Ursidae

mammifero
(Reindirizzamento da Ursidi)
Disambiguazione – "Orso" rimanda qui. Se stai cercando altri significati, vedi Orso (disambigua).

Gli ursidi (Ursidae Fischer de Waldheim, 1817) sono una famiglia di mammiferi appartenenti al sottordine dei caniformi (pur essendo la maggior parte delle specie onnivore). Sebbene oggi siano rappresentati solo da otto specie, essi sono molto diffusi e sono presenti in un'ampia varietà di habitat di tutto l'emisfero boreale e, in parte, di quello australe. Si trovano infatti in Nordamerica, Sudamerica, Europa e Asia. Caratteristiche comuni proprie degli orsi moderni sono il grande corpo sorretto da zampe tozze, il lungo muso, le piccole orecchie rotonde, la pelliccia ispida, le zampe plantigrade dotate di cinque artigli non retrattili e la coda corta.

Come leggere il tassoboxProgetto:Forme di vita/Come leggere il tassobox
Come leggere il tassobox
orso
In senso orario da in alto a sinistra: Ursus americanus, Ursus arctos, Ailuropoda melanoleuca, Ursus thibetanus, Melursus ursinus, Tremarctos ornatus, Helarctos malayanus, Ursus maritimus.
Intervallo geologico
Eocene superiore - oggi
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
PhylumChordata
ClasseMammalia
OrdineCarnivora
SottordineCaniformia
InfraordineArctoidea
FamigliaUrsidae
Fischer de Waldheim, 1817
Sottofamiglie e Areale
Areale di tutte le specie di orso.

Anche se l'orso polare è per lo più carnivoro e il panda gigante si nutre quasi interamente di bambù, le restanti sei specie sono onnivore e hanno una dieta molto varia. Fatta eccezione per le coppie durante il periodo del corteggiamento e delle madri con i propri piccoli, gli orsi sono in genere animali solitari. Possono avere abitudini diurne o notturne e possiedono un eccellente olfatto. Nonostante la loro corporatura pesante e l'andatura goffa, sono abili corridori, scalatori e nuotatori. Utilizzano come tane rifugi naturali quali caverne e alberi cavi; la maggior parte delle specie trascorre l'inverno all'interno della tana in un lungo periodo di ibernazione, che può raggiungere anche i 100 giorni.

Gli orsi sono stati cacciati fin dai tempi preistorici per la loro carne e pelliccia; sono stati utilizzati anche nei combattimenti e in altre forme di intrattenimento, basti pensare agli esemplari che venivano fatti ballare per strada. A causa della loro possente prestanza fisica hanno sempre svolto un ruolo di primo piano nelle arti, nella mitologia e in altri aspetti culturali di varie società umane. In epoca moderna gli orsi si sono ritrovati sempre più minacciati dall'invasione dell'uomo nei loro habitat e dal commercio illegale di parti del loro corpo, in particolare della loro bile, molto richiesta sul mercato asiatico. La IUCN classifica sei specie come vulnerabili, e perfino quelle a rischio minimo, come l'orso bruno, rischiano di scomparire da alcuni paesi. Sebbene siano vietati, il bracconaggio e il commercio internazionale di queste popolazioni più minacciate continuano tuttora.

Etimologia

modifica

«Orso» deriva dal latino ursus/ursa, «orso»/«orsa»[1]. Da questo, il nome proprio Orsola.

Altri nomi correlati agli orsi, come quello dell'infraordine Arctoidea e del genere Helarctos derivano dall'antica parola greca ἄρκτος (arktos), «orso»[2], così come i termini «artico» e «antartico», che derivano da quello della costellazione dell'Orsa Maggiore, Ursa Major, particolarmente splendente nel cielo boreale[1].

La parola inglese bear deriva dall'inglese antico bera e appartiene a una famiglia di nomi indicanti l'orso nelle lingue germaniche, come lo svedese björn, usato anche come nome proprio, che derivano da un aggettivo che significa «bruno». Quindi bear, originariamente, significava «quello bruno». Questa terminologia per indicare l'animale si deve al fatto che era tabù pronunciarne il nome: le tribù proto-germaniche sostituirono la loro parola originaria per indicare l'orso - arkto - con questa espressione eufemistica per paura che pronunciare il vero nome dell'animale potesse farlo apparire[3][4].

Tassonomia e filogenesi

modifica

La famiglia degli Ursidi è una delle nove famiglie che costituiscono il sottordine Caniformia dell'ordine dei Carnivori. I suoi più stretti parenti viventi sono i pinnipedi, i canidi e i musteloidi[5]. Gli orsi attuali appartengono ad otto specie appartenenti a tre sottofamiglie: Ailuropodinae (comprendente il solo panda gigante), Tremarctinae (comprendente il solo orso dagli occhiali) e Ursinae (comprendente sei specie suddivise in uno o tre generi, a seconda degli autori). L'analisi dei cromosomi nucleari ha dimostrato che il cariotipo delle sei specie di ursini è quasi identico, essendo costituito in tutti i casi da 74 cromosomi, mentre il panda gigante ha 42 cromosomi e l'orso dagli occhiali 52. Il minor numero di cromosomi può essere dovuto alla fusione di alcuni di essi; inoltre, lo schema a bande su di essi corrisponde a quello degli ursini, ma differisce da quello dei procionidi, il che supporta l'inclusione di queste due specie tra gli Ursidi piuttosto che tra i Procionidi, dove erano stati inseriti da alcuni tassonomisti del passato[6].

Evoluzione

modifica
 
Cranio di Plithocyon armagnacensis, membro dell'estinta sottofamiglia Hemicyoninae vissuto nel Miocene.

Le più antiche specie ascrivibili alla famiglia degli Ursidi appartengono all'estinta sottofamiglia Amphicynodontinae, che comprendeva Parictis (vissuto tra l'Eocene superiore e il Miocene inferiore-medio, tra 38 e 18 milioni di anni fa) e il poco più recente Allocyon (Oligocene inferiore, 34-30 milioni di anni fa), entrambi provenienti dal Nordamerica. Questi animali avevano un aspetto molto differente da quello degli orsi odierni: erano infatti più piccoli e simili nell'aspetto al procione, e la loro dieta era forse simile a quella del tasso. Fu solamente nel Miocene che Parictis fece la sua comparsa in Eurasia e Africa[7]. Non è chiaro se vi fossero ursidi in Eurasia già nell'Eocene superiore, ma uno scambio faunistico attraverso il ponte di terra di Bering sarebbe stato possibile grazie a un grande abbassamento del livello del mare avvenuto nell'Eocene superiore (circa 37 milioni di anni fa) e protrattosi fino all'Oligocene inferiore[8]. Generi europei morfologicamente molto simili ad Allocyon e al più recente e americano Kolponomos (circa 18 milioni di anni fa)[9] erano tuttavia presenti nell'Oligocene; tra essi figurano Amphicticeps e Amphicynodon[8]. Numerose caratteristiche morfologiche collegano gli amficinodontini, creature semi-acquatiche simili alla lontra, ai pinnipedi[9][10][11]. Oltre a tali somiglianze morfologiche, anche alcuni aspetti molecolari concorrono a supportare l'ipotesi che gli orsi siano i più stretti parenti viventi dei pinnipedi[10][11][12][13][14][15].

Cephalogale, simile ad un cane e delle dimensioni di un procione, è il più antico membro conosciuto della sottofamiglia Hemicyoninae, comparsa per la prima volta in Eurasia durante l'Oligocene medio, circa 30 milioni di anni fa[8]. La sottofamiglia comprende i più recenti generi Phoberocyon (20-15 milioni di anni fa) e Plithocyon (15-7 milioni di anni fa). Una specie simile a Cephalogale dette origine al genere Ursavus durante l'Oligocene inferiore (30-28 milioni di anni fa): questo genere proliferò con molte specie in Asia ed è il diretto antenato di tutte le specie viventi di orso. Successivamente, durante il Miocene inferiore (21-18 milioni di anni fa), alcune specie di Ursavus raggiunsero il Nordamerica, assieme ad Amphicynodon e Cephalogale. I membri appartenenti alle linee evolutive di orsi esistenti si separarono da Ursavus tra 20 e 15 milioni di anni fa[16][17], probabilmente attraverso la specie Ursavus elmensis. Basandosi sui dati genetici e morfologici, gli studiosi hanno stabilito che la linea evolutiva degli Ailuropodinae (i panda) sia stata la prima a separarsi da quella degli altri orsi viventi circa 19 milioni di anni fa, anche se i più antichi fossili ascrivibili a questo gruppo finora scoperti risalgano soltanto a circa 5 milioni di anni fa[18].

Gli orsi dal muso corto del Nuovo Mondo (Tremarctinae) si differenziarono dagli Ursinae in seguito ad un evento di dispersione in Nordamerica avvenuto durante il Miocene medio (circa 13 milioni di anni fa)[18]; successivamente, invasero il Sudamerica (più o meno intorno ad un milione di anni fa) a seguito della formazione dell'istmo di Panama[19]. Il loro più antico rappresentante fossile è Plionarctos del Nordamerica (vissuto all'incirca tra 10 e 2 milioni di anni fa). Questo genere è probabilmente il diretto antenato degli orsi dal muso corto del Nordamerica (genere Arctodus), di quelli del Sudamerica (Arctotherium) e degli orsi dagli occhiali, Tremarctos, rappresentati sia da una specie estinta nordamericana (T. floridanus) sia dall'unico rappresentante sopravvissuto fino ad oggi dei Tremarctinae, l'orso dagli occhiali sudamericano (T. ornatus)[8].

 
Fossile di orso delle caverne (Ursus spelaeus), un parente degli orsi bruno e polare vissuto in Europa durante il Pleistocene.

La sottofamiglia Ursinae, apparsa circa 15 milioni di anni fa con il genere Aurorarctos, sperimentò una grande proliferazione di taxa circa 5,3-4,5 milioni di anni fa, periodo coincidente a importanti cambiamenti ambientali; fu proprio intorno a questo periodo che, oltre a forme arcaiche come i membri del genere Protarctos, comparvero i primi membri del genere Ursus[18]. L'orso giocoliere è un moderno sopravvissuto di una delle più antiche linee evolutive ad essersi differenziate durante questo evento di radiazione (5,3 milioni di anni fa); esso acquisì la sua peculiare morfologia, correlata a una dieta a base di termiti e di formiche, non più tardi del Pleistocene inferiore. A partire da 4-3 milioni di anni fa, nei registri fossili d'Europa fa la sua comparsa la specie Ursus minimus; tranne che per le dimensioni, esso era quasi identico all'odierno orso dal collare. È probabile che sia il diretto antenato di tutti gli orsi della sottofamiglia Ursinae, fatta forse eccezione per l'orso giocoliere. Da U. minimus si svilupparono due linee evolutive: quella degli orsi neri (comprendente l'orso malese, l'orso dal collare e il baribal) e quella degli orsi bruni (comprendente anche l'orso polare). Gli attuali orsi bruni si evolvettero da U. minimus attraverso Ursus etruscus, a sua volta antenato anche dell'estinto orso delle caverne del Pleistocene. Alcune specie di Ursinae migrarono a più riprese dall'Eurasia verso il Nordamerica già 4 milioni di anni fa, nel Pliocene inferiore[20][21]. L'orso polare è la specie evolutasi più di recente; discese dall'orso bruno circa 400 000 anni fa[22].

Filogenesi

modifica

Gli orsi formano un clade in seno all'ordine dei Carnivori. Il panda minore non è un orso, bensì un musteloide. Il cladogramma seguente è basato sulla filogenesi molecolare di sei genesi effettuata da Flynn nel 2005[23].

Carnivora

Feliformia  

   Caniformia   

Canidae  

   Arctoidea   
   

Hemicyonidae

Ursidae  

Pinnipedia  

Musteloidea

Ailuridae, comprendenti il panda minore  

Altri musteloidi  

Vi sono due distinte ipotesi filogenetiche volte a spiegare le relazioni che intercorrono tra le specie di orso attuali e quelle fossili. Una, quella che riscuote il maggior consenso presso gli esperti, è che tutte le specie di orso siano classificate in sette sottofamiglie: Amphicynodontinae, Hemicyoninae, Ursavinae, Agriotheriinae, Ailuropodinae, Tremarctinae e Ursinae[24][25][26][27]. Segue qua sotto un cladogramma delle sottofamiglie di orsi secondo McLellan e Reiner (1992)[24] e Qiu et al. (2014)[27]:

Ursidae

Amphicynodontinae  

Hemicyoninae

Ursavinae

Agriotheriinae

Ailuropodinae  

Tremarctinae  

Ursinae  

La seconda ipotesi filogenetica alternativa, sviluppata da McKenna et al. (1997), considera tutte le specie di orso all'interno della superfamiglia Ursoidea, con Hemicyoninae e Agriotheriinae inseriti nella famiglia «Hemicyonidae»[28]. Secondo questa classificazione, gli Amphicynodontinae vengono considerati un sister-group dei pinnipedi in seno alla superfamiglia Phocoidea[28]. Nella classificazione di McKenna e Bell sia gli orsi che i pinnipedi si trovano in un parvordine di mammiferi carnivori conosciuti come Ursida in compagnia degli estinti cani-orso della famiglia Amphicyonidae[28]. Segue il cladogramma basato sulla classificazione di McKenna e Bell (1997)[28]:

Ursida

Amphicyonidae  

Phocoidea

Amphicynodontidae  

Pinnipedia  

Ursoidea
† Hemicyonidae

Hemicyoninae

Agriotheriinae

Ursidae

Ursavinae

Ailuropodinae  

Tremarctinae  

Ursinae  

La filogenesi delle specie di orso esistenti è mostrata in un cladogramma basato sul completo sequenziamento del DNA mitocondriale effettuato da Yu et al. (2007)[29]. Il panda gigante, seguito subito dopo dall'orso dagli occhiali, sono di gran lunga le specie più antiche. Le relazioni tra le altre specie non sono ancora state comprese a fondo, ma sappiamo con certezza che l'orso polare e quello bruno sono strettamente imparentati tra loro[6].


