuliam, theatrum Marcelli, porticum Octaviam, nemus trans Tiberim Caesarum.»

(IT)

«App. II. Costruì nuove opere: i templi di Marte, di Giove Tonante e Feretrio, di Apollo, del Divo Giulio, di Quirino, di Minerva, di Giunone Regina, di Giove Libertà, dei Lari, degli dèi Penati, della Giovinezza, della Grande Madre, il Lupercale, il palco del Circo, la Curia con Calcidico, il Foro di Augusto, la Basilica Giulia, il Teatro di Marcello, il Portico di Ottavia, il bosco dei Cesari al di là del Tevere

(LA)

«App. III Refecit Capitoliam sacrasque aedes numero octoginta duas, theatrum Pompei, aqu[aram r]iv[as, vi]am Flamin[iam]

(IT)

«App. III. Restaurò il Campidoglio e sacri templi in numero di ottantadue, il Teatro di Pompeo, gli acquedotti, la via Flaminia

(LA)

«App. IV Impensa praestita in spectacula scaenica et munera gladiatorum atque athletas et venationes et naumachiam et donata pecunia colonis municipiis oppidis terrae motu incendioque consumptis aut viritim amicis senatoribusque, quorum census explevit, innumerabilis.»

(IT)

«App. IV. Spese sostenuta per spettacoli scenici, giochi gladiatori, gare atletiche, cacce e per la naumachia, e quantità di denaro donato a colonie, municipi, città distrutte da terremoti e incendi, o singolarmente ad amici e senatori, di cui completò il censo: enormi.»

