Vittorio Alfieri
Vittorio Amedeo Alfieri (Asti, 16 gennaio 1749 – Firenze, 8 ottobre 1803) è stato un drammaturgo, poeta e scrittore italiano.
Vittorio Alfieri | |
---|---|
![]() | |
![]() Conte di Cortemilia | |
![]() | |
In carica | 1750 – 1803[1] |
Investitura | 1769 |
Predecessore | Antonio Amedeo Alfieri |
Successore | Luigi Leonardo Colli[2] |
Nome completo | Vittorio Amedeo Alfieri |
Trattamento | Sua Eccellenza |
Nascita | Asti, 16 gennaio 1749 |
Morte | Firenze, 8 ottobre 1803 |
Sepoltura | Basilica di Santa Croce, Firenze |
Dinastia | Alfieri |
Padre | Antonio Amedeo Alfieri |
Madre | Monica Maillard de Tournon |
Religione | Deismo Agnosticismo[3][4] |
«Nella città di Asti, in Piemonte, il 17 gennaio[5] dell'anno 1749, io nacqui di nobili, agiati ed onesti parenti».[6] Così Alfieri presenta se stesso nella Vita scritta da esso, autobiografia stesa, per la maggior parte, intorno al 1790, ma completata solo nel 1803.[7] Alfieri ebbe un'attività letteraria breve ma prolifica e intensa; il suo carattere tormentato, oltre a delineare la sua vita in senso avventuroso, fece di lui un precursore delle inquietudini romantiche.[8]
Come la gran parte dei piemontesi dell'epoca, Vittorio Alfieri ebbe come madrelingua il piemontese. Giacché di nobili origini, apprese dignitosamente il francese e l'italiano, cioè il toscano classico[9]. Quest'ultimo, tuttavia, risentiva inizialmente degli influssi delle altre due lingue che conosceva, cosa di cui lui stesso si rendeva conto e che lo portò, al fine di spiemontesizzarsi e sfrancesizzarsi[10], o disfrancesarsi[11], a immergersi nella lettura dei classici in lingua italiana, a compilare piccoli vocabolari d'uso in cui alle parole e alle espressioni francesi o piemontesi corrispondevano "voci e modi toscani"[12] e a compiere una serie di viaggi letterari a Firenze. Dopo una giovinezza inquieta ed errabonda, si dedicò con impegno alla lettura e allo studio di Plutarco, Dante, Petrarca, Machiavelli[13] e degli illuministi come Voltaire e Montesquieu: da questi autori ricavò una visione personale razionalista e classicista, convintamente anti-tirannica e in favore di una libertà ideale, al quale unì l'esaltazione del genio individuale tipicamente romantica.
Si entusiasmò per la Rivoluzione francese, durante il suo soggiorno parigino, nel 1789, ma ben presto, a causa del degenerare della rivoluzione dopo il 1792, il suo atteggiamento favorevole si trasformò in una forte avversione per la Francia. Tornò in Italia, dove continuò a scrivere, opponendosi idealmente al regime di Napoleone, e dove morì, a Firenze, nel 1803, venendo sepolto tra i grandi italiani nella Basilica di Santa Croce. Già dagli ultimi anni della sua vita Alfieri divenne un simbolo per gli intellettuali del Risorgimento, a partire da Ugo Foscolo.[14]
Biografia Modifica
Infanzia ed istruzione Modifica
«Rimasto dunque io solo di tutti i figli nella casa materna, fui dato in custodia ad un buon prete, chiamato don Ivaldi…»
Vittorio Alfieri nacque dal conte di Cortemilia Antonio Amedeo Alfieri, membro della nobile famiglia omonima, e dalla savoiarda Monica Maillard de Tournon (già vedova del marchese Alessandro Cacherano Crivelli). Aveva un fratello, Giuseppe Maria, e una sorella, Giulia.[15] La madre aveva avuto già due figli dalle prime nozze: Angela Maria Eleonora e Vittorio Antonio che morirà giovanissimo nel 1758.[8]
Il padre morì di polmonite nel primo anno di vita di Vittorio e la madre si risposò in terze nozze nel 1750 con il cavaliere Carlo Giacinto Alfieri dei conti di Magliano, un parente del defunto marito.[16] Visse fino all'età di nove anni e mezzo ad Asti a Palazzo Alfieri (la residenza paterna), affidato a un precettore, senza alcuna compagnia.
La sorella Giulia fu mandata presso il monastero astigiano di Sant'Anastasio.[16] Dal terzo marito la madre avrà Anna Maria Giuseppina Barbara, Giuseppina Francesca, Pietro Lodovico Antonio, Giuseppe Francesco Agostino e Francesco Maria Giovanni.[8]
Come scrive nell'autobiografia, era un bambino molto sensibile, a tratti vivace, solitario, insofferente alle regole, descritto dai biografi moderni come tendente alla nevrosi[17], una condizione che si protrarrà per tutta la vita, causandogli spesso anche disturbi psicosomatici.[18] Soffrirà di frequenti disturbi gastrici per la sua intera esistenza.
«Fra gli otto e nov'anni, trovandomi un giorno in queste disposizioni malinconiche, occasionate forse anche da salute, che era gracile anzi che no, visto uscire il maestro, e il servitore, uscii dal mio salotto che in un terreno dava nel cortile, dov'era intorno intorno molt'erba. Mi misi a strapparne colle mani quanta ne poteva, ed a metterne in bocca, masticarne, e ingoiarne quanta poteva, benché il sapore me ne riuscisse ostico assai, ed amaro. Aveva sentito dire non so da chi che la cicuta era un'erba che avvelenava, e faceva morire; non aveva fatto nessun pensiero di morire, e quasi non sapea quel che fosse; pure, seguendo un istinto naturale misto con non so quale idea di dolore, mi spinsi avidamente a mangiar di quell'erba, credendo che in quella vi dovea anch'esser cicuta.[19]»
Nel 1758, per volere del suo tutore, lo zio Pellegrino Alfieri, governatore di Cuneo e nel 1762 viceré di Sardegna, fu iscritto all'Accademia Reale di Torino.[20] Viene ospitato dapprima dallo stesso zio Pellegrino; ma è troppo vivace, per cui viene fatto entrare il primo agosto, invece di ottobre, nell'Accademia; questo lo fece sentire abbandonato fra estranei, in un luogo in cui "nessuna massima di morale e nessun ammaestramento di vita" veniva dato, perché "gli educatori stessi non conoscevano il mondo né per teoria né per pratica". I primi nove anni sono soprannominati dallo stesso Alfieri come "nove anni di vegetazione", privi di vere conseguenze, ma pure pieni di fatti e sentimenti significativi e rivelatori già di un carattere preciso e volitivo.[8]
Alfieri all'Accademia compì i suoi studi di grammatica, retorica, filosofia, legge. Venne a contatto con molti studenti stranieri, i loro racconti e le loro esperienze lo stimolarono facendogli sviluppare la passione per i viaggi.[21] Egli definì questi anni come "otto anni di ineducazione; asino, fra asini e sotto un asino", in cui si sentiva "ingabbiato".[8] Viene afflitto anche da una malattia dei capelli, che lo costringe a tagliarli e a portare la parrucca per breve tempo.[8] Nel 1762, grazie allo zio Benedetto Alfieri, assiste per la prima volta a uno spettacolo teatrale rappresentato al Teatro Carignano di Torino.[8]
Dopo la morte dello zio, nel 1766 lasciò l'Accademia non terminando il ciclo di studi che lo avrebbero portato all'avvocatura e si arruolò nell'Esercito, diventando "portinsegna" (cioè "alfiere", tradizione di famiglia da cui derivava appunto il cognome, secondo una leggenda) nel reggimento provinciale di Asti. Rimase nell'esercito fino al 1774 e si congedò col grado di luogotenente.[16] In questo periodo scoprirà anche un'altra delle sue passioni, l'amore per i cavalli, che lo accompagnerà sempre.[16]
I viaggi Modifica
«A ogni conto voleva io assolutamente morire, ma non articolai però mai tal parola a nessuno; e fingendomi ammalato perché l'amico mio [un giovane che l'accompagnava, assieme al domestico Elia, ndr] mi lasciasse, feci chiamare il chirurgo perché mi cavasse il sangue, venne e me lo cavò.»
Tra il 1766 e il 1772, Alfieri cominciò un lungo vagabondare in vari stati dell'Europa. Visitò l'Italia da Milano a Napoli sostando a Firenze e a Roma, nel 1767 giunse a Parigi dove conobbe, tra gli altri, Luigi XV che gli parve un monarca tronfio e sprezzante. Deluso anche dalla città, a gennaio del 1768 giunse a Londra e, dopo un lungo giro nelle province inglesi, andò nei Paesi Bassi.[22] A L'Aia visse il suo primo vero amore con la moglie del barone Imhof, Cristina (descriverà i precedenti sentimenti come "amorucci"). Costretto a separarsene per evitare uno scandalo, tentò il suicidio, fallito per il pronto intervento di Francesco Elia, il suo fidato servo, che lo seguiva in tutti i suoi viaggi.[16]
Rientrò a Torino, dove alloggiò in casa di sua sorella Giulia, che nel frattempo aveva sposato il conte Giacinto Canalis di Cumiana. Vi rimase fino al compimento del ventesimo anno di età, quando, entrando in possesso della sua cospicua eredità, decise di lasciare nuovamente l'Italia.[16] Fallisce intanto un tentativo del cognato di combinargli un matrimonio con una ragazza nobile e ricca, la quale, pur affascinata dal giovane "dai capelli e dalla testa al vento", alla fine farà cadere la sua scelta su un altro giovane dall'indole più tranquilla.[8]
Tra il 1769 e il 1772, in compagnia del fidato Elia, compì il secondo viaggio in Europa: partendo da Vienna, passò per Berlino, incontrando con fastidio e rabbia Federico II, toccò la Svezia e la Finlandia, giungendo in Russia, dove non volle neppure essere presentato a Caterina II, avendo sviluppato una profonda avversione al dispotismo, anche "illuminato"[22] Alla morte di Federico, Alfieri scrisse nelle Rime il sonetto critico Il Gran Prusso tiranno al qual dan fama (in cui il re viene definito costui, macchiato di assoluto regno, / Non può d’uomo usurpar nome, nè loda; / Ma, di non nascer re forse era degno.) Raggiunse Londra e, nell'inverno del 1771, conobbe Penelope Pitt, moglie del visconte Edward Ligonier, conosciuta nella precedente visita, con la quale instaurò una relazione amorosa.
Il visconte, scoperta la tresca, sfidò a duello l'Alfieri, che rimase ferito a un braccio lievemente. Lo scandalo che seguì e il processo per adulterio pregiudicarono una possibile carriera diplomatica dell'Alfieri, che in seguito a questi fatti fu costretto a lasciare la donna e la terra d'Albione.[16] Riprese così il suo girovagare, prima nei Paesi Bassi, poi in Francia, Spagna e infine Portogallo, dove a Lisbona incontrò l'abate piemontese Tommaso Valperga di Caluso, che lo spronò a proseguire la sua carriera letteraria. Nel 1772 cominciò il viaggio di ritorno.[16] Arrivò a Torino il 5 maggio 1772, indebolito e ammalato (forse di una patologia venerea da cui poi guarì).[23][24][25]
Ritorno a Torino Modifica
Il ventiquattrenne Alfieri rientrò nella capitale sabauda dopo molto tempo di travagliato amore nel 1773 e si dedicò allo studio della letteratura, rinnegando in tal modo, secondo le sue stesse parole, «anni di viaggi e dissolutezze»; a Torino prese una casa in piazza San Carlo, la ammobiliò sontuosamente, ritrovò i suoi vecchi compagni di Accademia militare e di gioventù.[16] Con loro istituì una piccola società che si riuniva settimanalmente in casa sua per «banchettare e ragionare su ogni cosa», la "Societé des Sansguignon", in questo periodo scrisse «cose miste di filosofia e d'impertinenza», per la maggior parte in lingua francese, tra cui l'Esquisse de Jugement Universél, ispirato agli scritti di Voltaire.[16]
Ebbe anche una relazione con la marchesa Gabriella Falletti di Villafalletto, moglie di Giovanni Antonio Turinetti marchese di Priero. Tra il 1774 e il 1775, mentre assisteva la sua amica malata, portò a compimento la tragedia Antonio e Cleopatra, rappresentata a giugno di quello stesso anno a Palazzo Carignano, con successo.[16]
Nel 1775 troncò definitivamente la liaison amorosa con la marchesa Falletti, e studiò e perfezionò la sua grammatica italiana riscrivendo le tragedie Filippo e Polinice, che in una prima stesura erano state scritte in francese.[16] Per imporsi l'abbandono dell'amante si taglia il codino che tutti i nobili e i borghesi usavano portare, perché, vergognandosi di mostrarsi "tosato", non sarebbe uscito di casa, se non dopo molto tempo, evitando di andare a trovare la donna, dalla quale lo dividevano solo poche decine di metri.[8]
Nell'aprile dell'anno seguente si recò a Pisa e Firenze per il primo dei suoi "viaggi letterari", dove iniziò la stesura dell'Antigone e del Don Garzia. Tornò in Toscana nel 1777, in particolare a Siena, dove conobbe quello che sarebbe diventato uno dei suoi più grandi amici, il mercante Francesco Gori Gandellini. Questi influenzò notevolmente le scelte letterarie dell'Alfieri, convincendolo ad accostarsi alle opere di Niccolò Machiavelli. Da queste nuove ispirazioni nacquero La congiura de' Pazzi, il trattato Della Tirannide, l'Agamennone, l'Oreste e la Virginia (che in seguito susciterà l'ammirazione del Monti).[16] Per dedicarsi solo ed esclusivamente alla letteratura per lungo tempo, arrivò a farsi legare alla sedia da Elia, in un famosissimo episodio.[26]
La contessa d'Albany Modifica
«Un dolce foco negli occhi nerissimi accoppiato (che raro addiviene) a candidissima pelle e biondi capelli davano alla di lei bellezza un risalto, da cui difficile era di non rimanere colpito o conquisto.»