Ursidae

orso bruno  

orso polare  

orso dal collare  

baribal  

orso malese  

orso giocoliere  

orso dagli occhiali  

panda gigante  

Classificazione

modifica
 
Ricostruzione di Kolponomos, un grosso orso marino.
 
Mandibola di Agriotherium. Questo genere, vissuto tra il Miocene e il Pleistocene, è il solo urside conosciuto vissuto nell'Africa sub-sahariana[30].
 
Cranio di Indarctos atticus. Indarctos è un genere del Miocene presente in tutto l'emisfero boreale[31].
 
Panda gigante (Ailuropoda melanoleuca) che mangia foglie di bambù.
 
Ricostruzione di Arctotherium, un genere del Pleistocene vissuto in Sudamerica appartenente a una linea evolutiva della quale il solo sopravvissuto è l'orso dagli occhiali. È il più grande orso mai vissuto ed è uno dei mammiferi terricoli carnivori più grandi[32][33].
 
Orso malese (Helarctos malayanus) seduto.
 
Scheletro di orso delle caverne (Ursus spelaeus) di 150 000 anni fa.
 
Orso bruno (Ursus arctos) che osserva i dintorni.
 
Prove della presenza di un orso lungo un sentiero escursionistico della Columbia Britannica (Canada).
  • Famiglia Ursidae (Fischer de Waldheim, 1817)
    • Sottofamiglia † Amphicynodontinae (Simpson, 1945)
      • Amphicynodon (Filhol, 1881)
        • Amphicynodon velaunus (Aymard, 1846)
        • Amphicynodon gracilis (Filhol, 1874)
        • Amphicynodon leptorhynchus (Filhol, 1874)
        • Amphicynodon brachyrostris (Filhol, 1876)
        • Amphicynodon crassirostris (Filhol, 1876)
        • Amphicynodon typicus (Schlosser, 1888)
        • Amphicynodon cephalogalinus (Teilhard, 1915)
        • Amphicynodon teilhardi (Matthew e Granger, 1924)
        • Amphicynodon mongoliensis (Janovskaja, 1970)
        • Amphicynodon chardini (Cirot e de Bonis, 1992)
      • Pachycynodon (Schlosser, 1888)
        • Pachycynodon boriei (Filhol, 1876)
        • Pachycynodon crassirostris (Schlosser, 1888)
        • Pachycynodon filholi (Schlosser, 1888)
        • Pachycynodon tenuis (Teilhard de Chardin, 1915)
        • Pachycynodon tedfordi (Wang e Qiu, 2003)
      • Parictis (Scott, 1893)
        • Parictis primaevus (Scott, 1893)
        • Parictis dakotensis (Clark, 1936)
        • Parictis personi (Chaffee, 1954)
        • Parictis parvus (Clark e Beerbower, 1967)
        • Parictis gilpini (Clark e Guensburg, 1972)
        • Parictis montanus (Clark e Guensburg, 1972)
      • Amphicticeps (Matthew e Granger, 1924)
        • Amphicticeps shackelfordi (Matthew e Granger, 1924)
        • Amphicticeps dorog (Wang et al., 2005)
        • Amphicticeps makhchinus (Wang et al., 2005)
      • Allocyon (Merriam, 1930)
        • Allocyon loganensis (Merriam, 1930)
      • Kolponomos (Stirton, 1960)
        • Kolponomos clallamensis (Stirton, 1960)
        • Kolponomos newportensis (Tedford et al., 1994)
    • Sottofamiglia † Hemicyoninae (Frick, 1926)
      • Tribù † Cephalogalini (de Bonis, 2013)
        • Cephalogale (Jourdan, 1862)
          • Cephalogale geoffroyi (Jourdan, 1862)
          • Cephalogale gergoviensis (Viret, 1929)
          • Cephalogale ginesticus (Kuss, 1962)
          • Cephalogale shareri (Wang et al., 2009)
        • Adelpharctos (de Bonis, 1971)
          • Adelpharctos mirus (de Bonis, 1971)
          • Adelpharctos ginsburgi (de Bonis, 2011)
        • Phoberogale (Ginsburg e Morales, 1995)
          • Phoberogale gracile (Pomel, 1847)
          • Phoberogale minor (Filhol, 1877)
          • Phoberogale bonali (Helbing, 1928)
          • Phoberogale depereti (Viret, 1929)
        • Cyonarctos (de Bonis, 2013)
          • Cyonarctos dessei (de Bonis, 2013)
        • Filholictis (de Bonis, 2013)
          • Filholictis filholi (Munier-Chalmas, 1877)
      • Tribù † Phoberocyonini (Ginsburg e Morales, 1995)
        • Phoberocyon (Ginsburg, 1955)
          • Phoberocyon aurelianensis (Mayet, 1908)
          • Phoberocyon johnhenryi (White, 1947)
          • Phoberocyon dehmi (Ginsburg, 1955)
          • Phoberocyon huerzeleri (Ginsburg, 1955)
          • Phoberocyon youngi (Xiang et al., 1986)
          • Phoberocyon hispanicus (Ginsburg e Morales, 1998)
        • Plithocyon (Ginsburg, 1955)
          • Plithocyon ursinus (Cope, 1875)
          • Plithocyon barstowensis (Frick, 1926)
          • Plithocyon statzlingii (Frick, 1926)
          • Plithocyon armagnacensis (Ginsburg, 1955)
          • Plithocyon bruneti (Ginsburg, 1980)
      • Tribù † Hemicyonini (Frick, 1926)
        • Hemicyon (Lartet, 1851)
          • Hemicyon sansaniensis (Lartet, 1851)
          • Hemicyon minor (Dépéret, 1887)
          • Hemicyon grivensis (Frick, 1926)
          • Hemicyon teilhardi (Colbert, 1939)
          • Hemicyon barbouri (Colbert, 1941)
        • Dinocyon (Jourdan, 1861)
          • Dinocyon thenardi (Jourdan, 1861)
          • Dinocyon aurelianensis (Frick, 1926)
          • Dinocyon sansaniensis (Frick, 1926)
        • Zaragocyon (Ginsburg e Morales, 1995)
          • Zaragocyon daamsi (Ginsburg e Morales, 1995)
    • Sottofamiglia † Ursavinae (Hendey, 1980)
      • Ursavus (Schlosser, 1899)
        • Ursavus brevirhinus (Hofmann, 1887)
        • Ursavus primaevus (Gaillard, 1899)
        • Ursavus intermedius (Koenigswald, 1925)
        • Ursavus pawniensis (Frick, 1926)
        • Ursavus ehrenbergi (Brunner, 1942)
        • Ursavus sylvestris (Qiu e Qi, 1990)
        • Ursavus isorei (Ginsburg e Morales, 1998)
        • Ursavus tedfordi (Zhanxiang et al., 2014)
      • Ballusia (Ginsburg e Morales, 1998)
        • Ballusia elmensis (Stehlin, 1917)
        • Ballusia orientalis (Qiu et al., 1985)
        • Ballusia hareni (Ginsburg, 1989)
    • Sottofamiglia † Agriotheriinae (Kretzoi, 1929)
      • Agriotherium (Wagner, 1837)
        • Agriotherium sivalensis (Falconer e Cautley, 1836)
        • Agriotherium insigne (Gervais, 1859)
        • Agriotherium palaeindicus (Lydekker, 1878)
        • Agriotherium schneideri (Sellards, 1916)
        • Agriotherium gregoryi (Frick, 1926)
        • Agriotherium africanum (Hendey, 1972)
        • Agriotherium coffeyi (Dalquest, 1986)
        • Agriotherium inexpetans (Qiu et al., 1991)
        • Agriotherium myanmarensis (Ogino et al., 2011)
    • Sottofamiglia Ailuropodinae (Grevé, 1894)[34]
      • Tribù † Indarctini (Abella et al., 2012)
        • Indarctos (Pilgrim, 1913)
          • Indarctos punjabensis (Lydekker, 1884)
          • Indarctos anthracitis (Weithofer, 1888)
          • Indarctos atticus (Weithofer, 1888)
          • Indarctos arctoides (Deperet, 1895)
          • Indarctos salmontanus (Pilgrim, 1913)
          • Indarctos oregonensis (Merriam et al., 1916)
          • Indarctos lagrelli (Zdansky, 1924)
          • Indarctos sinensis (Zdansky, 1924)
          • Indarctos vireti (Villalta e Crusafont, 1943)
          • Indarctos nevadensis (Macdonald, 1959)[35]
          • Indarctos bakalovi (Kovachev, 1988)
          • Indarctos zdanskyi (Qiu e Tedford, 2003)[36]
        • Miomaci (de Bonis et al., 2017)
          • Miomaci pannonicum (de Bonis et al., 2017)
      • Tribù Ailuropodini (Grevé, 1894)
    • Sottofamiglia Tremarctinae (Merriam e Stock, 1925)[37]
      • Tremarctos (Gervais, 1855)
      • Arctodus (Leidy, 1854)
        • Arctodus pristinus (Leidy, 1854)
        • Arctodus simus (Cope, 1879)
      • Arctotherium (Burmeister, 1879)
        • Arctotherium bonariense (Gervais, 1852)
        • Arctotherium angustidens (Gervais e Ameghino, 1880)
        • Arctotherium vetustum (Ameghino, 1885)
        • Arctotherium tarijense (Ameghino, 1902)
        • Arctotherium wingei (Ameghino, 1902)
      • Plionarctos (Frick, 1926)
        • Plionarctos edensis (Frick, 1926)
        • Plionarctos harroldorum (Tedfored e Martin, 2001)
    • Sottofamiglia Ursinae (Fischer de Waldheim, 1817)

Descrizione

modifica

Dimensioni

modifica
L'orso polare e l'orso malese, rispettivamente il più grande e il più piccolo degli Ursidi.

Alla famiglia degli Ursidi appartengono i rappresentanti più imponenti tra le specie terricole dell'ordine dei Carnivori - dal momento che i pinnipedi[38] vengono considerati generalmente come mammiferi marini. L'orso polare viene considerato il più grosso orso esistente[39]: i maschi adulti pesano 300-700 kg e raggiungono una lunghezza totale di 240-300 cm[40]. La specie più piccola, invece, è l'orso malese, del peso di 25-65 kg e della lunghezza di 100-140 cm[41]. Furono, tuttavia, due forme preistoriche, gli orsi dal muso corto del Nordamerica e quelli del Sudamerica i più grandi orsi conosciuti mai esistiti. Si ritiene che questi ultimi raggiungessero i 1600 kg di peso e una lunghezza di 340 cm[32][33]. Il peso corporeo delle specie che vivono nei climi temperati e artici varia comunque a seconda del periodo dell'anno, in quanto accumulano riserve di grasso in estate e in autunno e perdono peso durante l'inverno[42].

Morfologia

modifica
 
Diversamente dalla maggior parte degli altri Carnivori, gli orsi hanno i piedi plantigradi. Disegno di Richard Owen (1866).

Gli orsi sono generalmente animali voluminosi e robusti dalla coda corta. Presentano dimorfismo sessuale solamente per quanto riguarda le dimensioni: i maschi sono quasi sempre più grandi[43][44]. Le specie più grandi tendono a mostrare un maggiore livello di dimorfismo sessuale rispetto a quelle più piccole[44]. Facendo maggiore affidamento sulla forza piuttosto che sulla velocità, gli orsi hanno arti relativamente corti con ossa spesse in grado di sostenere la loro mole. Le scapole e il bacino sono di conseguenza massicci. Gli arti sono molto più diritti di quelli dei grandi felini, in quanto non vi è necessità che si flettano allo stesso modo, date le differenze nell'andatura. I robusti arti anteriori vengono utilizzati per afferrare le prede, scavare tane, dissotterrare animali fossori, ribaltare pietre e tronchi per localizzare le prede e colpire grandi creature[42].

