Utente:Campus27/Sandbox-Storia di San Ginesio

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San Ginesio - Piazza Alberico Gentili intorno agli anni 1980

La storia di San Ginesio riguarda le vicende storiche relative a San Ginesio, borgo dell'Italia centrale della Provincia di Macerata, nelle Marche.

Età antica modifica

 
Sesterzio ritrovato nella frazione di Campanelle

La storia di San Ginesio inizia durante l'epoca celtica: sin dal I millennio a.C. i Senoni si stanziarono nel territorio ginesino. A conferma di ciò, nel 1884 fuori dalla cinta muraria, furono ritrovati vicino ad uno scheletro, oggetti risalenti alle popolazioni celtiche. I Senoni vi restarono per lungo tempo, fino all'avvento dei romani, più precisamente dal III secolo a.C al I secolo d.C., che scacciarono le popolazioni galliche e si stanziarono sul territorio. Da qui il territorio di San Ginesio divenne parte dell'ager Gallicus. Numerosi resti della popolazione romana vennero rinvenuti in varie frazioni del territorio.[1] San Ginesio si presenta con pianta urbanistica a croce, circondato da un imponente giro di mura castellane dove sono ancora visibili i rompi-tratta e tutte le strutture difensive dell'epoca, dal camminamento di ronda, alle feritoie per arcieri e ai torrioni.[2]

Medioevo modifica

Primi invasori e nascita del comune modifica

 
Marco Franchini, San Ginesio, olio su tela, 40 x 50 cm, collezione privata. Ben riconoscibile è la facciata della Collegiata di Santa Maria Assunta e la statua di Alberico Gentili

Goti e Longobardi, questi ultimi spodestati da Carlo Magno, fecero scorrerie lungo il corso dei fiumi Chienti e Fiastra, distruggendo gli insediamenti romani di pianura, e costringendo gli abitanti a rifugiarsi nelle colline più interne, dove i nobili erano soliti recarsi per le loro battute di caccia. Quando, intorno al X secolo, arrivarono i Normanni, alcuni Signori dei castelli adiacenti presero la decisione di costruire una fortificazione sul colle più alto per dominare il passaggio a valle da un luogo adatto.

Così nacque il castello che, nel momento in cui altri nobili chiesero d'incastellarsi con i loro accoliti, si evolse in Comune. Altre ipotesi sono state avanzate nel corso degli anni da vari scrittori: Marinangelo Severini, nel 1581, scriverà che San Ginesio sia nato per volere di Leone XII, Alberico Gentili, nel 1599, dice che sia nato grazie ai romani e che i suoi cittadini siano stati vittoriosi nella guerra sociale durante il consolato di Lucio Marcio Filippo e Sesto Giulio Cesare,[3] Ferdinando Ughelli, nell'Italia sacra, fa risalire la fondazione al VI secolo, l'abate Telesforo Benigni, nel 1793, afferma che il paese esisteva nel XII secolo e che venne ampliato con i resti di un'antica città di nome Castro devastata da alcune popolazioni barbariche,[4] e lo storico Ottavio Turchi, nel 1872, dice che sia sorto dalle famiglie nobili di Brugiano, Alvaneto e di Trensano nel XII secolo sulle rovine della città di Escolano.[5]

Gestito a mo' di Repubblica, venne governato all'inizio da due Consoli, che presto cedettero il passo al cosiddetto Magistrato, coadiuvato dal Podestà, ovvero ai cinque Priori, sorteggiati tra i maggiorenti del luogo, e un magistrato esterno che di volta in volta veniva nominato. I Priori rappresentavano le cinque contrade del Comune, che avevano preso il nome dal Signore che, dopo aver ceduto le sue terre, aveva ricevuto in cambio casa e abitazioni per sé e per i suoi all'interno delle mura. Le prime contrade furono quelle di Alvaneto a nord (tuttora nome di una porta del paese), Trensano a est, che in seguito fu superata per importanza dalla Picena che chiude il Borgo, andando a confinare con la contrada Offuna a sud. Il Caput Castri, ovvero l'attuale via "Capocastello" era la contrada dove fissarono dimora i nobili, e che a seguito dell'incastellamento del nobile Ascaro, prese il nome di Ascarana. San Ginesio non ebbe né mura né rocche prima del XIII secolo. Nel 1170, sotto l'imperatore Federico I, il marchese Marcualdo donò ai ginesini il castello di Vergigno. Nel 1188 il luogo fu governato dal marchese Guarniero, che dopo la morte di Enrico IV sostenne Filippo di Svevia contro Ottone IV. Nel 1278 vi si contavano 7 000 abitanti. Tra il 1200 e il 1300, il libero comune fu uno dei più potenti e temuti dell'intera Marca di Ancona, grazie alle varie vittorie militari contro la famiglia nobile sarnanese Brunforte e attraverso le acquisizioni delle proprietà dei nobili Prontoguerra di Ripe, circostanza questa che gli scatenò contro l'ostilità della Marca Fermana, di Fermo e di altri comuni concorrenti.

Il governo dei Da Varano e la disputa contro Fermo modifica

 
Panorama da San Ginesio verso sud-ovest: ben visibile è "Pian di Sangue", luogo in cui i fermani vennero sconfitti
  Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia della Fornarina.

A causa delle continue guerre esterne e delle faide interne, le costituzioni egidiane del XIV secolo, promulgate dal cardinale Egidio Albornoz al fine di mettere ordine nel Patrimonio di San Pietro mentre la sede papale era in Francia, ad Avignone, assegnarono l'irrequieto Comune ai duchi Varano di Camerino che lo governarono dal 1355 fino al 1434, prima sotto forma di Vicariato e poi di Feudo. I primi della dinastia furono Berardo I da Varano e Gentile II da Varano, ma i loro successori, che a molti cittadini sembravano esercitare la tirannide, furono cacciati dal popolo.[6]

Durante il governo dei Varano la disputa con i Fermani non cessò; anzi San Ginesio divenne il confine tra la Signoria camerte e l'antagonista Marca di Fermo, cioè il baluardo da aggredire o da difendere in mezzo a due realtà territoriali parimenti ambiziose e confliggenti.[7][8] Nella notte del 30 novembre 1377 i fermani, guidati da Rinaldo di Monteverde, tentano una penetrazione notturna dalla parte di Brugiano, il liogo più scosceso e meno difeso del paese: Una giovane fornaia, conosciuta come "La fornarina", che sta avviando il forno, li scopre e dà l'allarme ai ginesini sorpresi nel sonno. I nemici vengono cacciati dopo una battaglia che si svolge ai piedi delle mura in un piano che da allora viene chiamato Pian del Sangue, mentre la battaglia prende il nome di battaglia della Fornarina.[7][8]

La caduta del governo, il controllo dello Stato Pontificio e l'antisemitismo modifica

Nel XV secolo San Ginesio, come altri paesi europei, furono luoghi dove si manifestò l'antisemitismo. Nel 1409 papa Gregorio XII arruolò 220 armigeri condotti dal guelfo Rodolfo Da Varano e dai figli, e il loro stipendio era pagato dalle tasse dei giudei del comune. Tale tassa nel 1408 era di 9 ducati circa e nel 1414 salì a 14 ducati.[9] Nel 1448, gli ebrei di San Ginesio appaiono nella relativa elencazione fra i contribuenti mediocri.[10] Essi vengono descritti come comunità ebraica "molto attiva fin dagli inizi del secolo XIV, con scambi con Recanati, Fermo, Regno di Napoli e la Toscana".[11] Cacciati i Da Varano dal governo della Terra nel 1433, San Ginesio credette di recuperare la sua libertà[7][8] quando a partire dal 1455 tornò definitivamente sotto il controllo dello Stato della Chiesa, come terra "immediate subiecta" al papato, condizione che conservò per tutto il resto del periodo di antico regime fino all'Unità d'Italia.[6] L'indebolimento della casata dei Da Varano favorì la discesa del condottiero milanese Francesco Sforza che nel 1434 assoggettò un gran numero di territori della Chiesa, che furono poi liberati nel 1443 dall'altro Capitano di Ventura Niccolò Piccinino, al soldo del papato.[12] A partire dal 1445 San Ginesio riconobbe pacificamente la sua appartenenza al dominio pontificio, di cui peraltro non aveva mai smesso di essere suddito. Tra il 1450 e l'elezione al soglio pontificio di papa Pio II Piccolomini vi fu però qualche tentativo di restaurare il regime precedente. Trecento sembra fossero gli autori del complotto che vennero individuati e che, esiliati, trovarono riparo nel comune di Siena. Il loro comportamento in questa città fu così lodevole e irreprensibile che i suoi governanti inviarono ambasciatori senesi a San Ginesio per difendere la loro causa presso la magistratura ginesina, ottenendone il perdono[13] e il permesso di rientrare in patria. Accompagnati da esponenti della città di Siena, gli esuli si presentarono alla "Porta Picena" recando in dono un crocifisso ligneo in segno di pace[14] e, in segno di concordia, gli Statuti senesi sui quali adeguare il nuovo ordinamento municipale che, redatto sul modello senese,[15] papa Pio II approvò nel 1458.