Nell'ottobre del 1777, mentre terminava la stesura di Virginia, Alfieri conobbe la donna che lo tenne a sé legato per tutto il resto della vita, e che definì come il "degno amore": la principessa Luisa di Stolberg-Gedern, contessa d'Albany, moglie di Carlo Edoardo Stuart, pretendente giacobita al trono di Gran Bretagna, secondo la successione Stuart. Nello stesso periodo si dedicò alle opere di Virgilio e terminò il trattato Del Principe e delle lettere e il poema in ottave L'Etruria vendicata.[27] La sua ennesima relazione con una donna sposata rischiava di finire come le altre se non fosse che lo Stuart non si limitò a far scoppiare uno scandalo o sfidare il poeta a duello. Il 30 novembre, l'alcolizzato Carlo Edoardo aggredisce fisicamente la moglie, tentando di ucciderla.[8] Con l'avallo del governo granducale, la contessa d'Albany riuscì ad abbandonare il marito, divenuto ormai violento e alcolista, rifugiandosi a Roma presso il convento delle Orsoline, con l'aiuto di suo cognato, Enrico Benedetto Stuart, cardinale e duca di York, che disapprovava il comportamento del fratello.[28]
Dopo qualche tempo Alfieri, che nel frattempo aveva donato, con il famoso atto definito da lui come "disvassallarsi" dalla monarchia assoluta dei Savoia, tutti i beni e le proprietà feudali alla sorella Giulia riservandosi un vitalizio e una parte del capitale[29], oltre che rinunciato alla cittadinanza del Regno (divenendo apolide), raggiunse a Roma la contessa e si recò poi a Napoli, dove terminò la stesura dell'Ottavia ed ebbe modo di iscriversi alla loggia massonica della "Vittoria".[27] Pur mantenendo il titolo di conte, d'ora in poi si firmerà sempre "Vittorio Alfieri da Asti", come un semplice cittadino.
Tornò a Roma stabilendosi a Villa Strozzi presso le Terme di Diocleziano, con la contessa d'Albany, che nel frattempo ottenne una dispensa papale, sempre grazie al cognato, che le permise di lasciare il monastero di clausura. Nei due anni successivi di soggiorno romano lo scrittore portò a compimento le tragedie Merope e Saul.[27]
Nel 1783, Alfieri fu accolto all'Accademia dell'Arcadia col nome di Filacrio Eratrastico. Nello stesso anno terminò anche l'Abele. Tra il 1783 e il 1785 pubblicò in tre volumi la prima edizione delle sue tragedie stampate dai tipografi senesi Pazzini e Carli.[16] Ma questo periodo idilliaco fu bruscamente interrotto dal cardinale di York, il quale, scoprendo la relazione dello scrittore con la cognata, gli intimò di abbandonare Roma, pena un decreto di espulsione papale che non gli avrebbe più permesso il ritorno.[16]
Alfieri, con il pretesto di far conoscere le proprie tragedie ai maggiori letterati italiani, intraprese allora una serie di viaggi. Conobbe Ippolito Pindemonte a Venezia, Melchiorre Cesarotti a Padova, Pietro Verri e Giuseppe Parini a Milano. Ma le tragedie raccolsero per la maggior parte giudizi negativi. Solamente il poeta Ranieri de' Calzabigi si complimentò con lo scrittore che con le sue opere aveva posto il teatro italiano sullo stesso piano di quello transalpino.[16]
Nell'aprile del 1784, la contessa d'Albany, per intercessione di Gustavo III di Svezia presso Carlo Edoardo, ottenne la separazione legale dal marito (ma non l'annullamento del matrimonio ) e il permesso di lasciare Roma; si ricongiunse all'Alfieri ad agosto, nel castello di Martinsbourg a Colmar, in segreto, per salvare le apparenze e la pensione della contessa, pagata dalla corona francese ai parenti degli Stuart in esilio, su concessione di Maria Antonietta d'Asburgo-Lorena (nonostante gli stessi Stuart, come tutti i monarchi inglesi, rivendicassero da secoli anche il regno di Francia).[8] A Colmar, Alfieri scrisse l'Agide, la Sofonisba e la Mirra.[16] Quest'ultima è ritenuta, assieme al Saul, il capolavoro assoluto di Alfieri, opera anticipatrice, come i miti greci a cui si rifà, di tematiche della psicoanalisi.
Costretti ad abbandonare l'Alsazia alla fine dell'anno, in condizioni di salute non buone, per l'obbligo della contessa di risiedere negli Stati papali (a causa di un nuovo intervento contrario del cardinale di York), Alfieri si sistemò a Pisa e la Stolberg a Bologna.[28] La già insostenibile situazione fu aggravata dalla improvvisa morte dell'amico Gori. Sono di quel periodo alcune rime tra cui il Panegirico di Plinio e Traiano e le Note, sorte in polemica risposta verso le critiche negative alle sue tragedie.[16]
Nel 1785 portò a termine le tragedie Bruto primo e Bruto secondo. Nel dicembre del 1786, l'Alfieri e la Stolberg (che sarebbe divenuta vedova due anni dopo), per sfuggire all'influenza di Enrico Benedetto Stuart e del potere papale, si trasferirono a Parigi acquistando due case separate[16]; in questo periodo furono ripubblicate le sue tragedie per opera dei famosi stampatori Didot. Nel salotto della Stolberg, Alfieri conobbe molti letterati, in particolare fece la conoscenza di André Chénier (futura vittima della Rivoluzione), che ne rimase talmente colpito da dedicargli alcuni suoi scritti, e il console Filippo Mazzei, diplomatico toscano naturalizzato statunitense (collaboratore dell'allora ambasciatore Thomas Jefferson), con cui strinse un'amicizia che durò negli anni successivi.[30] Nel 1787, colpito da grave malattia intestinale, rischiò di morire ma si riprese. Nel febbraio del 1788, con la morte di Carlo Edoardo Stuart, Alfieri e la contessa poterono finalmente vivere liberamente la loro relazione.[8] Alfieri decise di non sposare la contessa d'Albany, poiché col matrimonio sarebbe divenuta la contessa Alfieri di Cortemilia, perdendo il titolo di principessa vedova Stuart, e lui - contrario da sempre all'istituto matrimoniale - asserì di non voler "avere una semplice contessa per moglie, potendo avere per amante una regina!" (regina consorte Luisa d'Inghilterra, Scozia e Irlanda era il nome ufficiale con cui i giacobiti britannici, la corte francese e quella pontificia chiamavano la Stolberg, in quanto moglie dell'autoproclamato re Carlo III). Lei stessa era d'accordo nel mantenere il proprio status e non sposarsi in seconde nozze, anche per non perdere il sostegno economico della Francia.[31]
La rivoluzione francese e Napoleone Modifica
«Laonde io addolorato profondamente, sì perché vedo continuamente la sacra e sublime causa della libertà in tal modo tradita, scambiata e posta in discredito da questi semifilosofi.»
Nel 1789, Alfieri e la sua compagna furono testimoni oculari dei moti rivoluzionari di Parigi. Gli avvenimenti in un primo tempo fecero comporre al poeta l'ode A Parigi sbastigliato, in occasione della presa della Bastiglia (14 luglio), che poi però rinnegò: l'entusiasmo (dopo aver pensato di scrivere al re per chiedergli l'abdicazione per una pacifica transizione, come si vede in una lettera mai spedita del 14 marzo) si trasformò in odio verso la rivoluzione, esplicitato nelle rime de Il Misogallo.[8] Tra il 1791 e il 1792 visitò di nuovo l'Inghilterra, dove rivide Penelope Pitt, ma senza parlarle.[32] Nel 1792 l'arresto di Luigi XVI e le stragi del 10 agosto convinsero la coppia, ottenuti i passaporti (le "schiavesche patenti") a lasciare definitivamente la città per tornare, passando attraverso Belgio, Germania e Svizzera, in Toscana. Nel frattempo era stato emanato un ordine d'arresto per la contessa, in quanto nobile e straniera, ma non per Alfieri; anticipando la partenza da Parigi e forzando i posti di blocco, Alfieri e la compagna si salvarono dai gendarmi venuti per eseguire il mandato, che saccheggiarono la loro abitazione. In questo modo sfuggirono probabilmente ai massacri di settembre e al regime del Terrore.[8]
Tra il 1792 e il 1796 Alfieri, a Firenze, si immerse totalmente nello studio dei classici greci traducendo Euripide, Sofocle, Eschilo, Aristofane. Proprio da queste ispirazioni nel 1798 nacque l'ultima tragedia alfieriana: l'Alceste seconda. Si appassiona anche a recitare le proprie tragedie personalmente, preferendo per sé il ruolo di Saul.[33] Tra il 1799 e il 1801 le vittorie francesi sul suolo d'Italia costrinsero l'Alfieri a fuggire da Firenze per rifugiarsi in una villa presso Montughi. Il suo misogallismo - nonostante, però, dichiarasse di odiare i francesi, continuò ad avere buoni rapporti con singole persone transalpine, come il pittore François-Xavier Fabre, esule a Firenze, intimo amico della coppia Alfieri-Stolberg e loro ritrattista - gli impedì persino di accettare la nomina a membro dell'Accademia delle Scienze di Torino nel 1801[34], dopo che il Piemonte era entrato anch'esso in orbita napoleonica.[8]
Un suo nipote acquisito, il generale Luigi Leonardo Colli[35], aderì all'esercito francese e l'Alfieri lo rimproverò in una lettera. Il poeta non si oppose apertamente e politicamente al dominio francese in Toscana[36], ma si ritirò completamente dalla vita pubblica affidando alle rime, principalmente a Il Misogallo, il suo sdegno.[8] Durante questo periodo, nonostante facesse vita estremamente appartata, divenne il punto di riferimento di molti patrioti e letterati italiani, anche simpatizzanti per la Francia, e le sue tragedie riscossero un enorme successo di pubblico. Il giovane poeta Ugo Foscolo lo prese a modello da seguire[37].
Ad Alfieri Foscolo dedicò il Tieste (1797), inviandolo al drammaturgo astigiano con la dedica[38]. Non si incontrarono mai, a quanto afferma Foscolo nell'epistolario e nell'Ortis[39]; pare però che Alfieri, anche se non rispose alla lettera del giovane, avesse elogiato con alcuni conoscenti lo stile della tragedia, prevedendo il grande avvenire letterario dell'allora giovane ufficiale napoleonico (nonostante l'iniziale disparità di vedute su Napoleone e sulla Rivoluzione, anche Foscolo poi converrà con Alfieri in un giudizio negativo del generale francese, chiamandolo "tiranno"[40]) e futuro primo vero poeta vate dell'Italia risorgimentale, figura di cui l'astigiano è considerato un precursore. In particolare, Alfieri avrebbe affermato che quel giovane l'avrebbe superato in quanto a gloria letteraria.[41]
Il generale francese Alexandre Miollis, entrato a Firenze, cercò di incontrarlo ma Alfieri rifiutò, con la seguente missiva:
«Se il signor Generale Miollis comandante a Firenze ordina a Vittorio Alfieri di farsi vedere da lui, purché il suddetto ne sappia il giorno e l'ora, egli si renderà immediatamente all'intimazione. Se poi è un semplice privato desiderio del Generale Miollis di vedere il sunnominato individuo, Vittorio Alfieri lo prega istantemente di volerlo dispensare, perché, stante la di lui indole solitaria e selvatica, egli non riceve mai né tratta con chi che sia.[42]»
Intanto, con una lettera di circostanza, la Stolberg riesce a riavere da Napoleone la rendita. A causa del decreto consolare del 29 giugno 1802, a tutti i piemontesi residenti all'estero viene ingiunto di rientrare in patria entro il 23 settembre e di giurare fedeltà alla nuova Costituzione francese; Alfieri, non più cittadino piemontese da tempo, spedì alla sorella certificati medici attestanti la sua impossibilità a viaggiare. Giulia giura così in nome del fratello. In settembre Alfieri viene colpito da un nuovo attacco di gotta, un male che lo tormenta da tempo, nonché da erisipela, a cui seguirà una grave malattia di stomaco.[43] La salute dello scrittore peggiora; è stato ipotizzato che nella parte finale della sua vita Alfieri soffrisse di malattia cardiovascolare, oppure di un tumore gastrointestinale o di uremia, stadio finale della malattia renale cronica.[44]
Tra il 1801 e il 1802, Alfieri compose sei commedie: L'uno, I pochi e I troppi, tre testi sulla visione satirica dei governi dell'epoca; Tre veleni rimesta, avrai l'antidoto, sulla soluzione ai mali politici (quasi un testamento politico, in cui l'Alfieri, "il conte repubblicano", pare accettare una monarchia parlamentare in stile inglese), La finestrina, ispirata ad Aristofane, e Il divorzio, in cui condanna i matrimoni nobiliari d'interesse, il cicisbeismo e tutti i cattivi costumi dell'Italia dei suoi tempi. Tra le originali iniziative di Alfieri nell'ultimo periodo, il progetto di una collana letteraria denominata "l'ordine di Omero", del quale si autonomina simbolicamente "cavaliere". Nella raccolta include ventitré poeti antichi e moderni, tra cui Molière, Racine e Voltaire, ultima testimonianza del rapporto letterario di amore-odio con la cultura francese, in particolare con il principale filosofo dei "lumi", prima ammirato e preso a modello da imitare e superare (nel Bruto primo, nel Bruto secondo e in Della tirannide), poi bersagliato nella satira L'antireligioneria, e infine parzialmente da lui riabilitato.[45]
Dopo un breve periodo di altalenanti problemi di salute e attacchi di gotta e artrite, in cui diminuì il cibo per i problemi gastrici ma continuò a lavorare alacramente[43], il 3 ottobre 1803 si ammalò gravemente di una febbre gastrointestinale secondo i medici complicazione della gotta, probabilmente quindi un disturbo renale (nefropatia gottosa)[46], da cui inizialmente sembrò rimettersi.[43] Come risulta da uno studio sulla morte di Mozart avvenuta nel 1791, le infezioni renali (nefrite) erano una delle più comuni cause di malattia grave del periodo, assieme alla tubercolosi ed altre malattie infettive.[47] Alcuni giorni dopo, Vittorio Alfieri si spense improvvisamente a Firenze l'8 ottobre 1803 all'età di 54 anni, probabilmente colpito da arresto cardiaco[44]: Alfieri ebbe un malore, riuscendo solo a far chiamare la contessa d'Albany, a cui aveva lasciato i suoi beni per testamento, e poco dopo, seduto sul letto, si accasciò e non riprese più conoscenza.[48][49]
Venne sepolto nella basilica di Santa Croce, e alle esequie assistette anche il celebre scrittore francese emigrato e controrivoluzionario François-René de Chateaubriand, all'epoca in Italia come diplomatico incaricato da Napoleone (dopo l'amnistia per gli espatriati) presso lo Stato Pontificio. A sua memoria rimane lo splendido monumento funebre marmoreo, commissionato dall'Albany (sepolta anch'ella nella basilica) e realizzato da Antonio Canova, che fu ultimato dallo scultore neoclassico nel 1810.[50]
Opere Modifica
Le tragedie Modifica
Terminata l'Accademia militare a Torino, e dopo un lungo giovanile vagabondare in vari stati dell'Europa, nel 1775 (l'anno della conversione) rientra nella capitale piemontese e si dedica allo studio della letteratura, rinnegando in tal modo - secondo le sue stesse parole - anni di viaggi e dissolutezze; completa così la sua prima tragedia, Antonio e Cleopatra, che registra un grande successo; seguiranno poi Antigone, Filippo, Oreste, Saul, Maria Stuarda, Mirra. La fama delle sue tragedie è legata alla centralità del rapporto libertà-potere e all'affermazione dell'individuo sulla tirannia. Una profonda e sofferta riflessione sulla vita umana arricchisce la tematica quando il poeta si sofferma sui sentimenti più intimi e sulla società che lo circonda.