 
Nonostante siano quadrupedi, gli orsi possono alzarsi in piedi e stare seduti come gli esseri umani.

A differenza della maggior parte degli altri carnivori terrestri, gli orsi sono plantigradi. Distribuiscono il loro peso verso i piedi posteriori, il che li fa sembrare piuttosto goffi quando camminano. Sono in grado di effettuare scatti di velocità, ma si stancano presto; di conseguenza, fanno per lo più affidamento sull'agguato piuttosto che sull'inseguimento. Gli orsi possono stare in piedi sulle zampe posteriori e sedersi diritti con notevole equilibrio. Le loro zampe anteriori sono abbastanza flessibili da afferrare frutta e foglie. Gli artigli, non retrattili, sono usati per scavare, arrampicarsi, squarciare e afferrare le prede. Quelli delle zampe anteriori sono più grandi di quelli delle zampe posteriori e possono essere di intralcio quando l'animale si arrampica sugli alberi; i baribal e gli orsi dal collare sono i più arboricoli tra gli orsi e sono pertanto dotati di artigli più corti. I panda sono caratterizzati dalla presenza di un'estensione ossea sul polso delle zampe anteriori che funge da pollice e viene usata per afferrare i germogli di bambù mentre si nutrono[42].

La maggior parte dei mammiferi ha peli color aguti: tale colorazione implica che ogni singolo pelo presenti bande di colore corrispondenti a due diversi tipi di pigmento di melanina. Gli orsi, tuttavia, hanno un solo tipo di melanina e i peli presentano lo stesso colore su tutta la loro lunghezza, esclusa la punta, che a volte ha una tonalità diversa. Il mantello è costituito da lunghi peli di guardia che formano un'ispida copertura protettiva e da peli corti e fitti che formano uno strato isolante che intrappola l'aria vicino alla pelle. L'ispido mantello aiuta a mantenere costante la temperatura corporea durante il letargo invernale e in primavera l'animale effettua la muta, lasciando spazio al più corto mantello estivo. Gli orsi polari hanno peli di guardia cavi e traslucidi che assorbono calore dal sole e lo conducono alla pelle di colore scuro sottostante. Possiedono inoltre uno spesso strato di grasso che conferisce un isolamento extra e piante dei piedi ricoperte da un fitto strato di pelliccia[42]. Se si esclude il vistoso mantello bianco e nero del panda, gli orsi tendono ad avere una colorazione uniforme, sebbene alcune specie possano presentare disegni sul petto o sulla faccia[45].

Gli orsi sono dotati di piccole orecchie arrotondate in modo da ridurre al minimo la dispersione di calore, ma né l'udito né la vista sono particolarmente acuti. A differenza di molti altri carnivori hanno la capacità di vedere i colori, capacità forse utile per distinguere frutta e noci mature. Sono gli unici carnivori a non avere vibrisse sensibili al tatto sul muso; hanno, tuttavia, un eccellente senso dell'olfatto, migliore di quello del cane, o forse di qualsiasi altro mammifero. Utilizzano questo senso per localizzare la presenza dei conspecifici (sia per mettere in guardia i rivali che per rilevare potenziali partner) e per trovare il cibo. L'olfatto è il principale senso che gli orsi usano per localizzare la maggior parte del cibo e la memoria eccellente li aiuta a ritrovare i luoghi dove avevano trovato del cibo in precedenza[42].

 
Cranio di orso bruno.

I crani degli orsi sono in assoluto i più lunghi e massicci fra quelli dei Carnivori e forniscono l'ancoraggio ai potenti muscoli masseteri e temporali. I loro denti dimostrano come questa famiglia si sia evoluta trasformandosi da animali principalmente carnivori in animali anche prevalentemente erbivori. L'orso bruno possiede la tipica struttura degli orsi con incisivi non specializzati, lunghi canini, premolari ridotti o assenti (i denti carnassiali non sviluppati) e molari larghi e piatti con cuspidi arrotondate per triturare le erbe, che rappresentano buona parte della sua dieta[42]. La grande differenza in numero di denti tra individui (I 3/3, C 1/1, P 2-4/2-4, M 2/3 = 34-42) sta a dimostrare che si sta lentamente riducendo il numero dei molari. Comunque, l'orso polare, che è il più giovane tra gli Ursus e ha una dieta esclusivamente carnivora (soprattutto carne di foca), sembra stia nuovamente sviluppando i carnassiali che gli servono per la triturazione della carne[46]. Nell'orso giocoliere si riscontra invece un'insolita formazione dentale: manca dei due incisivi superiori interni (I 2/3) e tale modifica gli permette di risucchiare le termiti[42]. I molari più piccoli sono strutturati per una dieta a base di frutta e insetti[42]. La struttura della laringe degli orsi sembra essere la più basale all'interno dei caniformi[47]. Questi animali possiedono delle sacche d'aria connesse alla faringe che potrebbero servire da amplificatori per le vocalizzazioni[48].

Gli orsi hanno un apparato digerente abbastanza semplice, tipico dei carnivori, con uno stomaco singolo e un breve intestino indifferenziato e privo di cieco[49][50]. Perfino l'erbivoro panda gigante possiede ancora l'apparato digerente di un carnivoro, oltre al patrimonio genetico proprio di questi animali. La sua capacità di digerire la cellulosa è resa possibile grazie ai microbi presenti nel suo intestino[51]. Gli orsi devono trascorrere gran parte del loro tempo a nutrirsi affinché possano ottenere nutrimento a sufficienza dai vegetali di cui si cibano. Il panda in particolare dedica 12-15 ore al giorno a mangiare[52].

Distribuzione e habitat

modifica
 
L'orso dagli occhiali è l'unico orso del Sudamerica[53].

Gli orsi attuali sono presenti in sessanta paesi, prevalentemente dell'emisfero boreale, e sono maggiormente concentrati in Asia, Nordamerica ed Europa. La sola eccezione è l'orso dagli occhiali; originario del Sudamerica, vive infatti nella regione andina[53]. L'areale dell'orso malese si estende al di sotto dell'equatore nel Sud-est asiatico[54]. L'orso dell'Atlante, una sottospecie dell'orso bruno, era diffuso in Nordafrica dal Marocco alla Libia, ma si estinse intorno agli anni '70 del XIX secolo[55].

La specie maggiormente diffusa è l'orso bruno, presente dall'Europa occidentale fino all'Asia e alle regioni occidentali del Nordamerica. Il baribal vive solamente nel Nordamerica e l'orso polare è limitato alla regione artica. Tutte le restanti specie di orso sono asiatiche[53]. Occupano una serie di habitat che comprendono foreste pluviali tropicali di pianura, foreste sia di conifere che di latifoglie, praterie, steppe, pascoli montani, ghiaioni alpini, tundra artica e, nel caso dell'orso polare, banchi di ghiaccio[53][56]. Gli orsi possono scavare le loro tane sui pendii o utilizzare caverne, tronchi cavi e fitta vegetazione per trovare rifugio[56].

Biologia

modifica
 
Impronte di baribal nella Superior National Forest (Minnesota).

Gli orsi bruni e i baribal sono generalmente diurni, il che significa che sono attivi per lo più durante il giorno, sebbene possano aggirarsi in cerca di cibo anche di notte[57]. Altre specie possono essere notturne, ma le femmine di orso giocoliere con i piccoli possono nutrirsi di più durante il giorno per evitare la competizione con i conspecifici e i predatori notturni[58]. Gli orsi sono prevalentemente solitari e sono considerati i più asociali tra tutti i Carnivori. Fanno eccezione i piccoli gruppi costituiti dalle madri con i giovani o quelli che si formano occasionalmente in prossimità di fonti stagionali di cibo (ad esempio in concomitanza delle migrazioni dei salmoni)[59][60]. I combattimenti tra maschi sono frequenti e gli individui più anziani possono presentare cicatrici estese, il che suggerisce che le lotte per mantenere il predominio possono raggiungere anche una certa intensità[61] Grazie al loro acuto senso dell'olfatto, gli orsi possono localizzare una carcassa a diversi chilometri di distanza. Utilizzano l'olfatto anche per individuare altre fonti alimentari, incontrare i partner, evitare i rivali e riconoscere i propri piccoli[42].

Alimentazione

modifica
 
Un panda gigante mangia del bambù allo Smithsonian National Zoological Park di Washington. Questa specie è quasi interamente erbivora.

Gli orsi sono quasi tutti degli onnivori opportunisti e la loro dieta è prevalentemente vegetariana. Mangiano qualsiasi cosa, da foglie, radici e bacche a insetti, carogne, carne fresca e pesce, e sono dotati di apparati digerenti e denti adatti a tale dieta[53]. Alle due estremità di tale regime alimentare si trovano il panda gigante, quasi interamente erbivoro, e l'orso polare, per lo più carnivoro. Tuttavia, tutti gli orsi si nutrono di qualsiasi fonte di cibo che diviene disponibile stagionalmente[52]. Ad esempio, a Taiwan gli orsi dal collare consumano un gran numero di ghiande quando esse sono più comuni e passano agli ungulati in altri periodi dell'anno[62].

Quando si alimentano di vegetali, gli orsi preferiscono consumarli allo stadio in cui sono più nutrienti e digeribili e generalmente cercano di evitare erbe, carici e foglie più vecchi e coriacei[50][52]. Di conseguenza, nelle zone temperate più settentrionali, il consumo di foglie e di erbe è maggiore all'inizio della primavera e va man mano scemando[63]. Sapere quando le piante sono mature e pronte per essere mangiate è un comportamento appreso[52]. Le bacche possono essere raccolte tra i cespugli o sulla sommità degli alberi, e gli orsi cercano di massimizzare il consumo delle bacche rispetto a quello delle foglie[63]. In autunno, alcune specie di orso consumano grandi quantità di frutta fermentata naturalmente che va a influire sul loro comportamento[64]. Gli orsi più piccoli si arrampicano sugli alberi per nutrirsi delle parti riproduttive commestibili, come le ghiande[65]. Noci e ghiande possono essere molto importanti per la dieta di queste specie e una diminuzione della produzione può spingere gli orsi ad effettuare spostamenti su ampio raggio in cerca di fonti di cibo alternative[66]. Gli orsi bruni, abili scavatori, si nutrono comunemente di radici[63]. La dieta del panda è costituita per oltre il 99% da bambù[67] di 30 specie diverse. Le sue forti mascelle sono adatte per schiacciare gli steli duri di queste piante, anche se preferiscono mangiare le foglie più nutrienti[68][69]. Le bromelie possono costituire fino al 50% della dieta dell'orso dagli occhiali, che è dotato di robuste mascelle in grado di aprirle[70].

 
Gli orsi bruni traggono beneficio dalle rare, ma prevedibili, migrazioni dei salmoni in Alaska.

L'orso giocoliere, sebbene non sia così specializzato dal punto di vista alimentare come l'orso polare e il panda, ha perso alcuni denti anteriori e ha sviluppato una lunga lingua aspirante per nutrirsi di formiche, termiti e altri insetti scavatori, che costituiscono il suo piatto preferito. In certi periodi dell'anno questi insetti possono costituire il 90% della loro dieta[71]. Alcune specie possono razziare i nidi delle vespe e delle api alla ricerca di miele e insetti immaturi, incuranti delle punture degli adulti[72]. Gli orsi malesi usano la loro lunga lingua per leccare sia insetti che miele[73]. Il pesce costituisce un'importante fonte di cibo per alcune specie, e gli orsi bruni in particolare si riuniscono in gran numero in prossimità dei corsi d'acqua che vengono risaliti dai salmoni. Generalmente gli orsi si tuffano in acqua e catturano un pesce con le mascelle o le zampe anteriori; le parti che preferiscono mangiare sono il cervello e le uova. Talvolta gli orsi dissotterrano e mangiano anche piccoli mammiferi scavatori come i roditori[63][74].

 
Un orso polare mangia i resti di una foca barbata su di un blocco di ghiaccio a nord delle Isole Svalbard, in Norvegia. È considerata la specie più carnivora.

L'orso bruno, il baribal e l'orso dal collare catturano talvolta grandi ungulati, come cervi e bovidi, soprattutto esemplari giovani e deboli[62][74][75]. Questi animali possono essere catturati con un breve inseguimento o un'imboscata, mentre i giovani cervidi nascosti tra l'erba vengono localizzati grazie all'olfatto e semplicemente attaccati[63][76]. L'orso polare si nutre soprattutto di foche, che cattura inseguendole sul ghiaccio o irrompendo nelle loro tane. Una volta catturata una, ne mangia per lo più lo strato di grasso, altamente digeribile[74][77]. I grandi mammiferi vengono uccisi generalmente con un morso alla testa o sul collo; i giovani esemplari, invece, vengono semplicemente inchiodati a terra con le zampe e sbranati[63][78]. Presso gli orsi le abilità predatorie vengono generalmente insegnate ai giovani dalla madre[74].

