Luce (filosofia)

concetto filosofico

Luce deriva dal latino "lux lucis" dalla radice indoeuropea leuk-. Il corrispondente termine in greco è reso con l'aggettivo λευκός, «brillante, bianco».[1] Un particolare significato di luce in greco si ha con φῶς (phaos/phōs) la cui radice corrisponde a quella del verbo phainō, che significa "mostrare", "rendere manifesto". Il termine greco phos originariamente non indica soltanto la luce come mezzo per vedere ma anche la luce che emana la verità raggiunta tramite la conoscenza.

È questo significato che la filosofia ha visto nella luce, intesa come ciò che permette di vedere, di distinguere le forme, la profondità della realtà. Tuttavia della luce siamo coscienti solo quando questa è assente poiché senza di essa non siamo più in grado di vedere. Ed è proprio la luce che rivela e svela; ciò che non è illuminato non ci è dato di conoscere.[2]

La luce quindi assunta come fonte fisica e metafisica di illuminazione, nel senso spirituale di rivelazione o di scoperta di una verità nascosta nell'ombra, da sempre è stata associata ad un significato simbolico religioso e filosofico.

La metafisica della luce è l'espressione coniata nel 1916 dallo storico e filosofo tedesco Clemens Baeumker (18531924), per indicare una tradizione filosofica sulla concezione della luce che dall'antichità sbocca nel pensiero filosofico e nella teologia latina medioevale.

La metafisica della luce non è una concezione organicamente strutturata ma è la risultante delle riflessioni sulla luce di vari autori sul piano fisico, psicologico, gnoseologico e teologico.

Il simbolo religioso modifica

(EL)

«Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἂνθρωποι μᾶλλον τὸ σχότος ἢ τὸ φῶς»

(IT)

«E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce»

 
La luce nel Pantheon pagano e cristiano. (Dipinto settecentesco di Giovanni Paolo Pannini)

Il valore religioso originario del termine lux si scopre nella origine etimologica del corrispondente aggettivo greco leukòs ripreso dal latino lucus, il bosco sacro, cioè la macchia chiara all'interno del bosco (Lucus a lucendo) dove si celebravano i riti sacri.[3]

La locuzione latina Fiat lux, che tradotta letteralmente, significa sia fatta la luce e che si usa per sottolineare il sopravvenire di un chiarimento in questioni controverse, oscure, dibattute, proviene dall'antico testo della Bibbia pronunciata dal Creatore dell'Universo quando creò la luce.[4]

L'antico valore simbolico della luce si ritrova nei culti pagani come quello iraniano del dio solare Mitra e ancora oggi nella cerimonia suggestiva della luce celebrata dalla Chiesa cattolica e da quella ortodossa nel corso della quale la chiesa completamente allo scuro, illuminata all'inizio del culto dalle piccole fiammelle dei fedeli passa al bagliore della luce simboleggiando il transito dal buio della morte alla luce della redenzione portata dal Cristo fotòforo, portatore di luce, colui che ha annullato le tenebre del peccato e quindi anche lumen gentium (lume delle genti)[5]:

«C’è innanzitutto la luce. La creazione di Dio – ne abbiamo appena ascoltato il racconto biblico – comincia con la parola: «Sia la luce!» (Gen 1, 3). Dove c’è la luce, nasce la vita, il caos può trasformarsi in cosmo. Nel messaggio biblico, la luce è l’immagine più immediata di Dio: Egli è interamente Luminosità, Vita, Verità, Luce. Nella Veglia Pasquale, la Chiesa legge il racconto della creazione come profezia. Nella risurrezione si verifica in modo più sublime ciò che questo testo descrive come l’inizio di tutte le cose. Dio dice nuovamente: «Sia la luce!». La risurrezione di Gesù è un’eruzione di luce. La morte è superata, il sepolcro spalancato. Il Risorto stesso è Luce, la Luce del mondo. Con la risurrezione, il giorno di Dio entra nelle notti della storia. A partire dalla risurrezione, la luce di Dio si diffonde nel mondo e nella storia. Si fa giorno. Solo questa Luce – Gesù Cristo – è la Luce vera, più del fenomeno fisico di luce. Egli è la Luce pura: Dio stesso, che fa nascere una nuova creazione in mezzo a quella antica, trasforma il caos in cosmo.»

La luce nella filosofia modifica

Aristotele (384 a.C.322 a.C) per primo elabora un concetto della luce che pur nella sua apparente immaterialità è fondante della corporeità dell'universo. La luce infatti coincide con il quinto elemento, l'etere, una materia eterna evanescente e fluida che circonda tutti i corpi la cui consistenza contingente è data dai quattro elementi tradizionali (terra, acqua, aria e fuoco).
Quindi la luce è alla base dell'essere fisico animato ed inanimato.

Nella filosofia neoplatonica la luce rivela l'azione dell'Uno divino che comunica attraverso l'emanazione luminosa con le intelligenze celesti e attraverso loro con il mondo terreno.