Le sue tragedie furono in gran parte rappresentate quando il poeta era ancora in vita ed ebbero un notevole successo nel periodo giacobino, nonostante il profondo disprezzo dell'autore per la rivoluzione francese. Le tragedie più rappresentate nel triennio giacobino italiano (1796-99) furono la Virginia e i due Bruti. A Milano al Teatro Patriottico nel 1796, il 22 settembre dello stesso anno, Napoleone presenziò a una replica della Virginia.[51] Il Bruto primo fu replicato anche alla Scala e a Venezia, mentre a Bologna vennero rappresentate tra il 1796 e il 1798 ben quattro tragedie (Bruto II, Saul, Virginia, Antigone). Le reazioni negli spettatori erano spesso molto singolari; ne parla anche il Leopardi nel suo Zibaldone (1823), il quale citando la rappresentazione a Bologna dell'Agamennone racconta che:
«Destò vivissimo interesse negli uditori, e fra l'altro tanto odio verso Egisto, che quando Clitenestra esce dalla stanza del marito col pugnale insanguinato, e trova Egisto, la platea gridava furiosamente all'attrice che l'ammazzasse.»
Anche Stendhal scriveva da Napoli:
«27 febbraio 1817. Esco or ora dal Saul al Teatro Nuovo. Si direbbe che questa tragedia tocchi le corde segrete del sentimento nazionale italiano. Il pubblico va in visibilio […]»
Negli intervalli degli spettacoli i patrioti ballavano la "Carmagnola" in platea. Negli anni successivi, molti attori ottocenteschi si specializzarono nelle opere alfieriane: da Antonio Morrocchesi al teatro Carignano di Torino, a Paolo Belli Blanes a Firenze o a Milano. Le tragedie sono ventidue, compresa la Cleopatra (o Antonio e Cleopatra) poi in seguito da lui ripudiata. L'Alfieri le scrive in endecasillabi sciolti, seguendo il concetto di unità aristotelica. La stesura del testo prevedeva tre fasi: ideare (trovare il soggetto, inventare trame e battute, caratterizzare i personaggi), stendere (fissare il testo in prosa, nelle varie scene e atti), verseggiare (trasporre tutto in endecasillabi sciolti).[33] Eccone l'elenco completo:
- Saul (1782)
- Filippo (1775, pubblicata nel 1783)
- Rosmunda (1783)
- Ottavia (1783, ripubblicata nel 1788)
- Merope (1782)
- Maria Stuarda (1788)
- Agide (1788)
- Bruto primo (1789)
- Bruto secondo (1789)
- Don Garzia (1789)
- Sofonisba (1789)
Tragedie greche:
Tragedie definite della libertà:
- La congiura de' Pazzi (1788)
- Virginia (1781, 1783, rielaborata nel 1789)
- Timoleone (1783, rielaborata nel 1789)
Tragedie pubblicate postume:
- Cleopatra (da lui stesso poi rinnegata, 1774 - 1775, pubblicata postuma nel 1814)
- Alceste seconda (ultima tragedia alfieriana, composta tra il 1796 e il 1798, venne pubblicata postuma nel 1798.)
Tramelogedia Modifica
Alfieri volle coniugare il melodramma, molto in auge in quel periodo, con i temi più ostici della tragedia. Nacque così l'Abele (1786), un'opera che egli stesso definì tramelogedia.
Le prose politiche Modifica
L'odio per la tirannia e l'amore viscerale per la libertà vennero sviluppati in due trattati:
- Della tirannide (1777-1790), di tema interamente politico, scritto durante il suo soggiorno a Siena, dove conobbe il suo più grande amico, il mercante Francesco Gori Gandellini. L'Alfieri fa una disamina del dispotismo, considerandolo la rappresentazione più mostruosa di tutti i tipi di governo. La tirannide è basata, per Alfieri, sul sovrano, sull'esercito e sulla Chiesa, che costituiscono le basi di questo Stato.[52]
«Tirannide indistintamente appellare si deve ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzione delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto eluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono o tristo, uno, o molti; ad ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammetta, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.»
- Del principe e delle lettere (1778-1786), di tema politico-letterario, dove l'Alfieri giunge alla conclusione che il binomio "monarchia e lettere" sia dannoso per lo sviluppo di queste ultime. Il poeta prende in esame anche le opere di Virgilio, Orazio, Ariosto e Racine, nate con il benestare di principi o monarchi munifici, considerandole il frutto di uomini "mediocri", contrapponendoli a Dante. Il poeta inoltre esprime la sua adesione all'interpretazione obliqua di Machiavelli, come "ammonitore" repubblicano dal potere dei tiranni.
A essi seguirono altre prose politiche minori:
- Panegirico di Plinio a Trajano (1785), personale rivisitazione dell'omonimo panegirico di Plinio il Giovane (Panegirico a Traiano).
- La Virtù sconosciuta (1786), il poeta, in un dialogo immaginario con l'amico defunto Gori Gandellini, lo paragona a fulgido esempio di virtù cittadina e indipendenza morale.
- Elogio di Niccolò Machiavelli (1794), discorso pronunciato nell'Accademia Fiorentina, in cui Alfieri ribadisce la sua tesi repubblicana sul machiavellismo come "dissimulazione".
Le odi politiche Modifica
- L'Etruria vendicata, poema in quattro canti e in ottave progettato nel maggio 1778, inizialmente con il titolo Il Tirannicidio, narra l'uccisione di Alessandro de' Medici per opera di Lorenzino che l'Alfieri celebra come un eroe di libertà.
- L'America libera, un componimento di cinque odi, in cui Alfieri esalta la generosità disinteressata di La Fayette, che aiutò i ribelli e celebra l'eroismo di Washington, che Alfieri paragona a quello degli antichi eroi.
- Parigi sbastigliato, ode composta da Alfieri dopo la distruzione della Bastiglia, scritta tra il 17 luglio e il 5 agosto 1789. Rinnegata dopo la fuga dalla Francia, come testimoniato in un brano del Misogallo del gennaio 1793 in cui definisce la sua ode un "delirio", ritrattando tutto.
L'odio antirivoluzionario: Il Misogallo Modifica
«Io aveva riposto la mia vendetta e quella della mia Italia; e porto tuttavia ferma speranza, che quel libricciuolo col tempo gioverà all'Italia, e nuocerà alla Francia non poco.»
Il Misogallo (dal greco miseìn, che significa "odiare" e "gallo" che sta a indicare i francesi) è un'opera che aggrega generi diversi: prose (sia discorsive sia in forma di dialogo tra personaggi), sonetti, epigrammi e un'ode. Si tratta della ritrattazione completa dell'ode Parigi sbastigliato, e una rivalutazione della figura umana di Luigi XVI (considerato un re troppo gentile per i "vili francesi") contro il tirannico Robespierre, a cui vengono attribuite in tono le opinioni e le azioni dei rivoluzionari, durante il dialogo immaginario col re.[53] Inoltre vi è anche un componimento, il Sonetto XII, dedicato a Maria Teresa Luisa di Savoia, principessa di Lamballe, amica di Maria Antonietta brutalmente trucidata durante i massacri di settembre. Questi componimenti si riferiscono al periodo compreso tra l'insurrezione di Parigi nel luglio 1789 e l'occupazione francese di Roma nel febbraio 1798.
È una feroce critica di Alfieri sulla Francia e sulla Rivoluzione, ma egli rivolge l'invettiva anche verso il quadro politico e sociale europeo, verso i molti tiranni antichi e recenti, che dominarono e continuavano a dominare l'Europa. Per l'Alfieri, «i francesi non possono essere liberi, ma potranno esserlo gli italiani», mitizzando così un'ipotetica Italia futura, «virtuosa, magnanima, libera ed una».[54] Alfieri è quindi un controrivoluzionario e un aristocratico (anche se la "nobiltà" non è per lui "di nascita", prova ne sia il disprezzo per la sua stessa classe sociale, ma quella dell'animo forte, dotato del "forte sentire") anche se non si può certo definire un vero reazionario, essendo un uomo che esaltava il valore della libertà individuale, che ritenne potesse essere preservata dalla nuova Italia che sarebbe nata.[55]
Alfieri e le ideologie rivoluzionarie Modifica
«Il mio nome è Vittorio Alfieri: il luogo dove io son nato, l'Italia: nessuna terra mi è Patria. L'arte mia son le Muse: la predominante passione, l'odio della tirannide; l'unico scopo d'ogni mio pensiero, parola, e scritto, il combatterla sempre, sotto qualunque o placido, o frenetico, o stupido aspetto ella si manifesti o si asconda.»
Alfieri fu contrario alla pubblicazione che fu fatta in Francia dei suoi trattati giovanili in cui esprimeva le sue idee anti-tiranniche in maniera decisa, lasciando trasparire anche un certo anticlericalismo, come il trattato Della tirannide; tuttavia, anche dopo la pubblicazione de Il Misogallo, non ci fu in lui un rinnegamento di queste posizioni, quanto la scelta del male minore, ovvero il sostegno verso chiunque si opponesse al governo rivoluzionario, che lo faceva inorridire per lo spargimento di sangue del regime del Terrore - sia contro nobili e antirivoluzionari, sia contro rivoluzionari non giacobini (i girondini; nel Misogallo è presente un elogio della filo-girondina Charlotte Corday che uccise Marat[57]) - e per aver portato la guerra in Italia; secondo Mario Rapisardi[58] egli, che non era anti-riformista (purché il rinnovamento venisse dall'alto, dal legislatore, e non dalla pressione e dalla violenza popolare), aveva paura di essere confuso con i "demagoghi francesi", che incitavano la "plebe".