Note modifica

Note esplicative modifica

  1. ^ La praescriptio non fu certamente scritta da Augusto, come dimostra l'epiteto divus conferito all'imperatore divinizzato solo dopo la sua morte.
  2. ^ Agli inizi del 44 a.C.: Ottaviano si trovava allora ad Apollonia in Macedonia, in attesa dell'arrivo di Cesare per la programmata campagna partica del dittatore, di cui forse doveva divenire il magister equitum.
  3. ^ 1º giugno 43 a.C.
  4. ^ Il 19 agosto del 43 a.C. assieme al cugino Quinto Pedio, figlio o nipote di Giulia, una sorella di Cesare, che fu legato di Cesare in Gallia e proconsole in Spagna.
  5. ^ Si tratta della Lex Pedia de interfectoribus Caesaris del 43 a.C., che promuoveva l'esilio e la perdita della cittadinanza romana per gli uccisori di Cesare
  6. ^ La battaglia di Filippi nell'ottobre-novembre del 42 a.C. contro Bruto e Cassio.
  7. ^ Suet. Aug. 9, elenca le cinque guerre civili combattute da Ottaviano: di Modena, di Filippi, di Perugia, di Sicilia e di Azio.
  8. ^ Cfr. qui l'articolo sulla riforma augustea dell'esercito romano.
  9. ^ Augusto celebrò un triplice trionfo in tre giorni consecutivi nell'agosto del 29 a.C.: il 13 per le vittorie illiriche, il 14 per Azio e il 15 per la conquista dell'Egitto.
  10. ^ Augusto ricoprì la podestà tribunizia per 37 anni consecutivi a partire dal 1º luglio 23 a.C.; dunque il terminus post quem per la redazione finale delle Res Gestae è il 1º luglio 14 d.C.
  11. ^ 22 a.C.
  12. ^ 19, 18, 11 a.C.
  13. ^ a b 28 a.C.
  14. ^ 8 a.C. Per alcuni studiosi cristiani questo censimento coincide col "primo censimento" (il secondo fu quello provinciale del 6-7 d.C.) ricordato in Luca Lc 2,1-2, su laparola.net., in occasione del quale nacque Gesù (vedi Censimento di Quirinio).
  15. ^ 14 d.C.
  16. ^ Ovvero dopo la morte di Marco Emilio Lepido, nel 12 a.C.
  17. ^ 12 ottobre 19 a.C.
  18. ^ Si tratta della legazione inviata nel 19 a.C. per esortare Augusto a far rapido ritorno a Roma, dove persistevano disordini sorti in seguito alle pretese di Marco Egnazio Rufo di accedere al consolato; infatti in quell'anno era stato nominato un solo console, Gaio Senzio Saturnino, e Augusto, non avendo accettato il consolato, aveva stabilito che il posto vacante fosse occupato da Quanto Lucrezio Vespillone, uno dei membri della legazione.
  19. ^ Dal 16 al 13 a.C., Augusto si trattenne in Gallia e in Spagna dove ottenne un successo di grande portata politica col pacificare quelle terre e col gettare le basi per un profondo processo di romanizzazione.
  20. ^ Nel 30 a.C. dopo la vittoria su Cleopatra, nel 25 a.C. dopo le guerre cantabriche e una terza volta non identificata con certezza.
  21. ^ Il titolo accordato a Gaio e Lucio Cesari, modellato su quello di Princeps senatus conferito ad Augusto, fu offerto dall'ordo equester, in quanto il termine iuventus in senso più lato designava tutto il corpo di equites equo publico, ossia i cavalieri sotto i 35 anni tecnicamente ancora iuniores e i figli di senatori sotto i 25 anni che non avevano ancora ricoperto alcuna magistratura senatoria.
  22. ^ La plebe urbana era costituita dai cittadini residenti a Roma, appartenenti non soltanto alle quattro tribù urbane (Esquilina, Palatina, Collina, Suburbana), ma anche alle 31 tribù rustiche e residenti a Roma da più generazioni.
  23. ^ 44 a.C.
  24. ^ Nel 30 a.C.; il bottino è in gran parte il tesoro dei Tolomei acquisito per diritto di conquista nella campagna contro Cleopatra (e Antonio) dello stesso anno.
  25. ^ Al ritorno dalle Guerre cantabriche nel 24 a.C.
  26. ^ Nel 23 a.C.
  27. ^ In occasione dell'elezione a pontefice massimo del 12 a.C.
  28. ^ In occasione della deductio in Forum di Gaio Cesare nel 5 a.C.
  29. ^ In occasione della deductio in Forum di Lucio Cesare nel 2 a.C.
  30. ^ Nel 30 a.C., dopo la battaglia di Azio.
  31. ^ 14 a.C.
  32. ^ Le coppie consolari indicano gli anni 7, 6, 4, 3, e 2 a.C.
  33. ^ L'istituzione dell'erario militare avvenne nel 6 d.C.
  34. ^ Nel 5 d.C Augusto fissò la nuova durata del servizio militare: 16 anni per i pretoriani, 20 per i legionari. Ma la ferma veniva spesso prolungata, come Augusto stesso riconosce, sino a 30 o 40 anni.
  35. ^ 18 a.C.
  36. ^ Si tratta della Curia Iulia (iniziata a suo tempo da Cesare) inaugurata nel 29 a.C. in occasione del triplice trionfo. Cassio Dione, LI, 22, 1
  37. ^ 27 a.C.
  38. ^ Nulla si sa con esattezza di questa costruzione.
  39. ^ Ricavato dalla battaglia di Filippi e dalle proscrizioni
  40. ^ 29 a.C.
  41. ^ L'oro coronario era un donativo in oro o in denaro, fatto a un generale vittorioso, al posto della corona aurea o trionfale.
  42. ^ Druso minore figlio di Tiberio, adottato da Augusto nel 4 d. C.
  43. ^ Furono celebrati nel 17 a.C. dalla notte del 3 maggio a tutto il 17 giugno, periodo più felice dell'anno, quello della mietitura. Venivano chiamati saeculares perché avrebbero dovuto avere la cadenza di un secolo. Essi esaltavano il rinnovarsi della vita e, nell'intenzione di Augusto, il rinnovarsi di Roma dopo l'oscuro periodo delle guerre civili.
  44. ^ 2 a.C.
  45. ^ La Naumachia Augusti nella Regio XIV Transtiberim, circondata da un bosco fatto piantare da Augusto in onore di Gaio e Lucio Cesari; Tacito, Annales, XIV, 5, 2.
  46. ^ Si tratta naturalmente di Marco Antonio; qui Augusto tace il nome sia per il fatto che per decreto del senato tutto ciò che rendeva onore a Marco Antonio doveva essere distrutto o celato sia perché, in linea con la sua propaganda, Augusto voleva che il bellum fosse considerato externum, quindi contro Cleopatra, e non, come invece fu, civile.
  47. ^ Si tratta della guerra contro Sesto Pompeo, figlio di Gneo Pompeo Magno, che aveva occupato la Sardegna, la Corsica e la Sicilia e dalle quali affamava l'Italia con un'imponente flotta. La guerra, nel 38-36 a.C., si concluse con la vittoria di Ottaviano ed Agrippa a Nauloco nel 36 a.C.
  48. ^ Augusto fa riferimento alla coniuratio totius Italiae et provinciarum in verba Octaviani del 32 a.C. Un atto politico anticostituzionale ed extracostituzionale, giacché si trattava di un atto plebiscitario fondato su un giuramento d'origine militare esteso a tutta la popolazione civile dell'Italia e delle province occidentali. Su di esso, Ottaviano fondò il suo potere sino al 27 a.C. quando divenne Augusto; fu sulla scorta di questa investitura come dux (come lui stesso si definisce) che il futuro imperatore condusse la guerra contro Cleopatra e Antonio.
  49. ^ Cfr. supra, capitolo 12.
  50. ^ Augusto si riferisce alle due campagne di Druso maggiore (12-9 a.C.) e di Tiberio (8-7 a.C.) vanificate, come noto, dalla disfatta di Teutoburgo dove 3 legioni sotto il comando di Publio Quintilio Varo furono distrutte dai Germani nel 9 d.C. Roma mantenne un controllo sulla zona costiera fino all'Elba.
  51. ^ La conquista di Rezia ed arco alpino sotto Augusto avvenne in una serie di campagne militari fra il 25 e il 7 a.C., di cui la più importante è la doppia manovra di Tiberio e Druso nel 15 a.C., in occasione della conquista della Rezia e della Vindelicia.
  52. ^ La spedizione marittima nel mare del Nord avvenne nel 5 a.C. durante la campagna germanica di Tiberio
  53. ^ Si tratta delle spedizioni condotte rispettivamente dal 3° e dal 2° prefetto d'Egitto: Publio Petronio mosse contro l'"Etiopia" (ovvero il Regno di Kush) tra il 24 e il 22 a.C., mentre il suo predecessore Elio Gallo contro l'Arabia Felice nel 25/4 a.C.
  54. ^ Nel 30 a.C. dopo la morte di Antonio e Cleopatra, Ottaviano ridusse in provincia il regno d'Egitto, affidandolo ad un cavaliere di sua nomina, con il titolo di praefectus Alexandreae et Aegypti.
  55. ^ Sono le province che nel trattato di Brindisi del 40 a.C. erano state affidate a Marco Antonio e che questi aveva poi donato a Cleopatra (Cassio Dione LV, 10)
  56. ^ Sull'identificazione delle 28 colonie augustee d'Italia, cfr. M. Lilli, L'Italia romana delle regiones, 2004. La deduzione coloniale da parte di Augusto appare ragionevolmente certa per Ariminum, Ateste, Augusta Praetoria, Augusta Taurinorum, Bononia, Dertona, Fanum, Luceria, Lucus Feroniae, Minturnae, Parma, Pisae, Puteoli, Suessa, Urbs Salvia, Venafrum.
  57. ^ Nel 20 a.C. Si tratta in particolare delle insegne di Crasso, perse nella battaglia di Carre nel 53 a.C. L'episodio è raffigurato sulla lorica dell'Augusto di Prima Porta.
  58. ^ Τἀναἵς (Tanais in latino) era il nome greco arcaico del fiume Don oltre al nome di una colonia greca (fondata nel III secolo a.C., ma l'area era visitata dai greci fin dal VII secolo) situata proprio in corrispondenza della foce del fiume.
  59. ^ Nella seduta del 13 gennaio del 27 a.C.
  60. ^ Il titolo di pater patriae venne assunto il 5 febbraio del 2 a.C.
  61. ^ Augusto aveva compiuto 75 anni il 23 settembre 13 d.C.; la redazione finale delle Res Gestae fu quindi ultimata nel 14 d.C., tra il 1º luglio (cfr. sopra) e il 19 agosto, quando morì a Nola in Campania.