Cinquecento[16] modifica

San Ginesio all'inizio del secolo venne colpito da una forte epidemia di peste e si chiuse con una letale contaminazione di tifo petecchiale. Le malattie colpirono notevolmente i ceti bassi, con una conseguente decimazione dei contadini che causò una carestia, Ad aumentare le problematiche economiche fu una tassa sul pane imposta da Roma, alla quale si ribellò il Castello di Ripe. Lo stato di belligeranza costosissimo e non risolutivo durò dieci anni.

San Ginesio, nella Marca di Ancona, subì le conseguenze delle scelte autoritarie dei papi che si succedettero al Soglio di Pietro, nella doppia funzione di autorità spirituali e di sovrani temporali, a capo di uno stato supportato da una burocrazia amministrativa diventata efficiente e soffocante. L'accorta classe sanginesina degli ottimati, non intravedendo più grandi prospettive nell'imprenditoria e nei commerci che avevano arricchito le generazioni precedenti, investì sulla formazione universitaria dei figli per l'accesso alle professioni liberali. Questo fatto generò conseguenze a volte costruttive, altre volte pericolose. Ciò fu un fatto non comune che la stesura del nuovo Statuto cittadino, che resterà in vigore fino all'Unità d'Italia, fu intrapreso esclusivamente da giuristi del luogo. Altro segno d'orgoglio cittadino, in un momento storico in cui l'autonomia locale si spegneva via via nel rigido accentramento verticistico della politica papale, fu la delibera del Magistrato di far scrivere la storia di San Ginesio, sulla scorta dei documenti di quello che al tempo era chiamato Archivio segreto. Un altro guizzo di vivacità e di condivisione di un fenomeno che andava pervadendo le corti delle Signorie italiane, fu la costruzione di un teatro in legno della capienza di mille posti per rappresentare le commedie che la gioventù ginesina si dilettava a scrivere e a recitare, con largo seguito di spettatori.

Dall'altro lato, però, insieme al maggior grado d'istruzione, penetravano nel luogo le istanze religiose che silenziosamente contaminavano alcune Università e qualche Corte signorile, restando più o meno scritte in alcuni libri che gli stampatori diffondevano, all'inizio incontrando l'entusiasmo dei vari sovrani, per poi trasformarsi, dopo i primi venti anni del secolo, in diffidenza e volontà di controllo sulle pubblicazioni.

La famiglia Gentili e i casi di eresia modifica

San Ginesio restò coinvolta in due importanti processi per eresia. Prima che ciò succedesse, i padri Gesuiti, inviati a fare una ricognizione in loco, descrissero il paese come “Rifugio di Luterani” nel quale avrebbero dovuto usare tutta la loro forza di persuasione per riportare alla confessione e alla comunione nella chiesa maggiore numerosi cittadini che si erano allontanati dai sacramenti, stanandoli dalle “Conventicole” (leggi: chiese delle Confraternite). I Gesuiti e Domenicani, che a partire dalla seconda metà del secolo non fecero mancare la loro presenza in San Ginesio. Evidentemente, né il transito di Gesuiti e Domenicani, né il terrore per il controllo del Sant'Uffizio convinsero gli “eretici” ginesini a ritornare sulla retta via, tanto che nove di loro vennero imprigionati a Roma, e deferiti all'autodafé che si svolse nel maggio 1568, pubblicamente e con grande apparato di cardinali, nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva.

Una delle famiglie coinvolte fu quella dei Gentili: i due medici Pancrazio e Matteo Gentili,[17][18] rappresentanti dell'antica aristocrazia ginesina. Nel 1579 Matteo, medico ad Ascoli Piceno e politico a San Ginesio, fuggì dalla penisola italica dopo varie denunce dal tribunale inquisitoriale e dopo l'arresto di alcuni membri della Confraternita dei Santissimi Tommaso e Barbara di cui Matteo era priore,[19] dirigendosi verso il Sacro Romano Impero, precisamente in Germania, portando con sé il figlio primogenito Alberico e più tardi furono raggiunti da un altro figlio più giovane, Scipione. I due fratelli si separarono dal padre e si recarono a Tubinga, una città universitaria: Scipione rimase lì, mentre Alberico, dopo un soggiorno ad Heidelberg e uno a Neustadt, a metà del 1580 giunse a Londra come esule. Il processo in contumacia ai fuggitivi si concluse nel 1581, con la damnatio memoriae dei loro nomi da tutti i documenti pubblici. La fuga compiuta dai membri della famiglia trascinò in disgrazia anche altri cittadini e la famiglia stessa, che tra enormi sofferenze sarà condannata aqua et igni (perdita dei beni e all'allontanamento da ogni carica pubblica) per almeno tre generazioni. Lucrezia Petrelli, moglie di Matteo e madre di Alberico e Scipione, lì diseredò dal testamento.[20]

Alberico e Scipione conquistarono titoli e posizioni importanti nelle società protestanti: Scipione divenne Rettore di Altdorf, Università della libera città di Norimberga in Germania; mentre Alberico lavorò per la monarchia inglese, diventando sia avvocato reale, sia Professore Regio di Diritto romano presso l'Università di Oxford. In quanto autore del De iure belli nel 1598, è tuttora reputato uno dei padri fondatori del Diritto internazionale moderno.[21]

L'eresia però gravò sulla cittadina per i soliti tre anni della procedura, minacciando di scomunica, rallentando le attività comunali, come la stampa del nuovo Statuto comunale, che vevve effettuato nel 1582 a Macerata. La Descrizione della Terra di San Ginesio, stilata nel 1592 da un letterato locale all'attenzione del Vescovo di Camerino, fotografò la situazione come ricca di risorse, ma al momento molto impoverita.

Seicento modifica

In vista del Giubileo del 1600 indetto da papa Clemente VIII, i ginesini inviarono a Roma una riedizione della processione, “Il Trionfo della Chiesa”, che le confraternite locali fecero sfilare durante il Giubileo indetto da papa Gregorio XIII nel 1575. La partecipazione di confraternite e cittadini manifestò la volontà espiatoria di una comunità che, coinvolta in processi inquisitori nel 1567-1570 e di nuovo nel 1578-1581, volle dichiarare la sua totale sottomissione al Papa di Roma. Lo stesso papa ne fu toccato e decretò il dono delle braccia sinistre di Genesio di Roma e sant'Eleuterio Martire.[22]

Per l'arrivo delle “Sante Braccia”, dove intercedette il cardinale Pallotta, le confraternite fecero fabbricare due braccia in argento, custodite nella Collegiata dentro una cassa di ferro. L'ingresso delle reliquie fu l'occasione di un'altra processione accompagnata dai rintocchi delle campane di tutte le chiese.

Con il dono della Santa Croce, da parte della famiglia Onofri, i ginesini attuarono una terza processione in tutto il territorio.