Così si espresse nel trattato sopracitato a proposito della religione cattolica, che egli giudica un mezzo di controllo sul popolo meno istruito (anche se, in fondo, dannoso anche per l'attitudine "da schiavo" che induce in esso), poco valido per un letterato o un filosofo[16]: «Il Papa, la Inquisizione, il Purgatorio, la Confessione, il Matrimonio indissolubile per Sacramento e il Celibato dei preti, sono queste le sei anella della sacra catena» e «un popolo che rimane cattolico deve necessariamente, per via del papa e della Inquisizione, divenire ignorantissimo, servissimo e stupidissimo».[59] La sua accusa alla Rivoluzione è quindi anti-tirannica da una parte e culturale dall'altra, non ritenendo che un culto astratto - come il cosiddetto culto della Ragione o quello dell'Essere supremo - fosse adatto a contenere, con insegnamenti morali, il popolo ignorante dell'epoca.[60]
Inoltre, pur detestando parte dell'alto clero e della nobiltà, non approvava l'odio indiscriminato e gli assassini legalizzati di cittadini francesi colpevoli solo di essere di famiglia nobile o membri del basso e medio clero.[8] In una lettera all'abate di Caluso del 1802, Alfieri ribadisce privatamente le sue tesi giovanili (che quasi rinnegava invece pubblicamente, ne Il Misogallo e nelle Satire)[61]: «Il motore di codesti libri fu l'impeto di gioventù, l'odio dell'oppressione, l'amore del vero o di quello che io credeva tale. Lo scopo fu la gloria di dire il vero, di dirlo con forza e novità, di dirlo credendo giovare.( [...] ) Il raziocinio di codesti libri mi pare incatenato e dedotto, e quanto più v'ho pensato dopo, tanto più sempre mi è sembrato verace e fondato; e interrogato su tali punti tornerei sempre a dire lo stesso, ovvero tacerei.(...) In due parole, io approvo solennemente tutto quanto quasi è in quei libri; ma condanno senza misericordia chi li ha fatti e i libri medesimi, perché non c'era bisogno che ci fossero, e il danno può essere maggiore assai dell'utile».[62]
Il concetto di libertà, "ribelle" ma non "rivoluzionaria", di Alfieri venne paragonato da Piero Gobetti a quello di Max Stirner, il filosofo tedesco autore del libro L'Unico e la sua proprietà (nato poco più tre anni dopo la morte dell'astigiano), anch'egli "uomo in rivolta" ma anti-rivoluzionario; Alfieri ha, per Gobetti, una «disperata necessità di polemica contro le autorità costituite, i dogmi fatti, le tirannie religiose e politiche», non tollerando minimamente quello che può mettere un freno alla sua libertà individuale.[63][64] L'unione a questi sentimenti di un certo patriottismo, nella fase finale della vita, è indice della complessità dell'uomo e dell'intellettuale, che non volle essere un filosofo coerente, ma un letterato.[64]
Le satire Modifica
Pensate fin dal 1777 e riprese più volte nell'arco della sua vita, sono componimenti sui "mali" che afflissero l'epoca del poeta. Sono diciassette:
- Prologo: Il cavalier servente veterano, ridicolizzazione dei cicisbei.
- I re, sulla monarchia assoluta.
- I grandi, in cui sono presi di mira i grandi di corte.
- La plebe, invettiva contro la plebe volubile, feroce e sanguinaria.
- La sesquiplebe, che tratta della ricca borghesia cittadina.
- Le leggi, con una critica sul poco rispetto delle leggi in Italia.
- L'educazione, sull'istruzione.
- L'antireligioneria, ispirata alle idee di Machiavelli, sulla religione come instrumentum regni (ovvero mezzo politico), è una caustica e durissima condanna di Voltaire e dei suoi epigoni, che nell'aver empiamente dileggiato e superficializzato il cristianesimo e la religione in generale, hanno di fatto gettate le basi per i disastri della rivoluzione francese. Secondo Alfieri è molto pericoloso distruggere un sistema di pensiero religioso, senza prima averlo sostituito con uno nuovo e altrettanto capace di essere compreso dal popolo, verso cui l'autore non nutre alcuna fiducia, e funzionare da garante di ordine.[65] In realtà, cosa che Alfieri sembra qua ignorare, è lo stesso Voltaire, bersagliato dalla satira, che ritiene che la religione possa, quando non è dannosa, fare da strumento di ordine per il popolo.[66] L'accusa principale è la sostituzione di una falsità con un'altra falsità: «Donde un error si svelle, altro sen pianti ( [...] ) senza edificar, distrugger pria».
- I pedanti, contro la critica letteraria.
- Il duello, sulla meschinità dei duelli, ispirata a episodi giovanili.
- I viaggi, sull'inutilità dei viaggi, in cui l'Alfieri prende implicitamente di mira anche sé stesso, viaggiatore instancabile.
- La filantropineria, contro i teorici della rivoluzione francese, in particolare contro Rousseau.
- Il commercio, sulla bassezza morale dell'attività mercantile. Alfieri non considera un male il lavoro dei mercanti in sé[67], ma attacca i difetti e le meschinità di molti di essi.
- I debiti, sul malgoverno delle nazioni.
- La milizia, una critica agli stati militaristi come la Prussia di Federico II.
- Le imposture, sulle società segrete, in particolare i suoi ex confratelli della Massoneria, e sulle "fasulle" filosofie nate nel XVIII secolo, in particolare quella illuministica, adulatrice della rivoluzione francese.
- Le donne, in cui l'Alfieri considera il "gentil sesso" sostanzialmente migliore degli uomini, ma imitatore dei loro difetti.
Le commedie Modifica
Alfieri scrisse sei commedie:
Le prime quattro costituiscono una specie di tetralogia politica, La finestrina è un'opera a carattere etico universale, Il divorzio tratta dei costumi italiani contemporanei. Furono scritte nell'ultima parte della vita dell'Alfieri, intorno al 1800, anche se l'idea di produrre commedie fu concepita alcuni anni prima. Lo stesso Alfieri racconta nella Vita di essersi ispirato a Terenzio per creare un proprio stile di autore comico:
«Pigliai anche a tradurre il Terenzio da capo; aggiuntovi lo scopo di tentare su quel purissimo modello di crearmi un verso comico, per poi scrivere (come da gran tempo disegnava) delle commedie di mio; e comparire anche in quelle con uno stile originale e ben mio, come mi pareva di aver fatto nelle tragedie.»
I giudizi sulle commedie dell'Alfieri sono in genere assai negativi. Uno studio su queste composizioni è quello di Francesco Novati,[68] il quale, pur considerandole «un importante documento, una pagina notevolissima della storia della letteratura», principalmente perché le ritiene «un tentativo originale, nuovo, ardito», le definisce nel complesso «opere imperfette, in parte rifatte, emendate, limate» e ne elenca numerosi difetti: la lingua in cui sono scritte «è un faticoso miscuglio di vocaboli e modi famigliari, popolari talvolta, anzi prettamente fiorentini, e di forme auliche, lontanissime dall'uso comune», e il dialogo che ne consegue «manca di vivacità, scioltezza e spontaneità»; il verso «è riuscito duro, stentato, fiacco, cadente, senza suono, senza carattere»; in generale sono «ideate e condotte secondo teoriche sull'indole e sullo scopo del teatro comico che non si possono approvare».
Lo stesso Novati riporta altri giudizi ancora più severi, come quello di Vincenzo Monti, che giudicava «insopportabili» tutte le opere postume di Alfieri, o di Ugo Foscolo, che disse le commedie «modelli di stravaganza». In un altro studio sulle commedie di Alfieri[69], Ignazio Ciampi sostiene che l'autore «dimostra non aver troppo ben pensato sullo scopo e sulla utilità della commedia quando insegna un po' troppo assolutamente che in questa non si debbono dipingere i costumi del tempo in cui si scrive, ma l'uomo in generale», individuando tuttavia in queste opere alcuni «pregi d'invenzione e di esecuzione».
Autobiografia Modifica
Alfieri cominciò a scrivere la propria biografia (la Vita scritta da esso) dopo la pubblicazione delle sue tragedie. La prima parte fu scritta tra il 3 aprile e il 27 maggio 1790 e giunge fino a quell'anno, la seconda fu scritta tra il 4 maggio e il 14 maggio 1803 (anno della sua morte).[70] "La vita" è universalmente considerata un capolavoro letterario, se non il più importante, sicuramente il più conosciuto, infatti, secondo M. Fubini, l'Alfieri fu per molto tempo l'autore della "Vita", che ancora inedita, Madame de Staël leggeva rapita in casa della contessa d'Albany e ne scriveva entusiasta al Monti.[70] Non a caso l'opera all'inizio del XIX secolo venne tradotta in francese (1809), inglese (1810) tedesco (1812), e parzialmente in svedese (1820). In quest'opera analizza la sua vita come per analizzare la vita dell'uomo in generale, si prende come esempio. A differenza di altre autobiografie (come ad esempio le Mémoires di Goldoni) Alfieri risulta molto autocritico. In maniera cruda e razionale, egli non si risparmia neppure quando deve accusare il suo modo di fare, il suo carattere eccentrico e soprattutto il suo passato; tuttavia, Alfieri non ha né rimorsi né rimpianti per quest'ultimo.[70]
Rime Modifica
Alfieri scrisse le Rime tra il 1776 e il 1799. Stampò le prime (quelle scritte fino al 1789) a Kehl, tra il 1788 e il 1790. Preparò a Firenze nel 1799 la stampa della seconda parte, che costituì l'undicesimo volume delle Opere Postume, pubblicato per la prima volta a Firenze nel 1804 per l'editore Piatti.[71] Le Rime di Vittorio Alfieri sono circa 400 e hanno un carattere fortemente autobiografico: difatti costituiscono una sorta di diario in poesia e nascono da impressioni su luoghi e vicende concrete o come sfogo legato a particolari occasioni amorose, e questa qualità si evince anche dal fatto che ogni poesia di norma reca l'indicazione di una data o di un luogo.
Si tratta soprattutto di sonetti, forma poetica assai cara all'autore, poiché gli permettevano di esprimere i suoi sentimenti e le sue idee con una grande concentrazione concettuale.[72] Le Rime si ispirano soprattutto alla poesia di Francesco Petrarca sia nelle situazioni sentimentali sia nel ricorrere di parole, formule e frasi, spesso tratte dal Canzoniere. Ma Alfieri, diversamente dal petrarchismo settecentesco degli arcadi, trae da Petrarca l'immagine di un io diviso tra forze opposte, portando il dissidio interiore a una tensione violenta ed esasperata. Alfieri poi si ispira al linguaggio musicale e melodico dell'autore del Canzoniere, ma solo esteriormente: infatti il suo è un linguaggio aspro, antimusicale, caratterizzato da un ritmo spezzato da pause, inversioni ardite, violente inarcature degli enjambements, scontri di consonanti e formule concise e lapidarie.
Un linguaggio simile a quello delle tragedie dunque, che deve rendere lo stato d'animo inquieto e lacerato del poeta: infatti la poesia per Alfieri deve puntare all'intensificazione espressiva delle proprie angosce e sofferenze.[72] Grande importanza ha in Alfieri il tema amoroso: si tratta di un amore lontano e irraggiungibile, causa di sofferenza e infelicità. Ma il motivo amoroso assume un significato più vasto: costituisce infatti un mezzo per esprimere il proprio animo tormentato, in eterno conflitto con la realtà esterna. Alla tematica sentimentale si intreccia quindi il motivo politico, anch'esso vicino al clima delle tragedie: compare la critica contro un'epoca vile e meschina, il disprezzo dell'uomo che si sente superiore contro una mediocrità che egli avverte come vittoriosa e dominante nel mondo, l'amore per la libertà, la nostalgia verso un passato idealizzato, popolato da grandi eroi disposti a sfidare il proprio tempo pur di perseguire i propri ideali.[73]
Alfieri poi delinea un ritratto idealizzato di sé: difatti si presenta come letterato-eroe e negli atteggiamenti titanici e fieri dei protagonisti delle sue tragedie. È l'ideale di un uomo in cui domina più il sentimento (il "Forte sentire") che la ragione.[74] Compare poi nelle Rime la tematica pessimistica che costituisce il limite della tensione eroica di Alfieri. Sempre presenti sono in lui "Ira" e "Malinconia", da una parte il generoso sdegno di un'anima superiore verso una realtà vile, dall'altra un senso di disillusione e di vuoto, di noia, di vanità. La morte diventa dunque un tema ricorrente e viene vista dal poeta come l'unica possibilità di liberazione e anche come l'ultima prova davanti alla quale bisogna confermare la saldezza magnanima dell'io. Questo pessimismo porta quindi all'amore per i paesaggi aspri, selvaggi, tempestosi e orridi, ma anche deserti e silenziosi: l'io del poeta vuole infatti intorno una natura simile a sé, una proiezione del proprio animo e questo è un motivo già tipicamente romantico.[33]
Traduzioni Modifica
Alfieri dedicò molto tempo allo studio dei classici latini e greci, che lo portò a eseguire le seguenti traduzioni, pubblicate postume nel 1804:
- La congiura di Catilina e La guerra di Giugurta di Sallustio
- l'Eneide di Virgilio
- le Commedie di Terenzio
- i Persiani di Eschilo
- il Filottete di Sofocle
- l'Alcesti di Euripide
- le Rane di Aristofane
Lettere Modifica
La raccolta più completa delle sue lettere è quella pubblicata nel 1890 dal Mazzatinti, intitolata Lettere edite e inedite di Vittorio Alfieri, considerata da molti studiosi di non particolare importanza letteraria.
Il pensiero letterario: Alfieri tra l'Illuminismo e il Romanticismo Modifica
"Sublime specchio di veraci detti,
mostrami in corpo e in anima qual sono:
capelli, or radi in fronte, e rossi pretti;
lunga statura, e capo a terra prono;
sottil persona in su due stinchi schietti;
bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono;
giusto naso, bel labro, e denti eletti;
pallido in volto, più che un re sul trono:
or duro, acerbo, ora pieghevol, mite;
irato sempre, e non maligno mai;
la mente e il cor meco in perpetua lite:
per lo più mesto, e talor lieto assai,
or stimandomi Achille, ed or Tersite:
uom, se' tu grande, o vil? Muori, e il saprai."