Gli orsi sono anche attivi saprofagi e cleptoparassiti che depredano le riserve di cibo immagazzinate dai roditori e le carcasse uccise da altri predatori[50][79]. Per le specie che vanno in letargo è importante guadagnare molto peso che le aiuti a superare meglio il periodo di dormienza invernale. Un orso bruno può mangiare anche 41 kg e guadagnare 2-3 kg di grasso al giorno prima di entrare nella tana[80].

Comunicazione

modifica
 
Manifestazioni aggressive in alcuni orsi dal collare in cattività.

Gli orsi producono un gran numero di suoni vocali e non vocali. Schiocchi con la lingua o grugniti possono essere prodotti in situazioni cordiali, come tra madri e cuccioli o tra partner, mentre gemiti, sbuffi o soffi vengono emessi quando un esemplare è stressato. Dei latrati vengono prodotti in situazioni di allarme o eccitazione o per rivelare la propria posizione. Tra i richiami di allarme figurano schiocchi fatti con le mascelle o le labbra, mentre battiti di denti, belati, ringhi, ruggiti e suoni pulsanti vengono emessi negli incontri aggressivi. I piccoli possono strillare, urlare, belare o gridare quando sono in difficoltà e produrre un ronzio simile a quello di un motore quando si sentono a proprio agio o vengono allattati[47][81][82][83][84][85].

 
Un orso giocoliere si strofina ad un albero nel parco di Nagarahole (India).

Gli orsi talvolta comunicano anche con particolari posture del corpo, ad esempio assumendo una posizione eretta per poter sembrare più grandi. A questa posizione intimidatoria si possono aggiungere i disegni sul petto propri di alcune specie. Fissare con gli occhi è considerato un segno di aggressività e i disegni facciali degli orsi dagli occhiali e dei panda giganti potrebbero aiutare a richiamare l'attenzione sugli occhi durante gli scontri tra conspecifici[45]. Due individui possono avvicinarsi l'un l'altro camminando con le zampe rigide e la testa abbassata. La posizione di dominanza viene affermata assumendo un orientamento frontale, mostrando i canini, torcendo la bocca e allungando il collo. Un subordinato può rispondere assumendo un orientamento laterale, girandosi e lasciando cadere la testa per poi mettersi a sedere o sdraiandosi[60][86].

Gli orsi possono marcare il territorio strofinandosi contro alberi e altri oggetti che possono servire a diffondere il loro odore. Quasi sempre graffiano o mordono l'oggetto a cui si sono strofinati. Talvolta pezzi di corteccia possono essere sparsi in giro per attirare l'attenzione sul sito di marcatura[87]. I panda marcano alberi o pietre con l'urina e con una sostanza cerosa delle loro ghiandole anali[88]. Gli orsi polari lasciano dietro di sé il proprio odore, in modo che i loro simili possano localizzarne la posizione nelle vaste distese selvagge dell'Artico[89].

Riproduzione e sviluppo

modifica
 
Baribal che si accoppiano nel North American Bear Center.

Il sistema di riproduzione degli orsi è stato variamento descritto come una forma di poliginia, promiscuità e monogamia seriale[90][91][92]. Durante la stagione degli amori, i maschi cercano segnali della presenza delle femmine nelle vicinanze e le femmine diventano più tolleranti verso i maschi. Un maschio può visitare continuamente una femmina per un periodo di diversi giorni o settimane, a seconda della specie, per testare il suo stato riproduttivo. Durante questo periodo, i maschi cercano di impedire ai rivali di interagire con la loro partner. Il corteggiamento può essere breve, anche se in alcune specie asiatiche le coppie possono eseguire lotte corpo a corpo, abbracci, finti combattimenti e vocalizzazioni. L'ovulazione è indotta dall'accoppiamento, che può durare fino a 30 minuti a seconda della specie[91].

Madre di orso polare che allatta.

La gestazione si protrae generalmente per 6-9 mesi, tenuto conto anche dell'ritardo dell'impianto, e la madre può dare alla luce fino a quattro piccoli per volta[93]. I panda giganti possono avere parti gemellari, ma in questi casi uno dei piccoli è destinato a morire, in quanto la madre si prende cura solamente di uno di essi[94]. Nelle specie che vivono nelle regioni settentrionali la nascita ha luogo durante il letargo invernale. Alla nascita i cuccioli sono ciechi e del tutto inermi: sono ricoperti al massimo da un sottile strato di peluria e fanno completo affidamento alla madre per tenersi al caldo. Il latte della femmina è ricco di grassi e di anticorpi e i piccoli possono essere allattati anche fino a un anno dopo la nascita. A partire dai 2-3 mesi, i piccoli possono seguire la madre fuori dalla tana. Di solito la seguono a piedi, ma i piccoli di orso giocoliere possono essere trasportati sulla schiena dalla madre[56][93]. I maschi non hanno alcun ruolo nelle cure parentali. Episodi di infanticidio, dove un maschio adulto ha ucciso i piccoli di un altro esemplare, sono stati segnalati negli orsi polari, negli orsi bruni e nei baribal, ma non nelle altre specie[95]. I maschi uccidono i giovani per spingere nuovamente la femmina in estro[96]. Alla vista di un maschio i piccoli fuggono via e la madre li difende anche a costo della vita[97][98][99].

In alcune specie, i giovani possono diventare indipendenti intorno alla primavera successiva, cioè fino a quando la madre può accoppiarsi di nuovo. Gli orsi raggiungono la maturità sessuale poco dopo l'epoca della dispersione: più o meno a 3-6 anni a seconda della specie. I maschi di orso bruno dell'Alaska e di orso polare possono continuare a crescere fino all'età di 11 anni[93]. Anche la speranza di vita varia da una specie all'altra. L'orso bruno può vivere in media 25 anni[100].

Ibernazione

modifica

Gli orsi delle regioni settentrionali, tra cui il baribal e il grizzly, trascorrono l'inverno in letargo[101][102]. Durante il letargo, il metabolismo rallenta, la temperatura corporea diminuisce leggermente e la frequenza cardiaca passa da un valore normale di 55 ad appena 9 battiti al minuto[103]. Generalmente gli orsi non si svegliano durante il letargo e possono trascorrere l'intero periodo senza mangiare, bere, urinare o defecare[42]. Nel colon si forma un tappo fecale che viene espulso quando l'orso si sveglia in primavera[104]. Se è stato accumulato abbastanza grasso corporeo, i muscoli restano in buone condizioni e il fabbisogno di mantenimento delle proteine viene raggiunto riciclando l'urea residua[42]. Le femmine partoriscono durante il periodo di ibernazione e si svegliano al momento del parto[102].

Predatori, parassiti e patogeni

modifica
 
Cacciatori con un orso abbattuto in Svezia agli inizi del XX secolo in una fotografia del Museo nordico.

Gli orsi non hanno molti predatori. Il più importante tra questi è l'uomo, che, da quando ha iniziato a coltivare i campi, è entrato sempre più in conflitto con questi animali che razziavano i raccolti. Inoltre, dopo l'invenzione delle armi da fuoco, l'uomo è stato in grado di uccidere gli orsi con maggiore facilità[105]. Anche felidi come la tigre possono costituire una minaccia per gli orsi[106][107], in particolare per i cuccioli, che possono anche essere minacciati dai canidi[6][92].

Gli orsi sono parassitati da ottanta specie di parassiti, tra cui protozoi unicellulari e vermi gastro-intestinali, nonché nematodi e fasciole che si annidano nel cuore, nel fegato, nei polmoni e nel flusso sanguigno. Esternamente vengono attaccati da zecche, pulci e pidocchi. Nel corso di uno studio sul baribal sono state rinvenute diciassette specie di endoparassiti, tra cui il protozoo Sarcocystis, il verme parassita Diphyllobothrium mansonoides e i nematodi Dirofilaria immitis, Capillaria aerophila, Physaloptera spp., Strongyloides spp. e altri. Di queste, D. mansonoides e gli adulti di C. aerophila stavano causando sintomi patologici[108]. Al contrario, gli orsi polari hanno pochi parassiti; molte specie parassite hanno bisogno di un ospite secondario, dalle abitudini solitamente terricole, e l'orso polare frequenta un tipo di ambiente dove esistono poche specie ospiti. Tuttavia, in alcuni esemplari è stato trovato il Toxoplasma gondii e il nematode Trichinella nativa può causare gravi infezioni e decadimento negli individui più anziani[109]. Gli orsi del Nordamerica sono a volte infettati da un Morbillivirus simile al virus del cimurro canino[110]. Sono inoltre suscettibili all'epatite canina infettiva (CAV-1) e i baribal che vivono in natura soccombono rapidamente a causa dell'encefalite e dell'epatite[111].

Rapporti con l'uomo

modifica
 
Una trappola nel parco nazionale del Grand Teton (Wyoming) usata per ricollocare gli orsi lontano dai centri abitati.

Conservazione

modifica

In epoca moderna gli orsi si sono ritrovati sempre più minacciati dall'invasione dell'uomo nei loro habitat[112] e dal commercio illegale di parti del loro corpo, in particolare della loro bile, molto richiesta sul mercato asiatico: anche se le uccisioni in natura sono attualmente vietate, la caccia è stata in gran parte rimpiazzata dall'allevamento[113]. La IUCN classifica sei specie come vulnerabili[114]; tuttavia, perfino le due specie a rischio minimo, l'orso bruno e il baribal[114], rischiano di scomparire da alcune aree. In generale queste due specie vivono in zone remote dove le interazioni con l'uomo sono ridotte al minimo, e le principali cause artificiali di mortalità sono costituite dalla caccia, dalle collisioni con i veicoli e dalle rappresaglie degli agricoltori[115].

In molte parti del mondo sono state approvate leggi per proteggere gli orsi dalla distruzione dell'habitat. La percezione degli orsi presso il grande pubblico è spesso positiva, dal momento che gli uomini si identificano con questi animali a causa della loro dieta onnivora, della loro capacità di stare in piedi su due zampe e della loro importanza simbolica[116]. Il sostegno alla protezione degli orsi è diffuso, almeno nelle aree più ricche del mondo[117]. Laddove gli orsi razziano i raccolti o attaccano il bestiame, possono entrare in conflitto con gli uomini[118][119]. Nelle regioni rurali più povere, l'attitudine degli abitanti verso questi animali può essere maggiormente influenzata dai pericoli costituiti dagli orsi e dai danni economici che essi causano ad agricoltori e allevatori[118].

Attacchi

modifica

Alcune specie di orso possono diventare pericolose per l'uomo, specialmente in quelle aree in cui si sono abituate alla presenza umana; altrove, cercano generalmente di evitare gli umani. Le aggressioni da parte degli orsi sono rare, ma largamente riportate[120]. Gli orsi possono attaccare l'uomo in risposta ad un forte spavento, in difesa dei piccoli o del cibo o anche per ragioni predatorie[121].

Intrattenimento, caccia, cibo e medicina popolare

modifica
 
The dancing bear di William Frederick Witherington (1822).

Gli orsi in cattività sono stati usati per secoli come fonte di intrattenimento. In Europa sono stati addestrati a ballare[122] e impiegati nei combattimenti almeno dal XVI secolo. All'epoca a Southwark, un quartiere di Londra, vi erano cinque arene dove venivano fatti combattere gli orsi: i resti di tre di esse sono anche sopravvissuti fino ad oggi[123]. In tutta Europa, gli addestratori di orsi girovaghi rom, chiamati ursari, vivevano suonando ed esibendosi con gli orsi dal XII secolo[124].

 
Un ursaro nomade, addestratore di orsi rom, in un disegno di Theodor Aman (1888).

Gli orsi sono stati cacciati per sport, per scopo alimentare e per ricavare sostanze utilizzate nella medicina popolare. La carne di orso è scura e fibrosa, come un duro taglio di manzo. Nella cucina cantonese le zampe di orso sono considerate una prelibatezza. La carne, tuttavia, deve essere cotta accuratamente, in quanto può essere infettata dal parassita Trichinella spiralis[125][126].

Le popolazioni dell'Asia orientale utilizzano alcune parti e secreti del corpo degli orsi (in particolare la colecisti e la bile) come farmaci impiegati nella medicina tradizionale cinese. Si pensa che siano più di 12.000 gli orsi ospitati in fattorie di Cina, Vietnam e Corea del Sud per la produzione di bile. Il commercio di prodotti a base di orso è vietato dalla CITES, ma bile di orso è stata rinvenuta in shampoo, vino e medicinali a base di erbe venduti in Canada, negli Stati Uniti e in Australia[127].

Nella cultura popolare

modifica
Onikuma, un orso demone giapponese, in un'immagine tratta dall'Ehon Hyaku Monogatari (1841 ca.).
Il leggendario eroe lettone Lāčplēsis uccide un orso a mani nude.