Fonti e riferimenti modifica

  1. ^ Svetonio, Augustus, 101.
  2. ^ Sul testo di tutti i frammenti dalle varie località menzionate vedi C. Barini, Res Gestae Divi Augusti, ex monumentis Ancyrano, Antiocheno, Apolloniensi, Roma 1937
  3. ^ F. Guizzi, Augusto. La politica della memoria, Roma 1999, pp.71-73
  4. ^ Progetto Ancyra
  5. ^ I. Borsak, Zum Monumentum Ancyranum, "AAntHung" 38 (1998), pp. 41-50.
  6. ^ Livio, XXVIII, 46, 1; Polibio, III, 33, 18; 56.
  7. ^ Iniziato nel 36 a.C. dopo la vittoria navale su Sesto Pompeo a Nauloco
  8. ^ Non è chiaro se si tratti del tempio di Vesta sul Foro Romano o di una piccola edicola ricavata nel palazzo imperiale e inaugurata nel 12 a.C., dopo l'elezione di Augusto a pontefice massimo
  9. ^ Svetonio, Tiberius, 9, 1
  10. ^ Nel 2 a.C. Tacito, Annales, II, 4, 1
  11. ^ Vedi sopra capitolo 12

Bibliografia modifica

Edizioni moderne del testo
  • Res gestae divi Augusti, in CIL III, p 0774.
  • Res gestae divi Augusti, Introduzione e cura di Luca Canali, Roma, Editori riuniti, 1982.
  • Gian Guido Belloni, Le Res gestae divi Augusti. Augusto, il nuovo regime e la nuova urbe, Milano, Vita e pensiero, 1987, ISBN 88-343-7590-4.
  • Res Gestae et fragmenta, Introduction, notes and vocabulary by Robert S. Rogers, Kenneth Scott, Margaret M. Ward, 2nd edition revised and enlarged by Herbert W. Benario, Detroit, Wayne State University Press, 1990, ISBN 0-8143-2137-2.
  • Luciano De Biasi e Anna Maria Ferrero (a cura di), Gli atti compiuti e i frammenti delle opere, Torino, Utet, 2003, ISBN 88-02-05904-7.
Fonti antiche
Fonti storiografiche moderne

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