«Ma non mi piacque il vil mio secol mai: / e dal pesante regal giogo oppresso, / sol nei deserti tacciono i miei guai»
Le influenze letterarie di Alfieri provengono dagli scritti di Montesquieu, Voltaire, Rousseau, Helvétius, oltre che dai classici come Cicerone e Plutarco, che l'astigiano conobbe nei suoi molteplici viaggi in Europa, durante il processo di "spiemontizzazione". Se successivamente prese le distanze da Voltaire e Rousseau (che non aveva voluto conoscere personalmente nemmeno in gioventù, ritenendolo un "ginevrino bisbetico"), a causa dell'ispirazione dei rivoluzionari francesi dai due pensatori, l'influenza di Montesquieu e il principio di divisione dei poteri rimasero forti in lui.[75] Anche certe ispirazioni russoviane (Giulia o la nuova Eloisa, Le confessioni, Le fantasticherie del passeggiatore solitario, ovvero il Rousseau intimista e non quello politico), unite al gusto ossianico e preromantico, restano costantemente sullo sfondo della Vita e delle Rime (specialmente l'amore per i paesaggi naturali e selvaggi, l'introspezione della propria personalità "unica" e i sentimenti contrastati). Lo studio e il perfezionamento della lingua italiana avvennero con la lettura dei classici italiani e latini (Dante e Petrarca per la poesia, Virgilio per il verso tragico).[33]
Il suo interesse per lo studio dell'uomo, per la concezione meccanicistica del mondo, la lontananza dalla religione – vista, influenzato da Machiavelli, solo come un mezzo di stabilità politica per la plebe; inoltre, simile a Plutarco[76], Alfieri è teoricamente "uomo di fede romantica", seppur molto particolare, contrario all'ateismo esplicito da una parte, e avversario della superstizione dall'altra, vicino ad un deismo[77] teorico e intimo, in pratica quasi agnostico in materia[4] – in fin dei conti la sua aspirazione per l'assoluta libertà e l'avversione verso il dispotismo, collegano Alfieri alla dottrina illuminista.[78] I temi letterari illuministici, volti a chiarificare le coscienze e ad apportare il progresso sociale e civile, sono affrontati dal poeta non in modo distaccato, ma con l'emotività e le inquietudini del pensiero romantico.[33]
Alfieri è considerato dalla critica letteraria come l'anello di congiunzione di queste due correnti ideologiche, ma l'astigiano, al contrario dei più importanti scrittori illuministi dell'epoca, quale Parini, Verri, Beccaria, Voltaire, che sono disposti a collaborare con i monarchi "illuminati" (Federico di Prussia, Caterina II di Russia, Maria Teresa d'Austria) e a esporre le proprie idee nei salotti europei, rimane indipendente e reputa umiliante questo genere di compromesso, proprio come disprezza i letterati opportunisti come Vincenzo Monti.[33] D'altronde Alfieri fu un precursore del pensiero romantico anche nel suo stile di vita, sempre alla ricerca dell'autonomia ideologica (non a caso lasciò tutti i suoi beni alla sorella Giulia per poter abbandonare la sudditanza dai Savoia) e nel non accettare la netta distinzione settecentesca fra vita e letteratura, nel nome di valori etico-morali superiori[33], in sdegnosa solitudine anche a costo di essere tacciato di misantropia ("Non ch’io gli uomini abborra, e che in me stesso / mende non vegga, e più che in altri assai", scrive in Tacito orror di solitaria selva).
Libertà ideale, titanismo e catarsi Modifica
«Seggio è di sangue, e d'empietade, il trono»
Fin da giovane Vittorio Alfieri dimostrò un energico accanimento contro la tirannide e tutto ciò che può impedire la libertà ideale. In realtà risulta che questo antagonismo fosse diretto contro qualsiasi forma di potere che gli appariva iniqua e oppressiva. Anche il concetto di libertà che egli esalta non possiede precise connotazioni politiche o sociali, ma resta un concetto astratto.[79]
La libertà alfieriana, infatti, è espressione di un individualismo eroico e desiderio di una realizzazione totale di sé. Infatti Alfieri sembra presentarci, invece che due concetti politici (tirannide e libertà), due rappresentazioni mitiche: il bisogno di affermazione dell'io, desideroso di spezzare ogni limite, rappresentato dall'"eroe alfieriano", e le "forze oscure" che ne ostacolano l'agire. Questa ricerca di forti passioni, quest'ansia di infinita grandezza, di illimitato è il tipico titanismo alfieriano, che caratterizza, in modo più o meno marcato, tutte le sue opere. Tuttavia, è proprio nel tirannicidio, e spesso nella successiva morte, che molti dei suoi eroi trovano la pace.[33]
Ciò che viene tanto osteggiato da Alfieri è molto probabilmente la percezione di un limite che rende impossibile la grandezza, tanto da procurargli costante irrequietezza, angosce e incubi che lo costringono a cercare nei suoi innumerevoli viaggi ciò che può trovare soltanto all'interno di sé stesso.[80] Il sogno titanico è accompagnato da un costante pessimismo che ha le radici nella consapevolezza dell'effettiva impotenza umana. Inoltre la volontà di infinita affermazione dell'io porta con sé un senso di trasgressione che gli causerà un senso di colpa di fondo, che verrà proiettato appunto nelle sue opere per trovare un rimedio al proprio malessere; fenomeno, questo, che viene chiamato catarsi, concetto della tragedia teorizzata da Aristotele e dai greci.[16]
L'eredità spirituale Modifica
«Il seme che hai piantato, o Alfieri, fruttò ed ora l'Italia combatte e sarà grande»
«[…] uom non è sorto, / O sventurato ingegno, / Pari all’italo nome, altro ch’un solo, / Solo di sua codarda etate indegno / Allobrogo feroce, a cui dal polo / Maschia virtù, non già da questa mia / Stanca ed arida terra, / Venne nel petto; onde privato, inerme, / (Memorando ardimento) in su la scena / Mosse guerra a’ tiranni»
Alfieri ha fortemente ispirato la letteratura e il pensiero italiano del XIX secolo: dopo la sua morte, e persino negli ultimi anni di vita ritirata del poeta, a partire dai primi giovani intellettuali e patrioti di epoca napoleonica, sorse un vero e proprio culto della persona di Alfieri, che divenne una figura quasi leggendaria.[81] Foscolo è il principale letterato moralmente erede dell'Alfieri, con la sua insofferenza a ogni imposizione tirannica[37]; egli trasse il suo stile giovanile proprio da lui, e lo ha cantato nei Sepolcri e ha ispirato alcune sue opere, come le Ultime lettere di Jacopo Ortis, all'atmosfera delle tragedie alfieriane[82], mentre la figura del Parini, rappresentata nel romanzo, più che al poeta lombardo trae in parte ispirazione, soprattutto per il carattere fiero e combattivo, direttamente dal drammaturgo piemontese[83].
Dedicò all'Alfieri anche alcuni versi del sonetto E tu né carmi avrai perenne vita e la tragedia Tieste, che fu inviata, con la dedica[38], alla residenza fiorentina del poeta astigiano. Foscolo preferì non visitare personalmente l'Alfieri, rispettando la sua estrema riservatezza degli ultimi anni, a quanto afferma nell'epistolario e nell'Ortis[39]; pare però che quest'ultimo, anche se non rispose alla lettera del Foscolo, avesse elogiato con alcuni conoscenti lo stile della tragedia, prevedendo il grande avvenire letterario dell'allora giovane ufficiale napoleonico (nonostante l'iniziale disparità di vedute su Napoleone, anche Foscolo poi converrà con Alfieri in un giudizio negativo del generale francese, chiamandolo "tiranno") e futuro primo vero poeta-vate dell'Italia risorgimentale.[41]
«E a questi marmi / venne spesso Vittorio ad ispirarsi. / Irato a' patrii Numi, errava muto
ove Arno è più deserto, i campi e il cielo / desïoso mirando; e poi che nullo
vivente aspetto gli molcea la cura, / qui posava l'austero; e avea sul volto
il pallor della morte e la speranza. / Con questi grandi abita eterno: e l'ossa / fremono amor di patria.»
Leopardi lo ha immaginato suo maestro nella canzone Ad Angelo Mai, e lo ricorda anche nel sonetto giovanile Letta la vita dell'Alfieri scritta da esso e nelle Operette morali (Il Parini ovvero della gloria), Manzoni si è ispirato ai suoi saldi principi, Gioberti che scrisse che l'astigiano aveva creato di sana pianta la tragedia italiana difendendola contro la servitù letteraria e civile dei suoi tempi[84] e così Oriani, Mazzini e Carducci. Giosuè Carducci affermò che l'Alfieri, insieme all'Alighieri e a Machiavelli è il
«Nume indigete d'Italia[85]»
Influenza politica del pensiero alfieriano Modifica
I primi patrioti del Risorgimento italiano, sia liberali, sia moderati (monarchici che si rifacevano al suo atteggiamento controrivoluzionario) sia di altre fedi politiche, da Santorre di Santarosa a Cesare Balbo, si riconobbero nei suoi ideali e la casa natale di Asti fu meta di moltissimi uomini che combatterono per l'unità d'Italia.
In particolare Santorre scrisse che:
«Alfieri allumera dans votre coeur les héroiques vertus et elevera votre pensée; ses expression rudes, mais plein de force et d'energie sont toutes marquées au coin du génie de Melpomene»
«Alfieri illumina nel vostro cuore le virtù eroiche ed eleva il vostro pensiero; le sue parole dure, ma piene di forza e di energia sono tutte recanti il timbro del genio di Melpomene»
Luigi Provana del Sabbione, storico e senatore del Regno di Sardegna, dichiarò che anche lui come molti patrioti aveva baciato la tomba di Vittorio Alfieri in Santa Croce e aveva fissato gli occhi sulla finestra del poeta che si affacciava sull'Arno.[84] Fu visto anche come una sorta di figura decadentista del "dandy" ante litteram, come un personaggio di artista aristocratico e libero.[86] Anche dopo il Risorgimento l'ammirazione di molti intellettuali verso la personalità dell'astigiano continuò: il pensiero politico di Alfieri, quale emerge dalle tragedie e dai trattati, fu visto di volta in volta come un precursore dell'idea anarchica[87], dell'individualismo[88], del nazionalismo fascista[89][90], del pensiero libertario[91] e di forme di liberalismo.[92][93]
Nel primo Novecento ispirò alcune opere e, in parte, il pensiero del giornalista liberale e antifascista Piero Gobetti, anche lui piemontese[94], come nell'articolo Elogio della ghigliottina, in cui Gobetti si rifà ad alcune idee espresse nel trattato alfieriano Della tirannide: se tirannide deve essere (il bersaglio di Gobetti è il fascismo), è meglio, paradossalmente, che non sia affatto una dittatura morbida, ma che sia oppressiva, in modo che il popolo capisca cos'è davvero un regime e si ribelli apertamente a esso.[95] Gobetti descrive il pensiero politico di Alfieri come «liberalismo immanentistico».[96]
Nell'epoca contemporanea, le tragedie alfieriane non vengono sovente rappresentate, al di fuori della città di Asti, a causa della difficile fruizione di esse per un pubblico poco preparato in materia (la più rappresentata è comunque il Saul, ritenuta la migliore[97]), mentre è tuttora molto citato e preso come esempio, anche per la realtà moderna, il trattato Della tirannide, specialmente la definizione data dal drammaturgo piemontese di questo tipo di governo.[98] Si è registrato inoltre, in rassegne dedicate al teatro settecentesco, un recente interesse per le commedie, sdegnate dalla critica alla loro comparsa; in particolare, Il divorzio è stato rappresentato spesso accanto alle grandi opere del periodo, come le tragedie di Voltaire, le commedie di Diderot e quelle di Goldoni.[99]
Alfieri e la massoneria Modifica
Nella Vita, riferendo dell'anno 1775, l'Alfieri narra che durante un banchetto di liberi muratori declamò alcune rimerie:
«Egli ti additi il murator primiero,
Del grande Ordine infin l'origo estrema
E se poi ti svelasse un tanto arcano,
Avresti tu sì nobili concetti
E ad inalzare il vol bastante mano?
Ah, scusatela si, fratei diletti;
Non ragiona l'insana, oppur delira
Quando canta di voi con versi inetti.»
Vienna 1791
Egli chiede scusa ai fratelli se la sua musa inesperta osa cantare i segreti della loggia. Poi il capitolo in terzine prosegue menzionando il Venerabile, il primo Vigilante, l'Oratore, il Segretario.[100] Negli elenchi della massoneria piemontese il nome dell'Alfieri non è mai comparso. I suoi primi biografi supposero che egli fosse stato iniziato nei Paesi Bassi o in Inghilterra, nel corso di uno dei suoi viaggi giovanili. "È certa invece la sua appartenenza alla loggia della "Vittoria" di Napoli, fondata nel 1774 (o 1775) all'obbedienza della Gran Loggia Nazionale "Lo Zelo" di Napoli da Massoni aristocratici vicini alla regina Maria Carolina d'Asburgo-Lorena (1752-1814)"[101].