Vi sono prove indicanti una sorta di culto dell'orso risalenti già all'epoca preistorica, sebbene la loro validità sia oggi stata messa in dubbio dagli archeologi[128]. I finnici preistorici[129], i popoli siberiani[130] e in epoca più recente i coreani consideravano l'orso lo spirito dei loro antenati[131]. Il culto dell'orso era praticato anche dagli antichi cinesi e dagli Ainu[132]. Presso molte culture dei nativi americani, l'orso viene visto come un simbolo di rinascita, a causa del suo risveglio dopo il letargo[133]. Le femmine di orso, particolarmente devote e protettive nei confronti dei cuccioli, erano un soggetto ricorrente nella mitologia di molte società di Nordamerica ed Eurasia[134]. Nel folklore giapponese abbiamo l'Onikuma, un «orso demone» che cammina eretto[135]. Invece gli Ainu del nord del Giappone, un popolo distinto dai giapponesi, consideravano l'orso una creatura sacra; Hirasawa Byozan dipinse una scena in stile documentaristico del sacrificio di un orso in un tempio ainu, con tanto di offerte allo spirito dell'animale morto[136].

Nella mitologia coreana, una tigre e un orso si rivolsero a Hwanung, il figlio del Signore dei Cielo, pregandolo di farli diventare esseri umani. Dopo aver ascoltato le loro preghiere, Hwanung diede loro 20 spicchi d'aglio e un fascio di artemisia, ordinando loro di mangiare solo questi cibi sacri e di rimanere lontani dalla luce del sole per 100 giorni. La tigre rinunciò dopo una ventina di giorni e lasciò la grotta. L'orso, invece, perseverò nell'intento e fu trasformato in una donna. Si dice che l'orso e la tigre rappresentino due tribù che cercavano di ottenere il favore del principe celeste[137]. La donna-orso (Ungnyeo; 웅녀/熊女) si dimostrò grata dell'avvenuto e fece delle offerte a Hwanung. Tuttavia, non avendo un marito, diventò presto triste e pregò ai piedi di un albero di «betulla divina» (Hangul: 신단수; Hanja: 神 檀 樹; RR: shindansu) affinché potesse avere un bambino. Hwanung, commosso dalle sue preghiere, la prese come moglie e presto diede alla luce un figlio di nome Dangun Wanggeom - che divenne il leggendario fondatore di Gojoseon, il primo regno coreano[138].

 
La costellazione dell'Orsa Maggiore raffigurata su Urania's Mirror (1825 ca.).

Artio (Dea Artio nella religione gallo-romana) era una dea celtica raffigurata con le sembianze di un'orsa. Testimonianze del suo culto sono state trovate soprattutto a Berna, che a sua volta deve il nome a questo animale. Il nome della dea deriva dalla parola celtica artos, che vuol dire «orso»[139]. Nell'antica Grecia, il culto arcaico di Artemide sotto forma di orsa sopravvisse in epoca classica a Braurone, dove le giovani ragazze ateniesi dovevano effettuare un rito di iniziazione come arktai, «orse»[140]. Per il collegamento tra Artemide e questo animale basti ricordare il mito di Callisto, la ninfa trasformata in orsa dalla dea adirata.

Le costellazioni dell'Orsa Maggiore e dell'Orsa Minore prendono il nome dalla loro presunta somiglianza con un'orsa già dai tempi di Tolomeo, che le chiamò rispettivamente Ἄρκτος μεγάλη (Arktos Megale) e Ἄρκτος μικρά (Arktos Mikra), grande e piccola orsa in greco[1][141]. La vicina stella Arturo ha un nome che significa «guardiano dell'orsa», proprio come se stesse osservando le due costellazioni[142]. Si ritiene che l'Orsa Maggiore sia stata associata alla figura di un orso almeno da 13 000 anni, dall'epoca paleolitica, in quanto miti simili correlati alla Caccia Cosmica sono presenti su entrambe le sponde del ponte di terra di Bering, che venne sommerso dal mare circa 11 000 anni fa[143].

Plinio il Vecchio, nelle sue Storie Naturali (I secolo d.C.), afferma che «alla nascita [gli orsi] sono informi masserelle di carne di colore bianco, un po' più grosse di un topo, senz'occhi e senza peli; soltanto le unghie sono sporgenti. L'orsa, lambendo queste masserelle, dà loro a poco a poco una forma»[144]. Questa convinzione verrà ripresa dagli autori di bestiari per tutto il periodo medievale[145].

 
I tre orsi, illustrazione di Arthur Rackham per English Fairy Tales di Flora Annie Steel (1918).

Gli orsi vengono menzionati anche nella Bibbia: nel Secondo Libro dei Re si racconta la storia del profeta Eliseo, che invocò due orsi affinché divorassero i giovani che lo stavano schernendo[146]. Leggende di santi che addomesticano gli orsi sono comuni nella zona alpina. Sullo stemma della città di Frisinga è tuttora raffigurato il pericoloso orso domato da San Corbiniano e costretto a trasportare il suo bagaglio, simbolo di civilizzazione, al di là delle montagne. Gli orsi compaiono anche nelle leggende di San Romedio, San Gallo e San Colombano. Questo motivo ricorrente fu usato dalla Chiesa come simbolo della vittoria della cristianità sul paganesimo[147]. Negli insediamenti norreni dell'Inghilterra settentrionale risalenti al X secolo, un tipo di copertura tombale a "schiena di maiale" costituito da un lungo e stretto blocco di pietra, con un vertice sagomato come la trave del tetto di una lunga casa, è decorato con un orso scolpito dotato di museruola, cioè cristianizzato, che sorregge ciascuna estremità del timpano, così come si può vedere anche nella chiesa di Brompton, nel North Yorkshire, e un po' ovunque in tutte le isole britanniche[148].

 
Il gatto persiano, il leone britannico e l'orso russo nell'accordo anglo-russo del 1907.

Lāčplēsis, che significa "uccisore di orsi", è un eroe leggendario lettone che si dice abbia ucciso un orso spezzandogli le mascelle a mani nude. Tuttavia, come viene rivelato alla fine della lunga epopea che racconta la sua vita, la madre di Lāčplēsis era stata un'orsa, e la sua forza sovrumana risiedeva nelle sue orecchie da orso. L'Ordine di Lāčplēsis, la prima nonché la più alta onorificenza militare della Lettonia, prende il nome dall'eroe, ed è noto anche come l'«Ordine dell'Uccisore di Orsi».

Gli orsi sono personaggi principali di molte storie per bambini, basti pensare a Winnie the Pooh[149], all'orso Paddington[150], all'orso Ben[151] e a «L'Orso Bruno della Norvegia»[152]. Una prima versione di Riccioli d’Oro e i tre orsi[153] venne pubblicata con il titolo La storia dei tre orsi nel 1837 da Robert Southey, ripresa da vari autori svariate volte e illustrata nel 1918 da Arthur Rackham[154]. L'Orso Yoghi, il celebre personaggio dei cartoni animati, è apparso in numerosi fumetti, spettacoli televisivi animati e film[155][156], assieme alla fidanzata Cindy e al compagno d'avventure Bubu. Gli Orsetti del Cuore fecero la loro comparsa sui biglietti di auguri nel 1982 e da allora ne sono stati prodotti giocattoli e film e la loro immagine è comparsa sui capi di abbigliamento[157]. In tutto il mondo, molti bambini - e anche alcuni adulti - amano gli orsacchiotti, animaletti di peluche a forma di orso che devono il loro nome alternativo di teddy bear al presidente americano Theodore Roosevelt, che nel 1902 si era rifiutato di sparare ad un baribal legato a un albero[158].

Gli orsi, così come anche altri animali, possono simboleggiare intere nazioni. Nel 1911, la rivista satirica britannica Punch pubblicò una vignetta di Leonard Raven-Hill sull'accordo anglo-russo nella quale il leone britannico osservava l'orso russo seduto sulla coda del gatto persiano[159]. L'orso russo è la personificazione nazionale della Russia dal XVI secolo[160]. L'Orso Smokey è divenuto parte della cultura americana sin dalla sua introduzione nel 1944, con il suo messaggio «Solo tu puoi prevenire gli incendi boschivi»[161]. Nel Regno Unito, l'orso e il bordone sono rappresentati sullo stemma araldico della contea del Warwickshire[162]. L'orso compare anche sullo stemma di tre grandi città, Berna, Berlino[163] e Madrid. Una tribù di orsi nativi (americani) è protagonista del 44a Classico Disney: Koda, fratello orso. Nella saga videoludica di Tekken, celebre per il genere specifico dei picchiaduro, sono presenti due orsi combattenti che si chiamano entrambi Kuma: perché è il nome d'adozione del padre (presente solo nel primo e nel secondo capitolo) poi passato al figlio (presente dal terzo e negli altri seguenti, sia nella continuity canonica, che negli spin-off dei Tag Tournament), quest'ultimo fin da subito affiancato alla femmina Panda; tutt'e tre personaggi giocabili che hanno lo stesso stile marziale. Kuma I, che poi scompare come altri personaggi, lascia il posto al figlio come "animale domestico" di Casa Mishima. Kuma II e Panda sono rappresentati nel corso della serie come una coppia.

Organizzazioni

modifica
 
Piccoli panda nel Chengdu Research Base of Giant Panda Breeding.

L'International Association for Bear Research & Management, conosciuta anche come International Bear Association, e il Bear Specialist Group della Species Survival Commission, un settore dell'Unione internazionale per la conservazione della natura, sono due organizzazioni incentrate sullo studio della storia naturale, sulla gestione e sulla conservazione degli orsi. Il Bear Trust International opera per la salvaguardia degli orsi selvatici e di altri animali attraverso quattro iniziative principali, ovvero l'educazione alla conservazione, la ricerca sugli orsi selvatici, la loro gestione e la conservazione degli habitat[164].

Tra le organizzazioni specifiche per ognuna delle otto specie di orso esistenti ricordiamo:

  • Vital Ground, per l'orso bruno[165];
  • Moon Bears, per l'orso dal collare[166];
  • Black Bear Conservation Coalition, per il baribal[167];
  • Polar Bears International, per l'orso polare[168];
  • Bornean Sun Bear Conservation Centre, per l'orso malese[169];
  • Wildlife SOS, per l'orso giocoliere[170];
  • Andean Bear Conservation Project, per l'orso dagli occhiali[171];
  • Chengdu Research Base of Giant Panda Breeding, per il panda gigante[172].
  1. ^ a b c The Great Bear Constellation Ursa Major, su souledout.org. URL consultato il 12 gennaio 2017 (archiviato il 30 novembre 2010).
  2. ^ Henry George Liddell e Robert Scott, Arktos, in A Greek-English Lexicon, Perseus Digital Library.
  3. ^ bear (n.), su etymonline.com, Online Etymology Dictionary. URL consultato il 22 gennaio 2017 (archiviato il 2 febbraio 2017).
  4. ^ Laura Postma, The word for "bear", su University of Pittsburgh Slovak Studies Program. URL consultato il 21 marzo 2018 (archiviato il 22 novembre 2017).
  5. ^ G. D. Welsey-Hunt e J. J. Flynn, Phylogeny of the Carnivora: basal relationships among the Carnivoramorphans, and assessment of the position of 'Miacoidea' relative to Carnivora, in Journal of Systematic Palaeontology, vol. 3, n. 1, 2005, pp. 1-28, DOI:10.1017/S1477201904001518, ISSN 1477-2019 (WC · ACNP).
  6. ^ a b c C. Servheen, S. Herrero e B. Peyton, Bears: Status Survey and Conservation Action Plan (PDF), IUCN, 1999, pp. 26-30, ISBN 978-2-8317-0462-3.
  7. ^ T. S. Kemp, The Origin and Evolution of Mammals, Oxford University Press, 2005, p. 260, ISBN 978-0-19-850760-4.
  8. ^ a b c d Wang Banyue e Qiu Zhanxiang, Notes on Early Oligocene Ursids (Carnivora, Mammalia) from Saint Jacques, Nei Mongol, China (PDF), in Bulletin of the American Museum of Natural History, vol. 279, n. 279, 2005, pp. 116-124, DOI:10.1206/0003-0090(2003)279<0116:C>2.0.CO;2 (archiviato il 20 novembre 2009).
  9. ^ a b R. H. Tedford, L. G. Barnes e C. E. Ray, The early Miocene littoral ursoid carnivoran Kolponomos: Systematics and mode of life, in Proceedings of the San Diego Society of Natural History, vol. 29, 1994, pp. 11-32.
  10. ^ a b N. Rybczynski, M. R. Dawson e R. H. Tedford, A semi-aquatic Arctic mammalian carnivore from the Miocene epoch and origin of Pinnipedia, in Nature, vol. 458, n. 7241, 2009, pp. 1021-24, Bibcode:2009Natur.458.1021R, DOI:10.1038/nature07985, PMID 19396145.
  11. ^ a b A. Berta, C. Morgan e R. W. Boessenecker, The Origin and Evolutionary Biology of Pinnipeds: Seals, Sea Lions, and Walruses, in Annual Review of Earth and Planetary Sciences, vol. 0, 2018, Bibcode:2018AREPS..46..203B, DOI:10.1146/annurev-earth-082517-010009.
  12. ^ R. M. Hunt Jr. e L. G. Barnes, Basicranial evidence for ursid affinity of the oldest pinnipeds (PDF), in Proceedings of the San Diego Society of Natural History, vol. 29, 1994, pp. 57-67.
  13. ^ G. M. Lento, R. E. Hickson, G. K. Chambers e D. Penny, Use of spectral analysis to test hypotheses on the origin of pinnipeds, in Molecular Biology and Evolution, vol. 12, n. 1, 1995, pp. 28-52, DOI:10.1093/oxfordjournals.molbev.a040189, PMID 7877495. URL consultato il 3 aprile 2018 (archiviato il 7 ottobre 2008).
  14. ^ X. Wang, M. C. McKenna e D. Dashzeveg, Amphicticeps and Amphicynodon (Arctoidea, Carnivora) from Hsanda Gol Formation, central Mongolia and phylogeny of basal arctoids with comments on zoogeography, in American Museum Novitates, n. 3483, 2005, p. 216, DOI:10.1206/0003-0082(2005)483[0001:AAAACF]2.0.CO;2.
  15. ^ J. W. Higdon, O. R. Bininda-Emonds, R. M. Beck e S. H. Ferguson, Phylogeny and divergence of the pinnipeds (Carnivora: Mammalia) assessed using a multigene dataset, in BMC Evolutionary Biology, vol. 7, 2007, p. 216, DOI:10.1186/1471-2148-7-216, PMC 2245807, PMID 17996107.
  16. ^ Lisette Waits, Rapid radiation events in the family Ursidae indicated by likelihood phylogenetic estimation from multiple fragments of mtDNA (PDF), in Molecular Phylogenetics and Evolution, vol. 13, 1999, pp. 82-92, DOI:10.1006/mpev.1999.0637, PMID 10508542 (archiviato dall'url originale il 3 settembre 2015).
  17. ^ Marie Pàges, Combined analysis of fourteen nuclear genes refines the Ursidae phylogeny, in Molecular Phylogenetics and Evolution, vol. 47, 2008, pp. 73-83, DOI:10.1016/j.ympev.2007.10.019, PMID 18328735.
  18. ^ a b c J. Krause, T. Unger, A. Noçon, A. Malaspinas, S. Kolokotronis, M. Stiller, L. Soibelzon, H. Spriggs, P. H. Dear, A. W. Briggs, S. C. E. Bray, S. J. O'Brien, G. Rabeder, P. Matheus, A. Cooper, M. Slatkin, S. Pääbo e M. Hofreiter, Mitochondrial genomes reveal an explosive radiation of extinct and extant bears near the Miocene-Pliocene boundary, in BMC Evolutionary Biology, vol. 8, n. 220, 2008, p. 220, DOI:10.1186/1471-2148-8-220, PMC 2518930, PMID 18662376.
  19. ^ L. H. Soibelzon, E. P. Tonni e M. Bond, The fossil record of South American short-faced bears (Ursidae, Tremarctinae), in Journal of South American Earth Sciences, vol. 20, n. 1-2, 2005, pp. 105-113, Bibcode:2005JSAES..20..105S, DOI:10.1016/j.jsames.2005.07.005.
  20. ^ Qiu Zhanxiang, Dispersals of Neogene Carnivorans between Asia and North America (PDF), in Bulletin of the American Museum of Natural History, vol. 279, n. 279, 2003, pp. 18-31, DOI:10.1206/0003-0090(2003)279<0018:C>2.0.CO;2 (archiviato il 20 novembre 2009).
  21. ^ Ward e Kynaston, pp. 74-77.
  22. ^ Shiping Liu, Eline D. Lorenzen, Matteo Fumagalli, Bo Li, Kelley Harris, Zijun Xiong, Long Zhou, Thorfinn Korneliussen, Mehmet Somel, Courtney Babbitt, Greg Wray, Jianwen Li, Weiming He, Zhuo Wang, Wenjing Fu, Xueyan Xiang, Claire C. Morgan, Aoife Doherty, Mary J. O'Connell, James O. McInerney, Erik W. Born, Love Dalén, Rune Dietz, Ludovic Orlando, Christian Sonne, Guojie Zhang, Rasmus Nielsen, Eske Willerslev e Jun Wang, Population Genomics Reveal Recent Speciation and Rapid Evolutionary Adaptation in Polar Bears, in Cell, vol. 157, n. 4, 2014, pp. 785-794, DOI:10.1016/j.cell.2014.03.054, PMC 4089990, PMID 24813606.
  23. ^ J. J. Flynn, J. A. Finarelli, S. Zehr, J. Hsu e M. A. Nedbal, Molecular phylogeny of the Carnivora (Mammalia): Assessing the impact of increased sampling on resolving enigmatic relationships, in Systematic Biology, vol. 54, n. 2, 2005, pp. 317-37, DOI:10.1080/10635150590923326, PMID 16012099.
  24. ^ a b B. McLellan e D. C. Reiner, A review of bear evolution, in International Association for Bear Research and Management, vol. 9, n. 1, 1992, pp. 85-96, DOI:10.2307/3872687.
  25. ^ L. de Bonis, A new species of Adelpharctos (Mammalia, Carnivora, Ursidae) from the late Oligocene of the "Phosphorites du Quercy" (France), in Estudios Geológicos, vol. 67, n. 2, 2011, pp. 179-186, DOI:10.3989/egeol.40553.181.
  26. ^ Louis De Bonis, Ursidae (Mammalia, Carnivora) from the Late Oligocene of the "Phosphorites du Quercy" (France) and a reappraisal of the genus Cephalogale Geoffroy, 1862, in Geodiversitas, vol. 35, n. 4, 2013, pp. 787-814, DOI:10.5252/g2013n4a4.
  27. ^ a b Zhan-Xiang Qiu et al., A Late Miocene Ursavus skull from Guanghe, Gansu, China, in Vertebrata PalAsiatica, vol. 52, n. 3, 2014, pp. 265-302.
  28. ^ a b c d M. C. McKenna e S. Bell, Classification of Mammals Above the Species Level, Columbia University Press, New York, 1997.
  29. ^ Li Yu, Yi-Wei Li, Oliver A. Ryder e Ya-Ping Zhang, Analysis of complete mitochondrial genome sequences increases phylogenetic resolution of bears (Ursidae), a mammalian family that experienced rapid speciation, in BMC Evolutionary Biology, vol. 7, n. 198, 2007, DOI:10.1186/1471-2148-7-198. URL consultato il 4 gennaio 2017 (archiviato il 21 agosto 2016).
  30. ^ F. C. Howell, Carnivora (Mammalia) From Lemudong’o (Late Miocene: Narok District, Kenya) (PDF), in Kirtlandia, vol. 556, 2007, pp. 121-139. URL consultato il 19 febbraio 2017 (archiviato il 4 marzo 2016).
  31. ^ Bruce McLellan e David C. Reiner, A Review of Bear Evolution (PDF), in Int. Conf. Bear Res. and Management, vol. 9, n. 1, 1994, pp. 85-96, DOI:10.2307/3872687. URL consultato il 19 febbraio 2017 (archiviato il 15 novembre 2017).
  32. ^ a b L. H. Soibelzon e B. W. Schubert, The Largest Known Bear, Arctotherium angustidens, from the Early Pleistocene Pampean Region of Argentina: With a Discussion of Size and Diet Trends in Bears, in Journal of Paleontology, vol. 85, n. 1, Paleontological Society, gennaio 2011, pp. 69-75, DOI:10.1666/10-037.1. URL consultato il 1º giugno 2011 (archiviato il 10 marzo 2011).
  33. ^ a b C. Dell'Amore (2011), Biggest Bear Ever Found Archiviato il 17 ottobre 2017 in Internet Archive., National Geographic News, 3 febbraio 2011.
  34. ^ Juan Abella et al., Kretzoiarctos gen. nov., the oldest member of the giant panda clade, in PLOS ONE, vol. 7, n. 11, 2012, p. e48985, Bibcode:2012PLoSO...748985A, DOI:10.1371/journal.pone.0048985, PMC 3498366, PMID 23155439.
  35. ^ J. R. MacDonald, The Middle Pliocene Mammalian Fauna from Smiths Valley, Nevada, in Journal of Paleontology, vol. 33, n. 5, 1959, pp. 872-887, JSTOR 1300922.
  36. ^ Zhan-Xiang Qiu e R. H. Tedford, Copia archiviata (PDF), in Vertebrata PalAsiatica, vol. 41, n. 4, 2003, pp. 278-288. URL consultato il 27 marzo 2018 (archiviato dall'url originale il 28 marzo 2018).
  37. ^ Kieren J. Mitchell, Sarah C. Bray, Pere Bover, Leopoldo Soibelzon, Blaine W. Schubert, Francisco Prevosti, Alfredo Prieto, Fabiana Martin, Jeremy J. Austin e Alan Cooper, Ancient mitochondrial DNA reveals convergent evolution of giant short-faced bears (Tremarctinae) in North and South America, in Biology Letters, vol. 12, n. 4, 2016, p. 20160062, DOI:10.1098/rsbl.2016.0062, PMC 4881349, PMID 27095265.
  38. ^ (LA) J. K. W. Illiger, Prodromus Systematis Mammalium et Avium, Sumptibus C. Salfeld, 1811, pp. 138-39.
  39. ^ Ward e Kynaston, p. 61.
  40. ^ Annie Hemstock, Manakato, MN, Capstone Press, 1999, p. 4, ISBN 0-7368-0031-X.
  41. ^ C. S. Fitzgerald e P. S. Krausman, <0001:HM>2.0.CO;2 Helarctos malayanus, in Mammalian Species, vol. 696, 2002, pp. 1-5, DOI:10.1644/1545-1410(2002)696<0001:HM>2.0.CO;2.
  42. ^ a b c d e f g h i j k Anon, Mammal Anatomy: An Illustrated Guide, Marshall Cavendish, 2010, pp. 104-123, ISBN 978-0-7614-7882-9.
  43. ^ Andrew E. Derocher, Magnus Andersen e Øystein Wiig, Sexual dimorphism of polar bears (PDF), in Journal of Mammalogy, vol. 86, n. 5, 2005, pp. 895-901, DOI:10.1644/1545-1542(2005)86[895:SDOPB]2.0.CO;2 (archiviato dall'url originale il 2 febbraio 2014).
  44. ^ a b R. M. Hunt Jr., Ursidae, in Christine M. Janis, Kathleen M. Scott e Louis L. Jacobs (a cura di), Evolution of Tertiary Mammals of North America, volume 1: Terrestrial carnivores, ungulates, and ungulatelike mammals, Cambridge, Inghilterra, Cambridge University Press, 1998, pp. 174-195, ISBN 978-0-521-35519-3.
  45. ^ a b Ward e Kynaston, pp. 124-125.