Alcuni anni dopo il corteo del Magistrato e dei cittadini diede tutti gli onori a un membro della potente famiglia Tamburelli che divenne vescovo. Gli onori vennero concessi per interesse, poiché il capitano Giovanni Benedetto Tamburelli volle finanziare la cantoria della Collegiata e la cappella sottostante commissionate alla bottega degli artisti ginesini Giuseppe e Domenico Malpiedi.

Mentre il fervore delle opere di matrice religiosa venne fatta sviluppare ardentemente, impegnando tutte le risorse umane ed economiche del comune, la lavorazione della lana entrò in crisi, restringendo il suo commercio all'interno del territorio comunale. Una ripresa venne attuata modificando gli statuti comunali, controllando quotidianamente le tessitrici, la qualità dei tessuti prodotti e l'uniformità delle unità di misura, strumenti che vennero marcati col sigillo della comunità.

Turba la serenità di questo periodo un uomo che, guardando vecchi documenti di famiglia, venne a sapere che, nel corso delle passate guerre con Fermo, un suo antenato Adami venne condannato a morte a San Ginesio. Assoldata gente armata e approfittandosi della processione lauretana che teneva i ginesini occupati, volle assaltare e danneggiare l'antica Torre di Morro, monumento e baluardo della difesa sulla via di Ripe San Ginesio, a poca distanza dalla cittadina. Accertato il reale svolgimento dei fatti, la questione venne risolta senza danneggiare i rapporti tra le due città; l'attentatore venne condannato alla galera a vita e a riparare il danno arrecato.

Il secolo si chiuse proprio male, infatti il 1699 iniziò con un vento che scoperchiò le case, e che di nuovo venne a funestare il luogo all'inizio dell'estate, portandosi dietro una grandinata di chicchi grandi che distrussero la campagna di ogni raccolto, ragione per cui i viveri divennero carissimi.

Settecento modifica

Il Settecento è il secolo dei terremoti. La sequela delle scosse iniziò ad abbattersi sul il 14 gennaio e il 2 febbraio 1703. Non ci furono morti, ma molte case restarono gravemente lesionate. Per la mancanza di vittime la popolazione cantò inni di ringraziamento al Crocifisso senese.

Nel giugno del 1730 una seconda scossa violenta costrinse gli abitanti ad abbandonare le case e a decidere di portare in processione il Crocifisso, impetrando che li salvasse da ulteriore rovina.

La terribile sequela sismica si conclude nel luglio del 1799 quando una violentissima scossa di terremoto costringe di nuovo gli abitanti a fuggire nuovamente dalle case. Questa volta nel crollo del soffitto di un'abitazione morì una bambina e il campanile della chiesa di Sant'Agostino precipitò. Tutta la Marca e altre parti d'Italia sentirono il terremoto. Il Consiglio comunale decide di ringraziare per lo scampato pericolo il protettore di Ascoli Piceno, sant'Emidio, santo che ha sempre preservato quella città dalle conseguenze dei terremoti. D'accordo con il Capitolo della Collegiata, si delibera di erigere, a spese comunali, un altare a sfondo dalle parti del fonte battesimale; e anche in questo caso si utilizza un quadro del Malpiedi, dedicato al vescovo di Treviri venerato ad Ascoli, che fa il paio con l'altro dello stesso pittore, dedicato a san Carlo Borromeo, collocato nell'altare a sfondo di rimpetto sull'altro lato della chiesa.

La questione dei confini con Sarnano, ritornò a far discutere i due comuni in questo periodo. Già le prime problematiche iniziarono alla fine del XVII secolo, con i sarnanesi che rivendicavano il possesso della chiesa e convento di San Liberato. La lite venne sedata a favore di San Ginesio, anche grazie all'intervento papale. Gli abitanti di Sarnano non si accontentarono e vollero ottenere la riconoscenza del territorio di Rocca Colonnalta. A questa rivendicazione si associavano gli abitanti della pendice del Monte Ragnolo, tra Vallato e Rocca, che pretendevano riconosciuto il diritto sulle loro terre. L'azione legale si concluse solo nel 1789 con la sentenza definitiva che confermava i tradizionali confini con Sarnano e condannava i massari di quelle Ville, non riconoscendo loro alcun diritto, salvo quello di pascere e fare legna sotto la dipendenza di San Ginesio.

I terremoti connotano e condizionano il secolo, riducendo alla povertà la confraternita di San Tommaso che per tutto il secolo si dibatte tra lavori di consolidamento del complesso e cause con l'architetto impresario che, pur avendo proceduto alle opere senza troppa scienza e coscienza, usufruisce di una sentenza favorevole. Di fronte a questa situazione il Capitolo Vaticano, titolare dello juspatronato sulla chiesa e ospitale, invia Visitatori; tra questi l'Abate Telesforo Benigni, personaggio di notevole caratura che, avendo preso in moglie una Barbi, figlia di illustre famiglia del luogo, si ferma oltre il suo mandato e, da storico antiquario qual era, oltre a stendere una Relazione della Visita, che è una puntigliosissima e preziosa storia della confraternita, scrive anche una documentatissima “Storia Illustrata” di San Ginesio in due volumi (Fermo 1590 e 1595), che viene riportata in tempo reale nella collezione delle “Antichità Picene”, raccolte a cura di Giuseppe Colucci.

Se questo secolo per San Ginesio è quello dei terremoti, in tutta Europa e nel Nuovo Mondo è il “Secolo dei Lumi e delle Rivoluzioni”, percorso da altri squarci ben più incisivi e sommovimenti talvolta tragici. Le guerre di successione che percorrono l'Europa, in Italia si traducono in un mutamento geopolitico che segnerà il destino della dinastia dei Savoia; della Lombardia, passata dagli Spagnoli all'imperatrice Maria Teresa d'Austria; della Toscana ai Lorena e, in prospettiva, anche della gloriosa Repubblica di San Marco, ormai languente in un conservatorismo terriero che nulla ha a che fare con la sua passata proiezione marinara. Lo Stato della Chiesa risulta in effetti l'unico a rimanere impermeabile ai cambiamenti e alle novità del mondo.

Ciò che invece ferveva a San Ginesio, come altrove in quello stato governato da gerarchie prevalentemente ecclesiastiche, era la cultura, ovvero la curiosità per le nuove aperture storiografiche e le nuove applicazioni tecnologiche, germinate dalla scienza nuova sviluppatasi sul piano teorico nei due secoli precedenti. Non sorprende che promotori e diffusori di queste nuove aspettative fossero proprio i Padri Caracciolini che nel loro convento avevano istituito un'Accademia detta degli Stellati, dove si tenevano conferenze sulle belle lettere, le scienze e la musica, attività nelle quali gli aderenti erano sollecitati a cimentarsi, con componimenti musicali e teatrali, discussioni sulle nuove tendenze nella coltivazione delle terre, sulla storia patria e su quella contemporanea. Non è un caso quindi che ben due autori si dedichino nuovamente alla narrazione della Terra, il Morichelli Riccomanni, nella “Cupramontana Ginesina” (Loreto 1760c), con una interessante ipotesi che sposta all'indietro, a epoca romana, la data di fondazione di San Ginesio convenzionalmente accettata. Pur attenendosi allo stile di scrittura tradizionale, questa, rispetto alle narrazioni passate, lascia trasparire la novità dei tempi nell'interesse per e nella descrizione delle architetture del luogo, quelle esistenti e quelle di cui si conservano vestigie.

Diverso invece è l'approccio del Benigni che nell'opera citata s'ispira più o meno al metodo rigorosamente scientifico della nuova storiografia inaugurata dal quasi coevo storico, letterato ed erudito Ludovico Antonio Muratori (1672-1750), basata su ricerca e studio della documentazione archivistica. Si può dire quindi che qualcosa dei fermenti culturali internazionali penetra nella nostra Comunità che, proprio grazie agli scritti dell'Abate dopo due secoli di silenzio, incontra e riscopre la famiglia Gentili, Pancrazio e Matteo, e in particolare i figli di questo, Alberico e Scipione, le cui opere, pur bandite ancora dalla censura dell'Indice dei Libri Proibiti, cominciavano a essere timidamente e solo in parte stampate in Italia: a Padova, dal matematico, ingegnere e architetto Giovanni Poleno (Utriusque Thesauri Antiquitatum Romanorum Graecarumque nova Supplementa congesta, Vol. I, Venezia 1737); a Napoli, nel momento storico convulso di circolazione clandestina di opere al bando, da uno dei più importanti e capaci librai lì operante, il francese Giovanni Gravier (Napoli, Scipione, Opera Omnia, 1763-1769; Napoli, Alberico, 1770, Opera Juridica Selectiora vol I e II, De Iure Belli, De Armis Romanis, e Ad titulum D. verborum significatione).