È assodato che moltissimi suoi amici furono massoni e dall'elenco, posseduto dal centro alfieriano di Asti, che menziona i personaggi ai quali il Poeta inviò la prima edizione delle sue tragedie (1783), compaiono i fratelli von Kaunitz, di Torino, Giovanni Pindemonte e Gerolamo Zulian a Venezia, Annibale Beccaria (fratello di Cesare), Luigi Visconte Arese e Gioacchino Pallavicini di Milano, Carlo Gastone Rezzonico a Parma, Saveur Grimaldi a Genova, Ludovico Savioli a Bologna, Kiliano Caracciolo, Maestro venerabile a Napoli, Giuseppe Guasco a Roma.[102]
L'Alfieri compare alcuni anni dopo, al numero 63 dell'elenco nel Tableau des Membres de la Respectable Loge de la Victoire à l'Orient de Naples in data 27 agosto 1782, con il nome di "Comte Alfieri, Gentilhomme de Turin"[103]. La sua affiliazione alla loggia di Napoli fu sicuramente favorita dai frequenti soggiorni in quella città e soprattutto dall'importanza che Napoli accrebbe nei confronti della massoneria, dal momento che i Savoia, di lì a poco chiusero ogni attività massonica in Piemonte (1783), costringendo il conte Asinari di Bernezzo, capo della massoneria italiana di rito scozzese, a cedere la carica proprio al principe Diego Naselli di Napoli.[16]
Durante il periodo dell'affiliazione, Alfieri si cela per la sua corrispondenza ai confratelli sotto lo pseudonimo di conte Rifiela.[16] Con il sopraggiungere in Europa dei venti rivoluzionari che sfoceranno poi nella rivoluzione francese, l'Alfieri prese le distanze dalla massoneria, forse perché essa accentuò l'impegno giacobino, antimonarchico, anticlericale, o forse anche per quel suo aspetto caratteriale indipendente fino all'ossessione, divenendo così un "massone in sonno".[16] Nella satira di Le imposture (1797) si scaglierà contro i suoi vecchi confratelli apostrofandoli come "fratocci" che imbambolavano gli adepti per farne creature proprie, ingenuo piedistallo per i furbi.[104]
La piemontesità Modifica
Secondo Pietro Cazzani, direttore del Centro studi Alfieriani tra il 1939 ed il 1957, la differenza di fondo tra Alfieri e Dante (oltre a quelle ben più evidenti): «è la "toscanità" del fiorentino, i cui umori si trasformano in aggressive ironiche fantasie, contrapposta al "piemontesismo" dell'astigiano, la cui seria moralità prende toni cupi con impensabili estri».[105] Per Umberto Calosso[106] il poeta non dimenticò mai le sue origini, con quel «misto di ferocia e generosità, che non si potrà mai capire da chi non ha esperienza dei costumi e del sangue piemontese».
Alfieri scrisse poi due sonetti in lingua piemontese (gli unici della sua produzione) datati aprile e giugno 1783.[107]
Ecco il testo del primo:
«Son dur, lo seu, son dur, ma i parlo a gent
ch'ha l'ànima tant mola e dëslavà
ch'a l'é pa da stupì se 'd costa nià
i-j piaso apen-a apen-a a l'un për sent.
Tuti s'amparo 'l Metastasio a ment
e a n'han j'orije, 'l cheur e j'euj fodrà:
j'eròj a-j veulo vëdde, ma castrà,
ël tràgich a lo veulo, ma imponent.
Pure im dogn nen për vint fin ch'as decida
s'as dev troné sul palch o solfegé,
strassé 'l cheur o gatié marlàit l'orìa.
Già ch'ant cost mond l'un l'àutr bzògna ch'as rida,
l'è un mè dubiet ch'i veui ben ben rumié:
s'l'é mi ch'son 'd fer o j'italian 'd potìa.»
«Sono duro, lo so, sono duro, ma parlo a gente
che ha l'anima tanto fiacca e sporca
che non c'è da stupirsi se a questa cricca
io piaccio appena all'uno per cento.
Tutti si imparano a memoria il Metastasio
e ne hanno piene le orecchie, il cuore e gli occhi:
gli eroi li vogliono vedere sì, ma castrati,
il tragico lo vogliono ma imponente.
Eppure io non mi do per vinto finché non si decida
se sul palco si deve tuonare o solfeggiare,
agitare i cuori o accarezzarsi un poco l'orecchia.
Giàcche in questo mondo bisogna che si rida l'uno dell'altro,
io ho un piccolo dubbio che voglio ben bene rimasticare:
se sono io che sono di ferro o gli italiani di fango.»
Alfieri e la musica Modifica
Umberto Calosso accosta l'opera di Alfieri «illuminista in fervido movimento» a quella di Beethoven; per il critico i motivi profondi dell'Alfieri risuonano «nei precipizi abissali della sinfonia di Beethoven».[87]
Anche per il Cazzani, in molte tragedie alfieriane, ci troviamo davanti alla stessa solitudine cosmica del maestro di Bonn.[108] Nella sua autobiografia il poeta racconta di come la musica suscitava nel suo animo grande commozione. L'Alfieri più volte raccontò come quasi tutte le tragedie siano state ideate o durante l'ascolto di musica o poche ore dopo averla ascoltata.[109]
Alcuni manoscritti contengono anche le indicazioni delle musiche da eseguirsi durante le rappresentazioni teatrali (per esempio il Bruto secondo). Il Cazzani ipotizza anche che tra i musicisti prediletti dell'Alfieri ci sia il piemontese Giovanni Battista Viotti, che fu presente a Torino, Parigi e Londra negli stessi anni dei soggiorni alfieriani.[105]
Alfieri e l'arte Modifica
Il poeta che più di una volta confessò di essere sensibile alle bellezze naturali, davanti alle opere artistiche manifestava una certa «ottusità d'intelletto». A Firenze, per la prima volta nel 1766, dichiarò che le visite alla Galleria e a Palazzo Pitti, si svolgevano forzatamente, con molta nausea, senza nessun senso del bello.
Di Bologna scrisse: « [...] dei suoi quadri non ne seppi nulla».[110]
Quando visse a Roma nascevano i primi fermenti del movimento archeologico che precedette il Neoclassicismo, non fece nessuna menzione degli artisti che ne presero parte, ed anche il salotto della contessa d'Albany, a Parigi frequentato dagli artisti più noti dell'epoca (tra cui Jacques-Louis David) non era per lui di alcun interesse, e del Louvre gli interessò «solo la facciata».[110]
Questo spiega perché, fatta eccezione dei ritratti di François-Xavier Fabre, nessuna tela di un certo valore adornò le pareti degli appartamenti abitati da Alfieri nel corso della vita.
L'Alfieri e la contessa d'Albany, nell'agosto 1792, dovettero abbandonare precipitosamente Parigi per l'insurrezione repubblicana. Dall'inventario degli oggetti d'arte della casa di Parigi (Maison de Thélusson, rue de Provence nº18), stilato dal governo rivoluzionario dopo la confisca degli immobili e contenuto negli Archives nationales di Parigi si è potuto risalire ai quadri presenti negli appartamenti.[111]
Anche in questo caso l'elenco è deludente: si tratta più che altro di riproduzioni incise per lo più dei Carracci, della Cappella Sistina, della Scuola di Atene, della galleria di Palazzo Farnese, con qualche incisione riproducente opere di Élisabeth Vigée Le Brun, di Angelika Kauffmann, di Anton Raphael Mengs.[16]
Alfieri nei francobolli italiani Modifica
Tre francobolli commemorativi sono stati emessi dalle poste italiane per ricordare la figura del trageda astigiano[112]:
- Il primo, da 25 centesimi, disegnato da F. Chiappelli ed emesso il 14 marzo 1932 per la società Dante Alighieri per la corrispondenza nazionale, ed una seconda tiratura per le emissioni generali delle colonie italiane in versione sovrastampata (tiratura 60 000 esemplari).
- Il secondo emesso il 4 giugno 1949 (tiratura 2 812 000 esemplari), opera del disegnatore E. Pizzi, in occasione del bicentenario della nascita.
- Il terzo l'8 ottobre 2003, con tiratura di 3 500 000 esemplari, è stato emesso in occasioni delle commemorazioni per il bicentenario della sua morte. Il ritratto opera della bozzettista Rita Fantini è liberamente ispirato ad un dipinto di François Xavier Fabre, esposto presso Palazzo Alfieri di Asti, mentre sullo sfondo si vede la facciata interna del palazzo, sede sia del Centro nazionale di studi alfieriani che del Museo alfieriano.
Alfieri nelle monete italiane Modifica
- Nel 1999, la Zecca dello Stato, in occasione del 250º anniversario della nascita del poeta, ha emesso una moneta in argento 835/1000, del peso di 14,60 g, diametro 31,40 mm, con l'effigie di Vittorio Alfieri ed al verso il celebre motto "volli sempre volli fortissimamente volli" (tiratura 51 800 pezzi).[113]
Edizioni delle opere Modifica
- Le opere di Vittorio Alfieri, vol. 1, Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1809.
- Le opere di Vittorio Alfieri, vol. 2, Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1809.
- Le opere di Vittorio Alfieri, vol. 3, Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1809.
- Le opere di Vittorio Alfieri, vol. 4, Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1809.
- Le opere di Vittorio Alfieri, vol. 5, Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1809.
- Le opere di Vittorio Alfieri, vol. 6, Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1809.
- Le opere di Vittorio Alfieri, vol. 7, Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1809.
- Le opere di Vittorio Alfieri, vol. 8, Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1809.
- Le opere di Vittorio Alfieri, vol. 9, Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1809.
- Le opere di Vittorio Alfieri, vol. 10, Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1810.
- Le opere di Vittorio Alfieri, vol. 11, Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1810.
- Le opere di Vittorio Alfieri, vol. 12, Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1810.
- Le opere di Vittorio Alfieri, vol. 13, Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1811.
- Appendice alle opere di Vittorio Alfieri, vol. 1, Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1811.
- Appendice alle opere di Vittorio Alfieri, vol. 2, Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1811.
- Della tirannide, Bari, Gius. Laterza & Figli, 1927.
- Il Misogallo, Londra [i.e. Firenze], 1799.
- Opere. Poesia, Torino [etc.], Ditta G. B. Paravia e C., 1903.
- Opere postume. 1, Brescia, per Nicolò Bettoni, 1809.
- Opere postume. 2, Brescia, per Nicolò Bettoni, 1809.
- Opere postume. 3, Brescia, per Nicolò Bettoni, 1809.
- Opere postume. 4, Brescia, per Nicolò Bettoni, 1809.
- Opere postume. 5, Brescia, per Nicolò Bettoni, 1809.
- Opere postume. 6, Brescia, per Nicolò Bettoni, 1809.
- Opere postume. 7, Brescia, per Nicolò Bettoni, 1810.
- Opere. Tragedie. 1, Firenze, Successori Le Monnier, 1866.
- Opere. Tragedie. 2, Firenze, Successori Le Monnier, 1866.
- Tragedie postume, Bari, Gius. Laterza & Figli, 1947.
- Vita, Torino [etc.], Ditta G. B. Paravia e C., 1903.
Note Modifica
- ^ Nel 1778 rinunciò ai beni e titoli di famiglia in favore della sorella
- ^ Conte di Solbrito, marchese di Felizzano; nipote acquisito
- ^ Vicino ad un vago deismo, Alfieri era sostanzialmente un agnostico che condannava tanto l'ateismo, quanto la religio quanto il culto dell'Essere Supremo della rivoluzione francese
- ^ a b Vito M. Iacono, I geni del cristianesimo e il miscredente Alfieri, in "Revue des études italiennes", pag. 298; consultabile su Google books
- ^ Benché Alfieri indichi questa data, nacque il 16 gennaio, e l'atto di battesimo certifica che il sacramento gli fu amministrato il 16; A. Di Benedetto, Vittorio Alfieri, in Storia della letteratura italiana (diretta da E. Malato), Roma, Salerno Editrice, 1998, vol. VI, p. 939.
- ^ V. Alfieri, Vita, capitolo I (Nascita e parenti), pagina 9 dell'edizione stampata in Roma dall'Istituto poligrafico dello Stato nel 1956.
- ^ Giuseppe Bonghi, "Biografia di Vittorio Alfieri", su classicitaliani.it.
- ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q Bonghi, art. cit.
- ^ II paragrafo in Vittorio Alfieri, in Enciclopedia dell'italiano, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. URL consultato l'8 aprile 2017.
- ^ Gian Luigi Beccaria, I segni senza ruggine. Alfieri e la volontà del verso tragico, in «Sigma», 9, 1/2, 1976, pp. 107-151.
- ^ Vita scritta da esso, Epoca Quarta.
- ^ Voci e modi toscani, raccolti da Vittorio Alfieri, su books.google.it, corrispondenze, edita nel 1827. URL consultato l'8 aprile 2017.
- ^ Pur condividendone un certo pragmatismo e la poca fiducia nel popolo, Alfieri è perlopiù un sostenitore dell'interpretazione repubblicana od obliqua del Principe di Machiavelli: «Dal solo suo libro Del Principe si potrebbero qua e là ricavare alcune massime immorali e tiranniche, e queste dall'autore son messe in luce (a chi ben riflette) molto più per disvelare ai popoli le ambiziose ed avvedute crudeltà dei principi che non certamente per insegnare ai principi a praticarne [...] all'incontro, il Machiavelli nelle Storie, e nei Discorsi sopra Tito Livio, ad ogni sua parola e pensiero, respira libertà, giustizia, acume, verità, ed altezza d'animo somma, onde chiunque ben legge, e molto sente, e nell'autore s'immedesima, non può riuscire se non un fuocoso entusiasta di libertà, e un illuminatissimo amatore d'ogni politica virtù» (Del principe e delle lettere, II, 9)
- ^ Vittorio Alfieri, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato l'8 aprile 2017.
- ^ V. Alfieri, Vita, Epoca I.
- ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y ibidem.
- ^ Sambugar, Salà, Letteratura modulare, vol 1, introduzione alla Vita scritta da esso di V. Alfieri
- ^ Giuseppe Antonini, Leonardo Cognetti De Martiis, Vittorio Alfieri: studi psicopatologici.
- ^ Vita, Epoca I, Primi sintomi di carattere appassionato.
- ^ V. Alfieri, Vita, Epoca II.
- ^ Alfieri, Vita, Epoca II.
- ^ a b V. Alfieri, Vita, epoca III.
- ^ Vittorio Alfieri - Il poeta tragico, parte 3, su parcoletterario.it
- ^ Stefania Buccini (a cura di), Alfieri beyond Italy: atti del Convegno internazionale di studi, Madison, Wisconsin, 27-28 settembre 2002, Edizioni dell'Orso, 2004, p. 135
- ^ Carlo Fruttero, Da una notte all'altra, capitolo Vita di Vittorio Alfieri scritta da esso, Mondadori, 2015
- ^ Lucio D'Ambra, Vittorio Alfieri. Il trageda legato alla sedia, 1938.