  46. ^ Fred Bunnell, The Encyclopedia of Mammals, a cura di D. Macdonald, Facts on File, 1984, p. 87, ISBN 978-0-87196-871-5.
  47. ^ a b Ward e Kynaston, pp. 117-121.
  48. ^ G. E. Weissengruber, G. Forstenpointner, A. Kübber-Heiss, K. Riedelberger, H. Schwammer e K. Ganzberger, Occurrence and structure of epipharyngeal pouches in bears (Ursidae), in Journal of Anatomy, vol. 198, n. 3, 2001, pp. 309-14, DOI:10.1046/j.1469-7580.2001.19830309.x, PMC 1468220, PMID 11322723. URL consultato il 12 dicembre 2017 (archiviato il 13 dicembre 2017).
  49. ^ C. C. Schwartz, S. D. Miller e M. A. Haroldson, Grizzly Bear, in G. Feldhamer, B. Thompson e J. Chapman (a cura di), Wild Mammals of North America; biology, management and conservation, Johns Hopkins University Press, p. 562, ISBN 978-0-8018-7416-1.
  50. ^ a b c Food Habits of Grizzly Bears and Black Bears in the Yellowstone Ecoystem, su nps.gov, National Park Service. URL consultato il 18 gennaio 2017 (archiviato il 28 gennaio 2017).
  51. ^ Ruiqiang Li, Geng Tian, Hongmei Zhu, Lin He, Jing Cai, Quanfei Huang, Qingle Cai, Bo Li, Yinqi Bai, Zhihe Zhang, Yaping Zhang, Wen Wang, Jun Li, Fuwen Wei, Heng Li, Min Jian, Jianwen Li, Zhaolei Zhang, Rasmus Nielsen, Dawei Li, Wanjun Gu, Zhentao Yang, Zhaoling Xuan, Oliver A. Ryder, Frederick Chi-Ching Leung, Yan Zhou, Jianjun Cao, Xiao Sun e Yonggui Fu et al., The sequence and de novo assembly of the giant panda genome, in Nature, vol. 463, n. 21, 2010, pp. 311-317, Bibcode:2010Natur.463..311L, DOI:10.1038/nature08696, PMC 3951497, PMID 20010809.
  52. ^ a b c d Ward e Kynaston, p. 83.
  53. ^ a b c d e C. Servheen, S. Herrero e B. Peyton, Bears: Status Survey and Conservation Action Plan, IUCN, 1999, pp. 5-10, ISBN 978-2-8317-0462-3.
  54. ^ Ward e Kynaston, p. 52.
  55. ^ (FR) Watik Hamdine, Michel Thévenot e Jacques Michaux, Histoire récente de l'ours brun au Maghreb, in Comptes Rendus de l'Académie des Sciences, vol. 321, n. 7, 1998, pp. 565-570, Bibcode:1998CRASG.321..565H, DOI:10.1016/S0764-4469(98)80458-7.
  56. ^ a b c R. M. Nowak, Walker's Carnivores of the World, Johns Hopkins University Press, 2005, p. 114, ISBN 978-0-8018-8032-2.
  57. ^ D. R. Klinka e T. E. Reimchen, Nocturnal and diurnal foraging behaviour of brown bears (Ursus arctos) on a salmon stream in coastal British Columbia (PDF), in Canadian Journal of Zoology, vol. 80, 2002, pp. 1317-1322, DOI:10.1139/Z02-123. URL consultato il 7 gennaio 2017 (archiviato il 12 agosto 2017).
  58. ^ Ward e Kynaston, p. 99.
  59. ^ M. Sandell, The mating tactics and spacing patterns of solitary carnivores, in Carnivore behavior, ecology, and evolution, Springer, 1989, pp. 164-182, DOI:10.1007/978-1-4613-0855-3_7, ISBN 978-1-4613-0855-3.
  60. ^ a b D. Stonorov e A. W. Stokes, Social behavior of the Alaska brown bear (PDF), vol. 2, International Association for Bear Research & Management, 1972, pp. 232-242, DOI:10.2307/3872587. URL consultato l'11 gennaio 2017 (archiviato il 22 luglio 2013).
  61. ^ Ward e Kynaston, p. 130.
  62. ^ a b Mei-Hsiu Hwang, Diets of Asiatic black bears in Taiwan, with Methodological and Geographical Comparisons (PDF), in Ursus, vol. 13, 2002, pp. 111-125. URL consultato il 22 dicembre 2012 (archiviato il 23 luglio 2013).
  63. ^ a b c d e f David Mattson, Foraging Behavior of North American Bears (PDF), su sbsc.wr.usgs.gov, Southwest Biological Science Center (archiviato dall'url originale l'11 luglio 2007).
  64. ^ Leonard Lee Rue, Furbearing Animals of North America, Crown Publishers, 1981, p. 129, ISBN 978-0-517-53942-2.
  65. ^ David J. Mattson, Diet and Morphology of Extant and Recently Extinct Northern Bears, in Ursus, A Selection of Papers from the Tenth International Conference on Bear Research and Management, Fairbanks, Alaska, July 1995, and Mora, Sweden, September 1995, vol. 10, 1998, pp. 479-496, JSTOR 3873160.
  66. ^ Christopher Ryan, James C. Pack, William K. Igo e Anthony Billings, [46:IOMPOB2.0.CO;2 Influence of mast production on black bear non-hunting mortalities in West Virginia], in Ursus, vol. 18, n. 1, 2007, pp. 46-53, DOI:10.2192/1537-6176(2007)18[46:IOMPOB]2.0.CO;2.
  67. ^ Susan Lumpkin e John Seidensticker, Giant Pandas, Collins, 2007, p. 63, ISBN 978-0-06-120578-1.
  68. ^ Ward e Kynaston, pp. 89-92.
  69. ^ Frands Dolberg, Progress in the utilization of urea-ammonia treated crop residues: biological and socio-economic aspects of animal production and application of the technology on small farms, su lrrd.cipav.org.co, University of Arhus, 1º agosto 1992. URL consultato il 10 agosto 2010 (archiviato dall'url originale il 7 luglio 2011).
  70. ^ Ward e Kynaston, p. 87.
  71. ^ Anup Joshi, David L. Garshelis e James L. D. Smith, David L. Garshelis e James L. D. Smith, Seasonal and Habitat-Related Diets of Sloth Bears in Nepal, in Journal of Mammalogy, vol. 1978, n. 2, 1997, pp. 584-597, DOI:10.2307/1382910.
  72. ^ What do bears like to eat in a beehive?, su bear.org, North American Bear Center. URL consultato il 5 aprile 2017 (archiviato dall'url originale il 6 aprile 2017).
  73. ^ Ward e Kynaston, p. 89.
  74. ^ a b c d Ward e Kynaston, pp. 93-98.
  75. ^ Peter Zager e John Beecham, [95:TROABB2.0.CO;2 The role of American black bears and brown bears as predators on ungulates in North America], in Ursus, vol. 17, n. 2, 2006, pp. 95-108, DOI:10.2192/1537-6176(2006)17[95:TROABB]2.0.CO;2.
  76. ^ Animal Protein, su bear.org, North American bear Center. URL consultato il 22 marzo 2017 (archiviato dall'url originale il 23 marzo 2017).
  77. ^ Ward e Kynaston, p. 92.
  78. ^ S. P. French e M. G. French, Predatory behavior of grizzly bears feeding on elk calves in Yellowstone National Park, 1986-1988 (PDF), in International Conf. Bear Res. and Manage, vol. 8, 1990, pp. 335-341, DOI:10.2307/3872937, JSTOR 3872937. URL consultato il 4 aprile 2017 (archiviato il 22 luglio 2013).
  79. ^ COSEWIC. Canadian Wildlife Service, Assessment and Update Status Report on the Grizzly Bear (Ursus arctos) (PDF), su dsp-psd.pwgsc.gc.ca, Environment Canada, 2002. URL consultato l'8 aprile 2007.
  80. ^ Ward e Kynaston, p. 104.
  81. ^ D. Naughton, The Natural History of Canadian Mammals: Opossums and Carnivores, University of Toronto Press, 2014, pp. 218-219, 236, 251-252, ISBN 978-1-4426-4483-0.
  82. ^ Vocalizations and Body Language, su bear.org, North American Bear Center. URL consultato il 7 gennaio 2017 (archiviato dall'url originale il 23 dicembre 2016).
  83. ^ Linda Masterson, Living With Bears Handbook: Expanded 2nd Edition, PixyJack Press, 2016, pp. 215-16, ISBN 978-1-936555-61-1.
  84. ^ G. Peters, M. Owen e L. Rogers, Humming in bears: a peculiar sustained mammalian vocalization (PDF), in Acta Theriologica, vol. 52, n. 4, 2007, pp. 379-389, DOI:10.1007/BF03194236. URL consultato l'8 settembre 2017 (archiviato il 3 febbraio 2014).
  85. ^ A. Laurie e J. Seidensticker, Behavioural ecology of the Sloth bear (Melursus ursinus) (PDF), in Journal of Zoology, vol. 182, n. 2, 1977, pp. 187-204, DOI:10.1111/j.1469-7998.1977.tb04155.x. URL consultato il 26 marzo 2017 (archiviato il 27 marzo 2017).
  86. ^ R. H. Jordan, Threat behavior of the black bear (Ursus americanus), in Bears: Their Biology and Management, vol. 40, 1976, pp. 57-63, DOI:10.2307/3872754.
  87. ^ Ward e Kynaston, p. 122.
  88. ^ Y. Nie, R. R. Swaisgood, Z. Zhang, Y. Hu, Y. Ma e F. Wei, Giant panda scent-marking strategies in the wild: role of season, sex and marking surface, in Animal Behaviour, vol. 84, n. 1, 2012, pp. 39-44, DOI:10.1016/j.anbehav.2012.03.026.
  89. ^ M. A. Owen, R. R. Swaisgood, C. Slocomb, S. C. Amstrup, G. M. Durner, K. Simac e A. P. Pessier, An experimental investigation of chemical communication in the polar bear, in Journal of Zoology, vol. 295, n. 1, 2014, pp. 36-43, DOI:10.1111/jzo.12181.
  90. ^ S. Eide e S. Miller, Brown Bear (PDF), su adfg.alaska.gov, Alaska Department of Fish and Game. URL consultato il 14 gennaio 2016 (archiviato il 1º ottobre 2015).
  91. ^ a b Ward e Kynaston, pp. 138-141
  92. ^ a b S. Lariviere, Ursus americanus (PDF), in Mammalian Species, vol. 647, 2001, pp. 1-11, DOI:10.1644/1545-1410(2001)647<0001:ua>2.0.co;2 (archiviato dall'url originale il 16 marzo 2016).
  93. ^ a b c Ward e Kynaston, pp. 144-148.
  94. ^ Panda Facts, su pandasinternational.org, Pandas International. URL consultato il 26 agosto 2015 (archiviato dall'url originale il 24 settembre 2015).
  95. ^ Ward e Kynaston, p. 132.
  96. ^ Eva Bellemain, Jon E. Swenson e Pierre Taberlet, Mating Strategies in Relation to Sexually Selected Infanticide in a Non-Social Carnivore: The Brown Bear (PDF), in Ethology, vol. 112, n. 3, 2006, pp. 238-246, DOI:10.1111/j.1439-0310.2006.01152.x. URL consultato il 2 maggio 2017 (archiviato il 21 dicembre 2016).
  97. ^ E. Bellemain, A. Zedrosser, S. Manel, L. P. Waits, P. Taberlet e J. E. Swenson, The dilemma of female mate selection in the brown bear, a species with sexually selected infanticide, in Proceedings of the Royal Society of London B: Biological Sciences, vol. 273, n. 1584, 2005, pp. 283-291, DOI:10.1098/rspb.2005.3331, PMC 1560043, PMID 16543170.
  98. ^ J. E. Swenson, B. Dahle e F. Sandegren, Intraspecific predation in Scandinavian brown bears older than cubs-of-the-year, in Ursus, vol. 12, 2001, pp. 81-91, JSTOR 3873233. URL consultato il 14 gennaio 2017 (archiviato il 16 novembre 2017).
  99. ^ T. Mörner, H. Eriksson, C. Bröjer, K. Nilsson, H. Uhlhorn, E. Ågren, C. H. af Segerstad, D. S. Jansson e D. Gavier-Widén, Diseases and mortality in free-ranging brown bear (Ursus arctos), gray wolf (Canis lupus), and wolverine (Gulo gulo) in Sweden, in Journal of Wildlife Diseases, vol. 41, n. 2, 2005, pp. 298-303, DOI:10.7589/0090-3558-41.2.298, PMID 16107663.
  100. ^ Grizzly Bear, su nationalgeographic.com, National Geographic.com. URL consultato il 29 aprile 2017 (archiviato il 21 aprile 2017).
  101. ^ Gerhard Heldmeier, Life on low flame in hibernation, in Science, vol. 331, n. 6019, 2011, pp. 866-867, Bibcode:2011Sci...331..866H, DOI:10.1126/science.1203192, PMID 21330523.
  102. ^ a b M. Shimozuru et al., Pregnancy during hibernation in Japanese black bears: effects on body temperature and blood biochemical profiles, in Journal of Mammalogy, vol. 94, n. 3, 2013, pp. 618-627, DOI:10.1644/12-MAMM-A-246.1.
  103. ^ Ø. Tøien et al., Hibernation in Black Bears: Independence of Metabolic Suppression from Body Temperature, in Science, vol. 331, n. 6019, 2011, pp. 906-909, Bibcode:2011Sci...331..906T, DOI:10.1126/science.1199435, PMID 21330544.
  104. ^ M. Biel e K. Gunther, Denning and Hibernation Behavior, su Yellowstone National Park, National Park Service. URL consultato il 18 novembre 2016 (archiviato il 18 novembre 2016).
  105. ^ I. McTaggart Cowan, The Status and Conservation of Bears (Ursidae) of the World: 1970, in Bears: Their Biology and Management, vol. 2, 1972, pp. 343-367, DOI:10.2307/3872596.