Insomma, un piccolo passo verso uno squarcio di luce anche per San Ginesio, mentre il mondo correva altrove lontano. In Inghilterra è nata la cosiddetta “Rivoluzione industriale” e tredici colonie inglesi del Nuovo Mondo si sono unite nella ribellione alla madrepatria, dando luogo alla “Rivoluzione americana” dalla quale nasceranno gli Stati Uniti d'America. In Francia è nato l'Illuminismo, è stata pubblicata l'Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers; nell'ultimo decennio del secolo si è vissuta tutta la “Rivoluzione Francese”, con la decapitazione dei Sovrani, l'abbattimento dell'Ancien Régime, il Terrore, la nascita del Direttorio, e la prima calata in Italia del giovane generale Napoleone Buonaparte, preceduto dall'eco del motto rivoluzionario: “liberté, fratenité, égalité”.

Ottocento modifica

La storia di questi due primi decenni del secolo marcia al passo delle conquiste, delle riforme e della disfatta di Napoleone Bonaparte che nel 1800 si era incoronato Imperatore. San Ginesio, che durante la Repubblica Romana, faceva parte del Distretto di Camerino, uno dei 13 cantoni che formavano il Dipartimento del Tronto, con l'annessione delle Marche al Regno d'Italia (1805-1815), fu separata da Camerino (1808-1815) e divenne sede cantonale del Distretto di Fermo, dipartimento del Tronto. Come sede del 3º Distretto del Dipartimento del Tronto fu residenza di un Vice-Prefetto e degli uffici del Censo, Bollo e Registro, Demanio, Dispensa dei Sali e Tabacchi. Ebbe in sua giurisdizione trenta fra comuni e castelli, quali erano, Ripe, Camporotondo, Caldarola, Cessapalombo, Vestignano, S. Angelo in Pontano, Gualdo, Roccacolonnalta con Monastero, Morico, Colmurano, Montegiorgio con Monteverde, Mogliano, Falerone, Montappone con Massa e Montevidon-Corrado, Francavilla, detto Cerreto con Alteta, Mogliano, Loro, Sarnano, Amandola, Montefalcone con Smerillo, Monte S. Martino e Penna S. Giovanni. Con la disfatta del generale Murat (1815), gran parte degli uffici furono trasferiti altrove, ma in pratica nulla cambiò sotto il governo provvisorio austriaco e quello pontificio, fino al riassetto territoriale voluto da Pio VII nel 1816 con la creazione delle delegazioni apostoliche che avrebbero costituito il nucleo delle future provincie dell'Italia unita. Nell'aprile 1815 a seguito della violenta esplosione del vulcano Tambora, in Indonesia, che eruttò per tre mesi, ceneri, detriti e polveri si sollevarono nella stratosfera e formarono una calotta grigio scura che avvolse il globo terracqueo, oscurò il sole, raffreddò la terra e cancellò le tre estati successive. La conseguenza fu che i campi bruciati dal gelo non producevano messi, causando la morte per inedia di animali e di uomini, questi ultimi decimati da colera e tifo petecchiale, malattie causate anche dall'alimentazione alternativa e precaria con la quale la povera gente tentava di spegnere i morsi della fame. Un tentativo di moto carbonaro in Macerata, la notte di San Giovanni del 1817, coinvolse otto ginesini che, iscritti alla vendita carbonara del paese, avevano aderito alla progettata insurrezione. Quest'ultima, pur essendo iniziata e finita con la fuga nella notte del 23/24 giugno, da un lato ebbe il merito di essere stata la prima di quante seguiranno fino all'Unità d'Italia, dall'altro però fu causa di un processo che inflisse ai sediziosi sentenze capitali, ergastoli e condanne al remo che solo la “benignità” del Pontefice regnante commutò in pene detentive più leggere. L'esemplarità delle punizioni non estirpò l'ardore patriottico dei ginesini che, a parte qualche sacerdote e qualche vegliardo aristocratico conservatore, si replicò in occasione dei moti del 1831, che interessarono in particolare lo Stato della Chiesa, e ancora di più nel breve tempo della Seconda Repubblica Romana (1848-49), guidata dal triumvirato composto da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi, Carlo Armellini, e spalleggiato dall'eroe Giuseppe Garibaldi, che anche a San Ginesio produsse mutamenti. Solo la saggezza del deputato alla sorveglianza dei patrioti, i cosiddetti “50 soggetti pericolosi”, a volte risparmiò loro un'ulteriore esperienza nelle carceri del Papa, altre volte non poté evitare loro esperienze di esilio volontario. Lo stesso ardore si manifestò ancora di più nel trapasso della Marca di Ancona dallo Stato della Chiesa al Regno d'Italia.