- ^ a b c V. Alfieri, Vita, Epoca quarta, capitolo V e seguenti
- ^ a b Vita, epoca IV.
- ^ Nell'atto di donazione del 1778, nel quale Vittorio cedette alla sorella Giulia tutte le proprietà in cambio di un vitalizio, accanto ai campi, prati, orti, vigne, boschi, gerbidi e ai coltivi che egli possedeva in Asti, Vigliano d'Asti, Costigliole d'Asti, Montegrosso d'Asti, Cavallermaggiore, Ruffia, ci sono anche dei mulini in quella zona della città che ora è denominata via dei mulini. Inoltre, Alfieri cedette anche il palazzo natio (Palazzo Alfieri), che venne messo in affitto: alla contessa Giulia rendeva 910 lire piemontesi all'anno, e il palazzo di Piazza San Secondo in Asti comprendente cinque botteghe sotto i portici e quattro in legno fuori dai medesimi, il quale rendeva 1000 lire piemontesi annue.
- ^ Circolo Mazzei: la storia di Filippo Mazzei Archiviato il 14 gennaio 2014 in Internet Archive.
- ^ Giulio Natali, ALBANY, Luisa, principessa di Stolberg, contessa d', su Enciclopedia Italiana (1929), Treccani.it
- ^ Bonghi, art. cit.; il poeta l'avrebbe vista sulla spiaggia a Dover, località in cui si imbarcava per tornare in Francia, e pare che la donna si trovasse «in condizioni morali poco edificanti». Alfieri, allora, le scrisse, scusandosi qualora fosse stato responsabile del suo cambiamento, ma la Pitt rispose di essere pienamente felice e libera; M. Porena, Vittorio Alfieri e la tragedia, Milano 1904, p. 36.
- ^ a b c d e f g h Sambugar, Salà, op. cit.
- ^ Vittorio ALFIERI, su accademiadellescienze.it. URL consultato il 9 luglio 2020.
- ^ aveva sposato la figlia di Giulia Alfieri
- ^ Con il trattato di Aranjuez (1801) Napoleone esautorò l'Asburgo Ferdinando III dal suo Granducato di Toscana, che si tramutò in uno stato satellite della Francia imperiale: il Regno d'Etruria sotto i Borboni, precedentemente duchi di Parma.
- ^ a b Articolo sull'influenza di Alfieri su Foscolo, su internetculturale.it. URL consultato l'8 aprile 2017 (archiviato dall'url originale l'8 gennaio 2014).
- ^ a b
«Al Tragico dell'Italia oso offrire la prima tragedia di un giovane nato in Grecia ed educato fra' Dalmati. Forse l'avrei presentata più degna d'Alfieri, se la rapacità de' tipografi non l'avesse carpita e stampata, aggiungendole a' propri difetti le negligenze della lor arte. Ad ogni modo accoglietela: voi avete de' diritti su tutti coloro che scrivono agl'Italiani, benché l'Italia "vecchia, oziosa e lenta" non può né vuol forse ascoltare. Né forse ve la offrirei, se non sperassi in me stesso di emendare il mio ardire con opere più sode, più ragionate, più alte; più, insomma, italiane. Addio.»
- ^ a b "L'unico mortale ch'io desiderava conoscere era Vittorio Alfieri; ma odo dire ch'ei non accoglie persone nuove: ne io presumo di fargli rompere questo suo proponimento che deriva forse da' tempi, da' suoi studj, e più ancora dalle sue passioni e dall'esperienza del mondo. E fosse anche una debolezza, le debolezze di si fatti mortali vanno rispettate; e chi n'e senza, scagli la prima pietra".
- ^ Ortis, Lettera del 17 marzo 1798, scritta in realtà nel 1816.
- ^ a b Giuseppe Pecchio, Vita di Ugo Foscolo scritta da Giuseppe Pecchio, pag. 32.
- ^ "Funerali per Corilla a spregio di Vittorio Alfieri", su curiositasufirenze.wordpress.com. URL consultato l'8 aprile 2017.
- ^ a b c Dal volume: V. ALFIERI, Mirra, a cura di Angelo Fabrizi, nella collana “Studi e documenti” promossa dalla Fondazione Centro di Studi Alfieriani, Modena, Mucchi, 1996.
- ^ a b Aris D'Anelli, cardiologo astigiano, nel libro La malinconia del signor Conte. Vittorio Alfieri, malato non immaginario, edito da Daniela Piazza (1999), avanza tre ipotesi, basate su alcuni sintomi descritti dal poeta nell'autobiografia e nelle lettere dell'abate di Caluso, come causa della morte: la più probabile è un infarto del miocardio, un ictus o un collasso cardiaco, dovuto ad insufficienza cardiaca o all'ipertensione, un problema cronico dell'autore; altre ipotesi prese in esame sono lo stadio terminale dell'insufficienza renale - la stessa gotta o podagra, di cui soffriva ne può essere un sintomo, degenerato in uremia - o un tumore dell'apparato digerente.
- ^ Guido Santato, Alfieri e Voltaire: dall'imitazione alla contestazione; riportato in Guido Santato, Letteratura italiana e cultura europea tra illuminismo e romanticismo ("Dénouement des lumières et invention romantique: actes du Colloque de Genève", a cura di G. Santato), disponibile su google books, pagg. 297-298.
- ^ Giornale dell'italiana letteratura, 1803, "Necrologia", a pag. 186: «Questo insigne poeta è morto ([...]) per malattia intestinale, dicesi cagionata da una metastasi d'umor podagroso».
- ^ Zegers et al.: "The death of W.A. Mozart: an epidemiologic perpective",in: Annals of Internal Medicine, 2009
- ^ Antonini, Cognetti, op. cit.
- ^ Lettera dell'abate di Caluso alla contessa d'Albany, in appendici della Vita
- ^ "Il giallo dei funerali di Vittorio Alfieri", su archivio.lastampa.it. URL consultato il 12 novembre 2020 (archiviato dall'url originale il 17 giugno 2013).
- ^ Il Risorgimento nell'Astigiano nel Monferrato e nelle Lange, (a cura di Silvano Montaldo), Carla Forno, Il mito risorgimentale di Alfieri, Asti Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, 2010, pg. 186.
- ^ Vittorio Alfieri, Trattati politici.
- ^ Il Misogallo, PROSA QUINTA. 11 gennaio 1796. DIALOGO FRA L'OMBRE DI LUIGI XVI E DI ROBESPIERRE; vedi anche: Prosa terza. Traduzione delle ultime parole pronunziate dal Re Luigi XVI, innanzi la convenzione nazionale il dì 11 dicembre 1792 (in realtà opera di Alfieri), SONETTO XXII, ecc.
- ^ V. Alfieri, Il Misogallo, parte I
- ^ Mario Rapisardi, L'ideale politico di Vittorio Alfieri
- ^ V. Alfieri, Il Misogallo, parte I, documento I, pag. 17-18, edizione Classici a cura di G. Bonghi.
- ^ "Una donzella forte, chiamata Carlotta Corday (che è stata il solo nostro Bruto) entrata nella ferma risoluzione di perder sè stessa per pure trucidar un tiranno, non si elesse perciò di trucidar me. [È Robespierre che parla con Luigi XVI] Costei, più assai di coraggio che non di senno fornita, uccise nel bagno un vile fazioso, che per infermità già stava morendosi, un mio lodatore, e detrattore a vicenda, che io non amava, nè stimava, nè temea; ma che pure, se non veniva scannato dalla nostra Bruta, l’avrei fatto uccider io, come torbido, e fastidioso".
- ^ M. Rapisardi, La religione di Vittorio Alfieri.
- ^ V. Alfieri, Della tirannide, pag. 76 e seguenti
- ^ Satira L'antireligioneria, in cui critica Voltaire; in questo modo però si allinea anche posizioni pragmatiche espresse anche proprio dallo stesso contestatissimo Voltaire, nel Trattato sulla tolleranza: "La legge vigila sui crimini conosciuti, la religione su quelli segreti" (capitolo "Se sia utile mantenere il popolo nella superstizione), auspicando l'eliminazione dei dogmi, non della religione per il popolo; e posizioni simili saranno anche del democratico Giuseppe Mazzini o di Ugo Foscolo, secondo cui, come scrive amareggiato nello Jacopo Ortis, il "volgo" richiede spesso "pane, prete e patibolo".
- ^ M. Rapisardi, ibidem
- ^ Lettera all'abate di Caluso del gennaio 1802
- ^ Alfieri, così liberale da essere anarchico, su segretidipulcinella.it.
- ^ a b Piero Gobetti, L'uomo Alfieri (PDF), su liberliber.it. URL consultato l'8 aprile 2017.
- ^ Mario Rapisardi, La religione di Vittorio Alfieri.
- ^ Voltaire, Trattato sulla tolleranza, cap. XX, "Se sia utile mantenere il popolo nella superstizione".
- ^ suo grande amico era il mercante Gori Gandellini
- ^ Francesco Novati, L'Alfieri poeta comico, in " Studi critici e letterari, su archive.org. URL consultato l'8 aprile 2017.", Ermanno Loescher, Torino, 1889
- ^ Ignazio Ciampi, Vittorio Alfieri autore comico, Roma, Galeati, 1880, in La commedia italiana: studi storici, estetici e biografici, su archive.org. URL consultato l'8 aprile 2017.
- ^ a b c Vittorio Alfieri, Opere, in La letteratura italiana (50), introduzione e scelta di Mario Fubini; testo e commento a cura di Arnaldo Di Benedetto, vol. 1, Milano, Napoli, Ricciardi, 1977, SBN IT\ICCU\SBL\0160379.
- ^ le Opere Postume uscirono con la falsa indicazione della pubblicazione a Londra.
- ^ a b Alfieri e Petrarca, su 150.provincia.asti.it. URL consultato l'8 aprile 2017 (archiviato dall'url originale il 9 aprile 2017).
- ^ Alfieri e le rime: riassumendo, su riassumendo.blogspot.it.
- ^ Vittorio Alfieri, il forte sentire e la tragedia, su Google Docs. URL consultato l'8 aprile 2017.
- ^ L'odio di Vittorio Alfieri verso i Francesi, su ariannaeditrice.it. URL consultato l'8 aprile 2017.
- ^ Plutarco, Della superstizione
- ^ Luigi Russo, Vittorio Alfieri e l'uomo nuovo europeo
- ^ Sambugar, Salà, op. cit
- ^ L'illuminismo e Vittorio Alfieri, su oilproject.org. URL consultato l'8 aprile 2017 (archiviato dall'url originale il 9 aprile 2017).
- ^ Caratteri della tragedia alfieriana, su spazioweb.inwind.it. URL consultato l'8 aprile 2017.
- ^ Sambugar, Salà - Letteratura italiana, percorso tematico Vittorio Alfieri
- ^ Mario Pazzaglia, Antologia della letteratura italiana, in cui, tra l'altro, il critico letterario definisce l'Ortis "tragedia alfieriana in prosa".
- ^ Il mito di Parini nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis, su thefreelibrary.com. URL consultato l'8 aprile 2017.
- ^ a b Domenico Fava catalogo della Mostra storica Astese AlfierianaAsti, Casa Alfieri, 10 aprile-29 maggio 1949, Bologna 1949.
- ^ Opere di Vittorio Alfieri ristampate nel primo centenario della sua morte, Paravia, 1903, vol. 1, p. X della Prefazione.
- ^ Arnaldo Di Benedetto, Il dandy e il sublime: nuovi studi su Vittorio Alfieri.
- ^ a b Umberto Calosso, L'anarchia di Vittorio Alfieri: discorso critico sulla tragedia alfieriana, 2ª ed., Bari, Laterza, 1949, SBN IT\ICCU\CUB\0147966.
- ^ Vittorio Alfieri presentazione, su slideshare.net.
- ^ Giovanni Gentile, L'eredità di Vittorio Alfieri
- ^ C. A. Avenati, La rivoluzione da Vittorio Alfieri a Benito Mussolini, Torino, Biblioteca della Società Storica Subalpina, 1934.
- ^ Alfieri: libertario o codino?, su gazzettadasti.it. URL consultato l'8 aprile 2017.
- ^ Anche estremo come il cosiddetto libertarianismo; vedi Roberta Montemorra Marvin, Downing A. Thomas - Operatic Migrations: Transforming Works and Crossing Boundaries, 2006.
- ^
«L'Alfieri, anche se si tenne lontano da ogni forma di religione rivelata, pur riconoscendo in qualche momento le suggestioni e le risonanze emotive del culto cattolico, in tutta la sua vita e in tutta la sua opera fu sorretto da un'alta idealità, ossia da costante amore «del vero e del retto», da un senso elevato dell'eroico e da quella religione della libertà che fu il fondamento del liberalismo e del romanticismo europeo»
- ^ ad esempio in La filosofia politica di Vittorio Alfieri e L'uomo Alfieri Gobetti esprime la propria vicinanza spirituale al poeta tragico
- ^ Piero Gobetti, Elogio della ghigliottina, su cdrc.it., da La Rivoluzione Liberale, articoli.
- ^ «Che ho a che fare io con gli schiavi?». Gobetti e Alfieri, su sefeditrice.it. URL consultato l'8 aprile 2017.
- ^ Sambugar, Salà, op.cit.
- ^ Video dell'attore Paolo Rossi che recita uno spezzone del trattato in un programma televisivo, su youtube.com.
- ^ Il divorzio di Alfieri al Teatro stabile di Genova, su teatrostabilegenova.it. URL consultato il 12 novembre 2020 (archiviato dall'url originale il 10 aprile 2014).