L'essenzialità della luce è riportata da Sant'Agostino (354430) nella gnoseologia per cui la possibilità della conoscenza per l'uomo è dovuta all'illuminazione di Dio, unica fonte della verità.

La dottrina della incorporazione della luce nasce originariamente nel pensiero di Severino Boezio (476525) che nel suo De institutione musica sostiene che il suono sia una luce celeste che si incorpora nell'aria tale che anche le sfere celesti abbiano una loro musica.

 
Roberto Grossatesta

Avicenna (9801037) ed Averroè (11261198) deducono da Aristotele che la luce pur non essendo corporea, in quanto non occupa uno spazio, quando però si moltiplica come una molteplicità di punti allora si materializza in un corpo. Lo stesso universo corrisponde alla sua luminosità e poiché la materia non può essere infinita anche la luce si arresta ad un termine finale.

Roberto Grossatesta (1175-1253) il filosofo e teologo del XII secolo, può essere considerato il fondatore della metafisica della luce.

Grossatesta sintetizza le concezioni platoniche e aristoteliche in una visione, che si ritrova nel pensiero di Tommaso d'Aquino (12251274) e di Bonaventura da Bagnoregio (1217/1221 circa–1274), secondo la quale la luce è costitutiva della materialità dei corpi «che hanno l'essere in modo più vero e più degno nei gradi degli enti secondo la maggiore o minore partecipazione ad essa».[6] La stessa generazione degli individui è dovuta all'azione della luce.

Nel trattato De luce Grossatesta descrive l'azione del lumen che s'irradia dal primo cielo originando le altre sfere celesti, la cui densità materiale aumenta sempre più procedendo verso il centro dell'universo che è il punto più denso e per questo dotato di minor movimento e dove si trova la Terra secondo un modello geocentrico.

Il lumen celeste si interiorizza nei corpi penetrandovi e causando delle mutazioni sia al loro interno che in rapporto con gli altri corpi rendendo così possibili le sensazioni.

Dalla dottrina agostiniana Meister Eckhart (12601327/1328) trae la concezione della somma luce di Dio presente nell'individuo come scintilla animae, un piccolo bagliore che rivela l'impronta divina in ogni uomo.

Note modifica

  1. ^ Vocaboraio Treccani della lingua italiana alla voce corrispondente.
  2. ^ Salvatore Natoli, Parole della filosofia o dell'arte di meditare, cap.10, Feltrinelli 2004
  3. ^ Dizionario etimologico, Rusconi Libri, 2007, pag.585
  4. ^ In lingua greca γενηθήτω φῶς (genēthētō phōs) a sua volta tradotta dall'ebraico יְהִי אוֹר (yehiy 'or) (Genesi, Gen 1,3, su laparola.net., "Vayomer Elohim yehi-or vayehi-or", "Dio disse sia fatta la luce e la luce fu").
  5. ^ Anche se spesso si confondono i due termini luce (lux) e lume (lumen) non hanno lo stesso significato: infatti il termine luce sta ad indicare la fonte della luce, lo "splendore" che appartiene ad un oggetto lucente (in italiano il verbo "lucere", da cui deriva il sostantivo luce è intransitivo), mentre la parola lume è usata per significare la funzione di illuminare (in italiano il verbo illuminare, da cui lume, è transitivo)
  6. ^ Università di Siena - Facoltà di lettere e filosofia, Manuale di Filosofia Medievale on-line

Bibliografia modifica

  • Francesco Agnoli, Roberto Grossatesta. La filosofia della luce, Bologna, Editore ESD Edizioni Studio Domenicano, 2007, ISBN 978-88-7094-659-8.
  • (DE) Servus Gieben, Das Licht als Entelechie bei Robert Grosseteste, in La filosofia della natura nel medioevo, Milano, Atti del terzo congresso internazionale di filosofia medievale, 1966, pp. 372-378.
  • Servus Gieben, Grosseteste and Universal Sceience, in Robdert Grosseteste and the Beginnings of a British Theological Tradition, Roma, Ed. Maura O'Carroll, Istituto storico dei Cappuccini, 2003, pp. 219-238.
  • Roberto Grossatesta, Metafisica della luce, introduzione di Pietro Rossi, Milano, Ed. P. Rossi, 1986.
  • (DE) K. Hedwig, "Sphaera lucis". Studien zur Intelligibilität des Seienden im Kontext der mittelalterlichen Lichtspekulation, Westf, 1980.
  • J. McEvoy, Gli inizi di Oxford. Grossatesta e i primi teologi (1150-1250), Milano, 1996.
  • Cecilia Panti, L'incorporazione della luce in Roberto Grossatesta, Medioevo e Rinascimento 13, 1999, pp. 45-102.
  • Cecilia Panti, I sensi nella luce dell'anima. Evoluzione di una dottrina agostiniana nel secolo XIII, Micrologus 10, 2002, pp. 177-198.

Voci correlate modifica