Nascita del Regno d'Italia modifica

La battaglia di Castelfidardo del 18 settembre 1860, con la vittoria sull'esercito pontificio delle truppe piemontesi in marcia verso sud per collegarsi con l'appena liberato Regno delle Due Sicilie, segnò il momento della riscossa anche per San Ginesio che, già il 20 aveva designato la sua Commissione Provvisoria Municipale, confermata in ottobre dal Commissario Generale Straordinario delle Marche, Lorenzo Valerio. Il verbale della prima riunione del 22 racconta gli avvenimenti di quei giorni di fuoco: “Abbassati nella notte del 21/22 gli stemmi pontifici, nel successivo giorno fra acclamazioni e i più entusiastici evviva di numeroso popolo festante, e le armonie del Civico Concerto, furono inalberate le bandiere nazionali.” Il Plebiscito del 4/5 novembre annette la Regione al nascente Regno d'Italia. A San Ginesio sui 1636 elettori maschi aventi diritto al voto 1 184 votarono per il sì, nessuno per il no, mentre i “non comparsi” furono 452. A San Ginesio questi primi anni “unitari” sono caratterizzati dalla generosità, dalla rettitudine e dalla capacità imprenditoriale di quella classe borghese nobile, intellettuale e liberale che aveva sentito profondamente la causa nazionale, partecipato ai moti, subendo i rigori delle carceri pontificie e le misure restrittive della polizia papalina. L'elevato senso civico di questi personaggi locali seppe affrontare onorevolmente e risolvere proficuamente la complessa nuova realtà della storica transizione, scrollandosi di dosso l'inerzia dei due secoli passati, senza per questo dimenticare quanto di buono e di grande della storia comunale fosse da recuperare e valorizzare. Tra questi beni, primo tra tutti la pubblica istruzione. Il decreto del Commissario Valerio, sulla scorta delle leggi Siccardi-Rattazi estese al territorio nazionale, sopprime le corporazioni religiose, che nell'anno 1866 escono dai loro conventi i quali, laddove dimostratane la pubblica necessità, vengono ceduti al Municipio. La demaniazione dei beni ecclesiastici, con il trasferimento delle relative dotazioni alla Cassa Ecclesiastica minaccia la sopravvivenza delle scuole degli Agostiniani e dei Chierici Minori (o Caracciolini). Gli amministratori, rappresentati dal patriota avvocato Conte Emerico Morichelli, già dal gennaio 1861 ricorrono dimostrando come il Decreto di Soppressione non può riguardare la Chiesa di San Lorenzo in Lucina a Roma, sede centrale dell'Ordine dei Padri Caracciolini, presso i quali l'avvocato sanginesino d'origine, Nicola Bianchini, nel 1690 aveva lasciato un cospicuo legato destinato appunto al Centro di Studi in Filosofia e Teologia dei Chierici di San Ginesio, che nel tempo si era fuso con la scuola dei Padri Agostiniani locali. Ora, si trattava di reclamare la disponibilità del consistente lascito dei 46 172 scudi romani del 1690 che, tradotti in lire italiana ante euro, corrispondeva a 1 025 526 292 (un miliardo e rotti). La trattativa fu lunghissima e complicatissima; utilizzò personaggi locali che, istruiti in loco, stavano ricoprendo incarichi di prestigio nell'amministrazione capitolina. Lo stesso Sir Thomas Erskine Holland, che tra poco s'incontrerà a San Ginesio, intervenne presso l'ex Ministro della Pubblica Istruzione del Regno, l'accademico Pasquale Stanislao Mancini, ora Presidente della Società di Diritto Internazionale con sede a Ginevra. Nella fase iniziale San Ginesio ottenne la cessione del convento degli Agostiniani per la Pubblica Istruzione, e del convento dei Chierici per la Beneficienza, nonché l'istituzione della Regia Scuola Rurale Magistrale del 1881, quest'ultima convertita in Scuola Normale già nell'anno 1883. Quando poi Ascoli destinò la sua Scuola Normale Superiore all'educandato esclusivamente femminile, il Comune ricevette l'autorizzazione a insediare la Scuola Regia Normale Maschile Superiore, che implicitamente comportava un corrispondente corso inferiore propedeutico. Era il 1887. La scuola, che aveva anche un convitto per gli alunni, fino alla Riforma Gentile del Novecento fu intitolata a Matteo Gentili. Contemporaneamente e in linea col nuovo dinamismo locale trovano realizzazione progetti di riqualificazione che da lungo tempo aspettavano l'autorizzazione del governo papalino. Il Palazzo Defensorale del XIII secolo viene sostituito da un “sontuoso fabbricato” eretto sotto la guida dell'architetto Giovan Battista Carducci, lo stesso che, chiamato nella prima metà del secolo al restauro di frontespizio e protiro varanesco della Collegiata, ne modifica la chiusura in alto con una orlatura a centina di mattoncini che sembra anticipare lo stile del Liberty europeo. Il nuovo palazzo non ospiterà mai gli uffici del Comune che invece, per motivi di spazio, vengono alloggiati insieme alla Biblioteca e Pinacoteca comunale nell'ex convento francescano di via Capocastello, recentemente demaniato. Il palazzo della piazza maggiore viene destinato a essere la sede del Teatro comunale, che s'inaugura nel 1877 con l'idillio comico, “Addina”, del poeta dialettale Alfonso Leopardi, musicato a banda dal maestro Vincenzo Bruti. Di grande importanza il nuovo tracciato viario che sostituisce il precedente che dalla via Picena portava a San Ginesio, salendo per l'erta di Cardarello. La nuova strada parte dal punto in cui la strada Faleriense s'incrocia con la via Picena, consentendo così di salire dolcemente la prima collina, seguendone il fianco fino alla confluenza della vecchia strada interna, l'Entoggese, che scende dalla Torre di Morro, per continuare su quel tracciato fino alla Porta Picena, allora detta anche dei Cappuccini. Qui, a esaltare l'imponente cerchia muraria, si crea un largo spazio a giardino che fa capo al viale alberato in cui è stato trasformato l'ultimo tratto di strada. Per terminare il discorso circa la diversa destinazione degli ex conventi è corretto citare il nuovo cimitero urbano che, pur essendo stato collocato sulla strada che va a Tolentino a seguito delle disposizioni napoleoniche, nel 1882 va a occupare l'ex convento dei Francescani del terzo Ordine Regolare che, cinquant'anni prima, avevano trattato con le autorità locali il trasferimento nel Convento dei Minori di via Capocastello, costruendo in vista di ciò il nuovo convento, quello stesso in seguito demaniato e sede del Municipio. Anche all'interno del centro storico si appalesava il problema dell'angusto ingresso alla piazza maggiore, assicurato per secoli dalle viuzze del trivio, inadatte in prospettiva alle esigenze del traffico. La questione, tra inevitabili polemiche, fu risolta anche grazie alla generosità delle famiglie dei Conti Bruti, Morichelli D'Altemps, Onofri, dei Marchesi Giberti, e anche del Capitolo della Collegiata, ognuno dei quali soggetti sacrificò una parte di giardino o retrocesse la facciata dei rispettivi palazzi. Fu così che si impostarono le nuove due vie per il centro. Partendo infatti dalla salita del Borgo, all'altezza della cosiddetta curva dei Chierici, la strada, anziché salire ripida, viene fatta piegare intorno all'ex cenobio agostiniano, attraversando li giardino Bruti-Morichelli. Una volta arrivata alla chiesa di Sant'Agostino, lì si biforcava in due tragitti, l'uno a sinistra per l'antica salita ora dignitosamente allargata e intitolata Corso Scipione Gentili; l'altro a destra che, costeggiando l'ex cimitero e ex chiesa dei canonici della Collegiata, ovvero San Sebastiano, si snodava attraverso l'asciato della canonica, lambendo, prima d'immettersi sulla piazza, il cappellone fabbricato in onore della Madonna della Misericordia. Nel 1850 infatti l'immagine dell'Assunta dipinta da Domenico Malpiedi aveva rinnovato il miracolo degli occhi, richiamando una enorme folla di devoti e anche l'interesse del Vescovo, fenomeni ai quali era seguita l'idea della grande cappella, neanche a dirlo ispirata a un disegno del solito architetto fermano, da costruire di fronte a quella del Crocifisso senese. Per completare il quadro degli avvenimenti locali occorsi nel secolo, lo studioso Conte Aristide Gentiloni Silverij dette notizia, con un ampio articolo pubblicato da una rivista scientifica nel 1884, della scoperta di una tomba picena accanto alle mura di sud est di San Ginesio. La tomba era stata trovata casualmente, depredata e richiusa velocemente. La dotazione di vasellami, in parte devastata dalla fretta, era stata prima offerta a un antiquario, e poi comprata dal museo della città tedesca di Carlsruhe. Il Comune tentò un tardivo recupero presso lo scavo, che portò alla luce qualche pezzo marginale residuo, e non in buone condizioni di conservazione. Mentre questo magma amministrativo travolgeva San Ginesio, il Regno d'Italia aveva conquistato Roma, la sua naturale capitale, togliendola al Papa Re. Dalla breccia di Porta Pia in avanti i rapporti erano al massimo della tensione, e al momento non si intravedeva soluzione vicina a questa frattura che divideva tanto l'animo dei cattolici quanto l'animo dei patrioti. Per fortuna in provincia, a San Ginesio, la diaspora s'era assestata su un piano umano di comprensione reciproca. Si obbediva allo Stato, ma si restava cattolici osservanti. Questo fatto si poté constatare anche in occasione di un evento che portò San Ginesio all'onore delle cronache dei giornali locali, nazionali e internazionali. Si trattava della riscoperta del giurista e intellettuale umanista Alberico Gentili, cui San Ginesio aveva dato i natali il 14 gennaio 1552. Costretto a fuggire per aver abbracciato insieme a suo padre Matteo e suo fratello Scipione il credo protestante, il Nostro approdò nell'Inghilterra di Elisabetta I Tudor dove la sua preparazione giuridica e il suo impegno professionale furono ricompensati con la nomina regia all'ambitissima Cattedra di Civil Law nella famosa Università di Oxford. Nonostante il parere contrario e l'avversione costante dei Puritani questo italiano, esule per causa di religione, riuscì a imporsi all'attenzione della ‘governance’ del Regno, diventare un giurista ascoltato dal Privy Council della Regina, e conservare apprezzamento inossidabile anche presso il nuovo sovrano, Giacomo Vi - I Stuart, che succedette nel trono del Regno, ormai unito, d'Inghilterra e di Scozia. Le vicende della successione inglese, il nuovo metodo scientifico che nasce e si rafforza tra Seicento e Settecento oscurano la fama del Gentili che pure l'“Athenae Oxonienses', ovvero la storia dell'Università del 1691, presentava come “una delle sue più grandi glorie”. Nei paesi cattolici, poi, la sua opera, presente, passata e futura era stata colpita già nel 1602 dalla censura più assoluta, l'“omnino prohibetur”, dell'Indice dei Libri proibiti. Il che significava che stampare, possedere o soltanto leggere una sua opera avrebbe comportato il deferimento automatico dell'incauto al Tribunale dell'Inquisizione. Nel novembre 1874, Thomas Erskine Holland, nominato professore della neonata cattedra di Diritto internazionale e Diplomazia presso l'Università di Oxford, pronuncia la sua “Inaugural Lecture”, la conferenza iniziale, incentrandola tutta sulla figura di Alberico Gentili, dichiarando e dimostrando attraverso la storia della sua vita e studio dell'opera maggiore, il “De iure belli”, che al Professore italiano si doveva la nascita della scienza del diritto della cui cattedra lui sta diventando il titolare, e con ciò rivendicando all'Inghilterra la genesi della disciplina. La notizia era stupefacente: l'ambasciatore d'Italia la trasmette immediatamente al Ministero degli Esteri, il quale si rivolge all'Università di Macerata che, proprio in quel tempo stava lottando per la sua sopravvivenza nel nuovo Regno. Il referente dell'Università, Pietro Sbarbaro, professore di Filosofia del diritto, dopo aver perorato la causa, si mette in contatto con l'Amministrazione comunale di San Ginesio. E qui i grandi personaggi che la compongono, per la maggior parte avvocati, non si lasciano sfuggire l'occasione e immediatamente inviano per via diplomatica al professore inglese il devoto ringraziamento della Comunità, e l'invito a visitare il luogo natale di Alberico. Mentre all'estero iniziano l'interesse dell'accademia e i lavori scientifici sull'opera maggiore gentiliana, in Italia nasce una planetaria occasione di querelle politica tra Stato e Chiesa. Il regno ha bisogno di costituire l'ethos unitario della nazione, e per questa ragione è in cerca di padri fondatori universalmente riconosciuti, e così il giurista esule per motivi religiosi entra nel pantheon delle glorie nazionali, insieme all'altro esule, il filosofo Giordano Bruno, che sempre per gli stessi motivi era stato condannato e arso nel rogo di Campo de' Fiori nel febbraio del 1600. Ovviamente la stampa cattolica, in particolare quella di matrice gesuitica, si mosse subito all'attacco. Grande quindi l'intuizione e l'iniziativa degli Amministratori ginesini che, per essere protagonisti o eredi dello spirito risorgimentale dei loro padri, non si tirarono indietro, ed ebbero ragione. Nel 1876 San Ginesio si riempì infatti di giovani universitari provenienti dall'Università di Macerata e di Perugia, accompagnati dai loro Rettori. Tutti attirati dalla visita che il Professore di Oxford aveva fissato quale omaggio alla patria del suo predecessore. Perugia era ovviamente presente in quanto Università di formazione di Alberico Gentili, che idealmente si associava alla fama raggiunta dal suo allievo in quella inglese. Nel frattempo erano nate diverse idee, quali quella di richiedere le spoglie alla chiesa anglicana di Londra dove i membri della famiglia Gentili erano sepolti, per traslarle in Santa Croce di Firenze; di formare un Comitato Internazionale per le onoranze; di erigere un monumento alla memoria. Il Comitato per le onoranze fu fondato a Roma in Campidoglio; di esso facevano parte moltissime personalità, tra cui Giuseppe Garibaldi e Aurelio Saffi, professore di Diritto all'Università di Bologna e traduttore del discorso inaugurale di Holland. Già, perché all'epoca quasi nessuno parlava l'inglese, e quindi la corrispondenza e le conversazioni col Professore di Oxford si svolgevano in latino. Questo fatto la dice lunga su quanto istruiti fossero i personaggi dell'epoca, nonché quanto gradita fosse la collaborazione, certo non palese, dei sacerdoti locali, sicuramente padronissimi della lingua latina. Il Comitato ebbe una branca nazionale la cui presidenza onoraria fu assunta dall'erede al trono, Principe Umberto; mentre quella internazionale fu presieduta dal Principe inglese Leopoldo, Duca di Albany, figlio della Regina Vittoria. Mentre il Comitato italiano raccoglieva le offerte in una banca romana, il Comitato internazionale, accertato che le spoglie erano irrecuperabili a causa della dispersione della tomba in una delle tante inondazioni del Tamigi, eresse nel 1877 un cenotafio, ovvero una targa monumentale, nella chiesa anglicana di Saint Elen Bishopsgate, parrocchia dei Gentili nella city londinese, riportando l'iscrizione originaria tramandata nella “Biblioteca Vetus et Nova” redatta da G.M. Konigius nel 1678. Nella nuova targa erano effigiati a rilievo e a colori gli stemmi di San Ginesio, dell'Università di Oxford e dell'Università di Perugia. A seguire, nello stesso anno, Holland pubblicò una riedizione del “De Iure Belli” dall'edizione postuma del 1612, più leggibile rispetto alla prima del 1598, onde favorirne gli studi accademici che d'allora in poi si succedettero copiosi. In Italia. San Ginesio, in attesa del monumento, dedicò ad Alberico la piazza maggiore, a Scipione il Corso e a Matteo Gentili la Scuola Normale. Perugia eresse una sontuosa targa nel Rettorato a ricordo del celebre allievo. La Roma dei primi re Savoia eresse un busto al Pincio, nel Viale dei Giuristi, e lo effigiò nel soffitto della Sala Gialla del Ministero grandioso (ora sede del MEF), prima sede del Parlamento di Roma capitale, fatto erigere in cinque anni e senza risparmi dal ministro Marco Minghetti. Al centro del soffitto della famosa sala campeggiava lo stemma di casa Savoia, e dalle quattro balconate che ornavano ogni lato, svettavano gli spiriti illustri che simboleggiavano il genio italiano. Nella balconata dei giuristi, insieme a Machiavelli, c'era il nostro Alberico Gentili. L'Università di Macerata, edificando la nuova Aula Magna, dedicò ad Alberico, uno dei quattro riquadri raffiguranti i giuristi di riferimento particolare per l'Ateneo. La Provincia di Macerata fece dipingere nell'Aula capitolare una serie di tondi dedicati agli uomini illustri del suo territorio e, tra gli altri, figuravano i due giuristi sanginesini, Scipione e Alberico Gentili.