- ^ V. Alfieri, Vita, Epoca quarta, capitolo I.
- ^ Vittorio Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori. Brevi biografie di Massoni famosi, Roma-Milano, Erasmo Edizioni-Mimesis, 2005, p. 9.
- ^ R. Marchetti. Vittorio Alfieri, fratel massone in «Il Platano», anno VII, Asti, 1982.
- ^ Carlo Francovich, Storia della Massoneria in Italia, i Liberi Muratori italiani dalle origini alla Rivoluzione francese, Milano, Ed. Ghibli, 2013, p. 351, n. 25, (63).
- ^ Vittorio Alfieri, Satire, Le imposture.
- ^ a b Cazzani, op. cit.
- ^ Umberto Calosso, L'anarchia di Vittorio Alfieri: discorso critico sulla tragedia alfieriana, 1ª ed., Bari, Laterza, 1924, SBN IT\ICCU\RAV\0210881.
- ^ Vittorio Alfieri, su comune.asti.it, Comune di Asti. URL consultato il 29 dicembre 2009 (archiviato dall'url originale il 30 luglio 2010).
- ^ Pietro Cazzani, Le tragedie di Alfieri.
- ^ Alfieri e la musica, su fondazionealfieri.it. URL consultato l'8 aprile 2017.
- ^ a b R. Marchetti Alfieri e l'arte in Il Platano, anno I, numero 2, Asti, 1976.
- ^ R. Marchetti Alfieri e l'arte in «Il Platano», anno I, numero 2, Asti, 1976.
- ^ Catalogo francobolli italiani, su ibolli.it. URL consultato l'8 aprile 2017.
- ^ Moneta commemorativa di Vittorio Alfieri, su mebnet.altervista.org. URL consultato l'8 aprile 2017.
Bibliografia Modifica
- AA.VV., Enciclopedia Biografica Universale, Torino, Biblioteca Treccani, 2006.
- AA.VV., I classici del pensiero italiano, Torino, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, 2006.
- Carlo Antonio Avenati, La rivoluzione da Vittorio Alfieri a Benito Mussolini, Torino, Biblioteca della Società Storica Subalpina, 1934.
- Aurelia Accame Bobbio, Enciclopedia Dantesca, Roma, Treccani, 1970.
- Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti, Giuseppe Zaccaria, Testi e storia della letteratura, Torino, Paravia, 2010, vol. C: Dal Barocco all'Illuminismo, pag. 584-674.
- Alfredo Bianco, Asti ai tempi della rivoluzione, Asti, Ed CRA, 1960.
- Emilio Bertana, Vittorio Alfieri studiato nella vita, nel pensiero e nell'arte, Torino, Loescher, 1904.
- Franco Biliorsi, Sulla composizione degli epigrammi alfieriani, in "Italianistica", n. 2 (1973).
- Walter Binni, Vita interiore dell'Alfieri, Bologna, Licinio Cappelli Editore, 1942.
- Walter Binni, Il giudizio di Bettinelli sull'Alfieri, in "La Rassegna della letteratura italiana", a. LXI, serie VII, n. 1, gennaio-marzo 1957.
- Walter Binni, Saggi alfieriani, Firenze, La Nuova Italia, 1969.
- Renato Bordone, Araldica astigiana, Asti, Allemandi, 2001.
- Umberto Bosco, Lirica Alfieriana, Asti 1940.
- Lanfranco Caretti, Il "fidato" Elia e altre note alfieriane, Padova, Liviana, 1961.
- Piero Cazzani, Il mio Alfieri, in "Il Platano", anno XIV, Asti, 1989.
- Piero Cazzani, Vittorio Alfieri, la vita, le opere, l'eredità spirituale, Asti, Centro Nazionale di studi Alfieriani-Casa d'Alfieri, 1942.
- Chiara Cedrati, La Libertà dello Scrivere. Ricerche su Vittorio Alfieri, Milano, LED Edizioni Universitarie, 2014. ISBN 978-88-7916-695-9
- Benedetto Croce, Alfieri, in Poesia e non poesia, Bari, Laterza, 1974 (VIII edizione).
- Giuseppe De Robertis, Le Rime dell'Alfieri, in Studi II, Firenze, Le Monnier, 1971.
- Arnaldo Di Benedetto, Alfieri e la Rivoluzione francese, Un mito alfieriano: Caino, e Uno stilema alfieriano, in Tra Sette e Ottocento. Poesia, letteratura e politica, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 1991.
- Arnaldo Di Benedetto, Per Vittorio Alfieri, La «repubblica» di Vittorio Alfieri, «Il nostro gran Machiavelli»: Alfieri e Machiavelli, Le occasioni di un anniversario: Vittorio Alfieri tra Parini e Goethe (e oltre), in Dal tramonto dei Lumi al Romanticismo. Valutazioni, Modena, Mucchi, 2000.
- Arnaldo Di Benedetto, Le passioni e il limite. Un'interpretazione di Vittorio Alfieri, Napoli, Liguori, 1994.
- Arnaldo Di Benedetto, Il dandy e il sublime. Nuovi studi su Vittorio Alfieri, Firenze, Olschki, 2003.
- Arnaldo Di Benedetto, Alfieri anti-sublime, in «La commedia in Palazzo». Approfondimenti sulle commedie di Vittorio Alfieri, Atti del convegno internazionale, Napoli 13 maggio 2005, a cura di V. Placella, Napoli, Università degli Studi di Napoli "L'Orientale", 2008.
- Arnaldo Di Benedetto, Alfieri fuori di casa e Alfieri a Londra, Alfieri e la Francia, in Fra Germania e Italia. Studi e flashes letterari, Firenze, Olschki, 2008.
- Arnaldo Di Benedetto, "Quasi che un dio". Il poeta secondo Vittorio Alfieri, in 2Giornale storico della letteratura italiana", CLXXXVII (2010).
- Arnaldo Di Benedetto, Vittorio Alfieris Auffassung vom Dichter, in Kunstreligion, Band 1, a cura di A. Meier, A. Costazza, G. Laudin, Berlin/New York, De Gruyter, 2011.
- Arnaldo Di Benedetto, Schreiben in Zeiten der Tyrannei, in Vittorio Alfieri, Der Fürst und die Wissenschaften, traduzione di Friedrich Buchholz, a cura di E. Y. Dilk e H. Mojem, Göttingen, Wallstein, 2011.
- Arnaldo Di Benedetto, Con e intorno a Vittorio Alfieri, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2013.
- Arnaldo Di Benedetto (con Vincenza Perdichizzi), Alfieri, Roma, Editrice Salerno, 2014. ISBN 978-88-8402-723-8
- Angelo Fabrizi, «Che ho a che fare io con gli schiavi?». Gobetti e Alfieri, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2007.
- Paola Luciani, L'autore Temerario. Studi su Vittorio Alfieri, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2005.
- Carla Forno, Il "fidato" Elia. Storia di un servo e di un conte, Provincia di Asti, I Quaderni, 2003.
- Mario Fubini, Vittorio Alfieri. Il pensiero, la tragedia, Firenze, Sansoni, 1953 (II edizione).
- Mario Fubini, Ritratto dell'Alfieri e altri studi alfieriani, Firenze, La Nuova Italia, 1963.
- Mario Fubini, Dizionario Biografico degli italiani, II, Roma, Treccani, 1960.
- Noemi Gabrielli, Arte e cultura ad Asti attraverso i secoli, Torino, Istituto San Paolo, 1976.
- Piero Gobetti, La filosofia politica di Vittorio Alfieri, Pittavino, Torino, 1923.
- Guglielmo Gorni, Il poeta e la sua immagine. Sugli autoritratti dell'Alfieri e del Foscolo, in "Giornale storico della Letteratura italiana", 160 (1983).
- Ludovica Maconi, Enciclopedia dell'Italiano, Roma, Treccani, 2010.
- Roberto Marchetti, Alfieri e l'arte in "Il Platano", a. I, n. 2, Asti, 1976.
- Roberto Marchetti, I redditi degli Alfieri in "Il Platano", anno II, numero 4, Asti, 1977.
- Roberto Marchetti, Settecento astigiano, piccola biblioteca di un nobile in «Il Platano», anno IV, numero 5, Asti 1979.
- Roberto Marchetti, Vittorio Alfieri, fratel massone in "Il Platano", anno VII, Asti, 1982.
- Roberto Marchetti, Le carte alfieriane donate dalla cassa di risparmio di Asti in "Il Platano", anno VIII, Asti, 1983.
- Michele Mari, Un decennio di studi sul Settecento in "Giornale storico della letteratura italiana", 170 (1993).
- Nicolò Mineo, Alfieri e la crisi europea, Milano, Franco Angeli, 2012.
- Carlo Pellegrini, La contessa D'Albany e il salotto del Lungarno, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1951.
- Manfredi Porena, Vittorio Alfieri e la tragedia, Milano, Ulrico Hoepli, 1904
- Manfredi Porena, Vittorio Alfieri, in AA.VV., Enciclopedia Biografica Universale, Roma, Ist. Enc. Ital., 2006, pp. 342–355.
- Ezio Raimondi, Il concerto interrotto, Pisa, Nistri Lischi, 1979.
- Ezio Raimondi, Le pietre del sogno. Il moderno dopo il sublime, Collana Saggi, Il Mulino, Bologna, 1985, ISBN 978-88-15-00822-0
- Guido Santato, Rassegna Alfieriana (1978-1981), in "Annali Alfieriani", 1983.
- Guido Santato, Alfieri e Voltaire: dall'imitazione alla contestazione, Firenze, Olschki, 1988.
- Guido Santato, Tra mito e palinodia: itinerari alfieriani, Modena, Mucchi, 1999.
- Guido Santato, L'Alfieri di Gobetti, in Vittorio Alfieri nella critica novecentesca, Atti del Convegno Nazionale di Studi (Catania, 29-30 novembre 2002), a cura di N. Mineo e R. Verdirame, Università di Catania, 2005.
- Emilio Santini, Vittorio Alfieri, Tricarico, Palermo 1939, II edizione.
- Riccardo Scrivano, Biografia e autobiografia. Il modello alfieriano, Roma, Bulzoni, 1976.
- Alessandro Vigiani, Per una nuova considerazione del petrarchismo delle Rime alfieriane, in "Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Macerata", XXXV (2002), pp. 507–528.
Voci correlate Modifica
- Alfieri (famiglia)
- Luisa di Stolberg-Gedern
- Palazzo Alfieri (Asti)
- La religione di Vittorio Alfieri, di Mario Rapisardi
- L'ideale politico di Vittorio Alfieri, di Mario Rapisardi
- Agostino Tana
- Francesco Gori Gandellini
Altri progetti Modifica
- Wikisource contiene una pagina dedicata a Vittorio Alfieri
- Wikiquote contiene citazioni di o su Vittorio Alfieri
- Wikibooks contiene testi o manuali su Vittorio Alfieri
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Vittorio Alfieri
Collegamenti esterni Modifica
- Sito ufficiale, su fondazionealfieri.it.
- Alfièri, Vittorio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Manfredi Porena, ALFIERI, Vittorio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1929.
- Alfièri, Vittòrio (letterato), su sapere.it, De Agostini.
- (EN) Vittorio Alfieri, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- Mario Fubini, ALFIERI, Vittorio, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 2, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1960.
- Vittorio Alfieri, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.
- (EN) Vittorio Alfieri, su Dictionary of Art Historians, Lee Sorensen.
- Vittorio Alfieri, su accademiadellescienze.it, Accademia delle Scienze di Torino.
- Opere di Vittorio Alfieri, su Liber Liber.
- Opere di Vittorio Alfieri, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
- (EN) Opere di Vittorio Alfieri, su Open Library, Internet Archive.
- (EN) Opere di Vittorio Alfieri, su Progetto Gutenberg.
- (EN) Audiolibri di Vittorio Alfieri, su LibriVox.
- (EN) Opere riguardanti Vittorio Alfieri, su Open Library, Internet Archive.
- (EN) Vittorio Alfieri, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.
- Vittorio Alfieri, in Archivio storico Ricordi, Ricordi & C..
- (EN) Spartiti o libretti di Vittorio Alfieri, su International Music Score Library Project, Project Petrucci LLC.
- (EN) Vittorio Alfieri, su MusicBrainz, MetaBrainz Foundation.
- (EN) Vittorio Alfieri, su IMDb, IMDb.com.
- Parco Letterario: Vittorio Alfieri, su parcoletterario.it.
- Vittorio Alfieri e Asti, su comune.asti.it. URL consultato il 1º dicembre 2006 (archiviato dall'url originale il 30 luglio 2010).
- Opere di Vittorio Alfieri, testi con concordanze, lista delle parole e lista di frequenza
- Vittorio Alfieri su Classici italiani, su classicitaliani.it.
- tragedie greche di Vittorio Alfieri, su digilander.libero.it.
- da "Mirra" : Atto III - Scena II Archiviato il 10 febbraio 2008 in Internet Archive. in audio MP3
- Giovanni Pellegrino, I principali elementi del pensiero di Vittorio Alfieri, su centrostudilaruna.it.
Controllo di autorità | VIAF (EN) 39389587 · ISNI (EN) 0000 0001 2128 8064 · SBN CFIV000280 · BAV 495/76417 · CERL cnp01468189 · LCCN (EN) n79084259 · GND (DE) 11864808X · BNE (ES) XX894101 (data) · BNF (FR) cb120192998 (data) · J9U (EN, HE) 987007257505005171 · NSK (HR) 000063728 · NDL (EN, JA) 00848556 · CONOR.SI (SL) 36834659 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79084259 |
---|