  106. ^ (RU) Ivan Seryodkin, The ecology, behavior, management and conservation status of brown bears in Sikhote-Alin, Far Eastern National University, Vladivostok, Russia, 2006, pp. 1-252 (archiviato dall'url originale il 24 dicembre 2013).
  107. ^ Seryodkin et al., Denning ecology of brown bears and Asiatic black bears in the Russian Far East, in Ursus, vol. 14, n. 2, 2003, p. 159. URL consultato il 5 ottobre 2014 (archiviato il 17 agosto 2011).
  108. ^ James M. Crum, Victor F. Nettles e William R. Davidson, Studies on endoparasites of the black bear (Ursus americanus) in the southeastern United States, in Journal of Wildlife Diseases, vol. 14, n. 2, 1978, pp. 178-186, DOI:10.7589/0090-3558-14.2.178.
  109. ^ Andrew E. Derocher, Polar Bears: A Complete Guide to Their Biology and Behavior, JHU Press, 2012, p. 212, ISBN 978-1-4214-0305-2.
  110. ^ Emergence and Control of Zoonotic Ortho- and Paramyxovirus Diseases, John Libbey Eurotext, p. 167, ISBN 978-2-7420-0392-1.
  111. ^ Elizabeth S. Williams e Ian K. Barker, Infectious Diseases of Wild Mammals, John Wiley & Sons, 2008, p. 203, ISBN 978-0-470-34481-1.
  112. ^ Brown Bear - Threats Grizzlies: Found in 2% of their former range, su wwf.panda.org, WWF. URL consultato il 16 gennaio 2017 (archiviato il 21 dicembre 2016).
  113. ^ Heather Bacon, Implications of bear bile farming, su vettimes.co.uk, Vet Times, 12 maggio 2008. URL consultato il 16 gennaio 2017 (archiviato il 18 gennaio 2017).
  114. ^ a b Keyword search: "Ursidae", Exact phrase, The entire database, su iucnredlist.org, IUCN. URL consultato il 16 gennaio 2017 (archiviato il 18 agosto 2011).
  115. ^ Michael R. Pelton, Alex B. Coley, Thomas H. Eason, Diana L. Doan Martinez, Joel A. Pederson, Frank T. van Manen e Keith M. Weaver, Chapter 8. American Black Bear Conservation Action Plan, IUCN, 1999, pp. 144-156, ISBN 978-2-8317-0462-3.
  116. ^ Stephen Kellert, Public Attitudes toward Bears and Their Conservation, in Bears: Their Biology and Management, vol. 9, n. 1, 1994, pp. 43-50, DOI:10.2307/3872683, JSTOR 3872683.
  117. ^ Žanete Andersone e Jānis Ozolinš, <0181:PPOLCI>2.0.CO;2 Public perception of large carnivores in Latvia, in Ursus, vol. 15, n. 2, 2004, pp. 181-187, DOI:10.2192/1537-6176(2004)015<0181:PPOLCI>2.0.CO;2.
  118. ^ a b Isaac Goldstein, Susanna Paisley, Robert Wallace, Jeffrey P. Jorgenson, Francisc Cuesta e Armando Castellanos, [8:ABCAR2.0.CO;2 Andean bear–livestock conflicts: a review], in Ursus, vol. 17, n. 1, 2006, pp. 8-15, DOI:10.2192/1537-6176(2006)17[8:ABCAR]2.0.CO;2.
  119. ^ Gabriella Fredriksson, [0130:HBCIEK2.0.CO;2 Human–sun bear conflicts in East Kalimantan, Indonesian Borneo], in Ursus, vol. 16, n. 1, 2005, pp. 130-137, DOI:10.2192/1537-6176(2005)016[0130:HBCIEK]2.0.CO;2.
  120. ^ Douglas Clark, Polar Bear–Human Interactions in Canadian National Parks, 1986-2000 (PDF), in Ursus, vol. 14, n. 1, 2003, pp. 65-71. URL consultato il 22 dicembre 2012 (archiviato il 22 luglio 2013).
  121. ^ K. Than, Maulings by Bears: What's Behind the Recent Attacks?, su news.nationalgeographic.com, National Geographic.com, 2013. URL consultato il 16 gennaio 2017 (archiviato il 28 gennaio 2017).
  122. ^ Nikolai Findeizen, History of Music in Russia from Antiquity to 1800, Vol. 1: From Antiquity to the Beginning of the Eighteenth Century, Indiana University Press, 2008, p. 201, ISBN 978-0-253-02637-8.
  123. ^ Elizabethan Playhouses and Bear Baiting Arenas Given Protection, su historicengland.org.uk, Historic England, 26 settembre 2016. URL consultato il 4 gennaio 2017 (archiviato il 4 gennaio 2017).
  124. ^ Angus M. Fraser, The Gypsies, Blackwell, 1995, pp. 45-48, 226, ISBN 978-0-631-19605-1.
  125. ^ Trichinellosis Associated with Bear Meat, su cdc.gov. URL consultato il 4 ottobre 2006 (archiviato il 30 settembre 2006).
  126. ^ Bear meat poisoning in Siberia, su BBC News, 21 dicembre 1997. URL consultato il 4 ottobre 2006 (archiviato l'11 dicembre 2008).
  127. ^ Richard Black, BBC Test kit targets cruel bear trade, su BBC News, 11 giugno 2007. URL consultato il 1º gennaio 2010 (archiviato il 18 novembre 2010).
  128. ^ Ina Wunn, Beginning of Religion, in Numen, vol. 47, n. 4, 2000, pp. 417-452, DOI:10.1163/156852700511612.
  129. ^ Wilfrid Bonser, The mythology of the Kalevala, with notes on bear-worship among the Finns, in Folklore, vol. 39, n. 4, 1928, pp. 344-358, DOI:10.1080/0015587x.1928.9716794, JSTOR 1255969.
  130. ^ Valerie Chaussonnet, Native Cultures of Alaska and Siberia, Washington, Arctic Studies Center, 1995, p. 112, ISBN 978-1-56098-661-4.
  131. ^ Jung Young Lee, Korean Shamanistic Rituals, Mouton De Gruyter, 1981, pp. 14, 20, ISBN 978-90-279-3378-2.
  132. ^ Kyōsuke Kindaichi e Minori Yoshida, The Concepts behind the Ainu Bear Festival (Kumamatsuri), in Southwestern Journal of Anthropology, vol. 5, n. 4, inverno 1949, pp. 345-350, DOI:10.1086/soutjanth.5.4.3628594, JSTOR 3628594.
  133. ^ Ward e Kynaston, p. 17.
  134. ^ Ward e Kynaston, pp. 12-13.
  135. ^ Zack Davisson, Onikuma - Demon Bear, su Hyakumonogatari Kaidankai, 28 maggio 2013. URL consultato il 19 febbraio 2017 (archiviato il 20 febbraio 2017).
  136. ^ Peter Davidson, The Idea of North, Reaktion Books, 2005, p. 179, ISBN 978-1-86189-230-0.
  137. ^ Archived copy, su san-shin.org. URL consultato il 29 agosto 2017 (archiviato il 28 agosto 2017).
  138. ^ Daniel Tudor, Korea: The Impossible Country: The Impossible Country, Tuttle Publishing, 2013, pp. [1], ISBN 1-4629-1022-X.
  139. ^ Adrian Room, Placenames of the World: Origins and Meanings of the Names for 6,600 Countries, Cities, Territories, Natural Features, and Historic Sites, McFarland, 2006, p. 57.
  140. ^ Walter Burkert, Greek Religion, 1985:263.
  141. ^ Ian Ridpath, Ptolemy's Almagest First printed edition, 1515, su ianridpath.com. URL consultato il 13 gennaio 2017.
  142. ^ Henry George Liddell e Robert Scott, Ἀρκτοῦρος, su A Greek-English Lexicon, Perseus. URL consultato il 23 gennaio 2017 (archiviato dall'url originale il 7 marzo 2017).
  143. ^ Bradley E. Schaefer, The Origin of the Greek Constellations: Was the Great Bear constellation named before hunter nomads first reached the Americas more than 13,000 years ago?, in Scientific American, novembre 2006. revisionato in Miland Brown, The Origin of the Greek Constellations, su World History Blog, 30 ottobre 2006. URL consultato il 9 aprile 2017 (archiviato il 1º aprile 2017). Yuri Berezkin, The cosmic hunt: variants of a Siberian - North-American myth (PDF), in Folklore, vol. 31, 2005, pp. 79-100, DOI:10.7592/FEJF2005.31.berezkin. URL consultato il 12 gennaio 2017 (archiviato dall'url originale il 4 maggio 2015).
  144. ^ Pliny, Natural History, a cura di John Bostock e Henry T. Riley, 1855, p. 8.54.
  145. ^ David Badke, The Medieval Bestiary: Bear, su bestiary.ca. URL consultato il 23 gennaio 2017 (archiviato dall'url originale il 12 marzo 2017).
  146. ^ Secondo Libro dei Re, 2, 23-25.
  147. ^ (FR) Michel Pastoreau, L'ours. Historie d'un roi déchu, Seuil, 2007, ISBN 978-2-02-021542-8.
  148. ^ Richard Hall, Viking Age Archaeology, 1995, p. 43 e fig. 22, ISBN 978-0-7478-0063-7.
  149. ^ Pooh celebrates his 80th birthday, su news.bbc.co.uk, BBC News, 24 dicembre 2005. URL consultato il 23 gennaio 2017 (archiviato il 25 aprile 2006).
  150. ^ About, su Paddington.com. URL consultato il 19 gennaio 2017 (archiviato dall'url originale il 17 agosto 2016).
  151. ^ Walt Morey, 84; Author of 'Gentle Ben', su Associated Press, 14 gennaio 1992. URL consultato il 6 aprile 2017 (archiviato il 23 ottobre 2016).
  152. ^ Patrick Kennedy (a cura di), The Brown Bear of Norway, in Legendary Fictions of the Irish Celts, Macmillan, 1866, pp. 57-67.
  153. ^ Alan C. Elms, "The Three Bears": Four Interpretations, in The Journal of American Folklore, vol. 90, n. 357, luglio-settembre 1977, JSTOR 539519.
  154. ^ D. L. Ashliman, Folk and Fairy Tales: A Handbook, Greenwood Publishing Group, 2004, pp. 114-115, ISBN 978-0-313-32810-7.
  155. ^ Michael Mallory, Hanna-Barbera Cartoons, Hugh Lauter Levin, 1998, p. 44, ISBN 978-0-88363-108-9.
  156. ^ Ray B. Browne e Pat Browne, The Guide to United States Popular Culture, Popular Press, 2001, p. 944, ISBN 978-0-87972-821-2.
  157. ^ Elizabeth Holmes, Care Bears Receive a (Gentle) Makeover, su wsj.com, Wall Street Journal, 9 febbraio 2007. URL consultato il 27 gennaio 2017 (archiviato il 18 gennaio 2018).
  158. ^ David Cannadine, A Point of View: The grownups with teddy bears, su bbc.co.uk, BBC, 1º febbraio 2013. URL consultato il 21 gennaio 2017 (archiviato il 25 aprile 2017).
  159. ^ Leonard Raven-Hill, As Between Friends, in Punch, vol. 141, 13 dicembre 1911, p. 429. URL consultato il 19 febbraio 2017 (archiviato il 20 febbraio 2017).
  160. ^ What the West thinks about Russia is not necessarily true, The Telegraph, 23 aprile 2009. URL consultato il 3 gennaio 2017 (archiviato il 6 dicembre 2015).
  161. ^ Forest Fire Prevention - Smokey Bear (1944-Present), su adcouncil.org, Ad Council, 9 agosto 1944. URL consultato il 16 ottobre 2010 (archiviato dall'url originale il 18 novembre 2010).
  162. ^ Civic Heraldry of England and Wales-Warwickshire, su civicheraldry.co.uk. URL consultato il 6 gennaio 2011 (archiviato il 16 maggio 2011).
  163. ^ The first Buddy Bears in Berlin, su buddy-baer.com, Buddy Bär Berlin, 2008. URL consultato il 30 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 19 febbraio 2014).
  164. ^ Vision and Mission, su Bear Trust International, 2002-2012. URL consultato l'8 marzo 2014 (archiviato dall'url originale il 26 febbraio 2014).
  165. ^ Vital Ground, su vitalground.org. URL consultato il 5 febbraio 2019 (archiviato il 20 gennaio 2019).
  166. ^ Moon Bears, su moonbears.org. URL consultato il 9 marzo 2014 (archiviato il 9 marzo 2014).
  167. ^ Black Bear Conservation Coalition, su bbcc.org. URL consultato il 9 marzo 2014 (archiviato il 3 gennaio 2014).
  168. ^ Polar Bears International, su polarbearsinternational.org. URL consultato il 9 marzo 2014 (archiviato l'8 marzo 2014).
  169. ^ Bornean Sun Bear Conservation Centre, su sunbears.wildlifedirect.org (archiviato dall'url originale il 18 febbraio 2014).
  170. ^ Wildlife SOS, su wildlifesos.org.
  171. ^ Andean Bear Conservation Project, su andeanbear.org. URL consultato il 9 marzo 2014 (archiviato il 18 febbraio 2014).
  172. ^ Chengdu Research Base of Giant Panda Breeding, su panda.org.cn. URL consultato il 9 marzo 2014 (archiviato il 15 marzo 2014).

Bibliografia

modifica

Altri progetti

modifica

Collegamenti esterni

modifica
Controllo di autoritàThesaurus BNCF 2906 · LCCN (ENsh85012691 · GND (DE4194162-7 · BNF (FRcb119329144 (data) · J9U (ENHE987007282409405171
  Portale Mammiferi: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di mammiferi