Novecento modifica

Nella prima metà del XX secolo il paese fu notevolmente modernizzato con nuovi impianti di illuminazione pubblica e la costruzione, su iniziativa della popolazione, di un acquedotto, che nel marzo del 1911 alimenta ben 13 fonti d'acqua gratuita. Di questo periodo furono anche la costruzione, dal 1903 al 1904, di un poligono di tiro su progetto della direzione del Genio Civile di Ancona.[23] Di questo periodo è la costruzione della statua ad Alberico Gentili di Giuseppe Guastalla. L'inaugurazione avvenne nel settembre del 1908, con partecipazione del ministro della pubblica istruzione Luigi Rava. Autorità come il ministro di grazia e giustizia Orlando, il senatore Canonico, i deputati Vecchini e Fusinato, Teodoro Moneta ed Ettore Ferrari.[24]

Seconda guerra mondiale[25][26][27] modifica

 
Scritta DVX sulla torre civica, omaggio a Benito Mussolini

San Ginesio, durante la seconda guerra mondiale, fu un paese di collegamento strategico tra le Marche. Il comune posto in una posizione strategica nella regione, fungeva da "ponte" tra il nord e il sud di essa. Sia a San Ginesio sia a Sarnano, anche in altri comuni, operavano vari gruppi militari di resistenza partigiana; a San Ginesio operava il Gruppo Vera, guidato da Girolamo Casà, che dopo essere fuggito da Bari, aiutò i partigiani ginesini. Il comune è stato luogo di una missione militare inviata nella regione dal governo Badoglio II. La missione, composta da una motosilurante, dal generale Salvatore Melia e il capitano ginesino Arnaldo Angerilli, ebbe lo scopo di organizzare e controllare i partigiani, sabotaggio di apparecchiature nazifasciste, segnalazione e controllo di armi e infine intercettare informazioni militari.

Nel 1943, i fatti conosciuti sono pochi, anche se ci furono continue rivolte da parte della popolazione.

Nel mese di giugno tedeschi e partigiani si contesero l'ospedale civile del comune che, dopo essere stato sotto il potere dell'Asse, fu smobilitato a causa di una protesta. Nei mesi di settembre e ottobre, ci furono soltanto azioni di ribellione al regime totalitario fascista da parte dei partigiani del luogo.

1944 - San Ginesio e dintorni modifica

Molti furono gli attacchi ed episodi di violenza in questo anno, che la popolazione e i partigiani furono costretti a subire.

Il 10 gennaio, alcuni partigiani disarmarono dei soldati nazifascisti e imposero al Podestà la distribuzione del grano tra la popolazione. L'11 gennaio, a causa delle azioni del giorno precedente, un gruppo di nazifascisti si diresse al paese, che fu conquistato il 12 gennaio, con intenzioni punitive, causando un violento scontro.

  Lo stesso argomento in dettaglio: Passo San Ginesio § Storia.

Il 5 maggio nel territorio comunale, dopo un conflitto a fuoco con le milizie della SS durante un rastrellamento lungo la ex SS 78, tre partigiani tra cui Glorio della Vecchia, furono torturati e fucilati nella frazione di Passo San Ginesio.

  Lo stesso argomento in dettaglio: Pian di Pieca § Storia.
 
Foto dei corpi dei partigiani Antonio D'Arduin, Mario Mogliani e Benedetto Tardella

Nel mese di giugno il gruppo Vera effettuò numerose missioni nel territorio. Il 16 giugno il gruppo era venuto a conoscenza che nella frazione di Pian di Pieca era dislocato un gruppo di fascisti incaricati di spionaggio. Scoperto ciò, fu inviata una squadra di tre partigiani in missione con lo scopo di vigilare la strada, che fungeva come collegamento tra Macerata e Ascoli Piceno, sorprendere le spie ed effettuare alcune operazioni di sabotaggio. Le operazioni comprendevano l'interruzione delle linee telefoniche e telegrafiche, distruzione dei ponti e appostamento di partigiani tiratori che, nella notte fra il 16 e il 17 giugno, si appostarono intorno alla ex SS 78 in un campo di grano. Il 17 giugno, la missione fu messa in atto. Dopo un alt incitato dai partigiani, una scarica di fucileria fu scagliata su un ufficiale tedesco che, gravemente ferito, fu trasportato da un'ambulanza della Croce Rossa all'ospedale di Sarnano. Venendo a conoscenza di ciò, i nazisti presero vari ostaggi nelle frazioni di Colle, Morichella e Pian di Pieca, tra cui il parroco del luogo, e setacciarono il territorio alla ricerca dei partigiani fuggitivi. Nel mentre i fuggitivi si diressero verso il comune e trovarono riparo in una casa del luogo ospitati. Riposati e nutriti, sentendo sparare nelle vicinanze, i partigiani si divisero. Uno di loro fuggì nei campi e si salvò, mentre i restanti due, fuggiti all'interno del paese, furono catturati e portati in Piazza Alberico Gentili insieme a molti civili. L'ordine dei tedeschi era la fucilazione dei due prigionieri e il gruppo di civili. Quest'ultimi furono salvati da un maresciallo ginesino di origine tedesca che, essendo affezionato al paese, convinse i nazisti a liberarli.

Alle 18 del pomeriggio l'ufficiale tedesco diede l'ordine di ripartire dal paese insieme ai due partigiani prigionieri, che furono impiccati nella frazione di Pian di Pieca insieme a un civile di Passo San Ginesio. Prima di continuare la ritirata, i tedeschi si divertirono a sparare sugli impiccati già morti.[25][26][27] I cadaveri rimasero lì dal sabato sera al mercoledì mattina. Il 20 giugno, i partigiani liberarono il comune. Il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), assunse il ruolo dell'amministrazione comunale e Cesare Barbi fu nominato all'unanimità Sindaco. Il 21 giugno il capitano Casà insieme a un ingegnere si recarono a spiccare i cadaveri e depositarli nell'ufficio postale.

1944 - San Liberato modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: San Liberato (San Ginesio) § Storia.

Il 16 marzo, dopo che il gruppo partigiano 201 su decisione del Comando di Vestignano e del CNL di Macerata fu sciolto, una piccola parte dei membri presero alloggio proprio nel convento di San Liberato, diretto da Padre Sigismondo Damiani. La decisione di ricomporre il gruppo mostrò subito dei problemi. Non appena arrivati, i partigiani trovarono scarsa reperibilità di viveri, perché tutte le risorse disponibili erano già state utilizzate da altri parigiani e una cattiva accoglienza da parte dei frati. Nessuno dei confratelli francescani erano a favore della presenza del gruppo.[25]

La voce che i partigiani si nascondevano nel convento raggiunse i nazisti tramite una spia ed ex soldato fascista di nome Francesco Sargolini. Appena l'unità II° Brandenburg 3, che stava compiendo un'operazione di rastrellamento anti-partigiana nei pressi della zona giunse nelle vicinanze dell'eremo, spararono dei colpi di fucileria contro due cacciatori, uccidendone uno e facendo allarmare i partigiani che fuggirono, minacciarono di morte Padre Damiano. Il frate, in sua difesa, disse che gli serviva per difendersi dai lupi che infestavano il bosco. Il 23 marzo si presentò al convento Francesco Sargolini, che si confrontò con Damiani.[28]

Quella stessa sera, mentre era a Monastero, Francesco Sargolini venne prelevato dai partigiani di Piobbico, interrogato, e fucilato come spia. Prima di morire accusò Damiani di essere un traditore.

Il 9 maggio Sigismondo Damiani costretto ad allontanarsi dal convento, ritornò in compagnia del nipote Padre Quinto Damiani, fu prelevato e ucciso poco distante dai partigiani di Piobbico, la cui identità fu poi accertata in processo.

Dopoguerra modifica

Nel dopoguerra, nei processi penali che seguirono, furono messi sotto accusa gli eventi accaduti nella frazione di Passo San Ginesio, Pian di Pieca e San Liberato. I sospettati dei crimini furono le truppe ignote della SS e i partigiani di Piobbico. Quest'ultimi furono assolti per insufficienza di prove, ma in sede di Appello l'11 marzo 1954 la causa fu riaperta e le nuove testimonianze diedero conferma di colpevolezza a due degli imputati: Lucas Popovich, uno slavo cui sembra che i fascisti avessero ucciso i parenti in patria e il sardo Luigi Cuccui, evaso dalle carceri di Ancona. Dalle testimonianze rilasciate da vari partigiani, tutti i sospetti su padre Damiani parvero infondati, piuttosto venne sottolineata la sua collaborazione prestata in varie occasioni alla Resistenza italiana.[29]

Nel 1969 Arnaldo Forlani e Ciriaco De Mita stipularono un patto che avrebbe dovuto rinnovare la Democrazia Cristiana e portarli alla testa del partito. Il patto fu chiamato il "Patto di San Ginesio". Il convegno si realizzò quando Forlani divenne segretario del partito e De Mita vicesegretario, per discutere del cambio di generazione (dalla seconda alla terza) e per la successione di Giuseppe Saragat.[30][31] Nel 1972, dopo l'accordo e il via libera per il governo di Centro-destra di Giulio Andreotti, con il Congresso successivo, Forlani venne sostituito da Amintore Fanfani alla segreteria della DC, quindi la seconda generazione su quelli di San Ginesio vinsero. Con le vicende di tangentopoli, il rinnovamento della DC al quale dichiaravano di ispirarsi i giovani riuniti nel paese, fu imprevedibile.[31]

Nel 1997 San Ginesio venne colpito dal terremoto di Umbria e Marche, subendo vari danni. Il terremoto colpì alcune opere architettoniche, tra cui la chiesa di Santa Maria in Vepretis, il palazzo Morichelli d'Altemps[32] e il teatro Giacomo Leopardi.[33]

XXI secolo modifica

 
Il sindaco Ciabocco e il vicesindaco Belli ricevono il premio dell'Organizzazione mondiale del turismo

Di questo periodo sono i numerosi riconoscimenti ottenuti dal comune: Bandiera arancione[34] dal Touring Club Italiano dal 2002,[35] borgo più bello d'Italia,[36] Bandiera gialla[37] dall'Associazione campeggiatori turistici d'Italia e comune amico del turismo itinerante.[38] Il 2 dicembre 2021 ha ricevuto il riconoscimento di "miglior villaggio turistico 2021" per l'Italia a Madrid dall’Organizzazione mondiale del turismo delle Nazioni Unite (UNWTO).[39][40]

Terremoto del 2016 e 2017 e ricostruzione modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Terremoto del Centro Italia del 2016 e del 2017.
 
Da sinistra: crollo strutturale nella chiesa di San Francesco, vigili del fuoco prelevano le opere d'arte dalle chiese inagibili, messa in sicurezza della Collegiata di Santa Maria Assunta, visita del paese di Paolo Gentiloni, conferenza con il sindaco Ciabocco, Legnini e Acquaroli per l'ordinanza speciale del 2021 riguardo le scuole

A causa dello sciame sismico del 2016 e 2017, il paese e alcune delle sue rispettive frazioni furono profondamente danneggiati. Il livello della ricostruzione, datata al 29 ottobre 2018, risulta dello 0,5%.[41] Con le scosse del 2016 circa 500 abitanti del paese furono soggetti a lasciare la propria abitazione a causa dell'inagibilità strutturale[42] e gli edifici pubblici che subirono i danni maggiori furono le chiese, il teatro, il municipio e più della metà delle scuole presenti nel territorio (4 su 6).[42] Fino alla consegna delle S.A.E. gli abitanti alloggiarono provvisoriamente nell'ostello comunale. Di seguito sono presenti i dettagli delle aree S.A.E. nel territorio:[43]

Luogo Aree S.A.E. Fabbisogno S.A.E. Ampliamento Anno di consegna S.A.E.40 S.A.E.60 S.A.E.80
Campo Sportivo 1 12 No 2017 7 3 2
Pian di Pieca 1 19 No 2017 10 4 5
Santa Maria in Alto Cielo 1 7 No 2017 4 1 2
 
Casa del centro storico di San Ginesio soggetta al terremoto del 2016

Nei giorni successivi alle scosse della fine di ottobre del 2016, dopo aver sistemato gli sfollati, il Comune e l'amministrazione decisero di puntare sulla costruzione di un grande polo scolastico all'interno del centro storico, con fondi dello Stato e il progetto dell'Università di Ancona.[41] Il 24 agosto 2016, l'allora Presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni intraprese una visita ai paesi della zona rossa, tra cui San Ginesio, accompagnato dal Presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli, l'allora sindaco Mario Scagnetti, al commissario straordinario per la ricostruzione Vasco Errani e al capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio.[44]

La costruzione della scuola iniziò con l'abbattimento di campi da tennis limitrofi alla vecchia scuola materna demolita. Nel gennaio del 2017, una delle prime ordinanze del governo Gentiloni previde che la scuola poteva sorgere solo in un terreno di proprietà pubblica.[41] Il 31 maggio 2018 venne posata la prima pietra della scuola dall'allora Commissario straordinario di Governo alla ricostruzione delle aree colpite Paola De Micheli e Mario Scagnetti. Il polo venne concepito per ospitare l'Istituto di Istruzione Superiore Alberico Gentili (liceo linguistico e liceo delle scienze umane), l'IPSIA Renzo Frau (sezioni Arredo e forniture d'interni e Meccanica), la scuola materna, la scuola elementare, un auditorium e una palestra omologabile dal CONI.[45]

L'ex sindaco Scagnetti, in un'intervista a Cronache Maceratesi (testata giornalistica locale), pubblicata su YouTube il 24 agosto 2016 ha sottolineato la differenza di questo terremoto dagli eventi del 1997, affermando di essersi attivato subito nella prima mattinata con la Protezione Civile locale e altri volontari.[46] In un'intervista de Il Messaggero del 30 ottobre 2016, giorno della scossa più forte, Scagnetti ribadì di aver circa 600 sfollati e di avere il centro storico altamente lesionato,[47] mentre in un'intervista di TV Centro Marche, riferì che San Ginesio, essendo unicamente centro storico, si trovava completamente in zona rossa.[48]

L'11 giugno del 2018 il Ministero dei Beni Culturali, prima favorevole, bloccò i lavori al polo per una incompatibilità con una legge urbanistica del 1980. Il problema nacque dalla Sovrintendenza per i beni archeologici delle Marche, che presentava già problematiche con il Comune nel 2017, quando quest'ultimo inviò una Pec sul progetto del polo scolastico, senza ottenere risposta. La Sovrintendenza, prima di allora, non partecipò mai agli appuntamenti per discutere del progetto.[41] Tuttora il Comune non possiede l'edificio scolastico.

Nel 2019 vennero presentate 236 domande di inagibilità, con 1 300 i fabbricati danneggiati, 61 i cantieri aperti e tutte le chiese inagibili.[49] Delle 350 domande di inagibilità strutturale privata (205 lievi e 145 gravi) presentate al Comune dal 2016, 170 sono state accolte e al 2020 risultano conclusi 100 cantieri. I contributi economici arrivati al Comune sono 39 092 476 .[50] L'importo stimato totale per 10 chiese del Comune dell'arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche ammonta a 4 650 000 €.[51] In questo anno il Comune è stato scelto come "comune capofila" della ricostruzione.[52] Nel corso del 2020 il Commissario straordinario alla ricostruzione nominato dal governo Conte II, Giovanni Legnini, in un'intervista all'ANSA, ha detto di essere al lavoro per superare la situazione di stallo e di collaborare ad alcune ipotesi risolutive con l'amministrazione comunale e la Regione Marche.[53]

Nel giugno 2021 è partita l'ordinanza speciale per la ricostruzione del polo scolastico e dell'area sportiva precedentemente distrutta presso l'auditorium Sant'Agostino, con la partecipazione del presidente Acquaroli, Guido Castelli e il sub-commissario Gianluca Loffredo.[54][55] Il progetto è stato affidato all'Andrea Bocelli Foundation che, dal 2016, si è occupata di ricostruire le scuole a Sarnano, Muccia e Camerino.[56]

Nascita del "Ginesio Fest" modifica

Il Comune dal 2020 ha istituito per iniziativa del Comitato promotore e dal sindaco Giuliano Ciabocco un premio nazionale all’arte dell’attore (Premio San Ginesio) e alcuni giorni festivi di agosto sotto il nome di Ginesio Fest.[57] Il progetto, presieduto da Remo Girone, nasce per dare un segno di speranza dopo i danni del terremoto del 2016 e per superare l’emergenza pandemica causata dalla COVID-19.[58] Il premio è conferito alla migliore attrice e al migliore attore selezionati da una giuria.[59] Già dal medioevo il Comune era solito dedicare al santo romano delle festività nella sua ricorrenza dal XII secolo, ma con Andrea da Perugia si aggiunsero ulteriori giorni di festa.[60]

Note modifica

  1. ^ E. Gazzera.
  2. ^ Istituto V. Tortoreto
  3. ^ (LA) Alberico Gentili, De Armis Romanis, 1599.
  4. ^ T. Benigni
  5. ^ Ottavio Turchi, Camerinum Sacrum, Roma, 1872.
  6. ^ a b San Ginesio, storia e bibliografia, su siusa.archivi.beniculturali.it.
  7. ^ a b c Marinangelo Severini, Historiae Genesinae, San Ginesio, Archivio storico comunale, 1581.
  8. ^ a b c G. Can. Salvi, Memorie storiche di Sanginesio (Marche) in relazione con le terre circonvicine, Camerino, Tipografia Savini, 1889.
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Bibliografia modifica

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